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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:46
Ipoteche, debiti e abusi il pasticcio dei beni mafiosi 'Confiscati ma inutilizzabili'


PER apportare a quel latifondo una serie di migliorie, il Banco di Sicilia aveva concesso al "Papa" un mutuo di un miliardo e mezzo di lire senza battere ciglio. Erano altri tempi e le banche, specialmente in Sicilia, non andavano tanto per il sottile con i mafiosi soprattutto se, come Michele Greco, frequentavano i salotti bene e conoscevano le persone giuste. Quel miliardo e mezzo, tramutatosi in una pesantissima ipoteca, per 25 anni è stata "l' arma" con la quale, nonostante la confisca, Cosa nostra è riuscita ad impedire allo Stato di riprendersi e far fruttare un pezzo del suo patrimonio. Solo ora, grazie alle insistenti pressioni del prefetto Giuseppe Caruso che ha quasi obbligato Unicredit a rinunciare a buona parte del suo credito e a rateizzare il resto, nei 150 ettari del feudo di Verbumcaudo, sulle colline delle Madonie, vero e proprio emblema della forza economica della mafia siciliana, è già partita la semina del grano e sta per essere realizzato un impianto di produzione prima di olivi e poi di vini e sorgerà la prima Banca vitivinicola siciliana. Purtroppo una goccia nel tempestoso mare del riutilizzo dei beni mafiosi, la trincea più avanzata della lotta alla criminalità organizzata dal sud al nord del paese, che rischia di essere travolta dall' inarrestabile onda d' urto dei gravami finanziari sui beni confiscati. 

UN PATRIMONIO CONTESO DALLE BANCHE È un tesoro da 20 miliardi di euro quello che è stato sottratto alle mafie: aziende, società, edifici, case, magazzini, terreni, auto di lusso, barche, che il lavoro incessante di anni di magistrati e forze dell' ordine è riuscito a portare via dai bilanci di Cosa nostra, camorra, ' ndrangheta. Il ministro della giustizia Paola Severino, alla commissione antimafia, ha dato una valutazione positiva dell' attività di contrasto fin qui svolta parlando di oltre il 50 per cento dei beni confiscati come già destinati ma il prefetto Giuseppe Caruso, da nove mesi direttore dell' Agenzia nazionale per i beni confiscati al quale è affidata la gestione di questo patrimonio, lotta contro un nemico a cui adesso ha dato un nome: le banche. Come è possibile, si è chiesto, che quasi l' 80 per cento di questi beni è sostanzialmente ingestibile, al 65 per cento per i gravami ipotecari avanzati da decine di istituti di credito? «Ho già firmato oltre 200 istanze all' Avvocatura dello Stato per chiedere direttamente l' accertamento della buona o mala fede di chi ha concesso crediti ai mafiosi. È davvero impressionante constatare quante banche hanno erogato soldi senza verificare chi fosse il destinatario di questo fido». Oggi il rischio concreto è di mancare clamorosamente un obiettivo decisivo nel contrasto alla criminalità organizzata, la reimmissione in un circuito economico virtuoso dei soldi sporchi. Un bel problema considerato che adesso, a differenza di quando la competenza era del Demanio, l' Agenzia può destinare solo beni totalmente privi di criticità. Il che equivale a dire che un patrimonio da almeno 10-12 miliardi è totalmente a perdere. Un allarme rilanciato anche dal presidente di Libera, don Luigi Ciotti che con il circuito dei beni confiscati ha avviato un meccanismo virtuoso che produce e dà lavoro a centinaia di giovani. «Le banche dicono ai Comuni di pagargli l' ipoteca che il mafioso o il prestanome hanno fatto, ma le associazioni antimafia interessate al bene per un uso sociale non hanno i soldi per pagare un' ipoteca e le banche, salvo rare eccezioni, rivendicano il denaro. Questo è un nodo politico che va sciolto». 

LA STRATEGIA DEI BOSS Sicilia, Campania, Puglia e Calabria detengono il primato dei beni sottratti alle cosche, ma purtroppo anchei casi più eclatanti dimostrano come troppo spesso le confische siano delle occasioni sprecate. L' ultimo in ordine di tempo è quello del Parco dei Templari e della ex masseria di Altamura, in provincia di Bari, un meraviglioso parco da 66 mila metri quadrati con fabbricati per 8.500 metri quadri, valore stimato 16 milioni di euro, confiscato nel 2007 e gestito fino ad ora in una sorta di partnership pubblico-privato tra l' Agenzia nazionale e lo chef Gianfranco Vissani che aveva accettato la scommessa di rilanciare la struttura con 36 dipendenti. Alta cucina per banchetti e ricevimenti aveva anche assicurato un certo introito ma un buco finanziario da 600 mila euro ha indotto l' Agenzia a fare un passo indietro e a chiedere alla Regione Puglia di intervenire. Ma chi dovrebbe accollarsi l' onere di gestione di un bene così indebitato con le banche? A Pomigliano d' Arco, la Masseria Castello, 8.000 metri di terreno e lo scheletro di un edificio, sequestrato al clan Foria, è in totale stato di abbandono. Confiscato a giugno del 2000 e assegnato al Comune, vede il progetto di realizzazione di un centro giovanile già finanziato con 3 milioni e 364 mila euro del Pon (programma operativo nazionale) sicurezza bloccato per un' ipoteca da 10 mila euro. A Villaricca, un appartamento confiscato tre anni fa e destinato a una casa accoglienza per disabili, anche questa finanziata con il Pon sicurezza, è stata stoppata da due azioni di pignoramento, una da 41 mila euro e l' altra da appena 1360 euro perché l' Enel intende riscuotere 20 anni di bollette non pagate. In Campania una recente ricerca del Consorzio Sole conferma: non più del 20 per cento dei beni acquisiti dallo Stato riescono ad essere rigenerati con finalità sociali. E quella dei gravami finanziari, ha spiegato Lucia Rea, responsabile del Consorzio, sembra essere una verae propria strategia: i camorristi che sanno di essere sotto inchiesta accendono mutui sui loro beni a rischio sequestro, incassano soldi liquidi più facili da riciclare e rendono molto difficile la loro assegnazione definitiva. 

CASE OCCUPATE E CASE INESISTENTI Ci sono poi le decine di immobili già assegnati ai Comuni ma che restano occupati dai familiari dei boss che nessuno si azzarda a sfrattare. A Castellammare di Stabia, resta tranquillamente a casa sua la moglie del capo della cosca D' Alessandro perché l' appartamento è confiscato solo per metà e peraltro è abusivo. In Calabria è stata persino aperta un' inchiesta con oltre 350 indagati per far luce sulle centinaia di immobili, alcuni confiscati da più di 15 anni, che continuavano a rimanere nelle mani dei familiari dei boss, come un intero palazzo sottratto a Reggio Calabria nel ' 97 a Pasquale Condello ma nel quale risiedevano tutti i suoi parenti. Se non possono fare altro, poi, i Casalesi passano ai danneggiamenti di quelli che un tempo erano i bunker dotati di ogni comfort che ospitavano le latitanze dorate dei loro capi: così la villa di Walter Schiavone a Casal di Principe o i terreni di Lubrano a Pignataro Maggiore vandalizzati dagli stessi uomini del clan per renderli inutilizzabili, addirittura con la compiacenza del sindaco, il pidiellino Giorgio Magliocca, avvocato, arrestato a marzo dell' anno scorso proprio con l' accusa di aver consentito al clan Lubrano di continuare ad utilizzare beni confiscati assegnati in gestione al Comune. A Bologna Villa "la Celestina", tre piani in una zona di prestigio, sta ormai cadendo a pezzi, la via in cui sorge, ora via Boccaccio, ha cambiato nome ma la cosa non è mai stata comunicata al catasto. A rendere impossibile l' utilizzazione di un bene c' è una miriade di piccole quanto insormontabili difficoltà tecniche o burocratiche. Basta spulciare l' elenco dei beni assegnati al Comune di Palermo: un palazzo confiscato all' ex sindaco Vito Cancimino per metà occupato da inquilini e per l' altra metà da ristrutturare, un terreno da 1700 metri quadri a Ciaculli, il regno dei Greco, dove continuano a pascolare le pecore perché "senza confini", un altro confiscato ad uno dei killer di via d' Amelio, Gaetano Scotto, ufficialmente "inaccessibile". 

LE AZIENDE DECOTTE C' è poi un immenso patrimonio capace di dare occupazione a migliaia di persone che si perde giorno dopo giorno. È l' economia sommersa delle aziende delle mafie che, sequestrate, confiscate e affidate ad amministratori giudiziari non reggono l' impatto con il mercatoe si avvianoa un mesto fallimento. L' ultimo caso è quello del gruppo catanese Riela trasporti. Quella che tredici anni fa era la quattordicesima azienda più ricca della Sicilia, 30 milioni di fatturato, 250 dipendenti, ha avviato le procedure di liquidazione «perché non riesce a stare sul mercato», si legge nella determinazione adottata dall' Agenzia per i beni confiscati. I titolari ai quali era stata sottratta hanno fondato un nuovo consorzio che ha tolto i clienti alla Riela riuscendo persino a diventare il suo principale creditore per sei milioni di euro. D' altra parte l' azienda in amministrazione giudiziaria, rispettando tutti i parametri di legalità, era costretta a praticare prezzi superiori fino al 30 per cento rispetto ai concorrenti. E la Calcestruzzi Ericina, fiorentissima azienda che, finoa quando apparteneva al boss trapanese Vincenzo Virga, operava quasi in regime di monopolio, appena passata in amministrazione giudiziaria, ha visto prosciugarsi le commessee persino parte del personale ha "preferito" rimanere fuori. Alla fine, prossima al fallimento, ha rialzato la testa grazie alla caparbietà di un gruppo di lavoratori riunitisi in cooperativa che, con il sostegno di Libera di Don Ciotti e delle istituzioni locali, è riuscito a mantenerla in vita. A Palermo l' avviatissimo Hotel San Paolo Palace, già dei Graviano, registra perdite su perdite. Ci sono poi decine di casi in cui le attività sono ingestibili perché il provvedimento della magistratura riguarda il patrimonio societario ma non le azioni. Accade così che in provincia di Novara il servizio di ristorazione del castello di Miasino, sottratto al boss camorrista Galasso, sia ancora in mano alla moglie. Ma perché un' azienda florida quando è nelle mani della mafia poi fallisce quando viene confiscata e passa allo Stato? Spiega il prefetto Caruso: «Già in fase di sequestro le banche revocano i fidi, i clienti ritirano le commesse e la regolare fatturazione porta ad un inevitabile innalzamento dei costi di gestione. In più molti amministratori giudiziari sono incompetenti. Come faccio a mettere a reddito aziende così?». E proprio dal primo congresso nazionale degli amministratori giudiziari arriva la conferma: su dieci aziende confiscate alla criminalità, nove muoiono. «Si tratta di aziende che fino a quel momento si sono mosse fuori dai confini della legalità - spiega il presidente Domenico Posca - e risulta quasi impossibile mantenerle sul mercato con l' inevitabile aumento del conto economico al quale si aggiunge quasi sempre un irrigidimento delle banche e dei fornitori. La scommessa dello Stato deve essere quella di salvare centinaia di posti di lavoro, know how e validi impianti produttivi. È assolutamente necessario intervenire favorendo il mantenimento delle linee di credito e prevedendo un regime fiscale e previdenziale agevolato». 

VENDERE I BENI INUTILIZZABILI Ecco perché anche il prefetto Caruso invoca la possibilità di vendere i beni confiscati anche ai privati. «Ovviamente con tutte le garanzie del caso sull' acquirente. Il nostro sistema è così avanzato che, anche se qualcosa dovesse sfuggire, saremmo in grado di riconfiscarli. D' altra parte ditemi cosa dovrei fare di particelle di terreno indivisibilio di due stanze divise fra cinque eredio di edifici con un' errata indicazione di dati catastali?». Al Parlamento, Caruso chiede benzina per far girare una macchina da Formula 1. «La sfida immensa - dice - è quella di mettere in grado l' Agenzia di lavorare bene. Ma come si fa a gestire beni che raggiungono il valore di una finanziaria con un organico carente e inadeguato?». Trenta persone in tutto per la sede principale di Reggio Calabria (che Caruso chiede di cambiare per le difficoltà di collegamento) e gli uffici di Roma, Palermo, Milano e quelle di prossima apertura di Napoli e Bari. Un budget da4 milioni di euro che comporterà un taglio persino alle retribuzioni del personale che, accettando di lavorare all' Agenzia, guadagna meno rispetto ai colleghi delle amministrazioni di appartenenza. E ora, con l' entrata in vigore dei regolamenti attuativi, un ulteriore aggravio di lavoro. Perché all' Agenzia toccherà fare da supporto alla magistratura anche nella fase di sequestro e non solo più della confisca. «L' unica strada - è la proposta di Caruso - è trasformare l' Agenzia in un ente pubblico economico».
FRANCESCO VIVIANO, ALESSANDRA ZINITI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/03/23/ipoteche-debiti-abusi-il-pasticcio-dei-beni.html
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:45
Mafia, il tesoretto dimenticato dei beni confiscati: 30 miliardi a prendere polvere? 

di Claudio Forleo

Soldi


"Togliere i piccioli alla mafia". Oggi sembra una banalità, ma quando Pio La Torre spiegò questo concetto, oltre trent'anni fa, non venne capito. Bisogna attendere il 1996 per l'approvazione di una legge che consenta l'utilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi, rendendo pienamente operativa la Rognoni-La Torre del 1982.
Oggi abbiamo più di un problema sul fronte del reimpiego di quei beni. Non ultimo le norme vigenti negli altri paesi. Le mafie sono ormai da anni un fenomeno mondiale, con ramificazioni in tutti i Continenti (la 'ndrangheta, per esempio). Senza una legislazione condivisa sul tema delle confische dei capitali mafiosi, almeno a livello europeo (una direttiva, annunciata nella primavera del 2012, sta compiendo il suo lento iter), diventa più difficile andare a intaccare i tesori dei boss.
A quanto ammontano questi 'piccioli'? Stime ufficiali non ne esistono. Si è arrivati a ipotizzare la cifra di una pesante manovra finanziaria (30 miliardi) ma come vedremo, indipendentemente da numeri che al momento, causa disorganizzazione, è impossibile fornire con certezza, la quantità di beni confiscati è tale da lasciare immaginare di essere seduti su un tesoretto.
Ascoltiamo quasi giornalmente la notizia di arresti, a cui seguono i sequestri di beni immobili, mobili (denaro, assegni, titoli, crediti personali, auto, natanti, etc.) o aziendali (società utilizzate anche per il riciclaggio e il reimpiego dei capitali illeciti). Dal sequestro  (temporaneo) alla confisca (definitiva espropriazione del bene) passa del tempo, ma i problemi non sono finiti una volta che lo Stato è entrato in possesso dei beni mafiosi, tutt'altro.
Nel corso degli anni la normativa è stata modificata: nel 2010 è stata istituita l'Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati, ma si è proceduto senza la dovuta programmazione. Tra proposte borderline (vendere i beni  immobili confiscati, con il rischio che possano tornare nella disponibilità delle organizzazioni criminali, tramite prestanome) e le solite chiacchiere al vento, ci troviamo ad affrontare ritardi nella destinazione e nel riutilizzo del bene confiscato. Quest'ultimo prevede l'assegnazione del bene ad un ente terzo, che può essere sia un ente pubblico o un'organizzazione a scopo sociale.
Una problematica evidenziata anche da Libera, nelle parole del coordinatore dell'associazione in Sicilia, Umberto Di Maggio. "A quasi 18 anni dalla 109/96 urge un aggiornamento alla normativa esistente che consenta di superare i ritardi, le problematicità di gestione e che consenta un pieno ed effettivo riutilizzo di quest'immenso patrimonio che resta spesso, per difficoltà di vario genere, inutilizzato e dunque sprecato".
A gennaio 2013 l'Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati contava 11238 immobili, 4mila dei quali risultano 'in gestione', vale a dire non ancora assegnati, a cui si aggiungono altri 907 "immobili destinati ma non consegnati": quasi un immobile su due.  Peggio va sul fronte aziende, quelle 'in gestione' all'Agenzia risultano essere il 70% del totale: 1200 su 1700
Anche i tempi di assegnazione sono lunghi. Nel 2009 per quasi il 40% del totale bisognava aspettare dai 2 ai 5 anni. Dai 5 ai 10 per un immobile su tre. Un misero 3% veniva assegnato entro un anno. Perché questo tempo infinito? Varie le cause: oltre al passaggio da sequestro a confisca definitiva, bisogna valutare se l'immobile intestato alla persona X possa essere esigibile come credito da una persona Y. A volte il bene può essere oggetto di altri procedimenti giudiziari. Una volta che l'immobile entra in possesso dell'Agenzia dei Beni confiscati, vanno affrontati i problemi dell'Agenzia stessa: mancanza di personale, scarsità di budget. C'è infine la questione dei beni inagibili e del loro recupero, che comporta ulteriori costi e allungamento dei tempi.
"Sugli immobili in gestione (3.995) 2.819 sono gravati da una o più criticità - spiega l'Agenzia nella Relazione 2012 - Le criticità numericamente più significative sono: Presenza di ipoteche (1.666) ,Beni aziendali (1.428), Procedure giudiziarie in corso (420)".
Di questi 3995 immobili in gestione 1258 (il 34%) risulta 'occupato'.
Ieri Giuseppe Caruso, direttore dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati, è stato ascoltato in audizione dalla Commissione Parlamentare Antimafia. Nei giorni precedenti erano uscite una serie di dichiarazioni sulla stampa in cui il prefetto non è andato per il sottile: "I beni confiscati dovrebbero essere riutilizzati a fini sociali ed essere restituiti alla collettività e invece, in troppi casi, e per troppi anni, sono stati considerati 'beni privati' da alcuni amministratori giudiziari che li hanno considerati come fortune sulle quali garantirsi un vitalizio". Poco dopo in Commissione, secondo quanto riporta l'Ansa, Caruso ha ribadito: "Abbiamo rilevato che la maggior parte degli amministratori giudiziari nel centro sud hanno incarichi nei cda delle aziende".
Ma lo stesso direttore dell'ANBC è finito nel mirino per una decisione sull'amministrazione dei beni del costruttore Pietro Lo Sicco, condannato con sentenza definitiva nel 2008, difeso in passato dallo studio legale Schifani-Pinelli, dove Schifani è l'ex seconda carica dello Stato, oggi presidente del Nuovo Centro Destra di Alfano. La liquidazione dei beni del Lo Sicco era stata affidata all'avvocato Mario Bellavista, che in passato fu proprio il difensore del costruttore. Caruso ha giustificato la scelta con la spiegazione che Bellavista "ha difeso Lo Sicco in passato, ma non per un reato di mafia. Dopo la nomina lo ha fatto rilevare e ha dato le dimissioni, e benché non ci sia incompatibilità, per motivi di opportunità abbiamo accettato".  Possibili 'conflitti' anche per la nomina di un altro amministratore, Andrea Gemma, indicato come socio nello studio della moglie del ministro dell'Interno Angelino Alfano. A Caruso questo passaggio "non risulta"
Al termine dell'audizione il presidente della Commissione Rosy Bindi ha dichiarato che "quel che emerge è che l'Agenzia per i beni confiscati alla mafia dovrà subire interventi. Sul Fug(Fondo Unitario per la Giustizia, gestito da Equitalia, in cui secondo Caruso giacciono inutilizzati "un miliardo di euro in contanti ed un altro miliardo in titoli ed assicurazioni" frutto di sequestri e confische, ndr) - sentiremo il ministero dell'Economia su questo punto e valuteremo le proposte, una delle quali è la trasformazione in un fondo di rotazione a disposizione dei beni confiscati. Vogliamo capire se non sia eccessivo il denaro tenuto in riserva, posto che una parte giustamente non può essere utilizzato fino alla confisca definitiva. Quanto al miliardo in titoli, per quelli sequestrati è previsto che le azioni possano essere convertiti in titoli di Stato a rendimento costante, perché il patrimonio non si eroda".


ASSESSORE AMBIENTE SICILIA LO BELLO E DR CAPILLI COAUTORE PIANO IN AUDIZIONE ALLA COMMISSIONE AMBIENTE ARS DEL 26 09 2013 DICHIARANO: IL PIANO ARIA SICILIA E' COPIATO

Al nostro Blog è pervenuta una email con allegato    la registrazione audio  della  audizione  della Commissione Ambiente della Regione Sicilia  tenutasi il  26 settembre 2013, con la richiesta di pubblicazione 












AUDIZIONE ASSESSORE LO BELLO DR CAPILLI COMM AMBIENTE SICILIA











AUDIZIONE ASSESSORE LO BELLO DR CAPILLI COMM AMBIENTE SICILIA





Audizione sulle problematiche inerenti il passaggio a livello di via Paestum e ilsistema ferroviario presso il  comune  di Ragusa.

Commissione QUARTA - Ambiente e Territorio 26 settembre 2013
   La seduta inizia alle ore 11.00.




Il PRESIDENTE dichiara aperta la seduta e riferisce che sul tema relativo al piano regionale di risanamento della qualità dell’aria sono state intraprese numerose attività e auspica che si raggiungano dei risultati, vista la presenza dell’Assessore per il territorio e per l’ambiente.




L’onorevole CIRONE ricorda gli atti ispettivi che ha presentato e la risoluzione approvata in Commissione. Dichiara che si tratta di un tema molto delicato che coinvolge interessi sensibili, quale la salute.


Rammenta dell’incontro che la Commissione ha tenuto presso il comune di Melilli e la grave situazione che interessa
la popolazione della provincia di Siracusa, che attendono risposte concrete e risolutive avverso i fattori inquinanti causati dall’industrializzazione.



L’onorevole SORBELLO, in relazione alla zona di Siracusa, considera prioritari due obiettivi: da una parte la necessità
della rivisitazione dell’autorizzazione integrata ambientale e dall’altra la opportunità di programmare una nuova collocazione delle centraline, in grado di monitorare costantemente gli agenti inquinanti.



Nonostante consideri apprezzabile l’attività svolta da parte della Provincia di Siracusa e dall’ARPA, allo stato attuale, un’area di 10 chilometri è interessata da emissioni di sostanze altamente pericolose provenienti dalle industrie
che sono ivi insediate.



Il dott. LICATA di BAUCINA, dirigente generale ARPA Sicilia, rinvia alle dichiarazione già espresse nella seduta n. 56 dell’11 luglio scorso circa il piano regionale di risanamento della qualità dell’aria, ricordando che l’ARPA ha stipulato con l’assessorato del territorio un protocollo per fornire i dati utili per l’adeguamento del piano al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155. Sulla problematica riguardante la zona di Siracusa comunica che ha trasmesso al Ministero dell’ambiente una nota con la quale viene chiesta una rivisitazione dell’AIA nella zona de qua.
Tuttavia, non essendo organo competente ad inoltrare tale istanza è stata trasmessa all’assessorato del territorio affinchè provvedano.



Il sig. GENCHI, CGIL, osserva che sei anni fa Legambiente denunciava che il piano regionale sulla qualità dell’aria era il prodotto di un copiato dal piano della Regione Veneto. Nonostante una particolare attenzione mediatica, non è susseguito alcun intervento. Infatti, il piano contiene dei riferimenti che non risultano compatibili con il territorio siciliano,anzi, vi sono rinvii a territori pianeggianti e percorsi che appartengono alla realtà veneta. E sebbene sia stata chiesta più volte la revoca del piano, ancora oggi sul sito dell’assessorato del territorio si trova pubblicato il suddetto piano con delle lievi modifiche. Sulle
aree ad elevato rischio ambientale, come Siracusa, erano state stanziate ingenti somme per il risanamento dell’aria, di cui non si è visto alcun beneficio. Stigmatizza, inoltre, i contenuti della recente AIA sul petrolchimico di Siracusa, che opera dei rinvii in un’ottica di prospettive future.



La sig.ra LO BELLO, Assessore regionale per il territorio e l’ambiente, esprime compiacimento per le iniziative intraprese sull’argomento in merito al quale ha dato risposta alle interrogazioni presentate.


Ammette che il piano in questione è stato frutto di una riproduzione di un piano di altre regioni, ma assicura che i dati ivi contenuti sono della Regione siciliana. E su tali dati si è provveduto a dare attuazione mediante l’adozione di decreti assessoriali.
Sostiene che il ritiro del piano comporterebbe una lacuna e che, pertanto, sarebbe più opportuno procedere ad un aggiornamento dello stesso. Informa che ha avviato dei tavoli su tale tema, affinchè la Regione si adegui alle direttive del decreto legislativo n. 155 del 2010. Assicura che un’attenzione particolare è dedicata all’aria di Siracusa. A tal proposito informa di un prossimo incontro presso il Ministero dell’ambiente sulla rivisitazione dell’AIA di cui ha parlato il dott. LICATA di BAUCINA e sulla rete di monitoraggio dati che deve essere attivata nella Regione. Deposita una relazione redatta dai propri uffici
sull’argomento datata il 22 marzo scorso.
L’onorevole SORBELLO chiede che prima di procedere alla rivisitazione dell’AIA vengano coinvolti gli enti locali della zona interessata.


Il dott. CAPILLI (uno dei redattori del Piano n.d.a.), dirigente dell’Assessorato delterritorio e dell’ambiente, riconosce che il piano sia stato copiato da altre regioni, ma è operativo da sei anni ed ha prodotto anche effetti, contenuti in alcuni decreti assessoriali.


Il sig. CIAMPOLILLO, Comitato Cittadino Isola Pulita,rappresenta che il piano attualmente ancora vigente non contiene alcun riferimento alle zone interessate da cementifici. Chiede come l’Italcementi presso Isola delle Femmine abbia
ottenuto l’AIA se tali zone non risultano presenti nel piano.



Il PRESIDENTE chiede chiarimenti in merito al rilascio dell’AIA al citato cementificio, senza il presupposto, ovvero la previsione all’interno del piano regionale


Il dott. CAPILLI riconosce che il piano non contiene alcunché sui cementifici, si limita a prevedere l’inventario regionale delle emissioni.


La dott.ssa NICOTRA, esperta in materia ambientale, elenca una serie di sostanze inquinanti che risultano presenti in tutta la zona di Siracusa. Riferisce che le sostanze rilevate sono
altamente pericolose per la salute umana e il decreto legislativo n. 155 non le elenca tutte. Pertanto, propone che la Regione si faccia carico di aggiungere all’elenco nazionale tali sostanze mediante un atto proprio. Tra queste ricorda le emissioni di PM10 provenienti dalle torce del petrolchimico che sono continuamente accese e le emissioni provenienti dai camini. Dichiara, inoltre, che nella zona sono presenti inceneritori i cui
controlli sono deferiti alle stesse società titolari dell’impianto. Ritiene che i controlli debbano essere compiuti da un
organo esterno, quale potrebbe essere l’ARPA.



Il PRESIDENTE condivide la proposta di adottare un atto regionale, trattandosi di materia che operando in via restrittiva nel rispetto dell’ambiente e della salute rientra tra le competenze regionali.


L’onorevole CIRONE ritiene che la soluzione sia da individuare nell’adozione di un decreto assessoriale riferisce
di un lavoro di monitoraggio di sostanze non soggette a controllo da parte della prefettura.



Il sig. GENCHI rappresenta le anomalie delle torce che sono sempre accese, sostenendo che servono non come segnale di mal funzionamento, bensì per bruciare alcune sostanze. Avverte sulla necessità di intervenire a disciplinare le bolle di raffineria, su cui riferisce di avere redatto nel 2006, quando prestava servizio presso l’assessorato del territorio, una relazione che contiene proposte normative sulla materia.


Il sig. LA ROSA, CGIL, suggerisce all’Assessore di avviare una consultazione con i rappresentanti di tutte le categorie prima di redigere un nuovo piano sulla qualità dell’aria. E aggiunge che tale piano deve essere coordinato con gli altri piani
regionali, quale ad esempio quello dell’energia.



Il Prof. LOMBARDO, Università di Palermo, contesta le modalità di redazione del piano, non essendo sufficiente inserire dei dati di una regione in un contesto di un’altra regione.


Il PRESIDENTE condivide il suggerimento di creare una rete di coordinamento tra tutti i piani regionali.


L’Assessore LO BELLO chiarisce che gli effetti citati che il piano ha finora prodotto sono effetti relativi all’organizzazione amministrativa. Ritiene meritorio il contributo che la Commissione sta offrendo con la seduta odierna. Si impegna ad organizzare un incontro con le parti presenti successivo al confronto con gli organi ministeriali.


Il sig. CIAMPOLILLO ribadisce l’opportunità di revocare il piano attualmente pubblicato sul sito dell’assessorato.

Il PRESIDENTE dichiara concluso il primo punto all'ordine del giorno e passa al secondo punto.



Sig.ra LO BELLO Maria, assessore regionale per il territorio e l'ambiente
Dott. BARTOLOTTA Antonino, assessore regionale per le infrastrutture e la
mobilità
Dott. GULLO Gaetano, dirigente generale dipartimento regionale ambiente
Dott. ARNONE Giovanni, dirigente generale dipartimento regionale
infrastrutture, mobilità e trasporti
Dott. LICATA di BAUCINA Francesco, dirigente generale ARPA Sicilia
Dott. PICCITTO Federico, sindaco del comune di Ragusa
Ing. CUCINOTTA Andrea, direttore generale responsabile per la Sicilia di RFI
Prof. LOMBARDO Alberto, Università di Palermo
Dott. FONTANA Domenico, Legambiente Sicilia
Sig. LA ROSA Alfio, CGIL
Sig. GENCHI Gioacchino, CGIL
Sig. JANNI Leandro, Italia Nostra
Sig. PALMIERI Angelo, WWF
Prof. SOLARINO Luigi, Decontaminazione Sicilia
Sig. CASELLA Mario, Decontaminazione Sicilia
Sig.a BIANCO Asessandra, AugustAmbiente
Sig. CIAMPOLILLO Giuseppe, Comitato Cittadino Isola Pulita
Sig. GURRIERI Giuseppe, CUB trasporti provinciale
Sig. RAGUSA Salvatore, CUB trasporti provinciale
Sig. PATRIARCA Andrea, comitato pendolari e per il rilancio della ferrovia
Sig. COSTA Giuseppe, comitato pendolari e per il rilancio della ferrovia
Sig. FIRRINCIELI Sergio, comitato NO MURO





  



Ambiente, verso un nuovo piano della qualità dell’aria
settembre 27, 2013 • 1 Comments


PALERMO – Il governo regionale sta lavorando ad un nuovo Piano regionale di risanamento della qualità dell’aria. Lo ha detto ieri, 26 settembre, in Commissione all’Ars, l’assessore al ramo che ha anche accolto la richiesta di associazioni e della di “rendere più cogenti” i controlli sull’inquinamento dell’aria in Sicilia.




«Lo faremo attraverso un testo di legge anzi, se possibile, con decreto assessoriale», ha detto Lo Bello.
Al centro delle preoccupazioni della Commissione, Cgil e associazioni ambientaliste, situazioni come quella dell’area industriale di Siracusa con 10 km di impianti industriali e alcuni inquinanti che, dice Trizzino “non sono neppure contemplati nei decreti legislativi nazionali che regolano la materia. E’ per questo che abbiamo chiesto un intervento legislativo aggiuntivo che migliori e perfezioni la lotta all’inquinamento dell’aria sull’isola”. Sotto i riflettori anche l’operato dell’Arpa.


«Ci sono situazioni paradossali– dice il presidente della Commissione, – A Gela, ad esempio, dove sono presenti 48 camini industriali, per i controlli c’è un solo tecnico dell’Agenzia».


Un capitolo spinoso, quello dell’inquinamento dell’aria in Sicilia.


Non solo per lo scandalo del Piano regionale di risanamento finito nel mirino anche della Procura perché si scoprì – era il 2007, l’assessore era allora Rosanna Inerlandi e il dirigente responsabile, Salvatore Anzà –che il piano era un “copia incolla” di quello del Veneto, ma perché dopo il Piano di risanamento e soprattutto con norme più stringenti rispetto alle emissioni inquinanti, molte aziende potrebbero essere chiamate a un adeguamento degli impianti.


Ma quali sono i tempi del nuovo Piano regionale?


«Lo Bello – dice Trizzino –ha riferito alla Commissione che la programmazione generale è già all’esame del Ministero. E che, una volta avuto l’ok da Roma, il governo riunirà il Tavolo tecnico per stilare il Piano definitivo”.


Di fatto dal 2007 ad oggi, da quando cioé Legambiente svelò in una conferenza stampa che il Piano della Regione siciliana altro non era che la fotocopia di quello della Regione Veneto (risalente al 2000 e, bocciato dalla Commissione Europea), l’isola è rimasta senza un vero strumento di programmazione e pianificazione per il risanamento dell’aria. Per questo, lo scorso aprile i deputati del M5S avevano presentato all’Ars una interpellanza al presidente della Regione, Rosario Crocetta.


E il Gup di Palermo rinviato a giudizio, ad aprile, i presidenti Cuffaro e Lombardo insieme ai rispettivi assessori all’Ambiente. A scandalizzare l’opinione pubblica del Piano fotocopia fu il fatto che tra le parti copiate ce n’erano alcune ch generavano, come si legge nell’interpellanza dei Cinque Stelle “inedite comunanze climatiche tra il Veneto e la Sicilia: tipo il sistema aerologico padano della Regione Sicilia o la limitazione dell’utilizzo del riscaldamento domestico a causa della rigidità del clima».
http://www.ilmattinodisicilia.it/ambiente-verso-nuovo-piano-della-qualita-dellaria/#sthash.bAme1uee.dpuf


IN SICILIA DAL 9 AGOSTO DELL’ANNO 2007 NON SI RESPIRA LA STESSA ARIA


Il “rigido clima della Sicilia” ci ha reso più Europei,
Oltre al Bacino aerologico Padano” in Sicilia abbiamo le “piste ciclabili lungo l’argine dei fiumi e dei canali” presenti nei centri storici dei comuni siciliani


Dal 9 AGOSTO 2007 sembra che in Sicilia sia mutato anche l'assetto autonomistico, dato che anche il Parlamento, l’Assemblea Regionale, è diventato un normale Consiglio regionale, come quello del Veneto”


Sono tornate le comunità montane, l'intero territorio è diventato pianeggiante sono nati il Sistema Ferroviario Metropolitano regionale (SFMR), il Comitato di indirizzo e Sorveglianza (CIS), i Tavoli Tecnici Zonali (TTZ), il bollettino dei Centri Operativi Provinciali (COP), ma, di contro, non c'è traccia dei 3 poli petrolchimici, delle centrali termoelettriche, dei cementifici e della distilleria più grande d'Europa; la Gazzetta Ufficiale Siciliana si chiama GUN e non GURS e tra i progetti previsti ne figura uno persino della Regione Lombardia approvato con Decreto della Giunta lombarda e corredato da varie Delibere della medesima Giunta; talune Direttive comunitarie e normative nazionali sono citate in via di emanazione o vigenti, nonostante siano intervenuti l'emanazione, il recepimento e in qualche caso l'abrogazione.


Per ogni eventuale dubbio esplicativo o interpretativo, a pag 26, cap 1,§ 1.6, sub § 1.6.1., era indicato il link http://servizi regionali.org/prtra/files/33/prtra/PRTRA-04.htm, salvo scoprire che non si era indirizzati ad un documento siciliano, ma direttamente al cap 4 del Piano della Regione Veneto.

Risultato:un pot-pourri di dati siciliani e soluzioni venete.




INDIVIDUATE LE FONTI DA CUI SONO STATE LETTERALMENTE
TRATTE PAGINE INTERE DEL “Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell’aria ambiente” approvato con D.A. 176 9.08.2007



Complessivamente il “Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell’aria ambiente” approvato con D.A. 176 9.08.2007:


Le 241 pagine risultano tratte dalle 323 pagine, o da porzioni di esse, tratte da 27 FONTI presenti anche in rete (N.B.: alcuni siti originari hanno subito cambiamenti negli anni, ma le pagine oggetto della copiatura sono state salvate)


Il “Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell’aria ambiente” è stato COPIATO da:
  • COPIATE dal “Piano Regionale di tutela e risanamento dell’atmosfera”
    D.G.R. 902 del 4 Aprile 2003 D.G.R. 57 11 Novembre 2004 pagine n 131
  • COPIATE dal "Piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera" DGR 902 del 4 aprile 2003 D.G.R. 57 11 Novembre 2004 pagine n 131
  • COPIATE da Programma Pluriennale regionale attuativo
    regolamento CEE 2080 biennio 98/99 pagine n 6
  • COPIATE da Il Turismo in Sicilia pagine n 1
  • COPIATE da Relazione Stato dell’Ambiente Agenda 21 Comune
    Palermo pagine 7
  • COPIATE da Annuario ARPA 2005 pagine n 18
  • COPIATE da Annuario ARPA 2004 pagine n 49
  • COPIATE da Provincia Torino Ambiente Inquinamento Biossido di Azoto Zolfo pagine n 3
  • COPIATE da Annuario ARPA 2006 pagine n 18
  • COPIATE da AMIA Palermo realzione 1997 1998 pagine n 4
  • COPIATE da AMIA PA III Relazione pagine n 7
  • COPIATE da Carta Climatica e Atlante Climatologico della
    Sicilia pagine n 15
  • COPIATE da Università Ferrara Tesi di Laurea
    “L’Ambiente Naturale”
    pagine n 1
  • COPIATE da Enea 1999 pagine n 4
  • COPIATE da I Processi di desertificazione pagine n 1
  • COPIATE da Istituto Veneto Tesi di Laurea pagine n 2
  • COPIATE da Piano Provinciale Tutela Qualità aria Prov Autonoma
    Trento pagine n 1
  • COPIATE da AMIA V Relazione pagine n 9
  • COPIATE da APAT Biomonitoraggio 2005 pagine n 2
  • COPIATE da Linee Guida Comprensorio del Mela pagine n 3
  • COPIATE da ARPA Laboratorio Mobile Milazzo pagine n 15
  • COPIATE da AMIA 3-4-5- Relazione pagine n 1
  • COPIATE da D.M. 261/02
    Normativa pagine n 4
  • COPIATE da Genchi Cammarata pagine n 11
  • COPIATE da Piano Direttore Assessorato Turismo Trasporti Sicilia pagine n 3
A cura del Comitato Cittadino Isola Pulita Isola delle Femmine





http://tutelaariaregionesicilia.blogspot.it/




PIANO REGIONE SICILIA DI COORDINAMENTO PER LA TUTELA DELLA QUALITA’ DELL’ARIA AMBIENTE ADOTTATO CON D.A. N 176/GAB DEL 9 AGOSTO 2007


Il Piano oltre a rappresentare un collage di capitoli, paragrafi ….. integralmente trascritti da pubblicazioni di altri Enti ed Amministrazioni, riproduce delle “inverosimili” SIMILITUDINI SOMIGLIANZE COPIATURE REFUSI ERRORI …….con l’omologo piano:


IL “PIANO DELLA REGIONE VENETO PER LA TUTELA E IL RISANAMENTO DELL’ARIA” (delibera 452 15 febbraio 2000) ADOTTATO CON DELIBERAZIONE N 57 DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO L’11.11.2004 che nell’APRILE 2006 LA COMMISSIONE AUROPEA BOCCIA


La distribuzione delle pagine del Piano Aria Regione Sicilia Copiato con il
relativo numero di pagine oltre al Piano Veneto dalle oltre 20 fonti da cui si è “ricopiato”



Capitolo 1:
11 pagine del Piano Aria Sicilia Copiate dal Piano Veneto 16 Pagine. Pagine interamente copiate dal Piano Veneto in N° 16 (riportate nel fascicolo da pagina 8 a pagina 16 e da pag 22 a pagina 28) Pagine INTERE del Piano Sicilia interamente copiate oltre che dal Piano Veneto dalle oltre 20 fonti in N° 8


Capitolo 2:
34 pagine del Piano Aria Sicilia Copiate dal Piano Veneto Pagine interamente copiate dal Piano Veneto in N° 15 (riportate nel fascicolo pagine 5-6-8-10-16-17-18-21-43-53 e da pag 55 a pagina 59) Pagine INTERE del Piano Sicilia interamente copiate oltre che dal Piano Veneto dalle oltre 20 fonti in N° 19


Capitolo 3:
30 pagine del Piano Aria Sicilia Copiate dal Piano Veneto Pagine interamente copiate dal Piano Veneto in N° 10 (riportate nel fascicolo pagine 4-6-9-12-38 e da pag 46 a pag 9 e pag 56) Pagine INTERE del Piano Sicilia interamente copiate oltre che dal Piano Veneto dalle oltre 20 fonti in N° 19


Capitolo 4-5-6-7-8-9-10-bibliografia glossario:
36 pagine del Piano Aria Sicilia Copiate dal Piano Veneto Pagine interamente copiate dal Piano Veneto in N° 27 (riportate nel fascicolo da pag 24 a pag 36 da pag 40 a pag 43 pagine 46 e 47- pagine 51-56-57-58 e da pagina 63 a pagina 66) Pagine INTERE del Piano Sicilia interamente copiate
oltre che dal Piano Veneto dalle oltre 20 fonti in N° 24



RIEPILOGO DEL NUMERO DI PAGINE COPIATE:


131 paginedel Piano Aria Veneto
ricopiate nel Piano Aria Regione Sicilia composto di 241 pagine Pagine intere copiate dal Piano Veneto in N° 68 Pagine INTERE del Piano Sicilia interamente
copiate
oltre che dal Piano Veneto dalle oltre 20 fonti in N° 70





COMMISSIONE AMBIENTE REGIONE SICILIA AUDIZIONE PER RIMOZIONE DAL SITO











COMMISSIONE AMBIENTE REGIONE SICILIA AUDIZIONE PER RIMOZIONE DAL SITO


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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:43
IL 2 GENNAIO SCORSO IN VIALE DEI SARACENI A ISOLA DELLE FEMMINE LO PASSAGGIO DEL CORALLO   HOTEL HOUSE DI LO SICCO PIETRO


Il Comune di Isola delle Femmine ha preso possesso, stamani, di una villa confiscata alla mafia. Si tratta di una struttura su due elevazioni, con tre camere da letto, due bagni, due cucine, di cui una in muratura nell’area esterna, e vari spazi coperti a veranda, che insiste sul lungomare dei Saraceni. L’immobile è stato sottratto all’imprenditore palermitano Pietro Lo Sicco, considerato boss di Cosa Nostra, dalle quote societarie della Jlenia costruzioni. Lo stesso, per anni, è stato custode dell’edificio dopo l’avvenuto sequestro, fino allo scorso mese di agosto, periodo in cui è arrivata la confisca definitiva. L’amministrazione comunale guidata dal sindaco Stefano Bologna, questa mattina, assieme ad altre autorità civili e militari, ha effettuato un sopralluogo per verificare lo stato della villa che gli è stata assegnata dall’agenzia nazionale dei beni confiscati. In linea di massima, la costruzione è in buono di stato, anche se, parzialmente svuotata. Inoltre, alcuni suppellettili ed arredi in muratura sono stati trovati danneggiati. Non vi sono ancora le idee chiare per l’utilizzo e la destinazione del bene su cui la Giunta Bologna intende lavorare immediatamente 


Ipoteche, debiti e abusi il pasticcio dei beni mafiosi 'Confiscati ma inutilizzabili'



PER apportare a quel latifondo una serie di migliorie, il Banco di Sicilia aveva concesso al "Papa" un mutuo di un miliardo e mezzo di lire senza battere ciglio. Erano altri tempi e le banche, specialmente in Sicilia, non andavano tanto per il sottile con i mafiosi soprattutto se, come Michele Greco, frequentavano i salotti bene e conoscevano le persone giuste. Quel miliardo e mezzo, tramutatosi in una pesantissima ipoteca, per 25 anni è stata "l' arma" con la quale, nonostante la confisca, Cosa nostra è riuscita ad impedire allo Stato di riprendersi e far fruttare un pezzo del suo patrimonio. Solo ora, grazie alle insistenti pressioni del prefetto Giuseppe Caruso che ha quasi obbligato Unicredit a rinunciare a buona parte del suo credito e a rateizzare il resto, nei 150 ettari del feudo di Verbumcaudo, sulle colline delle Madonie, vero e proprio emblema della forza economica della mafia siciliana, è già partita la semina del grano e sta per essere realizzato un impianto di produzione prima di olivi e poi di vini e sorgerà la prima Banca vitivinicola siciliana. Purtroppo una goccia nel tempestoso mare del riutilizzo dei beni mafiosi, la trincea più avanzata della lotta alla criminalità organizzata dal sud al nord del paese, che rischia di essere travolta dall' inarrestabile onda d' urto dei gravami finanziari sui beni confiscati. 

UN PATRIMONIO CONTESO DALLE BANCHE È un tesoro da 20 miliardi di euro quello che è stato sottratto alle mafie: aziende, società, edifici, case, magazzini, terreni, auto di lusso, barche, che il lavoro incessante di anni di magistrati e forze dell' ordine è riuscito a portare via dai bilanci di Cosa nostra, camorra, ' ndrangheta. Il ministro della giustizia Paola Severino, alla commissione antimafia, ha dato una valutazione positiva dell' attività di contrasto fin qui svolta parlando di oltre il 50 per cento dei beni confiscati come già destinati ma il prefetto Giuseppe Caruso, da nove mesi direttore dell' Agenzia nazionale per i beni confiscati al quale è affidata la gestione di questo patrimonio, lotta contro un nemico a cui adesso ha dato un nome: le banche. Come è possibile, si è chiesto, che quasi l' 80 per cento di questi beni è sostanzialmente ingestibile, al 65 per cento per i gravami ipotecari avanzati da decine di istituti di credito? «Ho già firmato oltre 200 istanze all' Avvocatura dello Stato per chiedere direttamente l' accertamento della buona o mala fede di chi ha concesso crediti ai mafiosi. È davvero impressionante constatare quante banche hanno erogato soldi senza verificare chi fosse il destinatario di questo fido». Oggi il rischio concreto è di mancare clamorosamente un obiettivo decisivo nel contrasto alla criminalità organizzata, la reimmissione in un circuito economico virtuoso dei soldi sporchi. Un bel problema considerato che adesso, a differenza di quando la competenza era del Demanio, l' Agenzia può destinare solo beni totalmente privi di criticità. Il che equivale a dire che un patrimonio da almeno 10-12 miliardi è totalmente a perdere. Un allarme rilanciato anche dal presidente di Libera, don Luigi Ciotti che con il circuito dei beni confiscati ha avviato un meccanismo virtuoso che produce e dà lavoro a centinaia di giovani. «Le banche dicono ai Comuni di pagargli l' ipoteca che il mafioso o il prestanome hanno fatto, ma le associazioni antimafia interessate al bene per un uso sociale non hanno i soldi per pagare un' ipoteca e le banche, salvo rare eccezioni, rivendicano il denaro. Questo è un nodo politico che va sciolto». 

LA STRATEGIA DEI BOSS Sicilia, Campania, Puglia e Calabria detengono il primato dei beni sottratti alle cosche, ma purtroppo anchei casi più eclatanti dimostrano come troppo spesso le confische siano delle occasioni sprecate. L' ultimo in ordine di tempo è quello del Parco dei Templari e della ex masseria di Altamura, in provincia di Bari, un meraviglioso parco da 66 mila metri quadrati con fabbricati per 8.500 metri quadri, valore stimato 16 milioni di euro, confiscato nel 2007 e gestito fino ad ora in una sorta di partnership pubblico-privato tra l' Agenzia nazionale e lo chef Gianfranco Vissani che aveva accettato la scommessa di rilanciare la struttura con 36 dipendenti. Alta cucina per banchetti e ricevimenti aveva anche assicurato un certo introito ma un buco finanziario da 600 mila euro ha indotto l' Agenzia a fare un passo indietro e a chiedere alla Regione Puglia di intervenire. Ma chi dovrebbe accollarsi l' onere di gestione di un bene così indebitato con le banche? A Pomigliano d' Arco, la Masseria Castello, 8.000 metri di terreno e lo scheletro di un edificio, sequestrato al clan Foria, è in totale stato di abbandono. Confiscato a giugno del 2000 e assegnato al Comune, vede il progetto di realizzazione di un centro giovanile già finanziato con 3 milioni e 364 mila euro del Pon (programma operativo nazionale) sicurezza bloccato per un' ipoteca da 10 mila euro. A Villaricca, un appartamento confiscato tre anni fa e destinato a una casa accoglienza per disabili, anche questa finanziata con il Pon sicurezza, è stata stoppata da due azioni di pignoramento, una da 41 mila euro e l' altra da appena 1360 euro perché l' Enel intende riscuotere 20 anni di bollette non pagate. In Campania una recente ricerca del Consorzio Sole conferma: non più del 20 per cento dei beni acquisiti dallo Stato riescono ad essere rigenerati con finalità sociali. E quella dei gravami finanziari, ha spiegato Lucia Rea, responsabile del Consorzio, sembra essere una verae propria strategia: i camorristi che sanno di essere sotto inchiesta accendono mutui sui loro beni a rischio sequestro, incassano soldi liquidi più facili da riciclare e rendono molto difficile la loro assegnazione definitiva. 

CASE OCCUPATE E CASE INESISTENTI Ci sono poi le decine di immobili già assegnati ai Comuni ma che restano occupati dai familiari dei boss che nessuno si azzarda a sfrattare. A Castellammare di Stabia, resta tranquillamente a casa sua la moglie del capo della cosca D' Alessandro perché l' appartamento è confiscato solo per metà e peraltro è abusivo. In Calabria è stata persino aperta un' inchiesta con oltre 350 indagati per far luce sulle centinaia di immobili, alcuni confiscati da più di 15 anni, che continuavano a rimanere nelle mani dei familiari dei boss, come un intero palazzo sottratto a Reggio Calabria nel ' 97 a Pasquale Condello ma nel quale risiedevano tutti i suoi parenti. Se non possono fare altro, poi, i Casalesi passano ai danneggiamenti di quelli che un tempo erano i bunker dotati di ogni comfort che ospitavano le latitanze dorate dei loro capi: così la villa di Walter Schiavone a Casal di Principe o i terreni di Lubrano a Pignataro Maggiore vandalizzati dagli stessi uomini del clan per renderli inutilizzabili, addirittura con la compiacenza del sindaco, il pidiellino Giorgio Magliocca, avvocato, arrestato a marzo dell' anno scorso proprio con l' accusa di aver consentito al clan Lubrano di continuare ad utilizzare beni confiscati assegnati in gestione al Comune. A Bologna Villa "la Celestina", tre piani in una zona di prestigio, sta ormai cadendo a pezzi, la via in cui sorge, ora via Boccaccio, ha cambiato nome ma la cosa non è mai stata comunicata al catasto. A rendere impossibile l' utilizzazione di un bene c' è una miriade di piccole quanto insormontabili difficoltà tecniche o burocratiche. Basta spulciare l' elenco dei beni assegnati al Comune di Palermo: un palazzo confiscato all' ex sindaco Vito Cancimino per metà occupato da inquilini e per l' altra metà da ristrutturare, un terreno da 1700 metri quadri a Ciaculli, il regno dei Greco, dove continuano a pascolare le pecore perché "senza confini", un altro confiscato ad uno dei killer di via d' Amelio, Gaetano Scotto, ufficialmente "inaccessibile". 

LE AZIENDE DECOTTE C' è poi un immenso patrimonio capace di dare occupazione a migliaia di persone che si perde giorno dopo giorno. È l' economia sommersa delle aziende delle mafie che, sequestrate, confiscate e affidate ad amministratori giudiziari non reggono l' impatto con il mercatoe si avvianoa un mesto fallimento. L' ultimo caso è quello del gruppo catanese Riela trasporti. Quella che tredici anni fa era la quattordicesima azienda più ricca della Sicilia, 30 milioni di fatturato, 250 dipendenti, ha avviato le procedure di liquidazione «perché non riesce a stare sul mercato», si legge nella determinazione adottata dall' Agenzia per i beni confiscati. I titolari ai quali era stata sottratta hanno fondato un nuovo consorzio che ha tolto i clienti alla Riela riuscendo persino a diventare il suo principale creditore per sei milioni di euro. D' altra parte l' azienda in amministrazione giudiziaria, rispettando tutti i parametri di legalità, era costretta a praticare prezzi superiori fino al 30 per cento rispetto ai concorrenti. E la Calcestruzzi Ericina, fiorentissima azienda che, finoa quando apparteneva al boss trapanese Vincenzo Virga, operava quasi in regime di monopolio, appena passata in amministrazione giudiziaria, ha visto prosciugarsi le commessee persino parte del personale ha "preferito" rimanere fuori. Alla fine, prossima al fallimento, ha rialzato la testa grazie alla caparbietà di un gruppo di lavoratori riunitisi in cooperativa che, con il sostegno di Libera di Don Ciotti e delle istituzioni locali, è riuscito a mantenerla in vita. A Palermo l' avviatissimo Hotel San Paolo Palace, già dei Graviano, registra perdite su perdite. Ci sono poi decine di casi in cui le attività sono ingestibili perché il provvedimento della magistratura riguarda il patrimonio societario ma non le azioni. Accade così che in provincia di Novara il servizio di ristorazione del castello di Miasino, sottratto al boss camorrista Galasso, sia ancora in mano alla moglie. Ma perché un' azienda florida quando è nelle mani della mafia poi fallisce quando viene confiscata e passa allo Stato? Spiega il prefetto Caruso: «Già in fase di sequestro le banche revocano i fidi, i clienti ritirano le commesse e la regolare fatturazione porta ad un inevitabile innalzamento dei costi di gestione. In più molti amministratori giudiziari sono incompetenti. Come faccio a mettere a reddito aziende così?». E proprio dal primo congresso nazionale degli amministratori giudiziari arriva la conferma: su dieci aziende confiscate alla criminalità, nove muoiono. «Si tratta di aziende che fino a quel momento si sono mosse fuori dai confini della legalità - spiega il presidente Domenico Posca - e risulta quasi impossibile mantenerle sul mercato con l' inevitabile aumento del conto economico al quale si aggiunge quasi sempre un irrigidimento delle banche e dei fornitori. La scommessa dello Stato deve essere quella di salvare centinaia di posti di lavoro, know how e validi impianti produttivi. È assolutamente necessario intervenire favorendo il mantenimento delle linee di credito e prevedendo un regime fiscale e previdenziale agevolato». 

VENDERE I BENI INUTILIZZABILI Ecco perché anche il prefetto Caruso invoca la possibilità di vendere i beni confiscati anche ai privati. «Ovviamente con tutte le garanzie del caso sull' acquirente. Il nostro sistema è così avanzato che, anche se qualcosa dovesse sfuggire, saremmo in grado di riconfiscarli. D' altra parte ditemi cosa dovrei fare di particelle di terreno indivisibilio di due stanze divise fra cinque eredio di edifici con un' errata indicazione di dati catastali?». Al Parlamento, Caruso chiede benzina per far girare una macchina da Formula 1. «La sfida immensa - dice - è quella di mettere in grado l' Agenzia di lavorare bene. Ma come si fa a gestire beni che raggiungono il valore di una finanziaria con un organico carente e inadeguato?». Trenta persone in tutto per la sede principale di Reggio Calabria (che Caruso chiede di cambiare per le difficoltà di collegamento) e gli uffici di Roma, Palermo, Milano e quelle di prossima apertura di Napoli e Bari. Un budget da4 milioni di euro che comporterà un taglio persino alle retribuzioni del personale che, accettando di lavorare all' Agenzia, guadagna meno rispetto ai colleghi delle amministrazioni di appartenenza. E ora, con l' entrata in vigore dei regolamenti attuativi, un ulteriore aggravio di lavoro. Perché all' Agenzia toccherà fare da supporto alla magistratura anche nella fase di sequestro e non solo più della confisca. «L' unica strada - è la proposta di Caruso - è trasformare l' Agenzia in un ente pubblico economico».
FRANCESCO VIVIANO, ALESSANDRA ZINITI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/03/23/ipoteche-debiti-abusi-il-pasticcio-dei-beni.html




Ipoteche, debiti e abusi il pasticcio dei beni mafiosi 'Confiscati ma inutilizzabili'





PER apportare a quel latifondo una serie di migliorie, il Banco di Sicilia aveva concesso al "Papa" un mutuo di un miliardo e mezzo di lire senza battere ciglio. Erano altri tempi e le banche, specialmente in Sicilia, non andavano tanto per il sottile con i mafiosi soprattutto se, come Michele Greco, frequentavano i salotti bene e conoscevano le persone giuste. Quel miliardo e mezzo, tramutatosi in una pesantissima ipoteca, per 25 anni è stata "l' arma" con la quale, nonostante la confisca, Cosa nostra è riuscita ad impedire allo Stato di riprendersi e far fruttare un pezzo del suo patrimonio. Solo ora, grazie alle insistenti pressioni del prefetto Giuseppe Caruso che ha quasi obbligato Unicredit a rinunciare a buona parte del suo credito e a rateizzare il resto, nei 150 ettari del feudo di Verbumcaudo, sulle colline delle Madonie, vero e proprio emblema della forza economica della mafia siciliana, è già partita la semina del grano e sta per essere realizzato un impianto di produzione prima di olivi e poi di vini e sorgerà la prima Banca vitivinicola siciliana. Purtroppo una goccia nel tempestoso mare del riutilizzo dei beni mafiosi, la trincea più avanzata della lotta alla criminalità organizzata dal sud al nord del paese, che rischia di essere travolta dall' inarrestabile onda d' urto dei gravami finanziari sui beni confiscati. 

UN PATRIMONIO CONTESO DALLE BANCHE È un tesoro da 20 miliardi di euro quello che è stato sottratto alle mafie: aziende, società, edifici, case, magazzini, terreni, auto di lusso, barche, che il lavoro incessante di anni di magistrati e forze dell' ordine è riuscito a portare via dai bilanci di Cosa nostra, camorra, ' ndrangheta. Il ministro della giustizia Paola Severino, alla commissione antimafia, ha dato una valutazione positiva dell' attività di contrasto fin qui svolta parlando di oltre il 50 per cento dei beni confiscati come già destinati ma il prefetto Giuseppe Caruso, da nove mesi direttore dell' Agenzia nazionale per i beni confiscati al quale è affidata la gestione di questo patrimonio, lotta contro un nemico a cui adesso ha dato un nome: le banche. Come è possibile, si è chiesto, che quasi l' 80 per cento di questi beni è sostanzialmente ingestibile, al 65 per cento per i gravami ipotecari avanzati da decine di istituti di credito? «Ho già firmato oltre 200 istanze all' Avvocatura dello Stato per chiedere direttamente l' accertamento della buona o mala fede di chi ha concesso crediti ai mafiosi. È davvero impressionante constatare quante banche hanno erogato soldi senza verificare chi fosse il destinatario di questo fido». Oggi il rischio concreto è di mancare clamorosamente un obiettivo decisivo nel contrasto alla criminalità organizzata, la reimmissione in un circuito economico virtuoso dei soldi sporchi. Un bel problema considerato che adesso, a differenza di quando la competenza era del Demanio, l' Agenzia può destinare solo beni totalmente privi di criticità. Il che equivale a dire che un patrimonio da almeno 10-12 miliardi è totalmente a perdere. Un allarme rilanciato anche dal presidente di Libera, don Luigi Ciotti che con il circuito dei beni confiscati ha avviato un meccanismo virtuoso che produce e dà lavoro a centinaia di giovani. «Le banche dicono ai Comuni di pagargli l' ipoteca che il mafioso o il prestanome hanno fatto, ma le associazioni antimafia interessate al bene per un uso sociale non hanno i soldi per pagare un' ipoteca e le banche, salvo rare eccezioni, rivendicano il denaro. Questo è un nodo politico che va sciolto». 


LA STRATEGIA DEI BOSS Sicilia, Campania, Puglia e Calabria detengono il primato dei beni sottratti alle cosche, ma purtroppo anchei casi più eclatanti dimostrano come troppo spesso le confische siano delle occasioni sprecate. L' ultimo in ordine di tempo è quello del Parco dei Templari e della ex masseria di Altamura, in provincia di Bari, un meraviglioso parco da 66 mila metri quadrati con fabbricati per 8.500 metri quadri, valore stimato 16 milioni di euro, confiscato nel 2007 e gestito fino ad ora in una sorta di partnership pubblico-privato tra l' Agenzia nazionale e lo chef Gianfranco Vissani che aveva accettato la scommessa di rilanciare la struttura con 36 dipendenti. Alta cucina per banchetti e ricevimenti aveva anche assicurato un certo introito ma un buco finanziario da 600 mila euro ha indotto l' Agenzia a fare un passo indietro e a chiedere alla Regione Puglia di intervenire. Ma chi dovrebbe accollarsi l' onere di gestione di un bene così indebitato con le banche? A Pomigliano d' Arco, la Masseria Castello, 8.000 metri di terreno e lo scheletro di un edificio, sequestrato al clan Foria, è in totale stato di abbandono. Confiscato a giugno del 2000 e assegnato al Comune, vede il progetto di realizzazione di un centro giovanile già finanziato con 3 milioni e 364 mila euro del Pon (programma operativo nazionale) sicurezza bloccato per un' ipoteca da 10 mila euro. A Villaricca, un appartamento confiscato tre anni fa e destinato a una casa accoglienza per disabili, anche questa finanziata con il Pon sicurezza, è stata stoppata da due azioni di pignoramento, una da 41 mila euro e l' altra da appena 1360 euro perché l' Enel intende riscuotere 20 anni di bollette non pagate. In Campania una recente ricerca del Consorzio Sole conferma: non più del 20 per cento dei beni acquisiti dallo Stato riescono ad essere rigenerati con finalità sociali. E quella dei gravami finanziari, ha spiegato Lucia Rea, responsabile del Consorzio, sembra essere una verae propria strategia: i camorristi che sanno di essere sotto inchiesta accendono mutui sui loro beni a rischio sequestro, incassano soldi liquidi più facili da riciclare e rendono molto difficile la loro assegnazione definitiva. 


CASE OCCUPATE E CASE INESISTENTI Ci sono poi le decine di immobili già assegnati ai Comuni ma che restano occupati dai familiari dei boss che nessuno si azzarda a sfrattare. A Castellammare di Stabia, resta tranquillamente a casa sua la moglie del capo della cosca D' Alessandro perché l' appartamento è confiscato solo per metà e peraltro è abusivo. In Calabria è stata persino aperta un' inchiesta con oltre 350 indagati per far luce sulle centinaia di immobili, alcuni confiscati da più di 15 anni, che continuavano a rimanere nelle mani dei familiari dei boss, come un intero palazzo sottratto a Reggio Calabria nel ' 97 a Pasquale Condello ma nel quale risiedevano tutti i suoi parenti. Se non possono fare altro, poi, i Casalesi passano ai danneggiamenti di quelli che un tempo erano i bunker dotati di ogni comfort che ospitavano le latitanze dorate dei loro capi: così la villa di Walter Schiavone a Casal di Principe o i terreni di Lubrano a Pignataro Maggiore vandalizzati dagli stessi uomini del clan per renderli inutilizzabili, addirittura con la compiacenza del sindaco, il pidiellino Giorgio Magliocca, avvocato, arrestato a marzo dell' anno scorso proprio con l' accusa di aver consentito al clan Lubrano di continuare ad utilizzare beni confiscati assegnati in gestione al Comune. A Bologna Villa "la Celestina", tre piani in una zona di prestigio, sta ormai cadendo a pezzi, la via in cui sorge, ora via Boccaccio, ha cambiato nome ma la cosa non è mai stata comunicata al catasto. A rendere impossibile l' utilizzazione di un bene c' è una miriade di piccole quanto insormontabili difficoltà tecniche o burocratiche. Basta spulciare l' elenco dei beni assegnati al Comune di Palermo: un palazzo confiscato all' ex sindaco Vito Cancimino per metà occupato da inquilini e per l' altra metà da ristrutturare, un terreno da 1700 metri quadri a Ciaculli, il regno dei Greco, dove continuano a pascolare le pecore perché "senza confini", un altro confiscato ad uno dei killer di via d' Amelio, Gaetano Scotto, ufficialmente "inaccessibile". 


LE AZIENDE DECOTTE C' è poi un immenso patrimonio capace di dare occupazione a migliaia di persone che si perde giorno dopo giorno. È l' economia sommersa delle aziende delle mafie che, sequestrate, confiscate e affidate ad amministratori giudiziari non reggono l' impatto con il mercatoe si avvianoa un mesto fallimento. L' ultimo caso è quello del gruppo catanese Riela trasporti. Quella che tredici anni fa era la quattordicesima azienda più ricca della Sicilia, 30 milioni di fatturato, 250 dipendenti, ha avviato le procedure di liquidazione «perché non riesce a stare sul mercato», si legge nella determinazione adottata dall' Agenzia per i beni confiscati. I titolari ai quali era stata sottratta hanno fondato un nuovo consorzio che ha tolto i clienti alla Riela riuscendo persino a diventare il suo principale creditore per sei milioni di euro. D' altra parte l' azienda in amministrazione giudiziaria, rispettando tutti i parametri di legalità, era costretta a praticare prezzi superiori fino al 30 per cento rispetto ai concorrenti. E la Calcestruzzi Ericina, fiorentissima azienda che, finoa quando apparteneva al boss trapanese Vincenzo Virga, operava quasi in regime di monopolio, appena passata in amministrazione giudiziaria, ha visto prosciugarsi le commessee persino parte del personale ha "preferito" rimanere fuori. Alla fine, prossima al fallimento, ha rialzato la testa grazie alla caparbietà di un gruppo di lavoratori riunitisi in cooperativa che, con il sostegno di Libera di Don Ciotti e delle istituzioni locali, è riuscito a mantenerla in vita. A Palermo l' avviatissimo Hotel San Paolo Palace, già dei Graviano, registra perdite su perdite. Ci sono poi decine di casi in cui le attività sono ingestibili perché il provvedimento della magistratura riguarda il patrimonio societario ma non le azioni. Accade così che in provincia di Novara il servizio di ristorazione del castello di Miasino, sottratto al boss camorrista Galasso, sia ancora in mano alla moglie. Ma perché un' azienda florida quando è nelle mani della mafia poi fallisce quando viene confiscata e passa allo Stato? Spiega il prefetto Caruso: «Già in fase di sequestro le banche revocano i fidi, i clienti ritirano le commesse e la regolare fatturazione porta ad un inevitabile innalzamento dei costi di gestione. In più molti amministratori giudiziari sono incompetenti. Come faccio a mettere a reddito aziende così?». E proprio dal primo congresso nazionale degli amministratori giudiziari arriva la conferma: su dieci aziende confiscate alla criminalità, nove muoiono. «Si tratta di aziende che fino a quel momento si sono mosse fuori dai confini della legalità - spiega il presidente Domenico Posca - e risulta quasi impossibile mantenerle sul mercato con l' inevitabile aumento del conto economico al quale si aggiunge quasi sempre un irrigidimento delle banche e dei fornitori. La scommessa dello Stato deve essere quella di salvare centinaia di posti di lavoro, know how e validi impianti produttivi. È assolutamente necessario intervenire favorendo il mantenimento delle linee di credito e prevedendo un regime fiscale e previdenziale agevolato». 


VENDERE I BENI INUTILIZZABILI Ecco perché anche il prefetto Caruso invoca la possibilità di vendere i beni confiscati anche ai privati. «Ovviamente con tutte le garanzie del caso sull' acquirente. Il nostro sistema è così avanzato che, anche se qualcosa dovesse sfuggire, saremmo in grado di riconfiscarli. D' altra parte ditemi cosa dovrei fare di particelle di terreno indivisibilio di due stanze divise fra cinque eredio di edifici con un' errata indicazione di dati catastali?». Al Parlamento, Caruso chiede benzina per far girare una macchina da Formula 1. «La sfida immensa - dice - è quella di mettere in grado l' Agenzia di lavorare bene. Ma come si fa a gestire beni che raggiungono il valore di una finanziaria con un organico carente e inadeguato?». Trenta persone in tutto per la sede principale di Reggio Calabria (che Caruso chiede di cambiare per le difficoltà di collegamento) e gli uffici di Roma, Palermo, Milano e quelle di prossima apertura di Napoli e Bari. Un budget da4 milioni di euro che comporterà un taglio persino alle retribuzioni del personale che, accettando di lavorare all' Agenzia, guadagna meno rispetto ai colleghi delle amministrazioni di appartenenza. E ora, con l' entrata in vigore dei regolamenti attuativi, un ulteriore aggravio di lavoro. Perché all' Agenzia toccherà fare da supporto alla magistratura anche nella fase di sequestro e non solo più della confisca. «L' unica strada - è la proposta di Caruso - è trasformare l' Agenzia in un ente pubblico economico».
FRANCESCO VIVIANO, ALESSANDRA ZINITI
 
8 GIUGNO ORE 10 Isola delle Femmine commemora Vincenzo Enea, l’imprenditore isolano ucciso dalla mafia






8 GIUGNO 1982 FOTO DI MARIA LETIZIA BATTAGLIA 
L’umiliazione e l’onta dello scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose è ancora vivo ad Isola delle Femmine ma c’è chi ha ancora voglia di affrontare le ombre del passato e di ricordare tragici eventi che la coscienza collettiva aveva rimosso. A 33 anni di distanza, l’8 giugno ad Isola delle Femmine si ricorderà Vincenzo Enea, l’imprenditore edile ucciso dalla mafia nel lontano 1982, a soli 47 anni. Il comitato civico “Isola pulita” da tempo preme sull'amministrazione comunale perché venga intitolata una piazza alla vittima di mafia Vincenzo Enea e ha deciso di chiamare la cittadinanza a raccolta, lunedì 8 maggio, intorno alle 10, nel luogo dove avvenne l’omicidio, in via Palermo, vicino la Biblioteca comunale.
Alle 8 di quel lontano 8 giugno 1982 alla stazione dei carabinieri arrivò la notizia dell’uccisione del proprietario del lido “Village Bungalow”, Vincenzo Enea. Immediatamente il maresciallo Vincenzo Lo Bono accorse sul luogo, trovando la Renault di Enea e il suo cadavere, crivellato di colpi e in una pozza di sangue. Come riporta la sentenza di condanna del suo omicida, “Enea Vincenzo veniva descritto dai più come uomo mite e remissivo, sempre pronto ad aiutare chi si trovasse in difficoltà”, ma i carabinieri si scontrarono contro “il muro di omertà delle persone sentite”. Le indagini non portarono a nulla e, dopo una serie di archiviazioni e riaperture del caso, solo nel 2010, a seguito delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Gaspare Mutolo, Francesco Onorato e Rosario Naimo, il sostituto procuratore Del Bene ha deciso di riaprire il caso, riuscendo a far condannare per l’omicidio il killer Francesco Bruno.  
 All’epoca dei fatti il territorio di Isola delle Femmine faceva parte del mandamento del boss mafioso Rosario Riccobono (poi ucciso dalla fazione corleonese di Riina) e fu proprio nella sua villetta a Mondello che venne preparato l’omicidio. Secondo le dichiarazioni del pentito Onorato “Enea disturbava affari legati alle attività nel settore dell’edilizia”, affari a cui erano interessati anche il boss Riccobono, Salvatore Lo Picolo e Francesco Bruno. Pare che Totò Riina fu molto contrariato dell’uccisione dell’imprenditore isolano, perché Riccobono, Lo Piccolo e Bruno avevano agito senza avvertire il vertice di Cosa Nostra, violando le regole dell’ordinamento mafioso.
Nel 2000 anche il figlio di Vincenzo Enea, Pietro, decise di rendere alla Questura di Palermo un’ampia testimonianza sull’omicidio, spiegando di essere stato reticente fino a quel momento temendo ritorsioni nei confronti della sua famiglia. Questa è la storia che emerge dalle sue dichiarazioni e che leggiamo nella sentenza:
…quel mattino, di buon’ora, Pietro era andato a pesca con gli amici e, tornando a casa, notò nei pressi del “Villaggio bungalow” una Fiat 124 bianca con, a bordo, quattro uomini, fra i quali Francesco Bruno, che lo salutò. La cosa lo colpì molto perché sapeva che l’uomo era da tempo latitante. Direttosi poi ai bungalows, trovò il cadavere del padre riverso per terra. Il movente dell’omicidio, secondo la testimonianza di Pietro, è legato all’attività imprenditoriale del padre, il quale era stato avvicinato da Francesco Bruno per proporgli di diventare socio occulto della sua impresa edile, in quanto aveva soldi da investire, ma Vincenzo Enea si era rifiutato. Un’altra ragione di attrito fra i due era dovuta alla lite per il frazionamento di un terreno con la società BBP (dei Bruno e del loro socio Pomiero), proprietaria della “Costa Corsara”, terreno limitrofo alle palazzine costruite dalla ditta di Enea. A causa di questa lite Vincenzo Enea subì l’incendio di un bungalow, il pestaggio del cane da guardia, il danneggiamento del materiale edile e l’incendio di un magazzino. Benedetto D’Agostino, legato a Vincenzo, tentò una mediazione fra i litiganti, andando così incontro alla morte. Dopo pochi giorni la stessa sorte toccò anche a Vincenzo. Pietro raccontò anche delle intimidazioni che ricevette perché rimanesse in silenzio e le telefonate minatorie alla madre (“…ci dica a suo figlio Pietro che la finisca di scavare altrimenti gli facciamo fare la stessa fine di suo padre…”), che lo indussero ad allontanarsi da Isola delle Femmine e a trasferirsi negli Stati Uniti.
Il 22 maggio 2013 Francesco Bruno è stato condannato dal Tribunale di Palermo per l’omicidio di Vincenzo Enea a 30 anni di reclusione, sentenza passata in giudicato lo scorso febbraio. Adesso che verità è stata fatta e Vincenzo Enea è stato riconosciuto vittima di mafia, “Isola Pulita” ricorderà l’omicidio nel luogo in cui avvenne l’assassinio e poi si recherà in Municipio per la firma degli atti deliberativi da parte della giunta, per l’intitolazione di Piano Ponente. Piano Levante, invece, verrà dedicato al vicebrigadiere in congedo Nicolò Piombino, anch’egli ucciso dalla mafia, il 26 gennaio 1982, per la sua collaborazione alla ricostruzione dell’uccisione di Giacomo Impastato, avvenuto nella zona. Forse questo riscatterà, seppur in minima parte, il paese di Isola delle Femmine, dalla macchia lasciata dalle infiltrazioni mafiose.
Eliseo Davì

ENEA VINCENZO PROGETTO VARIANTE INTERNA DI UN FABBRICATO COMPRESO TRA VIALE ITALIA MARINO COSTA CORSARA FIRME CONSIGLIO IMPASTATO PARTICELLE 35b 36b 79b 84 FOGLIO 1

ENEA VINCENZO ESAMINA IL PROGETTO DI CUI SOPRA  UFFICIO VIA DEI PINI ISOLA DELLE FEMMINE
DISCORDANZE DI DATE:  LA FIRMA IN CALCE AL CONTRATTO RISULTAVA ESSERE DELLA MAMMA DI CATALDO RICCOBONO LUCIDO. IL CONTRATTO RISULTA ESSERE FIRMATO DOPO LA MORTE DELLA FIRMATARIA  




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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:42
Inchiesta sui beni confiscati alla mafia: tremano i ‘Palazzi’ del potere di Palermo 

La VOCE Sicilia NY

L’inchiesta, condotta dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, avrebbe subìto un’accelerazione perché Report - la nota trasmissione televisiva d’inchiesta di Milena Gabanelli - starebbe realizzando una puntata su tale argomento. Con testimonianze e interviste ‘pesanti’. Sotto inchiesta Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara
Una bufera starebbe per abbattersi sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. E al centro di questa vicenda ci sarebbe Palermo, da sempre ‘Capitale mondiale di Cosa nostra’, dove si concentrerebbe oltre il 40 per cento dei beni confiscati agli uomini dell’Onorata società. A tremare sarebbero i protagonisti dei ‘Palazzi’ del potere. Ma questa volta ad essere coinvolti non sono i 'Palazzi' della politica siciliana, ma qualche alto rappresentante della Giustizia. Insomma, magistrati che indagano su altri magistrati. Nello specifico, la Procura della Repubblica di Caltanissetta che indaga sulla gestione di un segmento della Giustizia che opera presso il Tribunale di Palermo.  
Insomma, com’era prevedibile, la gestione dei beni confiscati alla mafia è diventato un caso giudiziario. Con il coinvolgimento del presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, il giudice Silvana Saguto, finita sotto inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio. Indagati anche l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, titolare di uno studio, con sede a Palermo, che da anni gestisce tante aziende confiscate ai mafiosi. Sotto inchiesta pure l'ingegnere Lorenzo Caramma, che in passato avrebbe avuto rapporti di consulenza con l’avvocato Seminara, quando la moglie non era ancora presidente della sezione del Tribunale che decreta le confische.
L'inchiesta viene fuori da alcune da denunce pubbliche. In particolare, c’è una denuncia di Massimo Ciancimino, che risale a cinque anni fa. E c’è una battaglia condotta con coraggio e determinazione dal direttore di TeleJato, Pino Maniaci. Sullo sfondo, beni confiscati che sarebbero stati assegnati quasi sempre a una ristretta cerchia di professionisti, che ne avrebbero ricavato parcelle molto ricche. L’inchiesta ruota sui beni immobili e beni aziendali confiscati in Sicilia.
Stando a indiscrezioni, l’inchiesta di Caltanissetta avrebbe subìto un’accelerazione perché su questa storia
mafia
avrebbero lavorato, e molto, i giornalisti di Report, la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli, giornalista di altri tempi abituata a non guardare in faccia nessuno. A quanto pare, sull’argomento potrebbero tornare anche Le Iene, altra trasmissione televisiva che si è ampiamente occupata di questa storia.
I finanzieri della  Polizia tributaria di Palermo avrebbero già fatto visita nello studio dell’avvocato Cappellano Seminara e nell’ufficio del giudice Saguto. Mentre i giornalisti di Report - stando sempre a quanto si sussurra - sarebbero riusciti a raccoglie testimonianze importanti, da parte di personaggi direttamente coinvolti in questa storia.
Le cronache registrano anche una dichiarazione ufficiale della Procura di Caltanissetta: “Questi atti istruttori sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla presidente della sezione Misure di Prevenzione del tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”.
Nel 2014 è stato il Prefetto Giuseppe Caruso, poco prima di lasciare la direzione dell'Agenzia per la gestione dei beni confiscati alla mafia, a denunciare la “gestione ad uso privato” dei beni confiscati. Il riferimento è ad alcuni amministratori giudiziari scelti dai Tribunali, con in testa il già citato avvocato Cappellano Seminara.
Le cronache di quei giorni roventi registrano una visita della Commissione nazionale Antimafia presieduta
nello musumeci
Nello Musumeci
da Rosi Bindi, piombata in Sicilia per difendere, forse in modo un po’ troppo ‘oleografico’, la magistratura. Della serie, non delegittimate il “sistema”, cioè la Giustizia. Un po’ più centrato, nel febbraio di quest’anno, l’intervento della Commissione Antimafia regionale, presieduta da Nello Musumeci, che, differenza delle ‘oleografie’ romane, ha toccato un punto nevralgico: “In alcuni casi - ha affermato Musumeci - abbiamo ricevuto denunce di incompatibilità, eccessiva concentrazione di incarichi, in altri tentativi di favorire società o studi professionali vicini all’amministratore”.
Poi è stata la volta del presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, nominato dal governo all'Agenzia nazionale oggi guidata dal Prefetto Umberto Postiglione. L’azione di Montante è durata poco, perché a suo carico è stata data notizia di un’indagine che lo vedrebbe coinvolto per fatti di mafia.
Sul sito Zone d’ombra tv si leggono alcune notizie che fanno chiarezza su un argomento complesso (che potete leggere qui). Si ricorda la raccolta di firme lanciate dall’associazione Libera per introdurre il riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati. E l’approvazione, da parte del Parlamento nazionale, della legge n. 109 del 1996. Legge che distingue tre categorie di beni confiscati alla mafia. Vediamoli.  
a) I beni mobili, ovvero denaro contante e assegni, liquidità e titoli, crediti personali (cambiali, libretti al portatore, altre obbligazioni), oppure autoveicoli, natanti e beni mobili che non fanno parte di patrimoni aziendali. Di norma, le somme di denaro confiscate o quelle ricavate dalla vendita di altri beni mobili sono finalizzate alla gestione attiva di altri beni confiscati. Anche se su questo non sono mancati i dubbi e le polemiche. Tant’è vero che, tra Montecitorio e Palazzo Madama, alcuni parlamentari meridionali hanno provato, senza successo, a far riportare i beni mobili confiscati nella disponibilità delle aree del Paese dove avvengono le confische. Battaglia parlamentare perduta, perché questi soldi rimangono a Roma.   


b) I beni immobili, ovvero appartamenti, ville, terreni edificabili o agricoli. Hanno un grande valore simbolico, perché rappresentano in modo concreto il potere che il boss può esercitare sul territorio che lo circonda. Possono essere utilizzati per “finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile”, come prevede la legge, o possono essere trasferiti al Comune di appartenenza. I Comuni, a propria volta, possono amministrarli direttamente o assegnarli, a titolo gratuito, ad associazioni, comunità e organizzazioni di volontariato. 

c) I beni aziendali: si tratta, in questo caso, di aziende frutto di riciclaggio di denaro ‘sporco’. In questa categoria ritroviamo aziende di vario tipo: agroalimentari (per esempio, supermercati), aziende che operano nell’edilizia, ristoranti, pizzerie e via continuando.
pino maniaci
Pino Maniaci
Nel sito si leggono alcune dichiarazioni di Pino Maniaci: "Insieme ad altri tre, quattro giudici - dice il direttore di TeleJato - la Saguto gestisce il 43 per cento dell'intero patrimonio sequestrato ai mafiosi in tutta Italia”, che ammonterebbe a circa 50 miliardi di Euro. Beni, aggiunge Maniaci, che sarebbero gestiti sempre le stesse persone, cioè dagli stessi amministratori giudiziari. 
I professionisti in grado di ricoprire il ruolo di amministratore giudiziario sono circa 4mila, tutti inseriti in un albo di amministratori competenti, che è stato costituito, per legge, nel gennaio 2014. “Alla lista - leggiamo sempre nell'articolo pubblicato dal sito - bisognerebbe attingere per la scelta delle professionalità in base a competenze e capacità. La scelta, a quanto pare, è arbitraria, effettuata dai giudici della sezione delle misure di prevenzione in cui si ritrovano molto i soliti trenta nomi.  Tra i preferiti dai giudici spicca il nome di Gaetano Cappellano Seminara, soprannominato il 'Re'. Il 90% delle aziende sequestrata e lui affidate, gran parte nel settore edilizio e immobiliare, sono state chiuse per fallimento”. Qui si tocca un tema caldo: la mancanza di cultura imprenditoriale da parte dei soggetti chiamati a gestire queste aziende, che spesso vanno in malora.
“Seminara - leggiamo sempre nell'articolo - oggi è uno degli avvocati più riccchi d'Italia. Un uomo che si occupa di beni sequestrati e confiscati, con 54 incarichi in varie aziende e amministratore di 250 aziende con un onorario che si aggirerebbe intorno ai 7 milioni di euro l'anno”. 
Nel sito di parla anche del conflitto di interessi dell’avvocato Seminara. “La Legalgest Srl è proprietaria di un hotel di cui Seminara avrebbe il 95% delle quote mentre il restante 5% apparterrebbe alla figlia. La curiosità è che l'amministratore della società è la nonna 82enne dell'avvocato. Nel 2011 la stessa Legalgest cede la gestione dei servizi alberghieri alla Tourism project Srl di cui è proprietaria, al 100% delle quote, la stessa Legalgest Srl”. Insomma, un gioco di scatole cinesi.  
“Appare strano - leggiamo sempre nell’articolo - che nessuno si sia accorto di un evidente conflitto d'interesse quando Seminara si è occupato, come amministratore giudiziario, di un altro gruppo alberghiero: la Ghs Hotels F. Ponte Spa”. 
"Esiste una sorta di cupola degli amministratori giudiziari che agiscono in perfetto accordo con il Tribunale di Palermo, in particolare al responsabile della sezione misure patrimoniali" chiarisce Salvo Vitale di Radio Aut e collaboratore di TeleJato. Nell’articolo si racconta anche del ruolo dell’avvocato Seminara nella discarica di Bucarest, ritenuta la più grande d’Europa. "Quando uno dei proprietari si ritirò e bisognava rinnovare il Consiglio di amministrazione – si legge sempre nel sito che cita un articolo de I Siciliani -  Cappellano pagò un lavavetri per acquistare, come prestanome, una quota importante ed entrare nel consiglio di amministrazione, per poi diventarne presidente, giochetto che gli è riuscito numerose volte. Questa volta il gioco è stato smascherato”.
Il caso è stato smascherato, manco a dirlo, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, già magistrato inquirente di punta al Tribunale di Palermo.  
“A non essere rispettata è la Legislazione Antimafia - Vittime della mafia e relativo Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. I beni confiscati sono circa 12.000 in Italia - si legge sempre nell’articolo -. La fase del sequestro, secondo la legge, non deve superare i 6 mesi, rinnovabile al massimo di altri 6, periodo in cui vengono svolte le dovute indagini e si decide il destino del bene stesso: se dichiarato legato ad attività mafiose esso viene confiscato e destinato al riutilizzo sociale; se il bene è pulito viene restituito al precedente proprietario. Nella pratica il bene non viene mantenuto nello stato in cui viene consegnato alle autorità, né vengono rispettate le tempistiche. In media, il bene resta sotto sequestro per 5-6 anni, ma ci sono casi in cui il tempo si prolunga fino ad arrivare a 16 anni”. 
“Una legge limitata - se legge ancora nell’articolo - da aggiornare, che non permette gli adeguati controlli e conduce troppo spesso al fallimento dei beni per le - forse volute - incapacità del sistema”.
Su Live Sicilia leggiamo la replica di qualche tempo fa dell'avvocato Cappellano Seminare: “Ho presentato una parcella lorda di 7 milioni di euro per 15 anni di lavoro durante il quale ho amministrato, insieme ad un team di 30 collaboratori, 32 società e ho accresciuto il valore commerciale degli asset a me conferiti a 1,5 miliardi di euro. Nel periodo di gestione giudiziaria i soli beni aziendali giunti a confisca hanno prodotto ricavi per oltre 280 milioni di euro, attestando così il costo della gestione giudiziaria a circa il 2,50% dei ricavi. Giova inoltre ricordare che dalla liquidazione disposta dal Tribunale, interamente corrisposta con fondi del patrimonio confiscato, ne è derivata a mio carico, in favore dell'Erario una imposizione fiscale di complessivi euro 4.248.281 pari al 60% del lordo percepito”. 
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:41
Appalti in Sicilia: il governo nazionale vuole tutelare gli ‘amici degli amici’? 

Riccardo Gueci* 9 Sep 2015

Il Parlamento siciliano, in materia di appalti pubblici, ha approvato una legge innovativa che blocca sul nascere i ‘cartelli’ di solito espressione dei grandi gruppi. Di fatto, è una legge che difende gli interessi delle imprese siciliane contro i mafiosi che, dagli anni della Cassa per il Mezzogiorno, operano all’ombra dei grandi gruppi nazionali. Antimafia vera che, però, non piace al governo Renzi… 
L'Autonomia speciale della Regione siciliana, appannaggio della borghesia mafiosa, è ridotta proprio male. Specialmente nelle materie che contrastano con gli interessi dei lavoratori siciliani e delle piccole imprese che, in Sicilia, si 'arrabbattano' per sopravvivere.
L'ultima in ordine di tempo è la legge sugli appalti di lavori pubblici, che in Sicilia è un problema di non poco conto, considerato l'uso che le grandi imprese fanno dei ribassi per aggiudicarsi i lavori, tranne poi a rientrare nei costi o utilizzando cemento impoverito, o più spesso attraverso marchingegni , come le riserve o le perizie di variante in corso d'opera.
Questi accorgimenti sono comunemente adottati dalle imprese, anche da quelle che si cimentano nelle costruzioni non tanto perché quello è il loro mestiere, ma per avviare attività di copertura di riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, specialmente di origine mafiosa. Magari dal traffico di droga da reinvestire in attività lecite. In questi casi la convenienza economica dell'appalto non è l'obiettivo principale dell'impresa mafiosa, ma un semplice diversivo teso a giustificare gli enormi guadagni che la mafia ottiene dai suoi traffici. Va da sé che i titolari delle imprese sono sempre persone con le “carte a posto”, irreprensibili e apparentemente dediti al loro lavoro.
In questa confusione di ruoli e di interessi chi ne soffre le conseguenze sono le imprese pulite, che fanno le proprie offerte sulla base di analisi costi-benefici ai quali aggiungono una quota di rischio d'impresa. Queste imprese, in genere, restano senza lavoro e per sopravvivere vivacchiano con piccoli lavoretti di manutenzione del patrimonio immobiliare esistente. Va precisato che i nuovi criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici siciliani valgono, oltre che per le opere pubbliche, anche per le forniture ed i servizi. In pratica, a nostro sommesso parere, la legge varata dal Parlamento siciliano è stata studiata sia per evitare l'aggiudicazione a massimo ribasso, sia per impedire manovre strategiche alle cordate combinate dei concorrenti.
Questa normativa approvata dal Parlamento siciliano è sicuramente innovativa e non è un caso che, oltre ad impedire gli appetiti delle imprese mafiose, rappresenta anche un modello anti corruzione contro gli affarismi poco trasparenti. Forse sarà per queste caratteristiche che la legge regionale 10 luglio 2015, n.14, è entrata nell'orbita censoria del governo nazionale di Matteo Renzi.
Ricordiamo che, nel Sud d’Italia, già ai tempi della cassa per il Mezzogiorno - cioè negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 del secolo passato - i grandi gruppi nazionali trovavano accordi con le mafie locali, penalizzando le imprese del Meridione non legate ad interessi mafiosi. Con questa nuova legge, di fatto, si impediscono giochi e giochetti che finiscono con il favorire gli interessi mafiosi.  
Vediamoli da vicino, le “Modifiche all'articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2011, n.12 introdotte con la nuova legge regionale. Si tratta di alcuni emendamenti che introducono criteri diversi si assegnazione delle gare d'appalto. Il primo così recita: “Per gli appalti di lavori, servizi e che non abbiano carattere transfrontaliero, nel caso in cui il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando che si applichi il criterio dell'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia prevista nel successivo comma”.
Il secondo comma dà la definizione di soglia di anomalia: “La soglia di anomalia è individuata dalla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del 10 per cento arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e quella di minor ribasso, incrementata o decrementata percentualmente di un valore pari alla prima cifra, dopo la virgola, della somma dei ribassi offerti dai concorrenti. Nel caso in cui il valore così determinato risulti inferiore all'offerta di minor ribasso ammessa, la gara è aggiudicata a quest'ultima”. Questo passaggio ai più sembrerà astruso. Semplificando, diciamo che individua ed esclude le offerte truffaldine.
Queste le parti essenziali delle modifiche apportate ai criteri di aggiudicazione, che sembrano essere state studiate per affidare le sorti delle gare d'appalto alla più ampia casualità. La qualcosa non è di scarsa rilevanza. Ma sono proprio questi accorgimenti che hanno fatto saltare sulla sedia il ministro delle Infrastrutture, Graziano Del Rio, che, di sicuro, avrà urlato: ma come si permettono questi siciliani di non consentire la ‘corretta gestione’ degli appalti! Ma siamo proprio impazziti?”. Insomma, i politici che ci stiamo a fare se non possono nemmeno ‘gestire’ gli appalti e favorire gli amici e gli amici degli amici? E la Sicilia, terra di mafia, fa uno sgambetto del genere alla mafia?
Così è iniziato il procedimento di contestazione della nuova legge siciliana con l'invio di una nota che mette in discussione, non solo il contenuto della legge, ma anche il significato stesso dell'Autonomia regionale siciliana, la quale in materia di legislazione in materia di appalti ha competenza primaria. Il testo della nota ministeriale, sulla questione, è assolutamente esplicito ed è proprio la casualità, cioè l'elemento innovativo centrale della legge regionale, l'oggetto della contestazione ministeriale del 25 agosto di quest'anno. In essa si osserva in primo luogo la difformità con i “criteri di valore economico indicati nell'articolo 86 del codice dei contratti pubblici” attraverso un meccanismo che, in sostanza, ne determina in modo casuale le variazioni in aumento o in diminuzione”. Ma l'aspetto più rilevante, e più grave, riguarda il richiamo al Codice degli appalti, il cui articolo 5 “dispone che le Regioni a Statuto speciale che adeguano la loro legislazione ai loro Statuti non possono prevedere una disciplina diversa dal Codice” per rispettare “le competenze esclusive dello Stato”. A sostegno delle sue tesi il ministero richiama due pronunciamenti della Corte Costituzionale, n.401 del 23 novembre 2007 e la n.431 del 14 dicembre 2007, nelle quali la Consulta riconosce “l’inderogabilità sia delle disposizioni che regolano l'evidenza pubblica, sia quelle concernenti il rapporto contrattuale”.
Queste osservazioni ci inducono - noi che non siamo grandi dirigenti amministrativi dello Stato e tanto meno costituzionalisti - a un’ovvia constatazione: che cosa c'entra l'evidenza pubblica o il rapporto contrattuale con i criteri di assegnazione degli appalti? La prima interviene in fase di pubblicazione del bando di gara, con le relative norme che la regolano; la seconda interviene successivamente all'aggiudicazione ed alla fase di rispetto reciproco delle condizioni contrattuali dell'appalto. Pertanto i riferimenti alle sentenze della Corte Costituzionale ci sembrano fuori luogo e comunque non sono minimamente violate dalla legge regionale in discussione.
I rilievi ministeriali si concludono con un’osservazione che è veramente un capolavoro di parole in libertà: “Alla luce dei consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, pertanto, le disposizioni della legge regionale in commento, oggetto dei rilievi illustrati, risultano adottate in violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera e) a tutela della concorrenza”. Qui la risposta è veramente semplice: le norme regionali sull'aggiudicazione degli appalti quali impedimenti oppongono alla libera partecipazione di centinaia o di migliaia di imprese? Quali sono i limiti che essa pone alla partecipazione in concorrenza?
Prima di passare alle controdeduzioni approntate dall'assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo, vogliamo consentirci una divagazione, rispetto alla quale avremmo sicuramente apprezzato un intervento critico del ministro Delrio. Essa riguarda due fatti che sono avvenuti in Italia in tempi relativamente recenti, ma che stanno lì a testimoniare la fallibilità delle legislazioni nazionali sugli appalti. Una riguarda le “ecoballe” nell'entroterra Napoletano e l'altra l'affidamento dei lavori di costruzione della tratta ferroviaria di congiungimento veloce Torino-Lione. Avremmo apprezzato che il ministro Delrio bloccasse i lavori della Torino-Lione, con l'annesso traforo plurichilometrico delle Alpi in Val di Susa, per conoscere a quale gara d'appalto transfrontaliera abbiano partecipato le imprese che stanno eseguendo i lavori. Questo sarebbe stato di sicuro un intervento a tutela della concorrenza. Che ne dice, Ministro Delrio?
In quanto alle ecoballe, se l'incarico di smaltimento dei rifiuti di Napoli fosse stato affidato ad una ventina di piccole imprese, certamente le ecoballe non esisterebbero. Si è scelto di affidarne l'incarico ad una grande impresa nazionale e le ecoballe sono ancora lì a far bella mostra di sé.
Passiamo ora alle controdeduzione dell'assessore regionale alle Infrastrutture, Pizzo. L'assessore Pizzo, in via preliminare, ricorda al Ministro Delrio che i riferimenti giurisprudenziali richiamati nella nota dei rilievi, cioè i riferimenti all'articolo 4 , commi 2 e 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 - il cosiddetto Codice degli appalti - oggetto dei pronunciamenti della Corte Costituzionale, “esplicano il loro contenuto normativo nei confronti delle sole Regioni ordinarie” Fa presente, tuttavia, che la legislazione regionale, anche a Statuto speciale, stabilisce che la potestà legislativa esclusivo/primaria deve essere esercitata “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato”. Questa sottolineatura è una raffinatezza. Come dire: caro Ministro, come dobbiamo legiferare in Sicilia lo sappiamo assai bene e non ci serve alcun insegnamento ministeriale. La perorazione dell'assessore regionale è assai circostanziata e puntuale che non possiamo, per ragioni di spazio, commentare integralmente. Ma un altro aspetto merita di essere riportato e riguarda il riparto delle competenze legislative in materia di appalti pubblici. A tal proposito essa fa riferimento al citato articolo 4 del citato decreto legislativo 163/2006 e ne richiama l'articolo 5, che ovviamente il ministro non aveva letto perché si era fermato agli articoli 2 e 3. L'articolo 5, appunto, stabilisce che “le Regioni a Statuto Speciale adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli Statuti e nelle relative norme di attuazione”.
E' nostro dovere segnalare positivamente l'impegno che in questa battaglia hanno messo gli imprenditori del settore a sostegno della decisione autonoma del Legislatore regionale. Dopo il movimento dei Forconi è la prima volta che una categoria si schiera in difesa dell'Autonomia siciliana.
Nota a margine. Non ne comprendiamo le ragioni strategiche, ma un dato è certo: la Regione siciliana e la sua Autonomia speciale da oltre vent'anni sono sottoposte ad un attacco sistematico ed al controllo delle sue risorse finanziarie. Una delle prime operazioni di controllo dall'interno del governo regionale avvenne con il governo di Salvatore Cuffaro, quando a dirigere l'Ufficio della Programmazione economica, cioè quello che aveva il compito di programmare la spesa dei Fondi strutturali europei, fu affidato ad una funzionaria ministeriale, la dottoressa Gabriella Palocci. Quello fu un periodo assolutamente nero per l'economia siciliana e fu anche il periodo nel quale vennero costituite ben 34 società in house, cioè società che dovevano fare i lavori di competenza degli assessorati. In pratica, fu una duplicazione della spesa corrente regionale con la “facciata” di spese d'investimento perché i fondi europei vennero assegnati in parte alle 34 società per azioni. Società che non operavano nel mercato, ma avevano l'esclusiva della committenza pubblica regionale. Un capolavoro di spreco, inefficienza e clientelismo a mani basse.
Poi fu la volta del governo di Raffaele Lombardo, l'autonomista - quello che prendeva a martellate le targhe delle vie intestate a Giuseppe Garibaldi - il quale accettò la condizione posta dal governo centrale di affidare la gestione delle ingenti somme destinate alla Formazione professionale ad un funzionario ministeriale, il quale ne fece di cotte e di crude, compresa quella di trasferire gran parte del Fondo sociale europeo dalla Sicilia ai ministeri romani.
Quindi è stata la volta del governo di Rosario Crocetta, al quale sono stati imposti prima Luca Bianchi e successivamente Alessandro Baccei quali assessori al Bilancio ed all'Economia. Risultato di queste gestioni finanziarie della Regione siciliana: l'economia dell'Isola cresce la metà di quella greca, la disoccupazione è dilagante e la povertà crescente.
Preferiamo fermarci qua e di non infierire, ma qualcosa sull'Autonomia siciliana ci ripromettiamo di dirla in seguito, anche se già in qualche occasione abbiamo avuto modo di accennare al nostro convincimento.

* Riccardo Gueci è un funzionario pubblico in pensione che, per noi, di solito, illustra e comenta i fatti di politica nazionale e internazionale. Cresciuto nel vecchio Pci, Gueci è rimasto legato all'iea della politica di Enrico Berlinguer. La politica, insomma, vista nella sua accezione nobile. Oggi si ricorda di esere stato un funzionario pubblico e commenta per noi una vicenda in verità molto strana: con il governo nazionale di matteo renzi che contesta una legge, approvata dal Parlamento siciliano, che punta a contrastare in modo serio gli interessi dei mafiosi e dei grandi gruppi nazionali che, dagli anni '50 del secolo passato, fanno affari con le mafie del Sud Italia. Cose strane, insomma...    
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:33

Beni confiscati, indagata il giudice Silvana Saguto Dettagli Pubblicato: 

10 Settembre 2015


saguto silvana
Sotto inchiesta anche il marito e l'avvocato Seminara 
di Aaron Pettinari

Corruzione, induzione e abuso d'ufficio. Sono queste le accuse nei confronti del giudice di Palermo Silvana Saguto finita al centro della nuova bufera giudiziaria che investe un fronte tanto delicato come quello della gestione dei beni confiscati alla mafia. L'indagine condotta dalla procura di Caltanissetta è davvero senza precedenti. Il procuratore Sergio Lari ipotizza che il giudice, presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, abbia assegnato incarichi milionari all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, titolare di uno studio a cui è affidata la gestione di diverse aziende confiscate. Quest'ultimo, per restituire il favore, avrebbe offerto maxi consulenze al marito della Saguto, l’ingegnere Lorenzo Caramma, pure lui indagato. L’indagine sostiene che nel corso degli anni il professionista avrebbe ricevuto quasi 750 mila euro da Cappellano.

Gli avvisi di garanzia sono scattati ieri mattina così come le perquisizioni che la procura di Caltanissetta ha affidato al nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Palermo. Gli investigatori hanno cercato a casa del giudice e dell’avvocato, ma anche nei loro uffici. 
Nel corso dell'operazione sono stati acquisiti diversi documenti riguardanti le nomine ricevute da Cappellano Seminara. Ma nel decreto di perquisizione si fa riferimento anche ad intercettazioni disposte nel maggio scorso dai magistrati che conducono l’inchiesta, il procuratore aggiunto Lia Sava e il sostituto Gabriele Paci, anche loro ieri a Palermo per seguire le perquisizioni.

L'inchiesta scaturisce da denunce pubbliche, neanche recenti, su un giro di affidamenti dei beni a pochi professionisti che ne avrebbero ricavato "parcelle d'oro". Questo aveva denunciato nel gennaio 2014 il prefetto Giuseppe Caruso, a quel tempo direttore dell'Agenzia dei beni confiscati, che gestisce un patrimonio di circa 30 miliardi di euro con beni distribuiti in tutta Italia: solo il 43 per cento di questo immenso patrimonio si trova in Sicilia in gran parte concentrato in provincia di Palermo. Disse Caruso di fronte alla Commissione antimafia: “Non è normale che i tre quarti del patrimoni confiscati alla criminalità organizzata siano nelle mani di poche persone”.

Per questo, aveva spiegato ai parlamentari della commissione, aveva deciso una rotazione di amministratori. Cappellano Seminara aveva replicato ricordando che si occupava di confische da 28 anni con uno studio di 35 professionisti. E quanto ai compensi una cosa, aveva detto, è gestire l'amministrazione dinamica di un'impresa, altra cosa è liquidarla secondo le nuove direttive dell'Agenzia”.
Anche Silvana Saguto era stata ascoltata dalla Commissione davanti alla quale aveva assicurato che la gestione dei beni confiscati a Palermo era improntata alla massima correttezza. E la presidente Rosy Bindi alla fine aveva detto che non c'erano elementi tali da “inficiare condotte delle singole persone”.
Se per la Commissione il capitolo sui beni confiscati era stato chiuso così non è stato per la Procura nissena. Gli inquirenti si erano occupati della gestione dei beni confiscati a Palermo già in precedenza, grazie alle denunce del giornalista di Telejato, Pino Maniaci che lo scorso maggio, intervistato dalle Iene, aveva parlato proprio della spartizione di pochi amministratori giudiziari che si spartiscono la gestione dei beni sequestrati a Cosa nostra. Maniaci ha anche presentato un esposto alla procura di Caltanissetta ed è autore di parecchie interviste in cui attacca frontalmente lo stesso avvocato Cappellano Seminara, che per tutta risposta nei mesi scorsi lo ha denunciato per stalking.
Nei mesi scorsi il fascicolo d'indagine sull'argomento dei beni confiscati era rimasto sempre contro ignoti. Poi, grazie alle intercettazioni ambientali, sarebbe arrivata la svolta.
A dare notizia dell’inchiesta è la stessa procura nissena, con una nota diffusa “allo scopo di evitare il diffondersi di notizie inesatte“. “Su disposizione della procura della Repubblica di Caltanissetta – si legge nella nota – i militari del nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza di Palermo, in alcuni casi con la diretta partecipazione dei magistrati titolari del relativo procedimento penale, hanno eseguito ordini di esibizione nonché decreti di perquisizione e sequestro in data 9 settembre 2015″. “Questi atti istruttori – prosegue la nota – sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d’ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla Presidente della sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo nell’applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”.
Da parte sua il giudice Saguto, a cui nei mesi scorsi era stata potenziata la scorta dopo la nota dei servizi di sicurezza che aveva fatto filtrare un allarme dove si indicava il magistrato come obbiettivo do un piano di morte di Cosa Nostra, raggiunta dal sito livesicilia.it, si difende: “Non ho dubbi sul mio operato e chiederò subito di essere interrogata. Incarichi a mio marito? Ne ha avuto uno solo a Palermo, e oggi chiuso, che risale agli anni in cui non ero alla sezione misure di prevenzione”.

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di Salvo Vitale
Un'occhiata dentro la pentola

Il terremoto che ha scosso una parte dell’Ufficio misure di prevenzione viene da lontano, ma ha avuto un'accelerazione  dopo che, nel maggio scorso, Leonardo Guarnotta ha lasciato, per andare in pensione, la presidenza del tribunale di Palermo e, al suo posto s’è insediato il giudice Salvatore Di Vitale. In precedenza il prefetto Caruso, a capo dell’Agenzia dei beni confiscati alla mafia di Reggio Calabria, aveva più volte evidenziato le difficoltà con cui si trovava a lavorare nel suo ufficio, sia per mancanza di personale, sia per le anomalie di una legislazione che dava carta bianca ai giudici delle misure di prevenzione, conferendo loro un enorme potere. Al centro delle sue critiche il ruolo degli amministratori giudiziari, una cerchia privilegiata di poche persone incapaci o voraci che avevano condotto al fallimento la quasi totalità delle imprese affidate , con la perdita di posti di lavoro e di credibilità nei confronti di chi avrebbe dovuto rappresentare lo stato.  La Commissione Antimafia, venuta a Palermo nel marzo 2015, ascoltava il prefetto Caruso, ascoltava magistrati e amministratori, ma non riusciva a liberarsi dal pregiudizio che Caruso fosse un uomo di centro destra e che era “di sinistra” la difesa della magistratura e del suo operato nella lotta contro la mafia.  Tutto rimaneva congelato, si prometteva una nuova legge, Caruso pertanto preferiva, o forse era invitato ad andare in pensione e al suo posto veniva nominato il più morbido prefetto Pignatone.

Andava intanto avanti  la solitaria battaglia della piccola emittente televisiva Telejato, da tempo caratterizzata da una spiccata vocazione antimafia e l’inchiesta si dipanava attraverso il comportamento degli amministratori giudiziari, il loro malgoverno, la cupoIa che soprastava a tutto ciò, della quale facevano parte la presidente dell’ufficio misure di prevenzione, esponenti della DIA al suo  servizio, magistrati di varie procure siciliane, cancellieri, figli, parenti, amici e loro figli, una serie di avvocati e dottori in economia e commercio, con studi più o meno rinomati, ma legati dagli stessi interessi e in stretta corrispondenza tra di loro. Unico obiettivo, gestire una fonte di reddito incalcolabile che proveniva dai beni confiscati ai mafiosi, o presunti tali, ma soprattutto usare a proprio vantaggio la benevolenza di chi disponeva  a chi assegnare le nomine o emetteva decreti di sequestro, magari avendo già  individuato da tempo il nome dell’amministratore che avrebbe nominato, o su sollecitazione dello stesso. Entrare “in quota”, cioè nelle grazie di Silvana Saguto, che, dopo una serie di cariche rivestite nel settore penale della Procura di Palermo,  si era trovata a dirigere le misure di prevenzione, significava sistemarsi e introitare ricchezze senza troppa fatica. Il canale d'accesso privilegiato era Cappellano Seminara, con il suo megastudio e con una trentina di avvocati al suo servizio, ma con buoni "ammanicamenti"  presso buona parte degli studi legali palermitani. Fra l’altro, eventuali assoluzioni dei presunti mafiosi nei processi, non comportavano la riconsegna dei beni: l’ufficio misure di prevenzione poteva mantenere il sequestro, reiterarlo con nuove presunte imputazioni, trasformarlo in confisca, ma lasciarlo in mano agli stessi amministratori, ratificare le scelte fatte da costoro, attribuire loro incarichi senza limiti e senza controlli, emettere decreti di confisca anche sulla base di semplici sospetti, deduzioni, transitività di parentele mafiose, storie pregresse di collusioni da parte di antenati o parenti, deposizioni pilotate di pentiti, disposti a dire quello che gli suggerivano di dire, magari  poi smentiti in sede processuale. Con una peculiarità unica in Europa, in aperta violazione dei diritti del cittadino e della tutela dei suoi beni,  la legge prevede che non è il giudice a dimostrare o a raccogliere le prove relative all’imputazione, ma spetta all’indagato l’onere della prova, ovvero la dimostrazione che, quanto è stato da lui realizzato, non è stato fatto con i soldi o con la collusione della mafia. Pratiche di questo tipo erano in vigore durante la Controriforma, dal 1500 al 1700, allorchè vigeva la legge del sospetto:  bastava una semplice denuncia di un privato,  per sbarazzarsi di una  presenza scomoda e impadronirsi dei suoi beni. In questo caso è vero che l’unico proprietario dei beni rimane lo stato, ma prima che lo diventi c’è una lunga trafila fatta di udienze, di rinvii, di nomine, di riconvocazioni, di ritardi, di decreti, di tempi di pubblicazione del decreto, di tempi di produzione del decreto al magistrato, di documenti cui manca una firma o  una parola, di richieste di nuovi documenti ecc., che consentono all’amministratore giudiziario di restare saldamente al suo posto e di continuare a spremere gli emolumenti per sé e per i suoi collaboratori dalle casse dell’azienda affidata. Aggiungiamo che l’amministratore, sino ad adesso, non paga e non ha mai pagato per le sue disfunzioni, per la sua cattiva amministrazione, per la sua incapacità o per i suoi furti nella gestione aziendale, che non è vero, o è vero solo sulla carta, che gli amministratori sono pagati dallo stato: i soldi sono estratti dai proventi dell’azienda, dalla eventuale vendita dei beni di questa, (in molti casi svendita o vendita ad amici e in condizioni di favore), dalle discrasie di una legge che obbliga alla riscossione dei crediti, ma non al pagamento dei debiti.  La legge sulle  misure dei prevenzione ha altri aspetti  e punti deboli che ne mettono in discussione la stessa esistenza. Il sistema palermitano dei “quotini”  rappresenta la degenerazione di questa legge e la creazione di quella che, poco opportunamente, è stata definita “mafia dell’antimafia”, ovvero di un sistema di gestione delle risorse dell’economia siciliana non secondo il criterio moderno della produttività, ma secondo quello, tipicamente mafioso, del parassitismo economico: non investimento e imprenditorialità, ma disamministrazione, clientelismo, spartizione dei proventi tra una cerchia di amici, curatori, collaboratori, di cui non ci sarebbe alcun bisogno, ma che appartengono al cerchio magico,  e utilizzazione della maschera della legalità per arrivare alla drammatica, retorica e scontata conclusione che in Sicilia, quando si tenta di fare rispettare la legge, inevitabilmente si fallisce, perché non c’è la cultura della legalità e perché tutta l’economia siciliana è fondata sul lavoro nero, sulla corruzione, sullo sfruttamento illegale dei lavoratori,  sull’evasione fiscale, sul circuito di distribuzione di merci e lavori tra i rappresentanti del sodalizio mafioso o paramafioso, nel quale è difficile entrare se non se ne condividono le regole.  Nulla di diverso dalla “cupola quotina” che in questo momento sta strangolando Palermo. Sembrerebbe che la mafia generi contromisure repressive che presentano le stesse caratteristiche di quelle mafiose: cambiano i volti ma non i metodi.

A seguito di tutto questo il tribunale di Caltanissetta convocava Pino Maniaci, il responsabile della piccola emittente televisiva Telejato, come persona informata dei fatti: Maniaci si presentava ai P.M. Gabriele Paci e Nico Gozzo, che  vanno e vengono anche dal tribunale di Palermo, con una serie di documenti e di notizie delle quali gli stessi giudici sembravano non essere a conoscenza e, dopo qualche ora di audizione se ne andava, con l’impegno di essere riconvocato, cosa che ancora non è successa. Tuttavia qualcosa sembra essersi smosso, dopo le due trasmissioni delle Iene, che hanno messo in luce l’incapacità amministrativa di Modica de Moach, amministratore e distruttore dell’azienda dei Cavallotti e di Cappellano Seminara ,“il re” degli amministratori, dall’alto dei suoi 94 incarichi e non solo 8 come egli stesso ha sostenuto. Qualcosa si è anche mosso dopo che una serie di procedimenti penali si sono conclusi con l’assoluzione definitiva dei presunti  imprenditori “in odor di mafia” e con sentenze di restituzione dei beni sequestrati e, in alcuni casi, confiscati. I giudici si stanno trovando adesso ad affrontare situazioni sinora impensabili, ovvero quella degli imprenditori che, dopo anni di “allegra finanza”, per non parlare di rapine, da parte dei  nominati dal tribunale, chiedono di essere risarciti proprio da questi. Ove dovesse avviarsi questa scelta di risarcimento, ci troveremmo, per la prima volta in una circostanza molto vicina a quella sulla responsabilità civile dei giudici e sarebbe forse il primo serio segnale di presenza dello stato.

Ultimi sviluppi

- Silvana Saguto è stata “spostata” alla terza sezione penale: coloro che finiscono tra le sue mani si augurano che eviti di continuare a convocare l’udienza alle nove e presentarsi a mezzogiorno per disporre un rinvio di tre mesi o che si diletti a colorare i suoi fogli di appunti con matite di vari colori quando parlano gli avvocati difensori. In un paese normale un magistrato sotto indagine per reati di corruzione e induzione alla corruzione, dovrebbe essere sospeso dall’incarico, in attesa di chiarire la sua posizione, ma non è il caso dell’Italia o della Procura di Palermo. Assieme a lei sono indagati il marito Lorenzo Caramma, un ingegnere che si dice abbia ricevuto 700.000 euro da Cappellano Seminara come compenso per consulenze, il figlio Elio detto Crazy, che lavora come chef presso l’hotel Brunaccini di Cappellano Seminara, anche se lui lo nega e, addirittura, secondo qualche giornale, anche il padre della Saguto. Al posto della Saguto è stato nominato il giudice Mario Fontana, presidente della terza sezione penale;

- Walter Virga, il trentenne amministratore giudiziario della rete di negozi Bagagli e dell’impero finanziario dei Rappa (un miliardo e mezzo di lire, secondo le stime della DIA), si è  dimesso dal suo incarico in quanto figlio di Pietro Virga, già componente del C.S.M.. non rieletto e pertanto tornato presso il tribunale di Palermo. E’ al vaglio degli inquirenti l’accusa di essersi adoperato per chiudere un procedimento penale nei confronti della Saguto;

- Il giudice Chiaramonte, componente del collegio delle misure di prevenzione, ha chiesto di essere trasferito ad altro ufficio ed è indagato per abuso d'ufficio. Al suo posto andrà Luigi Petrucci.

- Il giudice Dario Scaletta, sorta di devoto uomo della Saguto, è sotto indagine perché sembra sia andato a raccontarle che nei suoi confronti era stata aperta un’ inchiesta;

- Cappellano Seminara dopo la denuncia per truffa scattata in Romania, è indagato per gli stessi reati della Saguto, ma sembra che su di lui stiano piovendo una serie di altre indagini e accuse. Lui se n’è uscito con un semplice “Così fan tutti”, più o meno come aveva detto Craxi quando voleva scagionarsi dall’accusa di intascare tangenti;

- Su Fabio Licata, anche lui componente del collegio giudicante delle misure di prevenzione, si dice che ci saranno sviluppi, ovvero che potrebbe essere indagato o essere sentito come teste. Ultimamente, in un pubblico intervento si è sperticato nell'elogio  della legge sulle misure di prevenzione;

- La DIA, nel suo strisciante conflitto con la DDA, continua a voler far credere di agire sparando cifre gonfiate e inesistenti sull’effettivo valore dei beni confiscati. Viene così ad essere falsata anche la valutazione complessiva dei presunti 40 miliardi di euro sequestrati in Sicilia: forse sono della metà. Non sarebbe male, pur non mettendone in discussione i meriti, arrivare alla sua chiusura, come proposto anche da qualche noto magistrato antimafia (Gratteri) e raggruppare le competenze in un solo organismo.

- Carmelo Provenzano, che qualche giorno prima su La Repubblica, pagina di Palermo, si era sperticato in un elogio degli amministratori giudiziari, definendoli malpagati,  ingiustamente odiati e con infinite difficoltà nell'espletare il loro compito, è finito anche lui sotto indagine.

- Alcuni quotidiani on line dicono che presto saranno rimossi dai loro incarichi alcuni amministratori giudiziari. E’ quello che ci si augura e, mi permetto di dire all’eventuale magistrato che se ne occuperà, che posso fargli i nomi dei più corrotti e dei più incapaci.

Conclusione

Da un paio di anni mi occupo di queste storie. Ne ho sentito di tutti i colori. Negli studi di Telejato sono venute e continuano a venire persone  alle quali è stata distrutta la vita, oltre che impedita ogni possibilità di lavoro, persone a cui è stato confiscato anche il motorino della figlia, che avevano una casa di proprietà dei loro antenati  che sono stati costretti a lasciare, persone con gravi patologie e bisognose di cure, costrette a cercarsi un alloggio diverso dalla propria casa o a pagarne l’affitto all’amministratore giudiziario, vecchietti sfrattati, gente che continua a vedersi arrivare intimazioni di pagamento e bollette varie che sarebbe toccato pagare all’amministratore giudiziario, il quale non l’ha mai fatto:  risposta del tribunale cui si sono rivolti: paga per adesso e poi il tribunale provvederà a farti rimborsare. Ho ascoltato persone riferirmi di avere chiesto  al tribunale la possibilità di accedere a un prestito o di avere una proroga per curarsi o per curare i propri parenti, ma di avere ottenuto solo rifiuti e sarcastici commenti. Ho ascoltato persone cui non sono stati pagati anni di lavoro, altre rovinate dal mancato pagamento di commesse, altre buttate sulla strada dopo venti o trent’anni  di lavoro qualificato e sostituiti da gente inesperta, ma “amica” dei nuovi padroni. Qualche volta mi sono messo a piangere anche io con loro, nel sentire queste storie e  nell’ascoltare  la loro considerazione tristissima: “E’ possibile che   non debba esistere  giustizia?” Altre volte ho avvertito l’impotenza del non poter dare alcun consiglio, alcun suggerimento, alcuna speranza. Ma in ognuno di loro ho avvertito un bisogno  di raccontare la loro storia e di renderla nota: “la gente deve sapere, per rendersi conto di quello che abbiamo sopportato, con l’etichetta di mafiosi attaccata sulla fronte.Vogliamo parlare, perché non abbiamo più nulla da perdere. Vogliamo raccontare  anche dei nostri avvocati, schiavi o complici dell’operato dei tribunali”, del modo in cui simo stati trattati, delle umiliazioni, della ricerca di qualche soldo per sopravvivere”.  Altre volte sono arrivato alla conclusione che questa Sicilia è così perché noi siciliani, “giudici eletti, uomini di legge”, forze del presunto ordine, imprenditori, preti, politici, dirigenti, dipendenti, vogliamo che sia così  e che resti così. Perché non c’è più indignazione, ribellione, voglia di lotta, capacità di organizzazione. Solo rassegnazione. Perché  siamo abituati ad aggregarci come pecore a un pastore e spesso siamo disposti a perdonarlo, anche quando viene meno al suo ruolo. Perché le persone in cui abbiamo creduto e a cui abbiamo dato il voto si sono dimostrate incapaci  e hanno agito come quelle che le hanno precedute. Atutti recito, con amarezza, la parte finale di una poesia di Lorenzo Stecchetti, un poeta napoletano di fine ottocento:

“Guai a chi attende per le vie legali
vedere il trionfo della sua ragione.
Fidente aspetterà, tranquillo e muto
e resterà….fottuto.”

“Allora non c’è proprio nulla da fare?”, mi dicono. La mia risposta, scontata e poco convinta è: “sperare e lottare”. Intanto ho suggerito una proposta di una class action nei confronti degli amministratori, per il rimborso dei danni da loro causati.

Foto © Paolo Bassani

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PDFLa bozza di Dpcm che individua i territori regionali dove realizzare i nuovi inceneritori





La lista che ha scatenato le reazioni delle Regioni. E che i governatori vogliono rimettere in discussione

Il cerchio si stringe intorno a Liguria, Veneto, Piemonte, Toscana, Umbria, Marche, Campania, Abruzzo, Puglia e Sicilia. È in questi territori che, secondo l'indirizzo del governo, occorre intervenire per «soddisfare il fabbisogno residuo nazionale», realizzando nuovi impianti di incenerimento. In queste 10 regioni il fabbisogno aggiuntivo di trattamento è pari a 2,5 milioni di tonnellate all'anno per 12 inceneritori nuovi di zecca. C'è poi l'undicesima Regione - la Sardegna - dove il supplemento di potenziale è limitato a 70mila tonnellate all'anno, ottenibile intervenendo su linee esistenti. 
La localizzazione - per ora a livello regionale - è contenuta nell'ultima versione del Dpcm che il governo ha trasmesso alle Regioni. La versione che ha scatenato le proteste. Già, perché la tabella in cui si individuavano le aree territoriali è una novità dell'ultim'ora. 
Insieme all'indicazione geografica, che appare per la prima volta nel provvedimento del governo, viene rimodulata anche la lista degli impianti di incenerimento che risultano autorizzati dalle regioni ma che non sono ancora in esercizio. Si tratta degli impianti in prima linea per il soddisfacimento del fabbisogno aggiuntivo richiesto. La lista si è andata riducendo nel tempo perché le Regioni hanno aggiornato le informazioni trasmesse al ministero dell'Ambiente. E così - per esempio - è uscito di scena l'impianto piemontese di Vercelli che - fanno sapere alla regione - è un vecchio impianto esistente che sarebbe assolutamente improduttivo e inquinante da riattivare, a meno di un costosissimo revamping. Tuttavia un impianto in Piemonte - secondo il governo - dovrà essere realizzato per soddisfare un potenziale di trattamento quantificato in 140mila tonnellate all'anno.

Stessa cosa anche in Veneto, dove l'impianto veronese di Ca' del Bue è sparito dall'ultimo aggiornamento degli impianti in stand by ma è come se rientrasse dalla finestra, per così dire, visto che la nuova versione del decreto ne prevede uno in territorio veneto press'a poco della stessa capacità (150mila tonnellate all'anno). 


La regione Toscana è coinvolta pesantemente nel programma. La lista degli impianti autorizzati ma non in esercizio si riduce da tre siti a uno (l'impianto di Rufina, escono di scena quelli di Falascaia e Castelnuovo di Garfagnana) ma il governo insiste con la necessità di intervenire pesantemente con almeno due impianti dalla capacità di 150mila tonnellate annuo per una.


Alla Campania e alla Puglia viene chiesto un contributo notevole, con due impianti di capacità pari - rispettivamente a 300mila e 250mila tonnellate all'anno. In Puglia risulta ancora non operativo l'impianto di Massafra che però con le sue 100mila tonnellate all'anno è largamente insufficiente rispetto al fabbisogno. 


In Campania, Liguria, Marche, Umbria, Abruzzo si parte da zero: nessun impianto risulta finora autorizzato, ma a questi territori viene chiesto di garantire una potenzialità di 890mila tonnellate all'anno in tutto.




Sblocca Italia: il testo coordinato del decreto-legge in Gazzetta Decreto Legge, testo coordinato 12/09/2014 n° 133, G.U. 11/11/2014





TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 12 settembre 2014, n. 133
Sblocca Italia: il testo coordinato del decreto-legge in Gazzetta
Testo del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 212 del 12 settembre 2014), coordinato con la legge di conversione 11 novembre 2014, n. 164 (in questo stesso supplemento ordinario alla pag. 1), recante: «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive.». (14A08767)
Avvertenza:


Il testo coordinato qui pubblicato e' stato redatto dal Ministero della giustizia ai sensi dell'art. 11, comma 1, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, nonche' dell'art. 10, comma 3, del medesimo testo unico, al solo fine di facilitare la lettura sia delle disposizioni del decreto-legge, integrate con le modifiche apportate dalla legge di conversione, che di quelle richiamate nel decreto, trascritte nelle note. Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui riportati.


Le modifiche apportate dalla legge di conversione sono stampate con caratteri corsivi.
A norma dell'art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
Capo I
Misure per la riapertura dei cantieri
Art. 1





Disposizioni urgenti per sbloccare gli interventi sugli assi ferroviari Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina ed altre misure urgenti per sbloccare interventi sugli aeroporti di interesse nazionale


1. L'Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato S.p.A e' nominato, per la durata di due anni dall'entrata in vigore del presente decreto, Commissario per la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli - Bari, di cui al Programma Infrastrutture Strategiche previsto dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. L'incarico e' rinnovabile con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, tenuto conto anche dei risultati conseguiti e verificati in esito alla rendicontazione di cui al comma 8. Al Commissario di cui al primo periodo non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti, comunque denominati.
2. Per le finalita' di cui al comma 1, ed allo scopo di poter celermente stabilire le condizioni per l'effettiva realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli - Bari, in modo da poter avviare i lavori relativi a parte dell'intero tracciato entro e non oltre il 31 ottobre 2015, il Commissario provvede all'approvazione dei relativi progetti. Al fine di ridurre i costi e i tempi di realizzazione dell'opera, con particolare riferimento alla tratta appenninica Apice-Orsara, fatta salva la previsione progettuale, lungo la suddetta tratta, della stazione ferroviaria in superficie, il Commissario rielabora i progetti anche gia' approvati ma non ancora appaltati. Anche sulla base dei soli progetti preliminari, il Commissario puo' bandire la gara e tassativamente entro centoventi giorni dall'approvazione dei progetti decorrenti dalla chiusura della conferenza di servizi provvede alla consegna dei lavori, anche adottando provvedimenti d'urgenza. Negli avvisi, nei bandi di gara o nelle lettere di invito il Commissario prevede che la mancata accettazione, da parte delle imprese, delle clausole contenute nei protocolli di legalita' stipulati con le competenti prefetture-uffici territoriali del Governo, riferite alle misure di prevenzione, controllo e contrasto dei tentativi di infiltrazione mafiosa, nonche' per la verifica della sicurezza e della regolarita' dei luoghi di lavoro, costituisce causa di esclusione dalla gara e che il mancato adempimento degli obblighi previsti dalle clausole medesime, nel corso dell'esecuzione del contratto, comporta la risoluzione del contratto stesso. Il mancato inserimento delle suddette previsioni comporta la revoca del mandato di Commissario. Il Commissario provvede inoltre all'espletamento di ogni attivita' amministrativa, tecnica ed operativa, comunque finalizzata alla realizzazione della citata tratta ferroviaria, utilizzando all'uopo le strutture tecniche di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica in relazione all'avvalimento delle strutture tecniche citate. In sede di aggiornamento del Contratto di programma il Commissario trasmette al CIPE i progetti approvati, il cronoprogramma dei lavori e il relativo stato di avanzamento, segnalando eventuali anomalie e significativi scostamenti rispetto ai termini fissati nel cronoprogramma di realizzazione delle opere, anche ai fini della valutazione di definanziamento degli interventi. Il contratto istituzionale di sviluppo sottoscritto in relazione all'asse ferroviario Napoli - Bari puo' essere derogato in base alle decisioni assunte dal Commissario di cui al comma 1.
2-bis. Si applicano gli obblighi di pubblicazione di cui agli articoli 37, 38 e 39 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
Resta altresi' ferma l'applicazione dell'articolo 1, comma 17, della legge 6 novembre 2012, n. 190.


3. Gli interventi da praticarsi sull'area di sedime della tratta ferroviaria Napoli-Bari, nonche' quelli strettamente connessi alla realizzazione dell'opera, sono dichiarati indifferibili, urgenti e di pubblica utilita'.
4. La conferenza di servizi per la realizzazione degli interventi sopra citati e' convocata entro quindici giorni dall'approvazione dei progetti. Qualora alla conferenza di servizi il rappresentante di un'amministrazione invitata sia risultato assente, o, comunque, non dotato di adeguato potere di rappresentanza, la conferenza delibera prescindendo dalla sua presenza e dalla adeguatezza dei poteri di rappresentanza dei soggetti intervenuti. Il dissenso manifestato in sede di conferenza dei servizi deve essere motivato e recare, a pena di non ammissibilita', le specifiche indicazioni progettuali necessarie ai fini dell'assenso. Con riferimento agli interventi di cui al presente comma, in caso di motivato dissenso espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico ovvero alla tutela della salute e della pubblica incolumita', si applica l'articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni; in tal caso, tutti i termini previsti dal citato comma 3 sono ridotti alla meta'.
5. I pareri, i visti ed i nulla-osta relativi agli interventi, necessari anche successivamente alla conferenza di servizi di cui al comma 4, sono resi dalle Amministrazioni competenti entro trenta giorni dalla richiesta e, decorso inutilmente tale termine, si intendono acquisiti con esito positivo.
6. Sulla base di apposita convenzione fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, il Commissario, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si avvale della predetta Agenzia per favorire l'informazione, il coinvolgimento e i rapporti con i territori interessati, ai fini della migliore realizzazione dell'opera.
7. La realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli -- Bari e' eseguita a valere sulle risorse previste nell'ambito del Contratto di programma stipulato tra RFI e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
8. Il Commissario, entro il 31 gennaio dell'esercizio finanziario successivo a quello di riferimento, provvede alla rendicontazione annuale delle spese di realizzazione della tratta ferroviaria Napoli
- Bari sulla scorta dei singoli stati di avanzamento dei lavori, segnalando eventuali anomalie e significativi scostamenti rispetto ai termini fissati nel cronoprogramma di realizzazione delle opere, anche ai fini della valutazione di definanziamento degli interventi.
Il rendiconto semestrale e' pubblicato nei siti web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e delle regioni il cui territorio e' attraversato dalla tratta ferroviaria Napoli - Bari.


8-bis. Al fine di non incorrere nelle limitazioni del patto di stabilita' interno, il Commissario e' autorizzato a richiedere i trasferimenti di cassa, in via prioritaria, a valere sulle risorse di competenza nazionale e, in via successiva, sulle risorse di competenza regionale, che insieme concorrono a determinare la copertura finanziaria dell'opera.



9. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 8 del presente articolo si applicano anche alla realizzazione dell'asse ferroviario AV/AC Palermo-Catania-Messina.



10. Per accelerare la conclusione del contratto il cui periodo di vigenza e' scaduto e consentire la prosecuzione degli interventi sulla rete ferroviaria nazionale, il contratto di programma 2012-2016
- parte investimenti, sottoscritto in data 8 agosto 2014 tra la societa' Rete ferroviaria italiana (RFI) Spa e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e' approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Lo schema di decreto di cui al primo periodo e' trasmesso alle Camere entro trenta giorni dalla predetta data, per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia. I pareri sono espressi entro trenta giorni dalla data di assegnazione. Decorso tale termine, il decreto puo' comunque essere emanato. Una quota pari a 220 milioni di euro delle risorse stanziate dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147, quale contributo in conto impianti a favore di RFI e' finalizzata agli interventi di manutenzione straordinaria previsti nel Contratto di Programma parte Servizi 2012-2014, con conseguente automatico aggiornamento delle relative tabelle contrattuali. Agli enti locali che hanno sottoscritto, entro il 31 dicembre 2013, apposite convenzioni con la societa' RFI Spa per l'esecuzione di opere volte all'eliminazione di passaggi a livello, anche di interesse regionale, pericolosi per la pubblica incolumita', e' concesso di escludere, nel limite di tre milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, dal computo del patto di stabilita' interno per gli anni 2014 e 2015 le spese da essi sostenute per la realizzazione di tali interventi, a condizione che la societa' RFI Spa disponga dei relativi progetti esecutivi, di immediata cantierabilita', alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Ai relativi oneri si provvede per l'anno 2014 a valere sulle risorse di cui all'articolo 4, comma 3, e per l'anno 2015 a valere sulle risorse di cui al comma 5 del medesimo articolo. Alla ripartizione degli spazi finanziari tra gli enti locali si provvede con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.


10-bis. Al fine di rendere cantierabili nel breve termine opere di interesse pubblico nazionale o europeo nel settore ferroviario, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti redige il Piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria, con il quale individua, secondo criteri di convenienza economica per il sistema-Paese, le linee ferroviarie da ammodernare, anche tramite l'impiego dei fondi della Connecting Europe Facility, sia per il settore delle merci sia per il trasporto dei passeggeri.
Il Piano e' redatto in collaborazione con le associazioni di categoria del settore ed e' tempestivamente reso pubblico nel rispetto delle disposizioni del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.


11. Per consentire l'avvio degli investimenti previsti nei contratti di programma degli aeroporti di interesse nazionale di cui all'articolo 698 del codice della navigazione sono approvati, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da adottarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che deve esprimersi improrogabilmente entro trenta giorni, i contratti di programma sottoscritti dall'ENAC con i gestori degli scali aeroportuali di interesse nazionale. Per gli stessi aeroporti il parere favorevole espresso dalle Regioni e dagli enti locali interessati sui piani regolatori aeroportuali in base alle disposizioni del regolamento recante disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, e successive modificazioni, comprende ed assorbe, a tutti gli effetti, la verifica di conformita' urbanistica delle singole opere inserite negli stessi piani regolatori.
11-bis. Al fine di garantire la tempestivita' degli investimenti negli aeroporti, il modello tariffario e il livello dei diritti aeroportuali sono elaborati entro ottanta giorni dall'apertura della procedura di consultazione e trasmessi all'Autorita' di regolazione dei trasporti per la successiva approvazione entro i successivi quaranta giorni. Decorsi tali termini la tariffa aeroportuale entra in vigore, fatti salvi i poteri dell'Autorita' di sospendere il regime tariffario ai sensi dell'articolo 80, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Per i contratti di programma vigenti e per la loro esecuzione resta ferma la disciplina in essi prevista in relazione sia al sistema di tariffazione, sia alla consultazione, salvo il rispetto del termine di centoventi giorni dall'apertura della procedura di consultazione per gli adeguamenti tariffari.
11-ter. In attuazione degli articoli 1, paragrafo 5, e 11, paragrafo 6, della direttiva 2009/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2009, la procedura per la risoluzione di controversie tra il gestore aeroportuale e gli utenti dell'aeroporto non puo' essere promossa quando riguarda il piano di investimento approvato dall'Ente nazionale per l'aviazione civile e le relative conseguenze tariffarie ne' quando il piano di investimento risulta gia' approvato dalle competenti amministrazioni.
11-quater. Per consentire la prosecuzione degli interventi previsti nel piano di investimento degli aeroporti i cui contratti di programma risultano scaduti alla data del 31 dicembre 2014, i corrispettivi tariffari per l'anno 2015 sono determinati applicando il tasso di inflazione programmato ai livelli tariffari in vigore per l'anno 2014. Tali corrispettivi si applicano, previa informativa alla International Air Transportation Association ai fini dell'aggiornamento dei sistemi di biglietteria presso le agenzie di vendita dei titoli di viaggio, dal 1° gennaio 2015 fino alla data di entrata in vigore dei livelli tariffari determinati in applicazione dei modelli di tariffazione di cui al capo II del titolo III del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e successive modificazioni.
Art. 2





Semplificazioni procedurali per le infrastrutture strategiche affidate in concessione


1. All'articolo 174 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e' aggiunto, in fine, il seguente comma:
«4-ter. Il bando di gara puo' altresi' prevedere, nell'ipotesi di sviluppo del progetto per stralci funzionali o nei casi piu' complessi di successive articolazioni per fasi, l'integrale caducazione della relativa concessione, con la conseguente possibilita' in capo al concedente di rimettere a gara la concessione per la realizzazione dell'intera opera, qualora, entro un termine non superiore a tre anni, da indicare nel bando di gara stesso, dalla data di approvazione da parte del CIPE del progetto definitivo dello stralcio funzionale immediatamente finanziabile, la sostenibilita' economico finanziaria degli stralci successivi non sia attestata da primari istituti finanziari.».
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica alle concessioni ed alle procedure in finanza di progetto con bando gia' pubblicato alla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. All'articolo 175, comma 5-bis, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono aggiunte, infine, le seguenti parole: «Si applicano altresi' le disposizioni di cui all'articolo 174».
4. Al comma 2 dell'articolo 19 del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, le parole : «ne' agli interventi da realizzare mediante finanza di progetto le cui proposte sono state gia' dichiarate di pubblico interesse alla data di entrata in vigore del presente decreto» sono soppresse.
Art. 3





Ulteriori disposizioni urgenti per lo sblocco di opere indifferibili, urgenti e cantierabili per il rilancio dell'economia


1. Per consentire nell'anno 2014 la continuita' dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori, il Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai sensi dell'articolo 18, comma 1, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, e' incrementato di complessivi 3.851 milioni di euro, di cui 26 milioni per l'anno 2014, 231 milioni per l'anno 2015, 159 milioni per l'anno 2016, 1.073 milioni per l'anno 2017, 2.066 milioni per l'anno 2018 e 148 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020.
1-bis. Il fondo di cui al comma 1 e' altresi' incrementato, per un importo pari a 39 milioni di euro, mediante utilizzo delle disponibilita', iscritte in conto residui, derivanti dalle revoche disposte dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, e confluite nel fondo di cui all'articolo 32, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
2. Con uno o piu' decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, quanto alle opere di cui alle lettere a) e b), nonche' entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quanto alle opere di cui alla lettera c), sono finanziati, a valere sulle risorse di cui ai commi 1 e 1-bis:
a) i seguenti interventi ai sensi degli articoli 18 e 25 del decreto-legge n. 69 del 2013 cantierabili entro il 31 dicembre 2014:
Completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino;
Completamento sistema idrico Basento -- Bradano, Settore G; Asse autostradale Trieste -- Venezia; Interventi di soppressione e automazione di passaggi a livello sulla rete ferroviaria, individuati, con priorita' per la tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce; Tratta Colosseo
-- Piazza Venezia della Linea C di Roma;


b) i seguenti interventi appaltabili entro il 31 dicembre 2014 e cantierabili entro il 30 giugno 2015: ulteriore lotto costruttivo Asse AV/AC Verona Padova; Completamento asse viario Lecco -- Bergamo;
Messa in sicurezza dell'asse ferroviario Cuneo -- Ventimiglia;
Completamento e ottimizzazione della Torino -- Milano con la viabilita' locale mediante l'interconnessione tra la SS 32 e la SP 299-Tangenziale di Novara-lotto 0 e lotto 1; Terzo Valico dei Giovi
-- AV Milano Genova; Quadrilatero Umbria -- Marche; Completamento Linea 1 metropolitana di Napoli; rifinanziamento dell'articolo 1, comma 70, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, relativo al superamento delle criticita' sulle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie; Messa in sicurezza dei principali svincoli della Strada Statale 131 in Sardegna;


c) i seguenti interventi appaltabili entro il 30 aprile 2015 e cantierabili entro il 31 agosto 2015: metropolitana di Torino;
tramvia di Firenze; Lavori di ammodernamento ed adeguamento dell'autostrada Salerno - Reggio Calabria, dallo svincolo di Rogliano allo svincolo di Atilia; Autostrada Salerno - Reggio Calabria svincolo Laureana di Borrello; Adeguamento della strada statale n. 372 «Telesina» tra lo svincolo di Caianello della Strada statale n. 372 e lo svincolo di Benevento sulla strada statale n. 88;
Completamento della S.S. 291 in Sardegna; Variante della «Tremezzina»
sulla strada statale internazionale 340 «Regina»; Collegamento stradale Masserano-Ghemme; Ponte stradale di collegamento tra l'autostrada per Fiumicino e l'EUR; Asse viario Gamberale-Civitaluparella in Abruzzo; Primo lotto Asse viario S.S.
212 Fortorina; Continuita' interventi nuovo tunnel del Brennero;
Quadruplicamento della linea ferroviaria Lucca Pistoia; aeroporti di Firenze e Salerno; Completamento sistema idrico integrato della Regione Abruzzo; opere segnalate dai Comuni alla Presidenza del Consiglio dei ministri dal 2 al 15 giugno 2014 o richieste inviate ai sensi dell'articolo 18, comma 9, del decreto-legge n. 69 del 2013.


3. Le richieste di finanziamento inoltrate dagli enti locali relative agli interventi di cui al comma 2, lettera c), sono istruite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e finalizzate, nel limite massimo di 100 milioni di euro a valere sulle risorse di cui al comma 1, a nuovi progetti di interventi, secondo le modalita' indicate con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, assegnando priorita': a) alla qualificazione e manutenzione del territorio, mediante recupero e riqualificazione di volumetrie esistenti e di aree dismesse, nonche' alla riduzione del rischio idrogeologico; b) alla riqualificazione e all'incremento dell'efficienza energetica del patrimonio edilizio pubblico, nonche' alla realizzazione di impianti di produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili; c) alla messa in sicurezza degli edifici pubblici, con particolare riferimento a quelli scolastici, alle strutture socio-assistenziali di proprieta' comunale e alle strutture di maggiore fruizione pubblica. Restano in ogni caso esclusi dall'attribuzione di tali risorse i comuni che non abbiano rispettato i vincoli di finanza pubblica ad essi attribuiti. Una quota pari a 100 milioni di euro a valere sulle risorse di cui ai commi 1 e 1-bis e' destinata ai Provveditorati interregionali alle opere pubbliche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per interventi di completamento di beni immobiliari demaniali di loro competenza.
4. Agli oneri derivanti dal comma 1 del presente articolo si provvede:
a) (Soppressa);
b) quanto a 11 milioni di euro per l'anno 2014, mediante parziale utilizzo delle disponibilita' derivanti dalle revoche disposte dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, e confluite nel fondo di cui all'articolo 32, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
c) quanto a 15 milioni di euro per l'anno 2014, quanto a 5,200 milioni per l'anno 2015, quanto a 3,200 milioni per l'anno 2016 e quanto a 148 milioni per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 5, comma 1, della legge 6 febbraio 2009, n. 7;
d) quanto a 94,8 milioni di euro per l'anno 2015, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 186, della legge 24 dicembre 2012, n. 228;
e) quanto a 79,8 milioni di euro per l'anno 2015, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 212, della legge 24 dicembre 2012, n. 228;
f) quanto a 51,2 milioni di euro per l'anno 2015, a 155,8 milioni per l'anno 2016, a 925 milioni per l'anno 2017 e a 1.918 milioni per l'anno 2018, mediante corrispondente riduzione della quota nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione - programmazione 2014-2020 -
di cui all'articolo 1, comma 6, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.


5. Il mancato rispetto dei termini fissati al comma 2, lettere a), b) e c), per l'appaltabilita' e la cantierabilita' delle opere determina la revoca del finanziamento assegnato ai sensi del presente decreto.
6. Le risorse revocate ai sensi del comma 5 confluiscono nel Fondo di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e sono attribuite prioritariamente:
a) al primo lotto funzionale asse autostradale Termoli -- San Vittore;
b) al completamento della rete della Circumetnea;
c) alla metropolitana di Palermo: tratto Oreto -- Notarbartolo;
d) alla metropolitana di Cagliari: adeguamento rete attuale e interazione con l'hinterland.
d-bis) all'elettrificazione della tratta ferroviaria Martina Franca-Lecce-Otranto-Gagliano del Capo, di competenza della societa' Ferrovie del Sud Est e servizi automobilistici;
d-ter) al potenziamento del Sistema ferroviario metropolitano regionale veneto (SFMR), attraverso la chiusura del quadrilatero Mestre-Treviso-Castelfranco-Padova;
d-quater) all'ammodernamento della tratta ferroviaria Salerno-Potenza-Taranto;
d-quinquies) al prolungamento della metropolitana di Genova da Brignole a piazza Martinez;
d-sexies) alla strada statale n. 172 «dei Trulli», tronco Casamassima-Putignano.



7. Con i provvedimenti di assegnazione delle risorse di cui al comma 1 sono stabilite, in ordine a ciascun intervento, le modalita' di utilizzo delle risorse assegnate, di monitoraggio dell'avanzamento dei lavori e di applicazione di misure di revoca.



8. Per consentire la continuita' dei cantieri in corso, sono confermati i finanziamenti pubblici assegnati al collegamento Milano
- Venezia secondo lotto Rho - Monza, di cui alla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) 8 agosto 2013, n. 60/2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo 2014; nonche' sono definitivamente assegnate all'Anas S.P.A. per il completamento dell'intervento «Itinerario Agrigento-Caltanissetta-A19 - Adeguamento a quattro corsie della SS 640 tra i km 9 800 e 44 400», le somme di cui alla tabella
«Integrazioni e completamenti di lavori in corso» del Contratto di programma tra Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e ANAS S.p.A. relativo all'anno 2013, pari a 3 milioni di euro a valere sulle risorse destinate al Contratto di programma 2013 e a 42,5 milioni di euro a valere sulle risorse destinate al Contratto di programma 2012. Le risorse relative alla realizzazione degli interventi concernenti il completamento dell'asse strategico nazionale autostradale Salerno-Reggio Calabria di cui alla delibera del CIPE 3 agosto 2011, n. 62/2011, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2011, sono erogate direttamente alla societa' ANAS Spa, a fronte dei lavori gia' eseguiti.


9. Le opere elencate nell'XI allegato infrastrutture approvato ai sensi dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, dal CIPE nella seduta del 1o agosto 2014, che, alla data di entrata in vigore del presente decreto non sono state ancora avviate e per le quali era prevista una copertura parziale o totale a carico del Fondo Sviluppo e Coesione 2007-2013 confluiscono automaticamente nel nuovo periodo di programmazione 2014-2020. Entro il 31 ottobre 2014, gli Enti che a diverso titolo partecipano al finanziamento e o alla realizzazione delle opere di cui al primo periodo confermano o rimodulano le assegnazioni finanziarie inizialmente previste.
9-bis. Le opere elencate nell'XI allegato infrastrutture approvato ai sensi dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni, dal CIPE nella seduta del 1°agosto 2014, che siano gia' state precedentemente qualificate come opere strategiche da avviare nel rispetto dell'articolo 41 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni, e per le quali alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sia stata indetta la conferenza di servizi di cui all'articolo 165 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, sono trasmesse in via prioritaria al CIPE, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai fini dell'assegnazione delle risorse finanziarie necessarie per la loro realizzazione, previa verifica dell'effettiva sussistenza delle risorse stesse.
10. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e' confermato Autorita' Nazionale capofila e Capo Delegazione dei Comitati di Sorveglianza con riferimento al nuovo periodo di programmazione 2014-2020 dei programmi di cooperazione interregionale ESPON e URBACT, in considerazione di quanto gia' previsto dalla delibera del CIPE 21 dicembre 2007, n. 158/2007, pubblicata nel supplemento ordinario n. 148 alla Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2008, ed in relazione alla missione istituzionale di programmazione e sviluppo del territorio propria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
11. E' abrogato il comma 11-ter dell'articolo 25 del decreto-legge n. 69 del 2013, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013.
12. Dopo l'articolo 6-bis, comma 2, del decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 117, e' aggiunto il seguente comma:
«2-bis. Le risorse disponibili sulla contabilita' speciale intestata al Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 dicembre 2012, allegato al decreto-legge 1 luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 94, sono versate nell'anno 2014 all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze a uno o piu' capitoli di bilancio dello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero della giustizia secondo le ordinarie competenze definite nell'ambito del decreto di cui al comma 2.».
12-bis. Per il completamento degli interventi infrastrutturali di viabilita' stradale di cui all'articolo 1, comma 452, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e' autorizzata la spesa di 487.000 euro per l'anno 2014.
12-ter. All'onere derivante dal comma 12-bis si provvede, per l'anno 2014, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista dall'articolo 2, comma 3, della legge 18 giugno 1998, n. 194.
Art. 4





Misure di semplificazione per le opere incompiute segnalate dagli Enti locali e misure finanziarie a favore degli Enti territoriali


1. Al fine di favorire la realizzazione delle opere segnalate dai Comuni alla Presidenza del Consiglio dei ministri dal 2 al 15 giugno 2014 e di quelle inserite nell'elenco-anagrafe di cui all'articolo 44-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per le quali la problematica emersa attenga al mancato concerto tra Amministrazioni interessate al procedimento amministrativo, e' data facolta' di riconvocare la Conferenza di Servizi, ancorche' gia' definita in precedenza, funzionale al riesame dei pareri ostativi alla realizzazione dell'opera. Ove l'Ente proceda ad una riconvocazione, i termini di cui all'articolo 14-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, sono ridotti alla meta'. Resta ferma la facolta', da parte del Comune o dell'unione dei Comuni procedenti, di rimettere il procedimento alla deliberazione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 14-quater, comma 3, della legge 241 del 1990, i cui termini sono ridotti alla meta'.
2. In caso di mancato perfezionamento del procedimento comunque riconducibile ad ulteriori difficolta' amministrative, e' data facolta' di avvalimento a scopo consulenziale -- acceleratorio dell'apposita cabina di regia istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
3. I pagamenti connessi agli investimenti in opere oggetto di segnalazione entro il 15 giugno 2014 alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nel limite di 250 milioni di Euro per l'anno 2014, sono esclusi dal patto di stabilita' interno alle seguenti condizioni, accertate a seguito di apposita istruttoria a cura degli Uffici della medesima Presidenza del Consiglio dei ministri, da concludere entro 30 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto:
a) le opere alle quali si riferiscono i pagamenti devono essere state preventivamente previste nel Programma Triennale delle opere pubbliche;
b) i pagamenti devono riguardare opere realizzate, in corso di realizzazione o per le quali sia possibile l'immediato avvio dei lavori da parte dell'ente locale richiedente;
c) i pagamenti per i quali viene richiesta l'esclusione del patto di stabilita' devono essere effettuati entro il 31 dicembre 2014;
c-bis) i pagamenti per i quali viene richiesta l'esclusione dal patto di stabilita' devono riguardare prioritariamente l'edilizia scolastica, gli impianti sportivi, il contrasto del dissesto idrogeologico, la sicurezza stradale.
4. Entro 15 giorni dalla conclusione dell'istruttoria di cui al comma 3, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono individuati i Comuni che beneficiano della esclusione dal patto di stabilita' interno e l'importo dei pagamenti da escludere.
4-bis. Al comma 88 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, dopo le parole: «26 febbraio 1992, n. 211,» sono inserite le seguenti: «e del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,».
5. Sono esclusi dai vincoli del patto di stabilita' interno, per un importo complessivo di 300 milioni di euro, i pagamenti, sostenuti successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, relativi a debiti in conto capitale degli enti territorial
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:30

Beni confiscati, indagata il giudice Silvana Saguto Dettagli Pubblicato: 

10 Settembre 2015


saguto silvana
Sotto inchiesta anche il marito e l'avvocato Seminara 
di Aaron Pettinari

Corruzione, induzione e abuso d'ufficio. Sono queste le accuse nei confronti del giudice di Palermo Silvana Saguto finita al centro della nuova bufera giudiziaria che investe un fronte tanto delicato come quello della gestione dei beni confiscati alla mafia. L'indagine condotta dalla procura di Caltanissetta è davvero senza precedenti. Il procuratore Sergio Lari ipotizza che il giudice, presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, abbia assegnato incarichi milionari all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, titolare di uno studio a cui è affidata la gestione di diverse aziende confiscate. Quest'ultimo, per restituire il favore, avrebbe offerto maxi consulenze al marito della Saguto, l’ingegnere Lorenzo Caramma, pure lui indagato. L’indagine sostiene che nel corso degli anni il professionista avrebbe ricevuto quasi 750 mila euro da Cappellano.

Gli avvisi di garanzia sono scattati ieri mattina così come le perquisizioni che la procura di Caltanissetta ha affidato al nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Palermo. Gli investigatori hanno cercato a casa del giudice e dell’avvocato, ma anche nei loro uffici. 
Nel corso dell'operazione sono stati acquisiti diversi documenti riguardanti le nomine ricevute da Cappellano Seminara. Ma nel decreto di perquisizione si fa riferimento anche ad intercettazioni disposte nel maggio scorso dai magistrati che conducono l’inchiesta, il procuratore aggiunto Lia Sava e il sostituto Gabriele Paci, anche loro ieri a Palermo per seguire le perquisizioni.

L'inchiesta scaturisce da denunce pubbliche, neanche recenti, su un giro di affidamenti dei beni a pochi professionisti che ne avrebbero ricavato "parcelle d'oro". Questo aveva denunciato nel gennaio 2014 il prefetto Giuseppe Caruso, a quel tempo direttore dell'Agenzia dei beni confiscati, che gestisce un patrimonio di circa 30 miliardi di euro con beni distribuiti in tutta Italia: solo il 43 per cento di questo immenso patrimonio si trova in Sicilia in gran parte concentrato in provincia di Palermo. Disse Caruso di fronte alla Commissione antimafia: “Non è normale che i tre quarti del patrimoni confiscati alla criminalità organizzata siano nelle mani di poche persone”.

Per questo, aveva spiegato ai parlamentari della commissione, aveva deciso una rotazione di amministratori. Cappellano Seminara aveva replicato ricordando che si occupava di confische da 28 anni con uno studio di 35 professionisti. E quanto ai compensi una cosa, aveva detto, è gestire l'amministrazione dinamica di un'impresa, altra cosa è liquidarla secondo le nuove direttive dell'Agenzia”.
Anche Silvana Saguto era stata ascoltata dalla Commissione davanti alla quale aveva assicurato che la gestione dei beni confiscati a Palermo era improntata alla massima correttezza. E la presidente Rosy Bindi alla fine aveva detto che non c'erano elementi tali da “inficiare condotte delle singole persone”.
Se per la Commissione il capitolo sui beni confiscati era stato chiuso così non è stato per la Procura nissena. Gli inquirenti si erano occupati della gestione dei beni confiscati a Palermo già in precedenza, grazie alle denunce del giornalista di Telejato, Pino Maniaci che lo scorso maggio, intervistato dalle Iene, aveva parlato proprio della spartizione di pochi amministratori giudiziari che si spartiscono la gestione dei beni sequestrati a Cosa nostra. Maniaci ha anche presentato un esposto alla procura di Caltanissetta ed è autore di parecchie interviste in cui attacca frontalmente lo stesso avvocato Cappellano Seminara, che per tutta risposta nei mesi scorsi lo ha denunciato per stalking.
Nei mesi scorsi il fascicolo d'indagine sull'argomento dei beni confiscati era rimasto sempre contro ignoti. Poi, grazie alle intercettazioni ambientali, sarebbe arrivata la svolta.
A dare notizia dell’inchiesta è la stessa procura nissena, con una nota diffusa “allo scopo di evitare il diffondersi di notizie inesatte“. “Su disposizione della procura della Repubblica di Caltanissetta – si legge nella nota – i militari del nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza di Palermo, in alcuni casi con la diretta partecipazione dei magistrati titolari del relativo procedimento penale, hanno eseguito ordini di esibizione nonché decreti di perquisizione e sequestro in data 9 settembre 2015″. “Questi atti istruttori – prosegue la nota – sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d’ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla Presidente della sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo nell’applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”.
Da parte sua il giudice Saguto, a cui nei mesi scorsi era stata potenziata la scorta dopo la nota dei servizi di sicurezza che aveva fatto filtrare un allarme dove si indicava il magistrato come obbiettivo do un piano di morte di Cosa Nostra, raggiunta dal sito livesicilia.it, si difende: “Non ho dubbi sul mio operato e chiederò subito di essere interrogata. Incarichi a mio marito? Ne ha avuto uno solo a Palermo, e oggi chiuso, che risale agli anni in cui non ero alla sezione misure di prevenzione”.

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Beni sequestrati: sollevato il coperchio. Adesso vediamo cosa c’è dentro



di Salvo Vitale
Un'occhiata dentro la pentola

Il terremoto che ha scosso una parte dell’Ufficio misure di prevenzione viene da lontano, ma ha avuto un'accelerazione  dopo che, nel maggio scorso, Leonardo Guarnotta ha lasciato, per andare in pensione, la presidenza del tribunale di Palermo e, al suo posto s’è insediato il giudice Salvatore Di Vitale. In precedenza il prefetto Caruso, a capo dell’Agenzia dei beni confiscati alla mafia di Reggio Calabria, aveva più volte evidenziato le difficoltà con cui si trovava a lavorare nel suo ufficio, sia per mancanza di personale, sia per le anomalie di una legislazione che dava carta bianca ai giudici delle misure di prevenzione, conferendo loro un enorme potere. Al centro delle sue critiche il ruolo degli amministratori giudiziari, una cerchia privilegiata di poche persone incapaci o voraci che avevano condotto al fallimento la quasi totalità delle imprese affidate , con la perdita di posti di lavoro e di credibilità nei confronti di chi avrebbe dovuto rappresentare lo stato.  La Commissione Antimafia, venuta a Palermo nel marzo 2015, ascoltava il prefetto Caruso, ascoltava magistrati e amministratori, ma non riusciva a liberarsi dal pregiudizio che Caruso fosse un uomo di centro destra e che era “di sinistra” la difesa della magistratura e del suo operato nella lotta contro la mafia.  Tutto rimaneva congelato, si prometteva una nuova legge, Caruso pertanto preferiva, o forse era invitato ad andare in pensione e al suo posto veniva nominato il più morbido prefetto Pignatone.

Andava intanto avanti  la solitaria battaglia della piccola emittente televisiva Telejato, da tempo caratterizzata da una spiccata vocazione antimafia e l’inchiesta si dipanava attraverso il comportamento degli amministratori giudiziari, il loro malgoverno, la cupoIa che soprastava a tutto ciò, della quale facevano parte la presidente dell’ufficio misure di prevenzione, esponenti della DIA al suo  servizio, magistrati di varie procure siciliane, cancellieri, figli, parenti, amici e loro figli, una serie di avvocati e dottori in economia e commercio, con studi più o meno rinomati, ma legati dagli stessi interessi e in stretta corrispondenza tra di loro. Unico obiettivo, gestire una fonte di reddito incalcolabile che proveniva dai beni confiscati ai mafiosi, o presunti tali, ma soprattutto usare a proprio vantaggio la benevolenza di chi disponeva  a chi assegnare le nomine o emetteva decreti di sequestro, magari avendo già  individuato da tempo il nome dell’amministratore che avrebbe nominato, o su sollecitazione dello stesso. Entrare “in quota”, cioè nelle grazie di Silvana Saguto, che, dopo una serie di cariche rivestite nel settore penale della Procura di Palermo,  si era trovata a dirigere le misure di prevenzione, significava sistemarsi e introitare ricchezze senza troppa fatica. Il canale d'accesso privilegiato era Cappellano Seminara, con il suo megastudio e con una trentina di avvocati al suo servizio, ma con buoni "ammanicamenti"  presso buona parte degli studi legali palermitani. Fra l’altro, eventuali assoluzioni dei presunti mafiosi nei processi, non comportavano la riconsegna dei beni: l’ufficio misure di prevenzione poteva mantenere il sequestro, reiterarlo con nuove presunte imputazioni, trasformarlo in confisca, ma lasciarlo in mano agli stessi amministratori, ratificare le scelte fatte da costoro, attribuire loro incarichi senza limiti e senza controlli, emettere decreti di confisca anche sulla base di semplici sospetti, deduzioni, transitività di parentele mafiose, storie pregresse di collusioni da parte di antenati o parenti, deposizioni pilotate di pentiti, disposti a dire quello che gli suggerivano di dire, magari  poi smentiti in sede processuale. Con una peculiarità unica in Europa, in aperta violazione dei diritti del cittadino e della tutela dei suoi beni,  la legge prevede che non è il giudice a dimostrare o a raccogliere le prove relative all’imputazione, ma spetta all’indagato l’onere della prova, ovvero la dimostrazione che, quanto è stato da lui realizzato, non è stato fatto con i soldi o con la collusione della mafia. Pratiche di questo tipo erano in vigore durante la Controriforma, dal 1500 al 1700, allorchè vigeva la legge del sospetto:  bastava una semplice denuncia di un privato,  per sbarazzarsi di una  presenza scomoda e impadronirsi dei suoi beni. In questo caso è vero che l’unico proprietario dei beni rimane lo stato, ma prima che lo diventi c’è una lunga trafila fatta di udienze, di rinvii, di nomine, di riconvocazioni, di ritardi, di decreti, di tempi di pubblicazione del decreto, di tempi di produzione del decreto al magistrato, di documenti cui manca una firma o  una parola, di richieste di nuovi documenti ecc., che consentono all’amministratore giudiziario di restare saldamente al suo posto e di continuare a spremere gli emolumenti per sé e per i suoi collaboratori dalle casse dell’azienda affidata. Aggiungiamo che l’amministratore, sino ad adesso, non paga e non ha mai pagato per le sue disfunzioni, per la sua cattiva amministrazione, per la sua incapacità o per i suoi furti nella gestione aziendale, che non è vero, o è vero solo sulla carta, che gli amministratori sono pagati dallo stato: i soldi sono estratti dai proventi dell’azienda, dalla eventuale vendita dei beni di questa, (in molti casi svendita o vendita ad amici e in condizioni di favore), dalle discrasie di una legge che obbliga alla riscossione dei crediti, ma non al pagamento dei debiti.  La legge sulle  misure dei prevenzione ha altri aspetti  e punti deboli che ne mettono in discussione la stessa esistenza. Il sistema palermitano dei “quotini”  rappresenta la degenerazione di questa legge e la creazione di quella che, poco opportunamente, è stata definita “mafia dell’antimafia”, ovvero di un sistema di gestione delle risorse dell’economia siciliana non secondo il criterio moderno della produttività, ma secondo quello, tipicamente mafioso, del parassitismo economico: non investimento e imprenditorialità, ma disamministrazione, clientelismo, spartizione dei proventi tra una cerchia di amici, curatori, collaboratori, di cui non ci sarebbe alcun bisogno, ma che appartengono al cerchio magico,  e utilizzazione della maschera della legalità per arrivare alla drammatica, retorica e scontata conclusione che in Sicilia, quando si tenta di fare rispettare la legge, inevitabilmente si fallisce, perché non c’è la cultura della legalità e perché tutta l’economia siciliana è fondata sul lavoro nero, sulla corruzione, sullo sfruttamento illegale dei lavoratori,  sull’evasione fiscale, sul circuito di distribuzione di merci e lavori tra i rappresentanti del sodalizio mafioso o paramafioso, nel quale è difficile entrare se non se ne condividono le regole.  Nulla di diverso dalla “cupola quotina” che in questo momento sta strangolando Palermo. Sembrerebbe che la mafia generi contromisure repressive che presentano le stesse caratteristiche di quelle mafiose: cambiano i volti ma non i metodi.

A seguito di tutto questo il tribunale di Caltanissetta convocava Pino Maniaci, il responsabile della piccola emittente televisiva Telejato, come persona informata dei fatti: Maniaci si presentava ai P.M. Gabriele Paci e Nico Gozzo, che  vanno e vengono anche dal tribunale di Palermo, con una serie di documenti e di notizie delle quali gli stessi giudici sembravano non essere a conoscenza e, dopo qualche ora di audizione se ne andava, con l’impegno di essere riconvocato, cosa che ancora non è successa. Tuttavia qualcosa sembra essersi smosso, dopo le due trasmissioni delle Iene, che hanno messo in luce l’incapacità amministrativa di Modica de Moach, amministratore e distruttore dell’azienda dei Cavallotti e di Cappellano Seminara ,“il re” degli amministratori, dall’alto dei suoi 94 incarichi e non solo 8 come egli stesso ha sostenuto. Qualcosa si è anche mosso dopo che una serie di procedimenti penali si sono conclusi con l’assoluzione definitiva dei presunti  imprenditori “in odor di mafia” e con sentenze di restituzione dei beni sequestrati e, in alcuni casi, confiscati. I giudici si stanno trovando adesso ad affrontare situazioni sinora impensabili, ovvero quella degli imprenditori che, dopo anni di “allegra finanza”, per non parlare di rapine, da parte dei  nominati dal tribunale, chiedono di essere risarciti proprio da questi. Ove dovesse avviarsi questa scelta di risarcimento, ci troveremmo, per la prima volta in una circostanza molto vicina a quella sulla responsabilità civile dei giudici e sarebbe forse il primo serio segnale di presenza dello stato.

Ultimi sviluppi

- Silvana Saguto è stata “spostata” alla terza sezione penale: coloro che finiscono tra le sue mani si augurano che eviti di continuare a convocare l’udienza alle nove e presentarsi a mezzogiorno per disporre un rinvio di tre mesi o che si diletti a colorare i suoi fogli di appunti con matite di vari colori quando parlano gli avvocati difensori. In un paese normale un magistrato sotto indagine per reati di corruzione e induzione alla corruzione, dovrebbe essere sospeso dall’incarico, in attesa di chiarire la sua posizione, ma non è il caso dell’Italia o della Procura di Palermo. Assieme a lei sono indagati il marito Lorenzo Caramma, un ingegnere che si dice abbia ricevuto 700.000 euro da Cappellano Seminara come compenso per consulenze, il figlio Elio detto Crazy, che lavora come chef presso l’hotel Brunaccini di Cappellano Seminara, anche se lui lo nega e, addirittura, secondo qualche giornale, anche il padre della Saguto. Al posto della Saguto è stato nominato il giudice Mario Fontana, presidente della terza sezione penale;

- Walter Virga, il trentenne amministratore giudiziario della rete di negozi Bagagli e dell’impero finanziario dei Rappa (un miliardo e mezzo di lire, secondo le stime della DIA), si è  dimesso dal suo incarico in quanto figlio di Pietro Virga, già componente del C.S.M.. non rieletto e pertanto tornato presso il tribunale di Palermo. E’ al vaglio degli inquirenti l’accusa di essersi adoperato per chiudere un procedimento penale nei confronti della Saguto;

- Il giudice Chiaramonte, componente del collegio delle misure di prevenzione, ha chiesto di essere trasferito ad altro ufficio ed è indagato per abuso d'ufficio. Al suo posto andrà Luigi Petrucci.

- Il giudice Dario Scaletta, sorta di devoto uomo della Saguto, è sotto indagine perché sembra sia andato a raccontarle che nei suoi confronti era stata aperta un’ inchiesta;

- Cappellano Seminara dopo la denuncia per truffa scattata in Romania, è indagato per gli stessi reati della Saguto, ma sembra che su di lui stiano piovendo una serie di altre indagini e accuse. Lui se n’è uscito con un semplice “Così fan tutti”, più o meno come aveva detto Craxi quando voleva scagionarsi dall’accusa di intascare tangenti;

- Su Fabio Licata, anche lui componente del collegio giudicante delle misure di prevenzione, si dice che ci saranno sviluppi, ovvero che potrebbe essere indagato o essere sentito come teste. Ultimamente, in un pubblico intervento si è sperticato nell'elogio  della legge sulle misure di prevenzione;

- La DIA, nel suo strisciante conflitto con la DDA, continua a voler far credere di agire sparando cifre gonfiate e inesistenti sull’effettivo valore dei beni confiscati. Viene così ad essere falsata anche la valutazione complessiva dei presunti 40 miliardi di euro sequestrati in Sicilia: forse sono della metà. Non sarebbe male, pur non mettendone in discussione i meriti, arrivare alla sua chiusura, come proposto anche da qualche noto magistrato antimafia (Gratteri) e raggruppare le competenze in un solo organismo.

- Carmelo Provenzano, che qualche giorno prima su La Repubblica, pagina di Palermo, si era sperticato in un elogio degli amministratori giudiziari, definendoli malpagati,  ingiustamente odiati e con infinite difficoltà nell'espletare il loro compito, è finito anche lui sotto indagine.

- Alcuni quotidiani on line dicono che presto saranno rimossi dai loro incarichi alcuni amministratori giudiziari. E’ quello che ci si augura e, mi permetto di dire all’eventuale magistrato che se ne occuperà, che posso fargli i nomi dei più corrotti e dei più incapaci.

Conclusione

Da un paio di anni mi occupo di queste storie. Ne ho sentito di tutti i colori. Negli studi di Telejato sono venute e continuano a venire persone  alle quali è stata distrutta la vita, oltre che impedita ogni possibilità di lavoro, persone a cui è stato confiscato anche il motorino della figlia, che avevano una casa di proprietà dei loro antenati  che sono stati costretti a lasciare, persone con gravi patologie e bisognose di cure, costrette a cercarsi un alloggio diverso dalla propria casa o a pagarne l’affitto all’amministratore giudiziario, vecchietti sfrattati, gente che continua a vedersi arrivare intimazioni di pagamento e bollette varie che sarebbe toccato pagare all’amministratore giudiziario, il quale non l’ha mai fatto:  risposta del tribunale cui si sono rivolti: paga per adesso e poi il tribunale provvederà a farti rimborsare. Ho ascoltato persone riferirmi di avere chiesto  al tribunale la possibilità di accedere a un prestito o di avere una proroga per curarsi o per curare i propri parenti, ma di avere ottenuto solo rifiuti e sarcastici commenti. Ho ascoltato persone cui non sono stati pagati anni di lavoro, altre rovinate dal mancato pagamento di commesse, altre buttate sulla strada dopo venti o trent’anni  di lavoro qualificato e sostituiti da gente inesperta, ma “amica” dei nuovi padroni. Qualche volta mi sono messo a piangere anche io con loro, nel sentire queste storie e  nell’ascoltare  la loro considerazione tristissima: “E’ possibile che   non debba esistere  giustizia?” Altre volte ho avvertito l’impotenza del non poter dare alcun consiglio, alcun suggerimento, alcuna speranza. Ma in ognuno di loro ho avvertito un bisogno  di raccontare la loro storia e di renderla nota: “la gente deve sapere, per rendersi conto di quello che abbiamo sopportato, con l’etichetta di mafiosi attaccata sulla fronte.Vogliamo parlare, perché non abbiamo più nulla da perdere. Vogliamo raccontare  anche dei nostri avvocati, schiavi o complici dell’operato dei tribunali”, del modo in cui simo stati trattati, delle umiliazioni, della ricerca di qualche soldo per sopravvivere”.  Altre volte sono arrivato alla conclusione che questa Sicilia è così perché noi siciliani, “giudici eletti, uomini di legge”, forze del presunto ordine, imprenditori, preti, politici, dirigenti, dipendenti, vogliamo che sia così  e che resti così. Perché non c’è più indignazione, ribellione, voglia di lotta, capacità di organizzazione. Solo rassegnazione. Perché  siamo abituati ad aggregarci come pecore a un pastore e spesso siamo disposti a perdonarlo, anche quando viene meno al suo ruolo. Perché le persone in cui abbiamo creduto e a cui abbiamo dato il voto si sono dimostrate incapaci  e hanno agito come quelle che le hanno precedute. Atutti recito, con amarezza, la parte finale di una poesia di Lorenzo Stecchetti, un poeta napoletano di fine ottocento:

“Guai a chi attende per le vie legali
vedere il trionfo della sua ragione.
Fidente aspetterà, tranquillo e muto
e resterà….fottuto.”

“Allora non c’è proprio nulla da fare?”, mi dicono. La mia risposta, scontata e poco convinta è: “sperare e lottare”. Intanto ho suggerito una proposta di una class action nei confronti degli amministratori, per il rimborso dei danni da loro causati.

Foto © Paolo Bassani

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PDFLa bozza di Dpcm che individua i territori regionali dove realizzare i nuovi inceneritori





La lista che ha scatenato le reazioni delle Regioni. E che i governatori vogliono rimettere in discussione

Il cerchio si stringe intorno a Liguria, Veneto, Piemonte, Toscana, Umbria, Marche, Campania, Abruzzo, Puglia e Sicilia. È in questi territori che, secondo l'indirizzo del governo, occorre intervenire per «soddisfare il fabbisogno residuo nazionale», realizzando nuovi impianti di incenerimento. In queste 10 regioni il fabbisogno aggiuntivo di trattamento è pari a 2,5 milioni di tonnellate all'anno per 12 inceneritori nuovi di zecca. C'è poi l'undicesima Regione - la Sardegna - dove il supplemento di potenziale è limitato a 70mila tonnellate all'anno, ottenibile intervenendo su linee esistenti. 
La localizzazione - per ora a livello regionale - è contenuta nell'ultima versione del Dpcm che il governo ha trasmesso alle Regioni. La versione che ha scatenato le proteste. Già, perché la tabella in cui si individuavano le aree territoriali è una novità dell'ultim'ora. 
Insieme all'indicazione geografica, che appare per la prima volta nel provvedimento del governo, viene rimodulata anche la lista degli impianti di incenerimento che risultano autorizzati dalle regioni ma che non sono ancora in esercizio. Si tratta degli impianti in prima linea per il soddisfacimento del fabbisogno aggiuntivo richiesto. La lista si è andata riducendo nel tempo perché le Regioni hanno aggiornato le informazioni trasmesse al ministero dell'Ambiente. E così - per esempio - è uscito di scena l'impianto piemontese di Vercelli che - fanno sapere alla regione - è un vecchio impianto esistente che sarebbe assolutamente improduttivo e inquinante da riattivare, a meno di un costosissimo revamping. Tuttavia un impianto in Piemonte - secondo il governo - dovrà essere realizzato per soddisfare un potenziale di trattamento quantificato in 140mila tonnellate all'anno.

Stessa cosa anche in Veneto, dove l'impianto veronese di Ca' del Bue è sparito dall'ultimo aggiornamento degli impianti in stand by ma è come se rientrasse dalla finestra, per così dire, visto che la nuova versione del decreto ne prevede uno in territorio veneto press'a poco della stessa capacità (150mila tonnellate all'anno). 


La regione Toscana è coinvolta pesantemente nel programma. La lista degli impianti autorizzati ma non in esercizio si riduce da tre siti a uno (l'impianto di Rufina, escono di scena quelli di Falascaia e Castelnuovo di Garfagnana) ma il governo insiste con la necessità di intervenire pesantemente con almeno due impianti dalla capacità di 150mila tonnellate annuo per una.


Alla Campania e alla Puglia viene chiesto un contributo notevole, con due impianti di capacità pari - rispettivamente a 300mila e 250mila tonnellate all'anno. In Puglia risulta ancora non operativo l'impianto di Massafra che però con le sue 100mila tonnellate all'anno è largamente insufficiente rispetto al fabbisogno. 


In Campania, Liguria, Marche, Umbria, Abruzzo si parte da zero: nessun impianto risulta finora autorizzato, ma a questi territori viene chiesto di garantire una potenzialità di 890mila tonnellate all'anno in tutto.




Sblocca Italia: il testo coordinato del decreto-legge in Gazzetta Decreto Legge, testo coordinato 12/09/2014 n° 133, G.U. 11/11/2014





TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 12 settembre 2014, n. 133
Sblocca Italia: il testo coordinato del decreto-legge in Gazzetta
Testo del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 212 del 12 settembre 2014), coordinato con la legge di conversione 11 novembre 2014, n. 164 (in questo stesso supplemento ordinario alla pag. 1), recante: «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive.». (14A08767)
Avvertenza:


Il testo coordinato qui pubblicato e' stato redatto dal Ministero della giustizia ai sensi dell'art. 11, comma 1, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, nonche' dell'art. 10, comma 3, del medesimo testo unico, al solo fine di facilitare la lettura sia delle disposizioni del decreto-legge, integrate con le modifiche apportate dalla legge di conversione, che di quelle richiamate nel decreto, trascritte nelle note. Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui riportati.


Le modifiche apportate dalla legge di conversione sono stampate con caratteri corsivi.
A norma dell'art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
Capo I
Misure per la riapertura dei cantieri
Art. 1





Disposizioni urgenti per sbloccare gli interventi sugli assi ferroviari Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina ed altre misure urgenti per sbloccare interventi sugli aeroporti di interesse nazionale


1. L'Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato S.p.A e' nominato, per la durata di due anni dall'entrata in vigore del presente decreto, Commissario per la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli - Bari, di cui al Programma Infrastrutture Strategiche previsto dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. L'incarico e' rinnovabile con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, tenuto conto anche dei risultati conseguiti e verificati in esito alla rendicontazione di cui al comma 8. Al Commissario di cui al primo periodo non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti, comunque denominati.
2. Per le finalita' di cui al comma 1, ed allo scopo di poter celermente stabilire le condizioni per l'effettiva realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli - Bari, in modo da poter avviare i lavori relativi a parte dell'intero tracciato entro e non oltre il 31 ottobre 2015, il Commissario provvede all'approvazione dei relativi progetti. Al fine di ridurre i costi e i tempi di realizzazione dell'opera, con particolare riferimento alla tratta appenninica Apice-Orsara, fatta salva la previsione progettuale, lungo la suddetta tratta, della stazione ferroviaria in superficie, il Commissario rielabora i progetti anche gia' approvati ma non ancora appaltati. Anche sulla base dei soli progetti preliminari, il Commissario puo' bandire la gara e tassativamente entro centoventi giorni dall'approvazione dei progetti decorrenti dalla chiusura della conferenza di servizi provvede alla consegna dei lavori, anche adottando provvedimenti d'urgenza. Negli avvisi, nei bandi di gara o nelle lettere di invito il Commissario prevede che la mancata accettazione, da parte delle imprese, delle clausole contenute nei protocolli di legalita' stipulati con le competenti prefetture-uffici territoriali del Governo, riferite alle misure di prevenzione, controllo e contrasto dei tentativi di infiltrazione mafiosa, nonche' per la verifica della sicurezza e della regolarita' dei luoghi di lavoro, costituisce causa di esclusione dalla gara e che il mancato adempimento degli obblighi previsti dalle clausole medesime, nel corso dell'esecuzione del contratto, comporta la risoluzione del contratto stesso. Il mancato inserimento delle suddette previsioni comporta la revoca del mandato di Commissario. Il Commissario provvede inoltre all'espletamento di ogni attivita' amministrativa, tecnica ed operativa, comunque finalizzata alla realizzazione della citata tratta ferroviaria, utilizzando all'uopo le strutture tecniche di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica in relazione all'avvalimento delle strutture tecniche citate. In sede di aggiornamento del Contratto di programma il Commissario trasmette al CIPE i progetti approvati, il cronoprogramma dei lavori e il relativo stato di avanzamento, segnalando eventuali anomalie e significativi scostamenti rispetto ai termini fissati nel cronoprogramma di realizzazione delle opere, anche ai fini della valutazione di definanziamento degli interventi. Il contratto istituzionale di sviluppo sottoscritto in relazione all'asse ferroviario Napoli - Bari puo' essere derogato in base alle decisioni assunte dal Commissario di cui al comma 1.
2-bis. Si applicano gli obblighi di pubblicazione di cui agli articoli 37, 38 e 39 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
Resta altresi' ferma l'applicazione dell'articolo 1, comma 17, della legge 6 novembre 2012, n. 190.


3. Gli interventi da praticarsi sull'area di sedime della tratta ferroviaria Napoli-Bari, nonche' quelli strettamente connessi alla realizzazione dell'opera, sono dichiarati indifferibili, urgenti e di pubblica utilita'.
4. La conferenza di servizi per la realizzazione degli interventi sopra citati e' convocata entro quindici giorni dall'approvazione dei progetti. Qualora alla conferenza di servizi il rappresentante di un'amministrazione invitata sia risultato assente, o, comunque, non dotato di adeguato potere di rappresentanza, la conferenza delibera prescindendo dalla sua presenza e dalla adeguatezza dei poteri di rappresentanza dei soggetti intervenuti. Il dissenso manifestato in sede di conferenza dei servizi deve essere motivato e recare, a pena di non ammissibilita', le specifiche indicazioni progettuali necessarie ai fini dell'assenso. Con riferimento agli interventi di cui al presente comma, in caso di motivato dissenso espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico ovvero alla tutela della salute e della pubblica incolumita', si applica l'articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni; in tal caso, tutti i termini previsti dal citato comma 3 sono ridotti alla meta'.
5. I pareri, i visti ed i nulla-osta relativi agli interventi, necessari anche successivamente alla conferenza di servizi di cui al comma 4, sono resi dalle Amministrazioni competenti entro trenta giorni dalla richiesta e, decorso inutilmente tale termine, si intendono acquisiti con esito positivo.
6. Sulla base di apposita convenzione fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, il Commissario, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si avvale della predetta Agenzia per favorire l'informazione, il coinvolgimento e i rapporti con i territori interessati, ai fini della migliore realizzazione dell'opera.
7. La realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli -- Bari e' eseguita a valere sulle risorse previste nell'ambito del Contratto di programma stipulato tra RFI e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
8. Il Commissario, entro il 31 gennaio dell'esercizio finanziario successivo a quello di riferimento, provvede alla rendicontazione annuale delle spese di realizzazione della tratta ferroviaria Napoli
- Bari sulla scorta dei singoli stati di avanzamento dei lavori, segnalando eventuali anomalie e significativi scostamenti rispetto ai termini fissati nel cronoprogramma di realizzazione delle opere, anche ai fini della valutazione di definanziamento degli interventi.
Il rendiconto semestrale e' pubblicato nei siti web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e delle regioni il cui territorio e' attraversato dalla tratta ferroviaria Napoli - Bari.


8-bis. Al fine di non incorrere nelle limitazioni del patto di stabilita' interno, il Commissario e' autorizzato a richiedere i trasferimenti di cassa, in via prioritaria, a valere sulle risorse di competenza nazionale e, in via successiva, sulle risorse di competenza regionale, che insieme concorrono a determinare la copertura finanziaria dell'opera.



9. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 8 del presente articolo si applicano anche alla realizzazione dell'asse ferroviario AV/AC Palermo-Catania-Messina.



10. Per accelerare la conclusione del contratto il cui periodo di vigenza e' scaduto e consentire la prosecuzione degli interventi sulla rete ferroviaria nazionale, il contratto di programma 2012-2016
- parte investimenti, sottoscritto in data 8 agosto 2014 tra la societa' Rete ferroviaria italiana (RFI) Spa e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e' approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Lo schema di decreto di cui al primo periodo e' trasmesso alle Camere entro trenta giorni dalla predetta data, per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia. I pareri sono espressi entro trenta giorni dalla data di assegnazione. Decorso tale termine, il decreto puo' comunque essere emanato. Una quota pari a 220 milioni di euro delle risorse stanziate dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147, quale contributo in conto impianti a favore di RFI e' finalizzata agli interventi di manutenzione straordinaria previsti nel Contratto di Programma parte Servizi 2012-2014, con conseguente automatico aggiornamento delle relative tabelle contrattuali. Agli enti locali che hanno sottoscritto, entro il 31 dicembre 2013, apposite convenzioni con la societa' RFI Spa per l'esecuzione di opere volte all'eliminazione di passaggi a livello, anche di interesse regionale, pericolosi per la pubblica incolumita', e' concesso di escludere, nel limite di tre milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, dal computo del patto di stabilita' interno per gli anni 2014 e 2015 le spese da essi sostenute per la realizzazione di tali interventi, a condizione che la societa' RFI Spa disponga dei relativi progetti esecutivi, di immediata cantierabilita', alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Ai relativi oneri si provvede per l'anno 2014 a valere sulle risorse di cui all'articolo 4, comma 3, e per l'anno 2015 a valere sulle risorse di cui al comma 5 del medesimo articolo. Alla ripartizione degli spazi finanziari tra gli enti locali si provvede con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.


10-bis. Al fine di rendere cantierabili nel breve termine opere di interesse pubblico nazionale o europeo nel settore ferroviario, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti redige il Piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria, con il quale individua, secondo criteri di convenienza economica per il sistema-Paese, le linee ferroviarie da ammodernare, anche tramite l'impiego dei fondi della Connecting Europe Facility, sia per il settore delle merci sia per il trasporto dei passeggeri.
Il Piano e' redatto in collaborazione con le associazioni di categoria del settore ed e' tempestivamente reso pubblico nel rispetto delle disposizioni del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.


11. Per consentire l'avvio degli investimenti previsti nei contratti di programma degli aeroporti di interesse nazionale di cui all'articolo 698 del codice della navigazione sono approvati, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da adottarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che deve esprimersi improrogabilmente entro trenta giorni, i contratti di programma sottoscritti dall'ENAC con i gestori degli scali aeroportuali di interesse nazionale. Per gli stessi aeroporti il parere favorevole espresso dalle Regioni e dagli enti locali interessati sui piani regolatori aeroportuali in base alle disposizioni del regolamento recante disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, e successive modificazioni, comprende ed assorbe, a tutti gli effetti, la verifica di conformita' urbanistica delle singole opere inserite negli stessi piani regolatori.
11-bis. Al fine di garantire la tempestivita' degli investimenti negli aeroporti, il modello tariffario e il livello dei diritti aeroportuali sono elaborati entro ottanta giorni dall'apertura della procedura di consultazione e trasmessi all'Autorita' di regolazione dei trasporti per la successiva approvazione entro i successivi quaranta giorni. Decorsi tali termini la tariffa aeroportuale entra in vigore, fatti salvi i poteri dell'Autorita' di sospendere il regime tariffario ai sensi dell'articolo 80, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Per i contratti di programma vigenti e per la loro esecuzione resta ferma la disciplina in essi prevista in relazione sia al sistema di tariffazione, sia alla consultazione, salvo il rispetto del termine di centoventi giorni dall'apertura della procedura di consultazione per gli adeguamenti tariffari.
11-ter. In attuazione degli articoli 1, paragrafo 5, e 11, paragrafo 6, della direttiva 2009/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2009, la procedura per la risoluzione di controversie tra il gestore aeroportuale e gli utenti dell'aeroporto non puo' essere promossa quando riguarda il piano di investimento approvato dall'Ente nazionale per l'aviazione civile e le relative conseguenze tariffarie ne' quando il piano di investimento risulta gia' approvato dalle competenti amministrazioni.
11-quater. Per consentire la prosecuzione degli interventi previsti nel piano di investimento degli aeroporti i cui contratti di programma risultano scaduti alla data del 31 dicembre 2014, i corrispettivi tariffari per l'anno 2015 sono determinati applicando il tasso di inflazione programmato ai livelli tariffari in vigore per l'anno 2014. Tali corrispettivi si applicano, previa informativa alla International Air Transportation Association ai fini dell'aggiornamento dei sistemi di biglietteria presso le agenzie di vendita dei titoli di viaggio, dal 1° gennaio 2015 fino alla data di entrata in vigore dei livelli tariffari determinati in applicazione dei modelli di tariffazione di cui al capo II del titolo III del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e successive modificazioni.
Art. 2





Semplificazioni procedurali per le infrastrutture strategiche affidate in concessione


1. All'articolo 174 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e' aggiunto, in fine, il seguente comma:
«4-ter. Il bando di gara puo' altresi' prevedere, nell'ipotesi di sviluppo del progetto per stralci funzionali o nei casi piu' complessi di successive articolazioni per fasi, l'integrale caducazione della relativa concessione, con la conseguente possibilita' in capo al concedente di rimettere a gara la concessione per la realizzazione dell'intera opera, qualora, entro un termine non superiore a tre anni, da indicare nel bando di gara stesso, dalla data di approvazione da parte del CIPE del progetto definitivo dello stralcio funzionale immediatamente finanziabile, la sostenibilita' economico finanziaria degli stralci successivi non sia attestata da primari istituti finanziari.».
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica alle concessioni ed alle procedure in finanza di progetto con bando gia' pubblicato alla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. All'articolo 175, comma 5-bis, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono aggiunte, infine, le seguenti parole: «Si applicano altresi' le disposizioni di cui all'articolo 174».
4. Al comma 2 dell'articolo 19 del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, le parole : «ne' agli interventi da realizzare mediante finanza di progetto le cui proposte sono state gia' dichiarate di pubblico interesse alla data di entrata in vigore del presente decreto» sono soppresse.
Art. 3





Ulteriori disposizioni urgenti per lo sblocco di opere indifferibili, urgenti e cantierabili per il rilancio dell'economia


1. Per consentire nell'anno 2014 la continuita' dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori, il Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai sensi dell'articolo 18, comma 1, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, e' incrementato di complessivi 3.851 milioni di euro, di cui 26 milioni per l'anno 2014, 231 milioni per l'anno 2015, 159 milioni per l'anno 2016, 1.073 milioni per l'anno 2017, 2.066 milioni per l'anno 2018 e 148 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020.
1-bis. Il fondo di cui al comma 1 e' altresi' incrementato, per un importo pari a 39 milioni di euro, mediante utilizzo delle disponibilita', iscritte in conto residui, derivanti dalle revoche disposte dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, e confluite nel fondo di cui all'articolo 32, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
2. Con uno o piu' decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, quanto alle opere di cui alle lettere a) e b), nonche' entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quanto alle opere di cui alla lettera c), sono finanziati, a valere sulle risorse di cui ai commi 1 e 1-bis:
a) i seguenti interventi ai sensi degli articoli 18 e 25 del decreto-legge n. 69 del 2013 cantierabili entro il 31 dicembre 2014:
Completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino;
Completamento sistema idrico Basento -- Bradano, Settore G; Asse autostradale Trieste -- Venezia; Interventi di soppressione e automazione di passaggi a livello sulla rete ferroviaria, individuati, con priorita' per la tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce; Tratta Colosseo
-- Piazza Venezia della Linea C di Roma;


b) i seguenti interventi appaltabili entro il 31 dicembre 2014 e cantierabili entro il 30 giugno 2015: ulteriore lotto costruttivo Asse AV/AC Verona Padova; Completamento asse viario Lecco -- Bergamo;
Messa in sicurezza dell'asse ferroviario Cuneo -- Ventimiglia;
Completamento e ottimizzazione della Torino -- Milano con la viabilita' locale mediante l'interconnessione tra la SS 32 e la SP 299-Tangenziale di Novara-lotto 0 e lotto 1; Terzo Valico dei Giovi
-- AV Milano Genova; Quadrilatero Umbria -- Marche; Completamento Linea 1 metropolitana di Napoli; rifinanziamento dell'articolo 1, comma 70, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, relativo al superamento delle criticita' sulle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie; Messa in sicurezza dei principali svincoli della Strada Statale 131 in Sardegna;


c) i seguenti interventi appaltabili entro il 30 aprile 2015 e cantierabili entro il 31 agosto 2015: metropolitana di Torino;
tramvia di Firenze; Lavori di ammodernamento ed adeguamento dell'autostrada Salerno - Reggio Calabria, dallo svincolo di Rogliano allo svincolo di Atilia; Autostrada Salerno - Reggio Calabria svincolo Laureana di Borrello; Adeguamento della strada statale n. 372 «Telesina» tra lo svincolo di Caianello della Strada statale n. 372 e lo svincolo di Benevento sulla strada statale n. 88;
Completamento della S.S. 291 in Sardegna; Variante della «Tremezzina»
sulla strada statale internazionale 340 «Regina»; Collegamento stradale Masserano-Ghemme; Ponte stradale di collegamento tra l'autostrada per Fiumicino e l'EUR; Asse viario Gamberale-Civitaluparella in Abruzzo; Primo lotto Asse viario S.S.
212 Fortorina; Continuita' interventi nuovo tunnel del Brennero;
Quadruplicamento della linea ferroviaria Lucca Pistoia; aeroporti di Firenze e Salerno; Completamento sistema idrico integrato della Regione Abruzzo; opere segnalate dai Comuni alla Presidenza del Consiglio dei ministri dal 2 al 15 giugno 2014 o richieste inviate ai sensi dell'articolo 18, comma 9, del decreto-legge n. 69 del 2013.


3. Le richieste di finanziamento inoltrate dagli enti locali relative agli interventi di cui al comma 2, lettera c), sono istruite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e finalizzate, nel limite massimo di 100 milioni di euro a valere sulle risorse di cui al comma 1, a nuovi progetti di interventi, secondo le modalita' indicate con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, assegnando priorita': a) alla qualificazione e manutenzione del territorio, mediante recupero e riqualificazione di volumetrie esistenti e di aree dismesse, nonche' alla riduzione del rischio idrogeologico; b) alla riqualificazione e all'incremento dell'efficienza energetica del patrimonio edilizio pubblico, nonche' alla realizzazione di impianti di produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili; c) alla messa in sicurezza degli edifici pubblici, con particolare riferimento a quelli scolastici, alle strutture socio-assistenziali di proprieta' comunale e alle strutture di maggiore fruizione pubblica. Restano in ogni caso esclusi dall'attribuzione di tali risorse i comuni che non abbiano rispettato i vincoli di finanza pubblica ad essi attribuiti. Una quota pari a 100 milioni di euro a valere sulle risorse di cui ai commi 1 e 1-bis e' destinata ai Provveditorati interregionali alle opere pubbliche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per interventi di completamento di beni immobiliari demaniali di loro competenza.
4. Agli oneri derivanti dal comma 1 del presente articolo si provvede:
a) (Soppressa);
b) quanto a 11 milioni di euro per l'anno 2014, mediante parziale utilizzo delle disponibilita' derivanti dalle revoche disposte dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, e confluite nel fondo di cui all'articolo 32, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
c) quanto a 15 milioni di euro per l'anno 2014, quanto a 5,200 milioni per l'anno 2015, quanto a 3,200 milioni per l'anno 2016 e quanto a 148 milioni per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 5, comma 1, della legge 6 febbraio 2009, n. 7;
d) quanto a 94,8 milioni di euro per l'anno 2015, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 186, della legge 24 dicembre 2012, n. 228;
e) quanto a 79,8 milioni di euro per l'anno 2015, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 212, della legge 24 dicembre 2012, n. 228;
f) quanto a 51,2 milioni di euro per l'anno 2015, a 155,8 milioni per l'anno 2016, a 925 milioni per l'anno 2017 e a 1.918 milioni per l'anno 2018, mediante corrispondente riduzione della quota nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione - programmazione 2014-2020 -
di cui all'articolo 1, comma 6, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.


5. Il mancato rispetto dei termini fissati al comma 2, lettere a), b) e c), per l'appaltabilita' e la cantierabilita' delle opere determina la revoca del finanziamento assegnato ai sensi del presente decreto.
6. Le risorse revocate ai sensi del comma 5 confluiscono nel Fondo di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e sono attribuite prioritariamente:
a) al primo lotto funzionale asse autostradale Termoli -- San Vittore;
b) al completamento della rete della Circumetnea;
c) alla metropolitana di Palermo: tratto Oreto -- Notarbartolo;
d) alla metropolitana di Cagliari: adeguamento rete attuale e interazione con l'hinterland.
d-bis) all'elettrificazione della tratta ferroviaria Martina Franca-Lecce-Otranto-Gagliano del Capo, di competenza della societa' Ferrovie del Sud Est e servizi automobilistici;
d-ter) al potenziamento del Sistema ferroviario metropolitano regionale veneto (SFMR), attraverso la chiusura del quadrilatero Mestre-Treviso-Castelfranco-Padova;
d-quater) all'ammodernamento della tratta ferroviaria Salerno-Potenza-Taranto;
d-quinquies) al prolungamento della metropolitana di Genova da Brignole a piazza Martinez;
d-sexies) alla strada statale n. 172 «dei Trulli», tronco Casamassima-Putignano.



7. Con i provvedimenti di assegnazione delle risorse di cui al comma 1 sono stabilite, in ordine a ciascun intervento, le modalita' di utilizzo delle risorse assegnate, di monitoraggio dell'avanzamento dei lavori e di applicazione di misure di revoca.



8. Per consentire la continuita' dei cantieri in corso, sono confermati i finanziamenti pubblici assegnati al collegamento Milano
- Venezia secondo lotto Rho - Monza, di cui alla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) 8 agosto 2013, n. 60/2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo 2014; nonche' sono definitivamente assegnate all'Anas S.P.A. per il completamento dell'intervento «Itinerario Agrigento-Caltanissetta-A19 - Adeguamento a quattro corsie della SS 640 tra i km 9 800 e 44 400», le somme di cui alla tabella
«Integrazioni e completamenti di lavori in corso» del Contratto di programma tra Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e ANAS S.p.A. relativo all'anno 2013, pari a 3 milioni di euro a valere sulle risorse destinate al Contratto di programma 2013 e a 42,5 milioni di euro a valere sulle risorse destinate al Contratto di programma 2012. Le risorse relative alla realizzazione degli interventi concernenti il completamento dell'asse strategico nazionale autostradale Salerno-Reggio Calabria di cui alla delibera del CIPE 3 agosto 2011, n. 62/2011, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2011, sono erogate direttamente alla societa' ANAS Spa, a fronte dei lavori gia' eseguiti.


9. Le opere elencate nell'XI allegato infrastrutture approvato ai sensi dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, dal CIPE nella seduta del 1o agosto 2014, che, alla data di entrata in vigore del presente decreto non sono state ancora avviate e per le quali era prevista una copertura parziale o totale a carico del Fondo Sviluppo e Coesione 2007-2013 confluiscono automaticamente nel nuovo periodo di programmazione 2014-2020. Entro il 31 ottobre 2014, gli Enti che a diverso titolo partecipano al finanziamento e o alla realizzazione delle opere di cui al primo periodo confermano o rimodulano le assegnazioni finanziarie inizialmente previste.
9-bis. Le opere elencate nell'XI allegato infrastrutture approvato ai sensi dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni, dal CIPE nella seduta del 1°agosto 2014, che siano gia' state precedentemente qualificate come opere strategiche da avviare nel rispetto dell'articolo 41 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni, e per le quali alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sia stata indetta la conferenza di servizi di cui all'articolo 165 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, sono trasmesse in via prioritaria al CIPE, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai fini dell'assegnazione delle risorse finanziarie necessarie per la loro realizzazione, previa verifica dell'effettiva sussistenza delle risorse stesse.
10. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e' confermato Autorita' Nazionale capofila e Capo Delegazione dei Comitati di Sorveglianza con riferimento al nuovo periodo di programmazione 2014-2020 dei programmi di cooperazione interregionale ESPON e URBACT, in considerazione di quanto gia' previsto dalla delibera del CIPE 21 dicembre 2007, n. 158/2007, pubblicata nel supplemento ordinario n. 148 alla Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2008, ed in relazione alla missione istituzionale di programmazione e sviluppo del territorio propria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
11. E' abrogato il comma 11-ter dell'articolo 25 del decreto-legge n. 69 del 2013, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013.
12. Dopo l'articolo 6-bis, comma 2, del decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 117, e' aggiunto il seguente comma:
«2-bis. Le risorse disponibili sulla contabilita' speciale intestata al Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 dicembre 2012, allegato al decreto-legge 1 luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 94, sono versate nell'anno 2014 all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze a uno o piu' capitoli di bilancio dello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero della giustizia secondo le ordinarie competenze definite nell'ambito del decreto di cui al comma 2.».
12-bis. Per il completamento degli interventi infrastrutturali di viabilita' stradale di cui all'articolo 1, comma 452, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e' autorizzata la spesa di 487.000 euro per l'anno 2014.
12-ter. All'onere derivante dal comma 12-bis si provvede, per l'anno 2014, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista dall'articolo 2, comma 3, della legge 18 giugno 1998, n. 194.
Art. 4





Misure di semplificazione per le opere incompiute segnalate dagli Enti locali e misure finanziarie a favore degli Enti territoriali


1. Al fine di favorire la realizzazione delle opere segnalate dai Comuni alla Presidenza del Consiglio dei ministri dal 2 al 15 giugno 2014 e di quelle inserite nell'elenco-anagrafe di cui all'articolo 44-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per le quali la problematica emersa attenga al mancato concerto tra Amministrazioni interessate al procedimento amministrativo, e' data facolta' di riconvocare la Conferenza di Servizi, ancorche' gia' definita in precedenza, funzionale al riesame dei pareri ostativi alla realizzazione dell'opera. Ove l'Ente proceda ad una riconvocazione, i termini di cui all'articolo 14-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, sono ridotti alla meta'. Resta ferma la facolta', da parte del Comune o dell'unione dei Comuni procedenti, di rimettere il procedimento alla deliberazione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 14-quater, comma 3, della legge 241 del 1990, i cui termini sono ridotti alla meta'.
2. In caso di mancato perfezionamento del procedimento comunque riconducibile ad ulteriori difficolta' amministrative, e' data facolta' di avvalimento a scopo consulenziale -- acceleratorio dell'apposita cabina di regia istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
3. I pagamenti connessi agli investimenti in opere oggetto di segnalazione entro il 15 giugno 2014 alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nel limite di 250 milioni di Euro per l'anno 2014, sono esclusi dal patto di stabilita' interno alle seguenti condizioni, accertate a seguito di apposita istruttoria a cura degli Uffici della medesima Presidenza del Consiglio dei ministri, da concludere entro 30 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto:
a) le opere alle quali si riferiscono i pagamenti devono essere state preventivamente previste nel Programma Triennale delle opere pubbliche;
b) i pagamenti devono riguardare opere realizzate, in corso di realizzazione o per le quali sia possibile l'immediato avvio dei lavori da parte dell'ente locale richiedente;
c) i pagamenti per i quali viene richiesta l'esclusione del patto di stabilita' devono essere effettuati entro il 31 dicembre 2014;
c-bis) i pagamenti per i quali viene richiesta l'esclusione dal patto di stabilita' devono riguardare prioritariamente l'edilizia scolastica, gli impianti sportivi, il contrasto del dissesto idrogeologico, la sicurezza stradale.
4. Entro 15 giorni dalla conclusione dell'istruttoria di cui al comma 3, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono individuati i Comuni che beneficiano della esclusione dal patto di stabilita' interno e l'importo dei pagamenti da escludere.
4-bis. Al comma 88 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, dopo le parole: «26 febbraio 1992, n. 211,» sono inserite le seguenti: «e del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,».
5. Sono esclusi dai vincoli del patto di stabilita' interno, per un importo complessivo di 300 milioni di euro, i pagamenti, sostenuti successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, relativi a debiti in conto capitale degli enti territorial
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:29
Il cancro d'Italia che la sta uccidendo: le collusioni tra mafia, politica e imprenditoria 

Vincenzo Musacchio *

Le nuove mafie non usano più metodi violenti ma si servono della corruzione per snaturare l'economia e la finanza, sottraendo ingenti risorse destinate al bene comune. Si deve subito impedire ai politici e ai burocrati di turno - attraverso una legislazione stringente e una rete di controlli effettiva ed efficace - di dare ai clan mafiosi la possibilità di gestire appalti e lavoro. L'attuale legislazione è insufficiente, serve una nuova rivoluzione culturale
In Italia solo nel 2014 sono scattate indagini di natura penale e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici in quasi tutte le regioni. Sono stati sciolti oltre duecentocinquanta consigli comunali per presunte infiltrazioni mafiose e più di ottanta parlamentari dell’attuale legislatura sono indagati, imputati e condannati per reati di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e per altri reati contro la pubblica amministrazione. Le collusioni tra politica, criminalità organizzata e imprenditoria sono attualmente gli aspetti più preoccupanti per il nostro Paese poiché mettono a rischio la stabilità delle istituzioni democratiche. 
Le nuove mafie, oggi, non usano più metodi violenti ma si servono della corruzione per alterare i normali processi della politica, minare la credibilità delle istituzioni, inquinare gravemente l'ambiente e snaturare l'economia e la finanza, sottraendo ingenti risorse destinate al bene comune, sgretolando il senso civico e la cultura solidaristica del nostro Paese. La simbiosi tra mafie, politica ed economia attualmente è presente in molti settori produttivi nazionali con grande prevalenza nel settore degli appalti pubblici e delle pubbliche sovvenzioni statali ed europee. I predetti legami servono alle mafie soprattutto per condizionare le scelte degli amministratori che sovrintendono le procedure pubbliche, instaurando in tal modo un circuito per lo scambio di favori illeciti. La politica, da un lato, garantisce affari e profitti alla criminalità organizzata, dall’altro, quest’ultima assicura la disponibilità di voti necessari per essere eletti ai politici collusi. Mafia e politica, sotto questo profilo, si sostengono e si garantiscono a vicenda. Il terreno d’incontro è la corruzione e il profitto economico. Per i mafiosi, le enormi quantità di denaro a disposizione costituiscono anche il mezzo per accedere nella cabina di regia degli enti dello Stato sia a livello centrale che periferico allo scopo di eliminare la possibile concorrenza alle loro imprese e agire in regime di monopolio. 
In questo contesto, molto preoccupante, occorre domandarsi cosa si può fare per arginare queste situazioni criminose? Una delle azioni da concretizzare, senza tentennamenti, è senza dubbio quella di impedire ai politici e ai burocrati di turno - attraverso una legislazione stringente e una rete di controlli effettiva ed efficace - di dare ai clan mafiosi la possibilità di gestire assunzioni, appalti e altri vantaggi che consentono loro di offrire ai cittadini possibilità di lavoro. E’ indispensabile fare in modo che per ottenere i propri diritti non si debba più ricorrere al mafioso, al politico o imprenditore colluso. Bisogna assolutamente sradicare la convinzione che la mafia garantisca lavoro. Una cosa difficile da realizzare, soprattutto nel Sud d’Italia, dove lo Stato latita da molto tempo. Dalla rottura dei legami mafie-politica-imprenditoria, a mio avviso, comincerà il vero cambiamento, ma, ciò è possibile solo a condizione che nel nostro Paese si comincino a lottare concretamente la criminalità organizzata, la corruzione, l’evasione fiscale e la mala politica. 
Da esperto della materia posso affermare che l’attuale legislazione è assolutamente insufficiente. La dimostrazione della nostra tesi, ad esempio, risiede nel fatto che l’Italia sia la Nazione più corrotta d’Europa e al tempo stesso quella in cui vi sono meno condanne per corruzione, concussione e abuso d’ufficio. Di certo il virus che sta uccidendo lentamente il nostro Stato in buona parte risiede nell’indebolimento delle norme di controllo, nel depotenziamento del sistema giudiziario e in una burocrazia ferma al secolo scorso priva di trasparenza e di economicità. E’ il mix tra corruzione politica, criminalità organizzata ed economia adulterata il vero cancro della nostra società e non si può continuare a parlare di onestà, di trasparenza e di efficienza in uno Stato che, di fatto, non vuole lottare questi fenomeni così aberranti. 
Il cittadino dovrebbe comprendere che mafiosi, politici e imprenditori perseguono il profitto fine a se stesso servendosi soprattutto di  denaro pubblico, di cui non si riesce nemmeno a tracciare il percorso perché le norme sul riciclaggio sono inefficaci e quelle sull’autoriciclaggio inesistenti. Le confische patrimoniali, molto temute dai mafiosi, languono e anche questo è un aspetto a dir poco allarmante. In questo scenario catastrofico occorrerebbe una rivoluzione culturale che parta dai giovani sulla scorta di quanto accaduto in passato per combattere la mafia - penso alla “Primavera di Palermo” negli anni novanta - quando una moltitudine di cittadini ebbe il coraggio di scendere in piazza dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio per dire no alla mafia. Ecco occorre una nuova “Primavera di Palermo” ma questa volta senza i tanti morti ed estesa a tutta la Nazione per dire no alle mafie e alla corruzione. L’Italia si gioca una partita importantissima: o affronta i veri problemi che la attanagliano, e che ho descritto in precedenza, o sarà destinata al collasso totale. 
Musacchio
 *Vincenzo Musacchio -  Giurista, docente di diritto penale  e direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise





Appalti in Sicilia: il governo nazionale vuole tutelare gli ‘amici degli amici’? 

Riccardo Gueci* 9 Sep 2015

Il Parlamento siciliano, in materia di appalti pubblici, ha approvato una legge innovativa che blocca sul nascere i ‘cartelli’ di solito espressione dei grandi gruppi. Di fatto, è una legge che difende gli interessi delle imprese siciliane contro i mafiosi che, dagli anni della Cassa per il Mezzogiorno, operano all’ombra dei grandi gruppi nazionali. Antimafia vera che, però, non piace al governo Renzi… 
L'Autonomia speciale della Regione siciliana, appannaggio della borghesia mafiosa, è ridotta proprio male. Specialmente nelle materie che contrastano con gli interessi dei lavoratori siciliani e delle piccole imprese che, in Sicilia, si 'arrabbattano' per sopravvivere.
L'ultima in ordine di tempo è la legge sugli appalti di lavori pubblici, che in Sicilia è un problema di non poco conto, considerato l'uso che le grandi imprese fanno dei ribassi per aggiudicarsi i lavori, tranne poi a rientrare nei costi o utilizzando cemento impoverito, o più spesso attraverso marchingegni , come le riserve o le perizie di variante in corso d'opera.
Questi accorgimenti sono comunemente adottati dalle imprese, anche da quelle che si cimentano nelle costruzioni non tanto perché quello è il loro mestiere, ma per avviare attività di copertura di riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, specialmente di origine mafiosa. Magari dal traffico di droga da reinvestire in attività lecite. In questi casi la convenienza economica dell'appalto non è l'obiettivo principale dell'impresa mafiosa, ma un semplice diversivo teso a giustificare gli enormi guadagni che la mafia ottiene dai suoi traffici. Va da sé che i titolari delle imprese sono sempre persone con le “carte a posto”, irreprensibili e apparentemente dediti al loro lavoro.
In questa confusione di ruoli e di interessi chi ne soffre le conseguenze sono le imprese pulite, che fanno le proprie offerte sulla base di analisi costi-benefici ai quali aggiungono una quota di rischio d'impresa. Queste imprese, in genere, restano senza lavoro e per sopravvivere vivacchiano con piccoli lavoretti di manutenzione del patrimonio immobiliare esistente. Va precisato che i nuovi criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici siciliani valgono, oltre che per le opere pubbliche, anche per le forniture ed i servizi. In pratica, a nostro sommesso parere, la legge varata dal Parlamento siciliano è stata studiata sia per evitare l'aggiudicazione a massimo ribasso, sia per impedire manovre strategiche alle cordate combinate dei concorrenti.
Questa normativa approvata dal Parlamento siciliano è sicuramente innovativa e non è un caso che, oltre ad impedire gli appetiti delle imprese mafiose, rappresenta anche un modello anti corruzione contro gli affarismi poco trasparenti. Forse sarà per queste caratteristiche che la legge regionale 10 luglio 2015, n.14, è entrata nell'orbita censoria del governo nazionale di Matteo Renzi.
Ricordiamo che, nel Sud d’Italia, già ai tempi della cassa per il Mezzogiorno - cioè negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 del secolo passato - i grandi gruppi nazionali trovavano accordi con le mafie locali, penalizzando le imprese del Meridione non legate ad interessi mafiosi. Con questa nuova legge, di fatto, si impediscono giochi e giochetti che finiscono con il favorire gli interessi mafiosi.  
Vediamoli da vicino, le “Modifiche all'articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2011, n.12 introdotte con la nuova legge regionale. Si tratta di alcuni emendamenti che introducono criteri diversi si assegnazione delle gare d'appalto. Il primo così recita: “Per gli appalti di lavori, servizi e che non abbiano carattere transfrontaliero, nel caso in cui il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando che si applichi il criterio dell'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia prevista nel successivo comma”.
Il secondo comma dà la definizione di soglia di anomalia: “La soglia di anomalia è individuata dalla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del 10 per cento arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e quella di minor ribasso, incrementata o decrementata percentualmente di un valore pari alla prima cifra, dopo la virgola, della somma dei ribassi offerti dai concorrenti. Nel caso in cui il valore così determinato risulti inferiore all'offerta di minor ribasso ammessa, la gara è aggiudicata a quest'ultima”. Questo passaggio ai più sembrerà astruso. Semplificando, diciamo che individua ed esclude le offerte truffaldine.
Queste le parti essenziali delle modifiche apportate ai criteri di aggiudicazione, che sembrano essere state studiate per affidare le sorti delle gare d'appalto alla più ampia casualità. La qualcosa non è di scarsa rilevanza. Ma sono proprio questi accorgimenti che hanno fatto saltare sulla sedia il ministro delle Infrastrutture, Graziano Del Rio, che, di sicuro, avrà urlato: ma come si permettono questi siciliani di non consentire la ‘corretta gestione’ degli appalti! Ma siamo proprio impazziti?”. Insomma, i politici che ci stiamo a fare se non possono nemmeno ‘gestire’ gli appalti e favorire gli amici e gli amici degli amici? E la Sicilia, terra di mafia, fa uno sgambetto del genere alla mafia?
Così è iniziato il procedimento di contestazione della nuova legge siciliana con l'invio di una nota che mette in discussione, non solo il contenuto della legge, ma anche il significato stesso dell'Autonomia regionale siciliana, la quale in materia di legislazione in materia di appalti ha competenza primaria. Il testo della nota ministeriale, sulla questione, è assolutamente esplicito ed è proprio la casualità, cioè l'elemento innovativo centrale della legge regionale, l'oggetto della contestazione ministeriale del 25 agosto di quest'anno. In essa si osserva in primo luogo la difformità con i “criteri di valore economico indicati nell'articolo 86 del codice dei contratti pubblici” attraverso un meccanismo che, in sostanza, ne determina in modo casuale le variazioni in aumento o in diminuzione”. Ma l'aspetto più rilevante, e più grave, riguarda il richiamo al Codice degli appalti, il cui articolo 5 “dispone che le Regioni a Statuto speciale che adeguano la loro legislazione ai loro Statuti non possono prevedere una disciplina diversa dal Codice” per rispettare “le competenze esclusive dello Stato”. A sostegno delle sue tesi il ministero richiama due pronunciamenti della Corte Costituzionale, n.401 del 23 novembre 2007 e la n.431 del 14 dicembre 2007, nelle quali la Consulta riconosce “l’inderogabilità sia delle disposizioni che regolano l'evidenza pubblica, sia quelle concernenti il rapporto contrattuale”.
Queste osservazioni ci inducono - noi che non siamo grandi dirigenti amministrativi dello Stato e tanto meno costituzionalisti - a un’ovvia constatazione: che cosa c'entra l'evidenza pubblica o il rapporto contrattuale con i criteri di assegnazione degli appalti? La prima interviene in fase di pubblicazione del bando di gara, con le relative norme che la regolano; la seconda interviene successivamente all'aggiudicazione ed alla fase di rispetto reciproco delle condizioni contrattuali dell'appalto. Pertanto i riferimenti alle sentenze della Corte Costituzionale ci sembrano fuori luogo e comunque non sono minimamente violate dalla legge regionale in discussione.
I rilievi ministeriali si concludono con un’osservazione che è veramente un capolavoro di parole in libertà: “Alla luce dei consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, pertanto, le disposizioni della legge regionale in commento, oggetto dei rilievi illustrati, risultano adottate in violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera e) a tutela della concorrenza”. Qui la risposta è veramente semplice: le norme regionali sull'aggiudicazione degli appalti quali impedimenti oppongono alla libera partecipazione di centinaia o di migliaia di imprese? Quali sono i limiti che essa pone alla partecipazione in concorrenza?
Prima di passare alle controdeduzioni approntate dall'assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo, vogliamo consentirci una divagazione, rispetto alla quale avremmo sicuramente apprezzato un intervento critico del ministro Delrio. Essa riguarda due fatti che sono avvenuti in Italia in tempi relativamente recenti, ma che stanno lì a testimoniare la fallibilità delle legislazioni nazionali sugli appalti. Una riguarda le “ecoballe” nell'entroterra Napoletano e l'altra l'affidamento dei lavori di costruzione della tratta ferroviaria di congiungimento veloce Torino-Lione. Avremmo apprezzato che il ministro Delrio bloccasse i lavori della Torino-Lione, con l'annesso traforo plurichilometrico delle Alpi in Val di Susa, per conoscere a quale gara d'appalto transfrontaliera abbiano partecipato le imprese che stanno eseguendo i lavori. Questo sarebbe stato di sicuro un intervento a tutela della concorrenza. Che ne dice, Ministro Delrio?
In quanto alle ecoballe, se l'incarico di smaltimento dei rifiuti di Napoli fosse stato affidato ad una ventina di piccole imprese, certamente le ecoballe non esisterebbero. Si è scelto di affidarne l'incarico ad una grande impresa nazionale e le ecoballe sono ancora lì a far bella mostra di sé.
Passiamo ora alle controdeduzione dell'assessore regionale alle Infrastrutture, Pizzo. L'assessore Pizzo, in via preliminare, ricorda al Ministro Delrio che i riferimenti giurisprudenziali richiamati nella nota dei rilievi, cioè i riferimenti all'articolo 4 , commi 2 e 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 - il cosiddetto Codice degli appalti - oggetto dei pronunciamenti della Corte Costituzionale, “esplicano il loro contenuto normativo nei confronti delle sole Regioni ordinarie” Fa presente, tuttavia, che la legislazione regionale, anche a Statuto speciale, stabilisce che la potestà legislativa esclusivo/primaria deve essere esercitata “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato”. Questa sottolineatura è una raffinatezza. Come dire: caro Ministro, come dobbiamo legiferare in Sicilia lo sappiamo assai bene e non ci serve alcun insegnamento ministeriale. La perorazione dell'assessore regionale è assai circostanziata e puntuale che non possiamo, per ragioni di spazio, commentare integralmente. Ma un altro aspetto merita di essere riportato e riguarda il riparto delle competenze legislative in materia di appalti pubblici. A tal proposito essa fa riferimento al citato articolo 4 del citato decreto legislativo 163/2006 e ne richiama l'articolo 5, che ovviamente il ministro non aveva letto perché si era fermato agli articoli 2 e 3. L'articolo 5, appunto, stabilisce che “le Regioni a Statuto Speciale adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli Statuti e nelle relative norme di attuazione”.
E' nostro dovere segnalare positivamente l'impegno che in questa battaglia hanno messo gli imprenditori del settore a sostegno della decisione autonoma del Legislatore regionale. Dopo il movimento dei Forconi è la prima volta che una categoria si schiera in difesa dell'Autonomia siciliana.
Nota a margine. Non ne comprendiamo le ragioni strategiche, ma un dato è certo: la Regione siciliana e la sua Autonomia speciale da oltre vent'anni sono sottoposte ad un attacco sistematico ed al controllo delle sue risorse finanziarie. Una delle prime operazioni di controllo dall'interno del governo regionale avvenne con il governo di Salvatore Cuffaro, quando a dirigere l'Ufficio della Programmazione economica, cioè quello che aveva il compito di programmare la spesa dei Fondi strutturali europei, fu affidato ad una funzionaria ministeriale, la dottoressa Gabriella Palocci. Quello fu un periodo assolutamente nero per l'economia siciliana e fu anche il periodo nel quale vennero costituite ben 34 società in house, cioè società che dovevano fare i lavori di competenza degli assessorati. In pratica, fu una duplicazione della spesa corrente regionale con la “facciata” di spese d'investimento perché i fondi europei vennero assegnati in parte alle 34 società per azioni. Società che non operavano nel mercato, ma avevano l'esclusiva della committenza pubblica regionale. Un capolavoro di spreco, inefficienza e clientelismo a mani basse.
Poi fu la volta del governo di Raffaele Lombardo, l'autonomista - quello che prendeva a martellate le targhe delle vie intestate a Giuseppe Garibaldi - il quale accettò la condizione posta dal governo centrale di affidare la gestione delle ingenti somme destinate alla Formazione professionale ad un funzionario ministeriale, il quale ne fece di cotte e di crude, compresa quella di trasferire gran parte del Fondo sociale europeo dalla Sicilia ai ministeri romani.
Quindi è stata la volta del governo di Rosario Crocetta, al quale sono stati imposti prima Luca Bianchi e successivamente Alessandro Baccei quali assessori al Bilancio ed all'Economia. Risultato di queste gestioni finanziarie della Regione siciliana: l'economia dell'Isola cresce la metà di quella greca, la disoccupazione è dilagante e la povertà crescente.
Preferiamo fermarci qua e di non infierire, ma qualcosa sull'Autonomia siciliana ci ripromettiamo di dirla in seguito, anche se già in qualche occasione abbiamo avuto modo di accennare al nostro convincimento.

* Riccardo Gueci è un funzionario pubblico in pensione che, per noi, di solito, illustra e comenta i fatti di politica nazionale e internazionale. Cresciuto nel vecchio Pci, Gueci è rimasto legato all'iea della politica di Enrico Berlinguer. La politica, insomma, vista nella sua accezione nobile. Oggi si ricorda di esere stato un funzionario pubblico e commenta per noi una vicenda in verità molto strana: con il governo nazionale di matteo renzi che contesta una legge, approvata dal Parlamento siciliano, che punta a contrastare in modo serio gli interessi dei mafiosi e dei grandi gruppi nazionali che, dagli anni '50 del secolo passato, fanno affari con le mafie del Sud Italia. Cose strane, insomma...    
Crocetta e Baccei: scippare ai siciliani un miliardo e 750 milioni di Euro. A rischio occupazione e ambiente 


Giulio Ambrosetti


Poche ore dopo la bomba d’acqua che ha allagato (e distrutto) mezza Sicilia, Crocetta e Baccei sono già ‘impegnati’ a scippare soldi alle famiglie e alle imprese siciliane che resistono nonostante la Regione. A rischio, però, non è solo l’economia, ma la vita degli stessi cittadini dell’Isola, se è vero che Comuni (senza soldi) e strutture regionali hanno abbandonato i corsi d’acqua che attraversano città e campagne. Di conseguenza, le eventuali bombe d'acqua potrebbero distruggere i centri abitati e le coltivazioni
Semplicemente incredibile: nel giro di poche ore, il presidente della Regione, Rosario Crocetta, e l’assessore all’Economia, Alessandro Baccei, hanno archiviato l’alluvione che ha funestato mezza Sicilia. Città e paesi - Catania e Giardini Naxos in testa, ma l’elenco è lungo - allagati, con le automobili sommerse dall’acqua, strade trasformate in fiumi in piena, corsi d’acqua fino a qualche settimana fa ridotti a rigagnoli dall’arsura estiva che si trasformano, in poche ore, in torrenti impetuosi che distruggono tutto quello che incontrano: strade, abitazioni, caseggiati rurali, coltivazioni. Nella parte orientale della nostra Isola il primo nubifragio di una stagione invernale che si approssima e che si annuncia piena di incognite ha già distrutto importanti segmenti dell’agricoltura. Danni per decine e decine di milioni di Euro. Agricoltori in ginocchio, disperazione. E cosa fanno Crocetta e Baccei davanti a questo inferno che potrebbe riproporsi non tra vent’anni, ma tra qualche settimana? Annunciano tagli a un Bilancio regionale già disastrato per un miliardo e 750 milioni di Euro!
Lo Stato, nell’ultimo anno e mezzo, ha scippato alla Regione siciliana circa 10 miliardi di Euro. Centinaia di
alluvione a giardini
Alluvione a Giardini Naxos: foto di meteoweb
Comuni siciliani sono al dissesto finanziario non dichiarato. La riforma delle Province, con le tre città metropolitane di Palermo, Catania e Messina e i fantomatici Consorzi di Comuni rischia di fallire ancor prima di essere applicata. Interi settori dell’amministrazione pubblica isolana sono senza risorse finanziarie. La spesa sociale è stata praticamente azzerata, se è vero che non ci sono soldi per gli anziani, per l’infanzia e per i portatori di handicap. E si annunciano ‘risparmi’ anche sulla pelle degli studenti.
Di fatto, oggi, in Sicilia, esiste e resiste solo l’economia che non ha nulla a che spartire con la Regione siciliana. E in parte è proprio a questi soggetti - cioè agli imprenditori siciliani che vivono del proprio lavoro - che il governo Crocetta vorrebbe adesso scippare le risorse finanziarie. Nella testa di Baccei spunta il recupero dell’evasione fiscale: ovvero la ‘caccia’ a chi non ha pagato il bollo di circolazione delle automobili (dimenticando che in Sicilia, per la diffusa povertà, un numero impressionante di automobilisti non paga più l’assicurazione delle auto: altro che bollo di circolazione!); la ‘caccia’ agli evasori delle accise sull’energia; l’aumento dei canoni di concessione e, in generale, l’aumento delle imposte locali. E, ciliegina sulla torta, il licenziamento di migliaia di operai della Forestale e il non pagamento delle retribuzioni a migliaia di precari della Regione, dei Comuni e delle ex Province.
Di fatto, davanti a un governo nazionale che deruba le finanze regionali, il toscano Baccei non trova di meglio che tornare a ‘spremere’ i siciliani, colpendo gli imprenditori dell’Isola che hanno la sola ‘colpa’ di essere rimasti in Sicilia a fare impresa, a prescindere da una Regione che ormai è solo un peso per la Sicilia e per i siciliani. Attenzione: noi non stiamo mettendo in discussione le istituzioni autonomistiche della nostra Regione: mettiamo in discussione un governo regionale di ‘ascari’ e venduti a Roma che sta utilizzando le nostre istituzioni per derubare quelle poche risorse finanziarie che le famiglie e le imprese siciliane ancora in piedi riescono a mantenere.
corruzione
Di questi ‘ascari’ che stanno massacrando la Sicilia vi diciamo i nomi e i cognomi politici. In testa c’è il PD siciliano, partito che oggi rappresenta la vera e propria cancrena della nostra Regione. A questo partito si aggiungono l’UDC, Forza Italia, Nuovo Centrodestra, Sicilia Democratica e, in generale, tutti i deputati del Parlamento siciliano che in questi tre anni sono passati con Crocetta (a quanto pare, in cambio di benefici e prebende, come ha denunciato un deputato, Pippo Sorbello: questione ripresa dai grillini: vicenda che, a nostro avviso, dovrebbe essere oggetto di un’inchiesta da parte della magistratura penale, perché parliamo di corruzione di deputati).
Questo governo, questi partiti e questi deputati adesso vogliono ‘saccheggiare’ le famiglie siciliane, perché Baccei - che, ricordiamolo è stato imposto dal governo Renzi - le vuole colpire con un aumento delle tasse locali e con il recupero dell’evasione fiscale. Governo, partiti di governo e deputati regionali vogliono penalizzare anche le imprese che ancora non hanno avuto il ‘piacere’ di conoscere la Regione, aumentando tasse e imposte.
Di fatto, Baccei sta proponendo una manovra economica e finanziaria che trasformerà la recessione che oggi travaglia la Sicilia in vera propria depressione economica. Se, sotto il profilo morale, recuperare l’evasione fiscale è corretto (anche se in questo caso non si tratta di grandi evasori e di grandi cifre, ma di tantissimi evasori per piccole cifre - come il bollo delle automobili - evasori che, spesso, non riescono a mettere d’accordo il pranzo con la cena), sotto il profilo economico, soprattutto se accompagnata da un aumento di imposte e tasse locali, quest’ennesima stretta su famiglie e imprese proposta dall’accoppiata Crocetta-Baccei provocherà un’ulteriore riduzione della domanda al consumo e, di conseguenza, un aumento della disoccupazione. In una parola, Crocetta, Baccei, i partiti che appoggiano il governo e i deputati che sono passati con la maggioranza in cambio di ‘qualcosa’ (che alti valori morali, no? e meno male che era solo Berlusconi il grande corruttore che, nel 2006, ‘acquistava’ parlamentari), in queste ore, stanno lavorando per rendere sempre più povera la Sicilia. E per parare il culo al governo Renzi che vuole continuare a derubare la nostra Regione.
In queste ore - tanto per citare un esempio - i deputati ‘ascari’ di una maggioranza ‘ascara’ stanno
forestali siciliani
chiedendo la convocazione la commissione Bilancio e Finanze del Parlamento siciliano per approvare un disegno di legge sugli operai della Forestale che ancora non c’è! Invitiamo gli operai della Forestale a non cadere in questo tranello e a scegliere altre vie per reclamare il rispetto dei loro diritti. Detto in soldoni: vi stanno prendendo per il culo.
Lo stesso discorso vale per i precari dei Comuni, per i dipendenti e per i precari delle ex Province e per i circa 60 mila precari sparsi tra gli uffici e gli enti della Regione. Egregi signori, svegliatevi, datevi un mossa, perché questo governo vi sta prendendo per il culo.  
Che fare davanti a un prospettiva simile? Qui in gioco non c’è soltanto il futuro economico della Sicilia e la retribuzione di migliaia e migliaia di siciliani, ma la stessa vita dei cittadini siciliani. Il discorso ritorna all’ambiente, alle alluvioni degli ultimi giorni. E’ bene che i cittadini siciliani sappiamo che i Comuni non hanno i soldi per rendere le strade e i corsi d’acqua sicuri. I corsi d’acqua esondano - com’è successo a Giardini Naxos - perché i tecnici dei Comuni non intervengono per liberare l’alveo dalla presenza di rami secchi e spesso di rifiuti che ostacolano lo stesso corso d’acqua. Idem per i tanti punti intasati che possono ostacolare un piccolo torrente che attraversa un centro abitato: un corso d’acqua intasato che, con una bomba d’acqua, si può trasformare, nel giro di qualche ora, in uno strumento di morte.  
Le città si allagano non soltanto perché esondano i corsi d’acqua, ma perché le caditoie e, in generale, i punti drenanti risultano intasati da residui vegetali e da rifiuti (che, ricordiamolo, ormai da qualche anno, in molte città della Sicilia, rimangono ammassati nelle via cittadine andando ad intasare le caditorie: fenomeno che a Palermo è diffusissimo). Vorremmo ricordare che, qualche giorno fa, Palermo e altre città siciliane non si sono allagate non perché è stata fatta correttamente la manutenzione (che non è stata fatta!), ma perché non sono arrivate le bombe d’acqua.
Lo stesso discorso riguarda le campagne della Sicilia. Un tempo del controllo dei fiumi e dei corsi d’acqua si occupava l’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana. In alcuni casi, come nel Messinese, le sistemazioni sono state peraltro sbagliate, con la ‘cementificazione’ del letto delle fiumare. Ma in molti altri casi, con le sistemazioni ‘naturali’, i tecnici dell’Azienda Foreste hanno svolto opera meritoria. Oggi tale Azienda è stata smembrata e snaturata, prima dal governo di Raffaele Lombardo e, adesso, dal governo Crocetta. Fiumi e corsi d’acqua sono abbandonati. Questo spiega gli incredibili danni che in queste ore si contano nelle campagne della Sicilia orientale.
Cosa vogliamo dire con queste sottolineature? Che ormai Il governo Crocetta-Baccei non è soltanto un problema enorme per la poca economia siciliana che ancora resiste. Ormai l’azione malsana e ‘ascara’ di questo governo rischia di provocare danni ingenti all’ambiente e anche alle persone. Non dimentichiamo o morti registrati qualche anno fa nel Messinese (per i quali nessuno ha pagato). Basta andare sulla rete e fare una breve ricerca per capire che il clima sta cambiando. Ormai le precipitazioni tumultuose - le cosiddette bombe d’acqua - stanno diventando la norma. Per proteggere le vite umane, oltre che l’agricoltura e le abitazioni, servono le manutenzioni. Ma quest’esigenza ineludibile si scontra con un governo regionale e con una maggioranza politica che lo sostiene impegnati, di fatto, a scippare soldi alle famiglie e alle imprese siciliane per portarli a Roma. 
http://www.lavocedinewyork.com/Crocetta-e-Baccei-scippare-ai-siciliani-un-miliardo-e-750-milioni-di-Euro-A-rischio-occupazione-e-ambiente/d/14327/


Fedelissimi di Crocetta piazzati ovunque  Il dorato mondo del sottogoverno 

Domenica 06 Settembre 2015 - 06:00 di Accursio Sabella

Dalle società partecipate agli enti regionali, dalle Province agli assessorati, sono decine gli incarichi dati a uomini e donne vicini al presidente. In qualche caso buoni per qualsiasi ruolo, purché ben retribuito.





PALERMO - Doveva essere tagliata, ridotta, cancellata, abbattuta dalla rivoluzione. E invece, la foresta del sottogoverno è tutta lì. Con le sue società partecipate mangiasoldi, con i suoi carrozzoni regionali, con i suoi enti da commissariare. La selva dei “sottoposti” è tutta lì. L'era Crocetta si è limitata a sradicare qualche albero e a piantarne di nuovi. In qualche caso, invece, ha tenuto salda la vegetazione che c'era. In qualche altro caso, invece, ha “testato” il fedelissimo in vista di un eventuale trasferimento nel giardino della giunta.

Così, scopri che oltre al ristretto “cerchio magico” del governatore ne esiste uno appena un po' più largo. Che non si limita a cingere le poltrone più vicine a quelle del presidente, ma comprende anche quell'universo lì, quei satelliti di potere che ruotano attorno al pianeta Crocetta.

Gli uomini (e le donne) buoni per ogni incarico

Per il governatore, ad esempio, esistono uomini che, per le loro capacità, tornano buoni per ricoprire qualsiasi incarico. Anche i più differenti. È il caso, ad esempio, dell'attuale capo di gabinetto di Crocetta, cioè Giulio Guagliano. Già collaboratore dell'ex assessore all'Economia Luca Bianchi, in questi anni Guagliano è stato nominato (probabilmente dimenticheremo qualcosa) anche amministratore della società Resais, componente di uno degli organismi che gestiscono la società Seus-118, commisssario della provincia di Caltanissetta, componente del collegio sindacale dell'Irfis, componente del collegio dei revisori della Camera di commercio di Caltanissetta e di quello del consorzio universitario di Palermo. Incarichi che hanno fruttato oltre 100 mila euro in un anno. Somma che si aggiunge agli altri 100 mila guadagnati in qualità di dirigente regionale. Uomini dalle competenze così ampie, insomma, da poter coprire senza difficoltà ruoli assai diversi. È il caso, ovviamente, di Antonio Ingroia. Prima, per Crocetta, l'ex pm era “perfetto” per il ruolo di presidente della società Riscossione Sicilia. Ma il Csm in quel caso alzò paletta rossa. Poco male. Ingroia era comunque perfetto per guidare una società che si occupa di tutt'altro, come Sicilia e-Servizi. Già che c'era, Crocetta lo ha anche nominato commissario della Provincia di Trapani. Prima di farsi “bacchettare”, stavolta, dal garante anticorruzione. E dire che lo aveva mandato lì per contribuire alle ricerche su Matteo Messina Denaro...

La “cifra” legalitaria è rinvenibile un po' anche nelle storie degli altri fedelissimi del sottogoverno. È il caso ad esempio di Antonio Fiumefreddo. Prima Crocetta lo scelse come assessore ai Beni culturali, attirandosi le ire e il “veto” del Pd. Poi gli propose un incarico di vertice alla Società patrimonio immobiliare, quindi la guida di Riscossione Sicilia. Adesso, per Crocetta, Fiumefreddo, che in passato fu Soprintendente del Teatro Bellini, nominato da Raffaele Lombardo, è persino “l'uomo-chiave” per il rilancio delle imprese siciliane anche per la sua costante “lotta al malaffare”. E per questo il governatore spinge per averlo in giunta, alle Attività produttive. Nonostante il gravoso ruolo di Segretario generale, invece, Patrizia Monterosso è stata anche nominata nel cda di Irfis (vicepresidente) e in quello dela “Kore” di Enna. Superdirigenti, in grado di fare tante cose contemporaneamente. Come Anna Rosa Corsello, che fino a un anno fa ricopriva insieme il ruolo di dirigente generale alla Formazione, dirigente generale al Lavoro e commissario liquidatore sia della società Biosphera sia della Multiservizi. E con il commissariamento infinito delle Province, ecco i doppi incarichi per altri direttori come Dario Cartabellotta, Ignazio Tozzo, Luciana Giammanco e Rosa Barresi, prima del suo approdo in giunta.

Dalla giunta alla sottogiunta

E del resto, il tragitto che lega il governo ai posti di sottogoverno è sempre molto trafficato. È il caso ad esempio di Mariella Lo Bello e Nelli Scilabra, che hanno condiviso – fino a un certo punto – il destino che li ha portati dai posti all'interno dell'esecutivo a quelli degli uffici di gabinetto, col ruolo di segretarie particolari del governatore. Ma anche altri ex assessori sono stati in qualche modo ripescati dalle reti degli incarichi. Quelli di consulenza, in particolare, come nel caso dell'ex assessore all'Ambiente Salvatore Calleri (lo stesso che chiese: “Giuseppe Alessi, chi è costui?”), adesso consulente personale del governatore in carica, o come nel caso dell'ex responsabile in giunta dell'Economia, Roberto Agnello, chiamato come consulente da Lucia Borsellino e confermato da Baldo Gucciardi. E tra i consulenti, ecco spiccare i fedelissimi del presidente. Stefano Polizzotto, a dire il vero, con Crocetta sembra aver “rotto” da un po': ex capo dela segreteria tecnica, per un periodo fu consulente del presidente che adesso si avvale, tra gli altri, di altri due uomini di fiducia. Antonello Pezzini sta ancora lavorando a quel Patto dei sindaci che avrebbe dovuto portare in Sicilia circa 5 miliardi di finanziamenti dall'Europa. Inutile dire che stiamo ancora aspettando. Per Sami Ben Abdelaali un incarico finalizzato ai rapporti con i paesi del mediterraneo e un ruolo centrale anche nella gestione dell'Expo. Poche settimane fa fece discutere l'assunzione del consulente nella società di Tomaso Dragotto, l'imprenditore scelto da Crocetta per far parte del cda di Gesap, l'azienda che gestisce l'aeroporto di Palermo. Un'assunzione sullla quale in tanti hanno sollevato qualche “dubbio”. Si sarebbe trattato di uno dei primi casi di incarico di “sotto-sotto governo”.

C'è poi anche la possibilità di usare il “sottogoverno” per altri incarichi dello stesso tipo. Detto del capo di gabinetto di Crocetta, Giulio Guagliano (che è pur sempre un dirigente della Regione), ecco un altro storico componente degli uffici di gabinetto del presidente, Gaetano Moltalbano, piazzato alla guida della Seus o l'ex capo di gabinetto del governatore, Gianni Silvia, tornato buono anche per la guida della Fondazione orchestra sinfonica siciliana.

Gli straordinari commissari

Francesco Calanna, invece, ha anche militato nel Megafono. Un passato che evidentemente ne fa un uomo di fiducia del presidente. Una fiducia, del resto, manifestata con i “numeri”. Nominato commissario straordinario dell'Ente sviluppo agricolo (il commissario straordinario dovrebbe occuparsi di fatti circoscritti, anche nel tempo), il dirigente si è visto rinnovare il contratto la bellezza di otto volte in due anni. Una scelta in controtendenza, visto che altrove i cambi e i turn over sono stati frenetici. Alla Crias, ad esempio, in pochi mesi si sono alternati Maria Amoroso, Filippo Nasca e, ultimo in ordine di tempo, Claudio Basso. All'ombra dei templi di Agrigento, Gaetano Pennino ha lasciato – una volta nominato dirigente generale – la guida del parco archeologico ad Alberto Pulizzi. All'Istituto regionale del Vino e dell'Olio, Crocetta ha chiamato dapprima come commissario un volto più o meno noto della tv, come il nutrizionista Giorgio Calabrese, per poi sostituirlo con Antonino Di Giacomo Pepe. E ancora, ecco commissari disseminati ovunque, nel corso di questi anni. È il caso di Dario Lo Bosco, già presidente di Ast (sì, proprio l'azienda di trasporto pubblico che Crocetta avrebbe voluto trasformare in una compagnia aerea) nominato anche commissario della Camera di commercio di Catania. Alfonso Cicero, invece, fu per mesi commissario straordinario dell'Irsap prima della nomina a presidente, tra furenti polemiche all'Ars. Ci fermiamo qui. Solo per non annoiare. Ovviamente, questi incarichi sono tutti ben retribuiti, e vengono tranquillamente cumulati tra loro, nei casi dei fortunati fedelissimi "multiruolo". Ma il sottogoverno è si distende ben oltre questi racconti. Persino in una realtà virtuale. Quella che ha visto – con tanto di comunicato stampa del presidente della Regione – Tano Grasso, simbolo della lotta al racket, sedersi sulla poltrona di “superdirigente” agli appalti. Sono passati quasi due anni. Tano Grasso non si è mai insediato.


Inchiesta sui beni confiscati alla mafia: tremano i ‘Palazzi’ del potere di Palermo 

La VOCE Sicilia NY



L’inchiesta, condotta dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, avrebbe subìto un’accelerazione perché Report - la nota trasmissione televisiva d’inchiesta di Milena Gabanelli - starebbe realizzando una puntata su tale argomento. Con testimonianze e interviste ‘pesanti’. Sotto inchiesta Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara


Una bufera starebbe per abbattersi sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. E al centro di questa vicenda ci sarebbe Palermo, da sempre ‘Capitale mondiale di Cosa nostra’, dove si concentrerebbe oltre il 40 per cento dei beni confiscati agli uomini dell’Onorata società. A tremare sarebbero i protagonisti dei ‘Palazzi’ del potere. Ma questa volta ad essere coinvolti non sono i 'Palazzi' della politica siciliana, ma qualche alto rappresentante della Giustizia. Insomma, magistrati che indagano su altri magistrati. Nello specifico, la Procura della Repubblica di Caltanissetta che indaga sulla gestione di un segmento della Giustizia che opera presso il Tribunale di Palermo.  
Insomma, com’era prevedibile, la gestione dei beni confiscati alla mafia è diventato un caso giudiziario. Con il coinvolgimento del presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, il giudice Silvana Saguto, finita sotto inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio. Indagati anche l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, titolare di uno studio, con sede a Palermo, che da anni gestisce tante aziende confiscate ai mafiosi. Sotto inchiesta pure l'ingegnere Lorenzo Caramma, che in passato avrebbe avuto rapporti di consulenza con l’avvocato Seminara, quando la moglie non era ancora presidente della sezione del Tribunale che decreta le confische.
L'inchiesta viene fuori da alcune da denunce pubbliche. In particolare, c’è una denuncia di Massimo Ciancimino, che risale a cinque anni fa. E c’è una battaglia condotta con coraggio e determinazione dal direttore di TeleJato, Pino Maniaci. Sullo sfondo, beni confiscati che sarebbero stati assegnati quasi sempre a una ristretta cerchia di professionisti, che ne avrebbero ricavato parcelle molto ricche. L’inchiesta ruota sui beni immobili e beni aziendali confiscati in Sicilia.
Stando a indiscrezioni, l’inchiesta di Caltanissetta avrebbe subìto un’accelerazione perché su questa storia
mafia
avrebbero lavorato, e molto, i giornalisti di Report, la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli, giornalista di altri tempi abituata a non guardare in faccia nessuno. A quanto pare, sull’argomento potrebbero tornare anche Le Iene, altra trasmissione televisiva che si è ampiamente occupata di questa storia.
I finanzieri della  Polizia tributaria di Palermo avrebbero già fatto visita nello studio dell’avvocato Cappellano Seminara e nell’ufficio del giudice Saguto. Mentre i giornalisti di Report - stando sempre a quanto si sussurra - sarebbero riusciti a raccoglie testimonianze importanti, da parte di personaggi direttamente coinvolti in questa storia.
Le cronache registrano anche una dichiarazione ufficiale della Procura di Caltanissetta: “Questi atti istruttori sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla presidente della sezione Misure di Prevenzione del tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”.
Nel 2014 è stato il Prefetto Giuseppe Caruso, poco prima di lasciare la direzione dell'Agenzia per la gestione dei beni confiscati alla mafia, a denunciare la “gestione ad uso privato” dei beni confiscati. Il riferimento è ad alcuni amministratori giudiziari scelti dai Tribunali, con in testa il già citato avvocato Cappellano Seminara.
Le cronache di quei giorni roventi registrano una visita della Commissione nazionale Antimafia presieduta
nello musumeci
Nello Musumeci
da Rosi Bindi, piombata in Sicilia per difendere, forse in modo un po’ troppo ‘oleografico’, la magistratura. Della serie, non delegittimate il “sistema”, cioè la Giustizia. Un po’ più centrato, nel febbraio di quest’anno, l’intervento della Commissione Antimafia regionale, presieduta da Nello Musumeci, che, differenza delle ‘oleografie’ romane, ha toccato un punto nevralgico: “In alcuni casi - ha affermato Musumeci - abbiamo ricevuto denunce di incompatibilità, eccessiva concentrazione di incarichi, in altri tentativi di favorire società o studi professionali vicini all’amministratore”.
Poi è stata la volta del presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, nominato dal governo all'Agenzia nazionale oggi guidata dal Prefetto Umberto Postiglione. L’azione di Montante è durata poco, perché a suo carico è stata data notizia di un’indagine che lo vedrebbe coinvolto per fatti di mafia.
Sul sito Zone d’ombra tv si leggono alcune notizie che fanno chiarezza su un argomento complesso (che potete leggere qui). Si ricorda la raccolta di firme lanciate dall’associazione Libera per introdurre il riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati. E l’approvazione, da parte del Parlamento nazionale, della legge n. 109 del 1996. Legge che distingue tre categorie di beni confiscati alla mafia. Vediamoli.  
a) I beni mobili, ovvero denaro contante e assegni, liquidità e titoli, crediti personali (cambiali, libretti al portatore, altre obbligazioni), oppure autoveicoli, natanti e beni mobili che non fanno parte di patrimoni aziendali. Di norma, le somme di denaro confiscate o quelle ricavate dalla vendita di altri beni mobili sono finalizzate alla gestione attiva di altri beni confiscati. Anche se su questo non sono mancati i dubbi e le polemiche. Tant’è vero che, tra Montecitorio e Palazzo Madama, alcuni parlamentari meridionali hanno provato, senza successo, a far riportare i beni mobili confiscati nella disponibilità delle aree del Paese dove avvengono le confische. Battaglia parlamentare perduta, perché questi soldi rimangono a Roma.   


b) I beni immobili, ovvero appartamenti, ville, terreni edificabili o agricoli. Hanno un grande valore simbolico, perché rappresentano in modo concreto il potere che il boss può esercitare sul territorio che lo circonda. Possono essere utilizzati per “finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile”, come prevede la legge, o possono essere trasferiti al Comune di appartenenza. I Comuni, a propria volta, possono amministrarli direttamente o assegnarli, a titolo gratuito, ad associazioni, comunità e organizzazioni di volontariato. 
c) I beni aziendali: si tratta, in questo caso, di aziende frutto di riciclaggio di denaro ‘sporco’. In questa categoria ritroviamo aziende di vario tipo: agroalimentari (per esempio, supermercati), aziende che operano nell’edilizia, ristoranti, pizzerie e via continuando.
pino maniaci
Pino Maniaci
Nel sito si leggono alcune dichiarazioni di Pino Maniaci: "Insieme ad altri tre, quattro giudici - dice il direttore di TeleJato - la Saguto gestisce il 43 per cento dell'intero patrimonio sequestrato ai mafiosi in tutta Italia”, che ammonterebbe a circa 50 miliardi di Euro. Beni, aggiunge Maniaci, che sarebbero gestiti sempre le stesse persone, cioè dagli stessi amministratori giudiziari. 
I professionisti in grado di ricoprire il ruolo di amministratore giudiziario sono circa 4mila, tutti inseriti in un albo di amministratori competenti, che è stato costituito, per legge, nel gennaio 2014. “Alla lista - leggiamo sempre nell'articolo pubblicato dal sito - bisognerebbe attingere per la scelta delle professionalità in base a competenze e capacità. La scelta, a quanto pare, è arbitraria, effettuata dai giudici della sezione delle misure di prevenzione in cui si ritrovano molto i soliti trenta nomi.  Tra i preferiti dai giudici spicca il nome di Gaetano Cappellano Seminara, soprannominato il 'Re'. Il 90% delle aziende sequestrata e lui affidate, gran parte nel settore edilizio e immobiliare, sono state chiuse per fallimento”. Qui si tocca un tema caldo: la mancanza di cultura imprenditoriale da parte dei soggetti chiamati a gestire queste aziende, che spesso vanno in malora.
“Seminara - leggiamo sempre nell'articolo - oggi è uno degli avvocati più riccchi d'Italia. Un uomo che si occupa di beni sequestrati e confiscati, con 54 incarichi in varie aziende e amministratore di 250 aziende con un onorario che si aggirerebbe intorno ai 7 milioni di euro l'anno”. 
Nel sito di parla anche del conflitto di interessi dell’avvocato Seminara. “La Legalgest Srl è proprietaria di un hotel di cui Seminara avrebbe il 95% delle quote mentre il restante 5% apparterrebbe alla figlia. La curiosità è che l'amministratore della società è la nonna 82enne dell'avvocato. Nel 2011 la stessa Legalgest cede la gestione dei servizi alberghieri alla Tourism project Srl di cui è proprietaria, al 100% delle quote, la stessa Legalgest Srl”. Insomma, un gioco di scatole cinesi.  
“Appare strano - leggiamo sempre nell’articolo - che nessuno si sia accorto di un evidente conflitto d'interesse quando Seminara si è occupato, come amministratore giudiziario, di un altro gruppo alberghiero: la Ghs Hotels F. Ponte Spa”. 
"Esiste una sorta di cupola degli amministratori giudiziari che agiscono in perfetto accordo con il Tribunale di Palermo, in particolare al responsabile della sezione misure patrimoniali" chiarisce Salvo Vitale di Radio Aut e collaboratore di TeleJato. Nell’articolo si racconta anche del ruolo dell’avvocato Seminara nella discarica di Bucarest, ritenuta la più grande d’Europa. "Quando uno dei proprietari si ritirò e bisognava rinnovare il Consiglio di amministrazione – si legge sempre nel sito che cita un articolo de I Siciliani -  Cappellano pagò un lavavetri per acquistare, come prestanome, una quota importante ed entrare nel consiglio di amministrazione, per poi diventarne presidente, giochetto che gli è riuscito numerose volte. Questa volta il gioco è stato smascherato”.
Il caso è stato smascherato, manco a dirlo, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, già magistrato inquirente di punta al Tribunale di Palermo.  
“A non essere rispettata è la Legislazione Antimafia - Vittime della mafia e relativo Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. I beni confiscati sono circa 12.000 in Italia - si legge sempre nell’articolo -. La fase del sequestro, secondo la legge, non deve superare i 6 mesi, rinnovabile al massimo di altri 6, periodo in cui vengono svolte le dovute indagini e si decide il destino del bene stesso: se dichiarato legato ad attività mafiose esso viene confiscato e destinato al riutilizzo sociale; se il bene è pulito viene restituito al precedente proprietario. Nella pratica il bene non viene mantenuto nello stato in cui viene consegnato alle autorità, né vengono rispettate le tempistiche. In media, il bene resta sotto sequestro per 5-6 anni, ma ci sono casi in cui il tempo si prolunga fino ad arrivare a 16 anni”. 
“Una legge limitata - se legge ancora nell’articolo - da aggiornare, che non permette gli adeguati controlli e conduce troppo spesso al fallimento dei beni per le - forse volute - incapacità del sistema”.
Su Live Sicilia leggiamo la replica di qualche tempo fa dell'avvocato Cappellano Seminare: “Ho presentato una parcella lorda di 7 milioni di euro per 15 anni di lavoro durante il quale ho amministrato, insieme ad un team di 30 collaboratori, 32 società e ho accresciuto il valore commerciale degli asset a me conferiti a 1,5 miliardi di euro. Nel periodo di gestione giudiziaria i soli beni aziendali giunti a confisca hanno prodotto ricavi per oltre 280 milioni di euro, attestando così il costo della gestione giudiziaria a circa il 2,50% dei ricavi. Giova inoltre ricordare che dalla liquidazione disposta dal Tribunale, interamente corrisposta con fondi del patrimonio confiscato, ne è derivata a mio carico, in favore dell'Erario una imposizione fiscale di complessivi euro 4.248.281 pari al 60% del lordo percepito”. 
BARRESI, BIANCHI, CALLERI, CARTABELLOTTA, LO CICERO, CORSELLO, CUFFARO, FIUMEFREDDO, IRSAP,GIAMMANCO, GUAGLIANO, INGROIA, IRFIS, LO BELLO, LOMBARDO, LUMIA, MARINO, MONTANTE, RESAIS, SCILABRA, TOZZO, IRSAP,VENTURI
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:27
 Il grande affare della gestione dei beni confiscati alla mafia in Sicilia



 Corruzione, induzione alla concussione e abuso d’ufficio. Sono questi i reati sui quali indagano i pm di  Caltanissetta nel fascicolo che riguarda la gestione dei beni confiscati a Palermo, e in parte anche in altre province, tra cui Trapani. Magistrati che indagano su altri magistrati: perché nel mirino della procura nissena c’è  Silvana Saguto,  presidente delle Misure di Prevenzione (e ritenuta una delle persone più a rischio di attentati in Sicilia) insieme al  più noto fra gli amministratori giudiziari,  Gaetano Cappellano Seminara, fino a poco tempo fa “re” incontrastato della gestione dei beni sequestrati alla mafia.
La tesi è questa: Saguto avrebbe assegnato le amministrazioni giudiziarie all’avvocatone, facendogli guadagnare cifre consistenti. In cambio Cappellano avrebbe affidato, secondo la Procura, incarichi di consulenza a Lorenzo Caramma, ingegnere e  marito della Saguto.
Scrive Riccardo Arena sul Giornale di Sicilia:
L’inchiesta della Procura di Caltanissetta e del Nucleo regionale di polizia tributaria della Guardia di Finanza, sui presunti scambi di favori tra il giudice e l’amministratore giudiziario, poggia su tredici incarichi che Caramma ha avuto, tra il 2004 e il 2014, non solo a Palermo, ma anche a Caltanissetta e Trapani, ricevendo una retribuzione complessiva di 750 mila euro lordi: e 306.788 euro gli sarebbero stati «corrisposti direttamente dall’avvocato Cappellano Seminara». Non si trattava di prestazioni professionali ma ci sarebbe stato dietro uno scambio di favori, sostiene l’accusa, perché Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, a Cappellano Seminara affidò poi una serie di incarichi.
E mentre la diretta interessata nega ogni addebito e garantisce la correttezza del proprio operato, il presidente del tribunale precisa che“preso atto dei provvedimenti adottati dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta e ritenuto che, nonostante la complessa interlocuzione con il Presidente della Sezione, non sono ancora pervenuti i dati richiesti nella loro completezza, ha emesso, in data odierna, un provvedimento con il quale ha disposto una diretta e definitiva verifica. Tutti i dati emersi fino a questo momento sono stati comunicati al Csm e al Ministero”.
Al di là del fatto in se, l’inchiesta pone ancora una volta il problema di come avviene la gestione dei beni confiscati alla mafia in Italia. Perchè si tratta di una pratica nuova, che tutta Europa ci invidia, un metodo potentissimo per levare potere ai mafiosi (dato che, di fatto, gli si levano soldi, aziende, immobili, in una parola: l’aria), ma nel tempo ciò ha fatto nascere un groviglio di interessi, gruppi di potere, lobby, cresciuto man mano che aumentavano i volumi dei beni confiscati. Stiamo parlando di 10.500 immobili, in tutta Italia, e quasi un migliaio di aziende. Ad esempio, dalle stanze di Saguto, a Palermo, saranno passati provvedimenti di sequestro di beni a mafiosi per decine miliardi di euro. Ogni volta, il collegio, cioè  Saguto e i suoi colleghi, affida il bene ad un amministratore giudiziario nominato in via fiduciaria. E nel tempo Cappellano Seminara è diventato effettivamente il più fidato tra gli amministratori, e il più potente, gestendo i beni di Ciancimino come una serie di alberghi. Telejato, che si occupa molto da vicino della vicenda,  fa un riassunto dei principali incarichi dell’avvocato.
Con abile mossa l’avvocato Cappellano è riuscito a mettere le mani su una parte del settore alberghiero palermitano, quello del Gruppo Ponte, con la scusa della presenza del mafioso Sbeglia, tra i presunti  lavoratori dell’albergo. Adesso la situazione dell’albergo è pietosa, ci sono state denunce di clienti che si sono trovati in stanze con le vasche da bagno sporche e con fuoriuscita di acqua verdastra dai rubinetti, ma il solito Cappellano ha invitato il cliente a soprassedere. La longa manus di Cappellano, sempre con la firma della Saguto, si è estesa a novanta incarichi ad esso assegnati, di cui siamo in grado di fornire l’elenco, e dove si incontrano enormi patrimoni interamente assorbiti dal nulla o rivenduti ad amici o finiti in partite di giro dove ci sono strani passaggi di mezzi, beni, merci e quant’altro da un’azienda a un’altra, il tuttio svenduto per quattro soldi. E’ il caso dell’Aedilia Venustas, per non parlare di quello della Immobiliare Strasburgo del mafioso Piazza, per la cui amministrazione, secondo l’ex prefetto Caruso, Cappellano avrebbe incassato 7 milioni di euro e altri 100 mila euro come compenso del suo ruolo di componente del consiglio di amministrazione. Altra pagina che lascia sgomenti e per la quale Cappellano è indagato è quella della discarica di Glina, che il nostro insaziabile rappresentante dello stato avrebbe cercato di controllare interamente, mandando un lustrascarpe a comprarne una quota per 300 mila euro.  
Nel 2014 il prefetto Giuseppe Caruso, poco prima di lasciare la direzione dell’Agenzia, sollevò un polverone denunciando la “gestione ad uso privato” dei beni da parte di alcuni amministratori giudiziari scelti dai Tribunali. Il coro contro le sue affermazioni fu unanime. Oggi, Caruso, intervistato da Francesco Viviano su La Repubblica, si prende la sua rivincita:
Prefetto, un anno e mezzo fa la sua denuncia pubblica sulle “storture” dell’amministrazione dei beni confiscati ai mafiosi suscitò diverse critiche, anche in Commissione antimafia. L’accusarono di aver delegittimato l’operato dei giudici delle misure di prevenzione…
“Non voglio commentare l’inchiesta in corso alla Procura della Repubblica di Caltanissetta ma credo che chi allora mi accusò per aver denunciato quello che era sotto gli occhi di tutti abbia sbagliato di grosso. Per quarant’anni ho lavorato a fianco della magistratura e ho soltato denunciato, e nelle sedi istituzionali, che certe gestioni di patrimoni confiscate ai mafiosi andavano riviste e che c’erano delle conflittualità e delle incompatibilità che non potevano essere ammesse”.
Lei fece espresso riferimento all’avvocato Cappellano Seminara, il “re” degli amministratori giudiziari che gestisce la fetta più grossa dei beni confiscati in Sicilia e che è stato da poco rinviato a giudizio a Roma per truffa aggravata per la gestione della discarica di Bucarest sequestrata ai Ciancimino.
” Anche qui, ho detto cose che tutti gli addetti ai lavori e non solo sanno benissimo. L’avvocato Cappellano Seminara, in alcuni casi, era contemporaneamente amministratore giudiziario incaricato dai giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo e componente del consiglio di amministrazione di alcuni beni sequestrati a Cosa nostra, controllore e controllato, percependo due compensi. Penso, per esempio, ad alcune società confiscate al costruttore Vincenzo Piazza”
Lo scorso febbraio, tra l’altro, è stata  la commissione regionale antimafia, presieduta da Nello Musumeci, a denunciare presunte anomalie: “In alcuni casi abbiamo ricevuto denunce di incompatibilità, eccessiva concentrazione di incarichi, in altri tentativi di favorire società o studi professionali vicini all’amministratore”.
Rotazione degli incarichi, trasparenza, pubblicità degli atti sono principi che valgono per tutta la Pubblica Amministrazione, ma che nel caso della gestione dei beni confiscati non hanno trovato mai attuazione. Da quanto tempo, ad esempio, si parla di un albo pubblico degli amministratori dei beni? E così è tutto un rincorrersi di voci, tra chi lavora in aziende sequestrate: consulenze pagate a peso d’oro da aziende sotto amministrazione giudiziaria a parenti, amici di investigatori e magistrati, operai che raccontano di forniture improvvise verso alcune ditte, parcelle gravosissime di consulenti. Giovanissimi avvocati trentenni,figli di magistrati di peso,che diventano improvvisamente amministratori di imperi sequestrati ai mafiosi. Aziende che vengono spacchettate, e divise, quasi a fare un favore ai concorrenti, anziché essere risanate e messe sul mercato. Ma è impossibile avere trasparenza, è come un muro di gomma. Anche perché negli anni è successa anche un’altra cosa: la crescita della dittatura ideologica dell’antimafia. E allora, mettersi contro un amministratore giudiziario, o chiedere semplicemente lumi sul suo operato, in molti contesti passa come un voler fiancheggiare la mafia. O buoni o cattivi, non ci sono terze vie. E come al solito, in Italia, quando una terza via non c’è, l’unica che rimane è quella giudiziaria, che non è una risposta ad un problema generale, è l’accertamento di alcuni fatti, con l’eventuale sanzione, ma che non porta alla risoluzione dei problemi. Anzi, solitamente, quando la magistratura interviene, succede che sulle macerie altre lobby si affacciano…


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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:25

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Macchine, compensi e telefonini  Beni confiscati: le accuse a Virga jr 


Mercoledì 16 Settembre 2015 - 06:00 di Riccardo Lo Verso

Più che una rivendita di auto di lusso, la Nuova Sport Car di Isola delle Femmine (nella foto), sequestrata per mafia agli imprenditori Rappa di Palermo, sarebbe diventata la base operativa di un comitato d'affari gestito dagli amministratori giudiziari.

PALERMO - Ci sono i ricchi compensi dei consiglieri di amministrazione. Le macchine acquistate da parenti e amici a prezzi stracciati e altre addirittura comprate sotto costo e rivendute per incassare la plus valenza. Ci sono incarichi per consulenze poco chiare, fatture per l'acquisto di telefoni con i soldi dell'azienda e lavori eseguiti da una ditta di impianti “in locali privati di pertinenza dei membri del Cda o del direttore commerciale”. Da qui le accuse di peculato, falso e induzione indebita a dare o promettere utilità contestate nel decreto di sequestro. Accuse tutte ancora da riscontrare.

Più che una rivendita di auto di lusso, la Nuova Sport Car di Isola delle Femmnine, sarebbe diventata la base operativa di un comitato d'affari. L'amministratore giudiziario Walter Virga e gli uomini che ha voluto accanto a sé sono finiti sotto accusa. Avrebbero violato ogni criterio di trasparenza e legalità, tradendo il mandato che era stato conferito dall'ormai ex presidente delle Misure di prevenzione, Silvana Saguto. Virga aveva creato uno staff per gestire l'impero economico degli imprenditori Rappa, eredi di Vincenzo condannato in via definitiva per mafia. Una lunga lista di beni, società e imprese che valgono 800 milioni di euro - compresi la concessionaria di auto e l'emittente televisiva Trm - e su cui saranno estese le indagini.

Finora i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Palermo si sono concentrati sulla Nuova Sport Car e sui negozi di abbigliamento, pelletteria e accessori con il marchio Bagagli. Per la concessionaria, come prevede la legge, Virga ha scelto di avvalersi della collaborazione di altre persone che oggi con lui condividono il destino di indagati dalla Procura di Caltanissetta. Si tratta di Alessio Cordova, Dario Majuri e Giuseppe Rizzo. I primi sono coadiutori di Virga, Rizzo, invece, è il responsabile della concessionaria. O meglio erano, perché la decisione di lasciare l'incarico presa ieri dall'amministratore giudiziario, anticipando di fatto la revoca del Tribunale, fa decadere, a cascata, tutti gli altri incarichi. Compreso quello di Alessandro Kallinen Garipoli, pure lui indagato, che era coadiutore di Virga nella gestione della catena dei negozi Bagagli, il primo sequestro affidato dalla Saguto al giovane avvocato di 35 anni, figlio di Tommaso, presidente di sezione del Tribunale ed membro del Csm. In ballo c'è l'ipotesi, tutta da verificare, che l'incarico dato dalla Saguto al figlio sia stato un modo per sdebitarsi con il padre che l'avrebbe favorita in un procedimento disciplinare davanti al Consiglio superiore della magistratura. Da qui l'accusa di induzione alla concussione contestata a Tommaso Virga.

Al di là di questo episodio, gli investigatori si concentrano nella gestione dei due sequestri affidati al giovane Virga. E c'è ancora molto da scoprire. Lo si intuisce dal fatto che nelle carte ci sono altri nomi spesso associati a fatture emesse per svariate prestazioni di cui nulla viene specificato, In un solo caso si parla di “consulenze pubblicitarie”, per il resto nessuna specificazione da parte dei finanzieri che hanno scelto di essere criptici per blindare il più possibile le indagini. Terminati i sequestri è iniziata la fase di studio delle carte per trovare conferma alle ipotesi di reato già note ai pubblici ministeri nisseni e palermitani. È stata infatti l'indagine a carico di Walter Virga l'origine del terremoto che ha travolto altre persone, compresi quattro giudici. L'amministratore intercettato in un procedimento a Palermo ha fornito inconsapevolmente nuovi spunti che sono stati poi trasferiti alla Procura di Caltanissetta, competente quando ci sono di mezzo magistrati in servizio a Palermo.

Atti giudiziari criptici, dunque. Alcuni passaggi offrono, però, un quadro più chiaro di altri. Ad esempio quelli che riguardano l'acquisto a prezzi stracciati di alcune macchine: dalla “Toyota Rav 4 intestata alla moglie di Majuri comprata ad un prezzo inferiore di mercato” alla “Land Rover venduta "con prezzo di favore" ad Andrea Vincenti (figlio del giudice Cesare, oggi all'ufficio Gip ma in passato alle Misure di prevenzione. Vincenzi jr sostiene di avere usufruito di una normale scontistica), all'acquisto di “autovetture da parte di Giuliana Pipi (moglie di Virga) dalla mamma e dalla suocera di Alessio Cordova, della moglie di Kallinen ad un prezzo inferiore di mercato”. E sono stati sequestrati pure i documenti dell'acquisto di una Audi A4 e di una Mini Cooper da parte di Rizzo “tramite la Nuova Sport car a prezzi di favore (con eventuale successiva rivendita ad altri a prezzi di mercato”.

L'attenzione si concentra anche sui “provvedimenti di liquidazione in favore dei componenti del consiglio di amministrazione” (non si conoscono ancora le cifre nel dettaglio, ma si tratta di migliaia di euro al mese che nel caso di Virga sarebbero stati centinaia di migliaia all'anno sommando gli incarichi Rappa e Bagagli ), sugli “acquisti dell'Iphone 6 da parte di Walter Virga, Dario Majuri, Alessio Cordova e da parte di persone a vario titolo coinvolte nell'amministrazione della Nuova Sport car o di familiari di quest'ultimi”. C'è infine un dato che sposta le indagini da Palermo a Gela, dove Rizzo avrebbe commesso il reato di “induzione indebita a dare o promettere utilità". Inutile sperare in questa fase di sapere cosa facciano riferimento gli investigatori.

I soldi della Mafia e dell'Antimafia/ Pino Maniaci: “Gli amministratori giudiziari fanno fallire le aziende perché ci guadagnano” 


Giulio Ambrosetti [16 Sep 2015 | 

Intervista a Pino Maniaci, il direttore di TeleJato che ha fatto saltare in aria gli affari legati al mondo dei sequestri dei beni ai mafiosi. La sua grinta. Ma anche la sua solitudine: “Ho provato a contattare Michele Santoro e Milena Gabanelli. Tutto inutile”. La clinica Santa Teresa di Bagheria “vicina al fallimento”. Le domande che la redazione di TeleJato ha inviato alla dottoressa Saguto. Che non ha mai risposto 
“Oggi sono molto amareggiato. E addolorato. No, non sono affatto felice. Scoprire un verminaio dentro il Tribunale di Palermo non mi ha dato alcuna soddisfazione. Anzi, se proprio debbo essere sincero, sono molto preoccupato. Non vorrei che, per tutto quello che sta venendo fuori in materia di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, i mafiosi brindino. Mi auguro che la Procura della Repubblica di Caltanissetta metta in luce tutto il malaffare, individuando i responsabili e ripristinando la legalità”. 
Così parla Pino Maniaci, il battagliero e coraggioso direttore di TeleJato. L’uomo è abituato alle bufere. I mafiosi di Alcamo, Partinico, Castellammare del Golfo, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Corleone, Cinisi, Terrasini, Montelepre, in tutti questi anni, gliene hanno fatto vedere di tutti i colori. Minacce, intimidazioni, auto incendiate, i suoi cani impiccati. Fare un giornalismo d’inchiesta contro i mafiosi non è facile. Tutt’altro. Ma lui tira dritto. Anche se incontra una montagna. Perché Pino Maniaci e la redazione di TeleJato, di fatto, negli ultimi due anni, si sono scontrati contro una montagna che, come tutte le montagne, non è facile spianare. Una montagna fatta del vero potere: quello di certi magistrati che gestiscono i beni sequestrati e confiscati alla mafia. Una montagna che si chiama sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo.
Ebbene, Pino Maniaci e la redazione di TeleJato sono riusciti, da soli, a spianare questa montagna di
silvana saguto
Il giudice Silvana Saguto
malaffare. Oggi la montagna non c’è più. La presidente della sezione per le Misure di prevenzione, Silvana Saguto, si è dimessa. E sembra che con questa figura, che ci ricorda un certo Sansone, potrebbero cadere pure tutti i filistei: cioè tutti gli amministratori giudiziari che, per tanti anni, hanno brillato della ‘luce’ irradiata dalla dottoressa Saguto.
Con Pino Maniaci proviamo ad affrontare il ‘caso’ del verminaio da una particolare angolazione: l’economia.
Alla fine certi amministratrori giudiziari hanno devastato l'economia? 
“In certi casi sì - ci dice Maniaci -. Questa è una storia dalle tante sfaccettature. E tra queste sfaccettature c’è anche l’economia. Ora la domanda la pongo io: secondo voi, può un Tribunale gestire l’economia di un’intera provincia?”.
Si riferisce, ovviamente a Palermo e provincia, no?
“Certamente. A Palermo e provincia si concentra il 43 per cento dei beni sequestrati e confiscati. Ebbene, per la gestione di questi beni non sono state nominate figure di prestigio. La sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha nominato solo avvocati. Mi chiedo e chiedo: possono gli avvocati, che spesso non hanno alcuna esperienza imprenditoriale, andare a gestire aziende dove, in tanti casi, lavorano decine, se non centinaia di persone? Attenzione: noi non stiamo contestando la legge sul sequestro ed eventuale confisca dei beni ai mafiosi. La legge è giusta. Noi ci siamo occupati della gestione di questi beni. E abbiamo scoperto cose incredibili! Parcelle enormi. Aziende sane portate al fallimento con enormi danni per l’economia. Lo sapete che il 90 per cento delle aziende finite nelle mani degli amministratori giudiziari falliscono?”.
Perché le fanno fallire?
“Perché gli conviene”.
In che senso?
“Se fanno fallire un’azienda non debbono rendicontare un bel niente. Se invece la tengono in vita debbono rendicontare tutto”.
Il problema, se abbiamo ben capito, non riguarda solo le aziende confiscate, ma anche quelle poste sotto sequestro che, in teoria, potrebbero tornare al legittimo proprietario.
“Per l’appunto”.
Salvo Vitale, qualche giorno fa, ha scritto che molte di queste aziende avrebbero dovuto essere restituite ai legittimi proprietari scagionati dalle indagini. Ai quali hanno restituito aziende malconce.
“Io direi devastate”.
Come fanno a devastare le aziende?
“Con un metodo ben organizzato e ben oliato”.
Proviamo a descriverlo?
“Prima arriva l’amministratore giudiziario nominato dalla sezione per le Misure di prevenzione. E già qui le parcelle volano. Poi spuntano tre coadiutori da 4 mila e 500 euro al mese cadauno. Quindi tocca ai periti che si tengono il cinque per cento del capitale. Il cerchio si chiude con i consulenti”.
Insomma, tante tavole apparecchiate…
“Già”.
Ma che mondo è quello degli amministratori giudiziari made in dottoressa Silvana Saguto?
“E’ un modo chiuso. Solo per pochi eletti”.
Voi di TeleJato come siete arrivati a questo mondo?
“Tutto è iniziato con la denuncia di alcuni operai di un’azienda di calcestruzzo. Un’azienda sana sottoposta a sequestro. Gli operai sono venuti da noi a raccontarci che l’amministratore giudiziario invece di fare lavorare loro faceva lavorare i padroncini di un’altra azienda sottoposta a sequestro. La cosa ci ha allertato. E ci siamo gettati in questa storia. Piano piano, una dopo l’altra, abbiamo iniziato a scoprire tante storie, una più strana dell’altra”.
Man mano che andavate avanti non vi sono arrivati avvertimenti?
“Che dire? Un giorno ho chiesto a un magistrato: ma perché per gestire questi beni vengono nominate quasi sempre le stesse persone? Mi ha risposto: o perché sono bravi, o perché gli piacinu i picciuli (tradotto per i non siciliani: perché gli piacciono i soldi)”.
La seconda tesi ci sembra più veritiera.
“Anche a me”.
Altri avvertimenti?
“Un altro mi ha detto: Pino stai mettendo i piedi su una mina. E un altro ancora ha precisato: sai, se non ti ammazzerà la mafia, questa volta ti ammazzerà l’antimafia”.
Ne ha incontrati, di personaggi particolari, in quest’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati.
“Eccome! Ricordo il giudice Tommaso Virga. Archivia un procedimento a carico della dottoressa Saguto. Dopo qualche settimana Walter Virga, suo figlio, incassa una nomina. Se non ricordo male, 700 mila euro”.
Parla del giudice Virga del CSM?
“Sì, ma oggi non fa più parte del Consiglio Superiore della Magistratura”.
In questa storia, oltre ai magistrati, sono coinvolte altre figure istituzionali?
“Sì. Ci sono Carabinieri, militari della Guardia di Finanza. La dottoressa Saguto cercava di accontentare tutti. Di tutto e di più”.
Avete provato, in questi due anni, a coinvolgere altri esponenti del mondo dell’informazione?
“Certo. Mi sono rivolto a Michele Santoro, a Milena Gabanelli e ad altri”.
Cosa le hanno risposto?
“Nulla. Non si sono mai fatti sentire. La verità è che, a parte Le Iene, in questa storia noi di TeleJato siamo rimasti da soli. Tutti gli altri si toccavano il culo con la pezza. Mi hanno preso per matto. Per uno fuori dagli schemi. Oggi mi danno pacche sulle spalle”.
Alla fine che idea si è fatto di questa storia?
“Che è una storia ben più grave di Mafia Capitale. Nella gestione dei beni sequestrati alla mafia sono coinvolti ‘pezzi’ dello Stato. Invito tutti a riflettere sul silenzio della politica. E sul silenzio dell’antimafia ufficiale. A cominciare dalla commissione nazionale antimafia”.
E’ corretto parlare di mafia dello Stato?
“Io parlerei di mafia dell’antimafia”.
C’è qualcosa che l’ha particolarmente colpito di più in questa storia?
“Sì: la gestione disinvolta dei sequestri di beni. Ci sono beni societari sotto sequestro da diciassette anni! Questo è incredibile. La signora Saguto è stata capace di far modificare la legge sulla scadenza dei termini. Questo avveniva nel 2011. Di fatto, sui sequestri non c’è più scadenza!”.
Ma il Procuratore della Repubblica, il presidente del Tribunale e tutte le altre autorità non sapevano nulla?
“Dovrebbe chiederlo a loro”.
Nella vostra inchiesta avete incrociato politici?
“Ricordo che il senatore Giuseppe Lumia si è battuto per il sequestro di alcune aziende che operano nell’area portuale di Palermo. Aziende che sono ancora sotto sequestro. E sapete chi è l’amministratore giudiziario?”.
Ci dica.
“L’avvocato Gaetano Cappellano Seminara”.
Un nome a caso…
“Sì, un nome molto a caso”.
Che ci dice della clinica Santa Teresa di Bagheria, quella confiscata all’ingegner Michele Aiello?
“Ah, qui ci sarebbe una bella storia”.
Ce la racconta?
“E’ semplice: una lite tra l’ex amministratore giudiziario della clinica Santa Teresa, Andrea Dara, e l’avvocato Cappellano Seminara”.
Ancora lui?
“Sì, ancora lui”.
E che c’entra l’avvocato Cappellano Seminara con la clinica Santa Teresa?
“Ha fatto una bella consulenza. E si è beccato una parcella da circa un milione di Euro”.
Ammazzate!, direbbero a Roma. E poi che sa sul Santa Teresa.
“Poco. Pare che sia sparita una Porsche. E pare che siano stati venduti macchinari per milioni di Euro”.
Venduti? A chi?
“Venduti a dei medici”.
Ma è vero che la clinica Santa Teresa, come si dice in Sicilia, èmuru cu muru cu ‘u spitali? (tradotto: è in difficoltà economiche).
“Credo che sia vicina al fallimento. Insomma, è in grosse difficoltà economiche. Detto questo, l’attuale amministratore, il prefetto Giosuè Marino, è una gran persona per bene”.
La presidente dell’Antimafia nazionale, Rosy Bindi, si è fatta sentire?
“Per favore!”.
Cioè?
“Che vi debbo dire? Ricordo che un giorno è arrivata in Sicilia per portare la solidarietà al giudice Nino Di Matteo. E invece poi ha espresso solidarietà alla dottoressa Saguto. Insomma, per l’onorevole Bindi nella gestione dei beni sequestrati alla mafia andava tutto bene”.
E Claudio Fava?
“Anche per lui andava tutto bene”.
Ma voi vi siete rivolti alla dottoressa Saguto?
“Certo! Le abbiamo chiesto un’intervista. Ci ha risposto dicendoci: inviate le domande. E noi gliele abbiamo inviate”.
Ha risposto?
“Sì: in tre righe. Vi leggo la risposta: ‘In riferimento alla proposta di intervista, sono spiacente di dover declinare la richiesta, poiché, per indirizzo della sezione, non si forniscono informazioni sull'andamento della stessa. Saluti Silvana Saguto’ Capito?”.
Ci può fornire le domande che avete posto alla dottoressa Saguto? Così i nostri lettori si fanno un’idea degli argomenti sui quali l’ex presidente della sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha glissato.
“Certamente. Eccole”.
Queste le domande che la redazione di TeleJato ha posto alla dottoressa Saguto.
Egregia dottoressa Saguto, con la presente le inviamo le domande, come da lei richiestoci, che vorremmo porle nel corso di un’intervista al fine di spiegare ai nostri telespettatori i problemi e le dinamiche riguardanti la gestione dei beni sequestrati alla criminalità, soprattutto quella organizzata.
-          In mancanza dell’albo degli amministratori giudiziari, che pure dovrebbe esistere, come previsto dalla legge del 2010 (DECRETO LEGISLATIVO 4 febbraio 2010, n. 14 e successive modifiche) come si nominano gli amministratori giudiziari?
-          Secondo la prassi gli amministratori giudiziari hanno un rapporto fiduciario con il giudice che li nomina e con i sostituti che si occupano di più specifici ambiti territoriali: questo rapporto è totalmente discrezionale o vi è un garante esterno che può intervenire e sindacare le scelte del tribunale?
-          I periti che devono occuparsi di accertare la provenienza lecita o meno del bene hanno un particolare criterio di scelta od anche quello è discrezionale nella persona del presidente dell’ufficio delle misure di prevenzione e dei suoi sostituti?
-          In che misura e secondo quali crismi vengono calcolate le parcelle degli amministratori e dei periti? Possiamo anche parlare di Milioni di euro?
-          Grave problema, riscontrabile sul territorio, è il deperimento naturale che in particolare le aziende e le imprese, ma solitamente tutti i beni , hanno durante il periodo di amministrazione giudiziaria. Ora, al di là dei rimpalli di competenza con le associazioni subentranti come assegnatari, è evidente che il cittadino medio, che vede decadere le aziende floride, seppur mafiose, sia quasi autorizzato a pensare che lo stato non sia in grado di subentrare alla Mafia, e che economicamente e lavorativamente i mafiosi siano più convenienti. Di quanto detto siamo in grado di fornire diversi esempi, tra i quali i cassaintegrati della <> ed il tracollo della ditta di latticini <>. Quali sono, viene da chiedersi, le competenze esigibili dagli amministratori giudiziari? Come si risolvono eventuali inefficienze ed inadeguatezze?
-          E’ chiaro che non essendoci un albo da cui attingere nominativi è logico ricorrere al sistema del rapporto fiduciario con enti e soggetti del territorio. In tutto ciò si possono verificare evidenti problemi di conflitti d’interesse, che al di là di perniciosi discorsi legislativi, oltrepassano il confine della buona fede e del buon esempio che l’apparato giudiziario deve sempre esprimere. Come si interviene in questi casi? C’è un ente terzo che dovrebbe pronunciarsi? Se così non fosse ci sarebbe la strana regola per cui a pronunciarsi sui conflitti d’interesse sarebbe lo stesso soggetto, ovvero il giudice, coinvolto nel conflitto.
-          In ambito territoriale si riscontra un dato sociologico allarmante, ovvero la scarsa propensione della gente ad accettare l’amministrazione giudiziaria, per i motivi precedentemente esposti. Noi, che partiamo proprio dal territorio per fare un’analisi oggettiva dei fatti le chiediamo: è opportuno che un amministratore giudiziario come il Signor Benanti, dopo essere stato sospeso dall’amministrazione di un bene per avere commesso gravi condotte sia ancora oggi amministrare di altri beni? Cosa vieta di pensare che la condotta si reiteri? Come mai non si è proceduto in suddetto caso, come più logicamente ipotizzabile, alla sospensione totale del rapporto che lega il Sig. Benanti con il Tribunale?
-          Continuando proprio nella scia della richiesta di doverosa trasparenza da parte di tutte le componenti del tribunale le chiediamo: come mai si è deciso di procedere anche con un'altra nomina ad amministratore giudiziario, ovvero quella con lo studio dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, nonostante lo stesso sia in questo momento inquisito per fatti, ancora da verificare alla luce del diritto, ma che si presentano foschi dal punto di vista umano e morale?
Cordiali Saluti, la redazione di Telejato

La risposta
In riferimento alla proposta di intervista, sono spiacente di dover declinare la richiesta, poichè, per indirizzo della sezione, non si forniscono informazioni sull'andamento della stessa.
Saluti
Silvana Saguto


Il cancro d'Italia che la sta uccidendo: le collusioni tra mafia, politica e imprenditoria 

Vincenzo Musacchio *

Le nuove mafie non usano più metodi violenti ma si servono della corruzione per snaturare l'economia e la finanza, sottraendo ingenti risorse destinate al bene comune. Si deve subito impedire ai politici e ai burocrati di turno - attraverso una legislazione stringente e una rete di controlli effettiva ed efficace - di dare ai clan mafiosi la possibilità di gestire appalti e lavoro. L'attuale legislazione è insufficiente, serve una nuova rivoluzione culturale
In Italia solo nel 2014 sono scattate indagini di natura penale e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici in quasi tutte le regioni. Sono stati sciolti oltre duecentocinquanta consigli comunali per presunte infiltrazioni mafiose e più di ottanta parlamentari dell’attuale legislatura sono indagati, imputati e condannati per reati di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e per altri reati contro la pubblica amministrazione. Le collusioni tra politica, criminalità organizzata e imprenditoria sono attualmente gli aspetti più preoccupanti per il nostro Paese poiché mettono a rischio la stabilità delle istituzioni democratiche. 
Le nuove mafie, oggi, non usano più metodi violenti ma si servono della corruzione per alterare i normali processi della politica, minare la credibilità delle istituzioni, inquinare gravemente l'ambiente e snaturare l'economia e la finanza, sottraendo ingenti risorse destinate al bene comune, sgretolando il senso civico e la cultura solidaristica del nostro Paese. La simbiosi tra mafie, politica ed economia attualmente è presente in molti settori produttivi nazionali con grande prevalenza nel settore degli appalti pubblici e delle pubbliche sovvenzioni statali ed europee. I predetti legami servono alle mafie soprattutto per condizionare le scelte degli amministratori che sovrintendono le procedure pubbliche, instaurando in tal modo un circuito per lo scambio di favori illeciti. La politica, da un lato, garantisce affari e profitti alla criminalità organizzata, dall’altro, quest’ultima assicura la disponibilità di voti necessari per essere eletti ai politici collusi. Mafia e politica, sotto questo profilo, si sostengono e si garantiscono a vicenda. Il terreno d’incontro è la corruzione e il profitto economico. Per i mafiosi, le enormi quantità di denaro a disposizione costituiscono anche il mezzo per accedere nella cabina di regia degli enti dello Stato sia a livello centrale che periferico allo scopo di eliminare la possibile concorrenza alle loro imprese e agire in regime di monopolio. 
In questo contesto, molto preoccupante, occorre domandarsi cosa si può fare per arginare queste situazioni criminose? Una delle azioni da concretizzare, senza tentennamenti, è senza dubbio quella di impedire ai politici e ai burocrati di turno - attraverso una legislazione stringente e una rete di controlli effettiva ed efficace - di dare ai clan mafiosi la possibilità di gestire assunzioni, appalti e altri vantaggi che consentono loro di offrire ai cittadini possibilità di lavoro. E’ indispensabile fare in modo che per ottenere i propri diritti non si debba più ricorrere al mafioso, al politico o imprenditore colluso. Bisogna assolutamente sradicare la convinzione che la mafia garantisca lavoro. Una cosa difficile da realizzare, soprattutto nel Sud d’Italia, dove lo Stato latita da molto tempo. Dalla rottura dei legami mafie-politica-imprenditoria, a mio avviso, comincerà il vero cambiamento, ma, ciò è possibile solo a condizione che nel nostro Paese si comincino a lottare concretamente la criminalità organizzata, la corruzione, l’evasione fiscale e la mala politica. 
Da esperto della materia posso affermare che l’attuale legislazione è assolutamente insufficiente. La dimostrazione della nostra tesi, ad esempio, risiede nel fatto che l’Italia sia la Nazione più corrotta d’Europa e al tempo stesso quella in cui vi sono meno condanne per corruzione, concussione e abuso d’ufficio. Di certo il virus che sta uccidendo lentamente il nostro Stato in buona parte risiede nell’indebolimento delle norme di controllo, nel depotenziamento del sistema giudiziario e in una burocrazia ferma al secolo scorso priva di trasparenza e di economicità. E’ il mix tra corruzione politica, criminalità organizzata ed economia adulterata il vero cancro della nostra società e non si può continuare a parlare di onestà, di trasparenza e di efficienza in uno Stato che, di fatto, non vuole lottare questi fenomeni così aberranti. 
Il cittadino dovrebbe comprendere che mafiosi, politici e imprenditori perseguono il profitto fine a se stesso servendosi soprattutto di  denaro pubblico, di cui non si riesce nemmeno a tracciare il percorso perché le norme sul riciclaggio sono inefficaci e quelle sull’autoriciclaggio inesistenti. Le confische patrimoniali, molto temute dai mafiosi, languono e anche questo è un aspetto a dir poco allarmante. In questo scenario catastrofico occorrerebbe una rivoluzione culturale che parta dai giovani sulla scorta di quanto accaduto in passato per combattere la mafia - penso alla “Primavera di Palermo” negli anni novanta - quando una moltitudine di cittadini ebbe il coraggio di scendere in piazza dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio per dire no alla mafia. Ecco occorre una nuova “Primavera di Palermo” ma questa volta senza i tanti morti ed estesa a tutta la Nazione per dire no alle mafie e alla corruzione. L’Italia si gioca una partita importantissima: o affronta i veri problemi che la attanagliano, e che ho descritto in precedenza, o sarà destinata al collasso totale. 
Musacchio
 *Vincenzo Musacchio -  Giurista, docente di diritto penale  e direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise



Inchiesta sui beni confiscati alla mafia: tremano i ‘Palazzi’ del potere di Palermo 

La VOCE Sicilia NY

L’inchiesta, condotta dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, avrebbe subìto un’accelerazione perché Report - la nota trasmissione televisiva d’inchiesta di Milena Gabanelli - starebbe realizzando una puntata su tale argomento. Con testimonianze e interviste ‘pesanti’. Sotto inchiesta Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara
Una bufera starebbe per abbattersi sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. E al centro di questa vicenda ci sarebbe Palermo, da sempre ‘Capitale mondiale di Cosa nostra’, dove si concentrerebbe oltre il 40 per cento dei beni confiscati agli uomini dell’Onorata società. A tremare sarebbero i protagonisti dei ‘Palazzi’ del potere. Ma questa volta ad essere coinvolti non sono i 'Palazzi' della politica siciliana, ma qualche alto rappresentante della Giustizia. Insomma, magistrati che indagano su altri magistrati. Nello specifico, la Procura della Repubblica di Caltanissetta che indaga sulla gestione di un segmento della Giustizia che opera presso il Tribunale di Palermo.  
Insomma, com’era prevedibile, la gestione dei beni confiscati alla mafia è diventato un caso giudiziario. Con il coinvolgimento del presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, il giudice Silvana Saguto, finita sotto inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio. Indagati anche l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, titolare di uno studio, con sede a Palermo, che da anni gestisce tante aziende confiscate ai mafiosi. Sotto inchiesta pure l'ingegnere Lorenzo Caramma, che in passato avrebbe avuto rapporti di consulenza con l’avvocato Seminara, quando la moglie non era ancora presidente della sezione del Tribunale che decreta le confische.
L'inchiesta viene fuori da alcune da denunce pubbliche. In particolare, c’è una denuncia di Massimo Ciancimino, che risale a cinque anni fa. E c’è una battaglia condotta con coraggio e determinazione dal direttore di TeleJato, Pino Maniaci. Sullo sfondo, beni confiscati che sarebbero stati assegnati quasi sempre a una ristretta cerchia di professionisti, che ne avrebbero ricavato parcelle molto ricche. L’inchiesta ruota sui beni immobili e beni aziendali confiscati in Sicilia.
Stando a indiscrezioni, l’inchiesta di Caltanissetta avrebbe subìto un’accelerazione perché su questa storia
mafia
avrebbero lavorato, e molto, i giornalisti di Report, la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli, giornalista di altri tempi abituata a non guardare in faccia nessuno. A quanto pare, sull’argomento potrebbero tornare anche Le Iene, altra trasmissione televisiva che si è ampiamente occupata di questa storia.
I finanzieri della  Polizia tributaria di Palermo avrebbero già fatto visita nello studio dell’avvocato Cappellano Seminara e nell’ufficio del giudice Saguto. Mentre i giornalisti di Report - stando sempre a quanto si sussurra - sarebbero riusciti a raccoglie testimonianze importanti, da parte di personaggi direttamente coinvolti in questa storia.
Le cronache registrano anche una dichiarazione ufficiale della Procura di Caltanissetta: “Questi atti istruttori sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla presidente della sezione Misure di Prevenzione del tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”.
Nel 2014 è stato il Prefetto Giuseppe Caruso, poco prima di lasciare la direzione dell'Agenzia per la gestione dei beni confiscati alla mafia, a denunciare la “gestione ad uso privato” dei beni confiscati. Il riferimento è ad alcuni amministratori giudiziari scelti dai Tribunali, con in testa il già citato avvocato Cappellano Seminara.
Le cronache di quei giorni roventi registrano una visita della Commissione nazionale Antimafia presieduta
nello musumeci
Nello Musumeci
da Rosi Bindi, piombata in Sicilia per difendere, forse in modo un po’ troppo ‘oleografico’, la magistratura. Della serie, non delegittimate il “sistema”, cioè la Giustizia. Un po’ più centrato, nel febbraio di quest’anno, l’intervento della Commissione Antimafia regionale, presieduta da Nello Musumeci, che, differenza delle ‘oleografie’ romane, ha toccato un punto nevralgico: “In alcuni casi - ha affermato Musumeci - abbiamo ricevuto denunce di incompatibilità, eccessiva concentrazione di incarichi, in altri tentativi di favorire società o studi professionali vicini all’amministratore”.
Poi è stata la volta del presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, nominato dal governo all'Agenzia nazionale oggi guidata dal Prefetto Umberto Postiglione. L’azione di Montante è durata poco, perché a suo carico è stata data notizia di un’indagine che lo vedrebbe coinvolto per fatti di mafia.
Sul sito Zone d’ombra tv si leggono alcune notizie che fanno chiarezza su un argomento complesso (che potete leggere qui). Si ricorda la raccolta di firme lanciate dall’associazione Libera per introdurre il riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati. E l’approvazione, da parte del Parlamento nazionale, della legge n. 109 del 1996. Legge che distingue tre categorie di beni confiscati alla mafia. Vediamoli.  
a) I beni mobili, ovvero denaro contante e assegni, liquidità e titoli, crediti personali (cambiali, libretti al portatore, altre obbligazioni), oppure autoveicoli, natanti e beni mobili che non fanno parte di patrimoni aziendali. Di norma, le somme di denaro confiscate o quelle ricavate dalla vendita di altri beni mobili sono finalizzate alla gestione attiva di altri beni confiscati. Anche se su questo non sono mancati i dubbi e le polemiche. Tant’è vero che, tra Montecitorio e Palazzo Madama, alcuni parlamentari meridionali hanno provato, senza successo, a far riportare i beni mobili confiscati nella disponibilità delle aree del Paese dove avvengono le confische. Battaglia parlamentare perduta, perché questi soldi rimangono a Roma.   


b) I beni immobili, ovvero appartamenti, ville, terreni edificabili o agricoli. Hanno un grande valore simbolico, perché rappresentano in modo concreto il potere che il boss può esercitare sul territorio che lo circonda. Possono essere utilizzati per “finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile”, come prevede la legge, o possono essere trasferiti al Comune di appartenenza. I Comuni, a propria volta, possono amministrarli direttamente o assegnarli, a titolo gratuito, ad associazioni, comunità e organizzazioni di volontariato. 

c) I beni aziendali: si tratta, in questo caso, di aziende frutto di riciclaggio di denaro ‘sporco’. In questa categoria ritroviamo aziende di vario tipo: agroalimentari (per esempio, supermercati), aziende che operano nell’edilizia, ristoranti, pizzerie e via continuando.
pino maniaci
Pino Maniaci
Nel sito si leggono alcune dichiarazioni di Pino Maniaci: "Insieme ad altri tre, quattro giudici - dice il direttore di TeleJato - la Saguto gestisce il 43 per cento dell'intero patrimonio sequestrato ai mafiosi in tutta Italia”, che ammonterebbe a circa 50 miliardi di Euro. Beni, aggiunge Maniaci, che sarebbero gestiti sempre le stesse persone, cioè dagli stessi amministratori giudiziari. 
I professionisti in grado di ricoprire il ruolo di amministratore giudiziario sono circa 4mila, tutti inseriti in un albo di amministratori competenti, che è stato costituito, per legge, nel gennaio 2014. “Alla lista - leggiamo sempre nell'articolo pubblicato dal sito - bisognerebbe attingere per la scelta delle professionalità in base a competenze e capacità. La scelta, a quanto pare, è arbitraria, effettuata dai giudici della sezione delle misure di prevenzione in cui si ritrovano molto i soliti trenta nomi.  Tra i preferiti dai giudici spicca il nome di Gaetano Cappellano Seminara, soprannominato il 'Re'. Il 90% delle aziende sequestrata e lui affidate, gran parte nel settore edilizio e immobiliare, sono state chiuse per fallimento”. Qui si tocca un tema caldo: la mancanza di cultura imprenditoriale da parte dei soggetti chiamati a gestire queste aziende, che spesso vanno in malora.
“Seminara - leggiamo sempre nell'articolo - oggi è uno degli avvocati più riccchi d'Italia. Un uomo che si occupa di beni sequestrati e confiscati, con 54 incarichi in varie aziende e amministratore di 250 aziende con un onorario che si aggirerebbe intorno ai 7 milioni di euro l'anno”. 
Nel sito di parla anche del conflitto di interessi dell’avvocato Seminara. “La Legalgest Srl è proprietaria di un hotel di cui Seminara avrebbe il 95% delle quote mentre il restante 5% apparterrebbe alla figlia. La curiosità è che l'amministratore della società è la nonna 82enne dell'avvocato. Nel 2011 la stessa Legalgest cede la gestione dei servizi alberghieri alla Tourism project Srl di cui è proprietaria, al 100% delle quote, la stessa Legalgest Srl”. Insomma, un gioco di scatole cinesi.  
“Appare strano - leggiamo sempre nell’articolo - che nessuno si sia accorto di un evidente conflitto d'interesse quando Seminara si è occupato, come amministratore giudiziario, di un altro gruppo alberghiero: la Ghs Hotels F. Ponte Spa”. 
"Esiste una sorta di cupola degli amministratori giudiziari che agiscono in perfetto accordo con il Tribunale di Palermo, in particolare al responsabile della sezione misure patrimoniali" chiarisce Salvo Vitale di Radio Aut e collaboratore di TeleJato. Nell’articolo si racconta anche del ruolo dell’avvocato Seminara nella discarica di Bucarest, ritenuta la più grande d’Europa. "Quando uno dei proprietari si ritirò e bisognava rinnovare il Consiglio di amministrazione – si legge sempre nel sito che cita un articolo de I Siciliani -  Cappellano pagò un lavavetri per acquistare, come prestanome, una quota importante ed entrare nel consiglio di amministrazione, per poi diventarne presidente, giochetto che gli è riuscito numerose volte. Questa volta il gioco è stato smascherato”.
Il caso è stato smascherato, manco a dirlo, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, già magistrato inquirente di punta al Tribunale di Palermo.  
“A non essere rispettata è la Legislazione Antimafia - Vittime della mafia e relativo Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. I beni confiscati sono circa 12.000 in Italia - si legge sempre nell’articolo -. La fase del sequestro, secondo la legge, non deve superare i 6 mesi, rinnovabile al massimo di altri 6, periodo in cui vengono svolte le dovute indagini e si decide il destino del bene stesso: se dichiarato legato ad attività mafiose esso viene confiscato e destinato al riutilizzo sociale; se il bene è pulito viene restituito al precedente proprietario. Nella pratica il bene non viene mantenuto nello stato in cui viene consegnato alle autorità, né vengono rispettate le tempistiche. In media, il bene resta sotto sequestro per 5-6 anni, ma ci sono casi in cui il tempo si prolunga fino ad arrivare a 16 anni”. 
“Una legge limitata - se legge ancora nell’articolo - da aggiornare, che non permette gli adeguati controlli e conduce troppo spesso al fallimento dei beni per le - forse volute - incapacità del sistema”.
Su Live Sicilia leggiamo la replica di qualche tempo fa dell'avvocato Cappellano Seminare: “Ho presentato una parcella lorda di 7 milioni di euro per 15 anni di lavoro durante il quale ho amministrato, insieme ad un team di 30 collaboratori, 32 società e ho accresciuto il valore commerciale degli asset a me conferiti a 1,5 miliardi di euro. Nel periodo di gestione giudiziaria i soli beni aziendali giunti a confisca hanno prodotto ricavi per oltre 280 milioni di euro, attestando così il costo della gestione giudiziaria a circa il 2,50% dei ricavi. Giova inoltre ricordare che dalla liquidazione disposta dal Tribunale, interamente corrisposta con fondi del patrimonio confiscato, ne è derivata a mio carico, in favore dell'Erario una imposizione fiscale di complessivi euro 4.248.281 pari al 60% del lordo percepito”. 

Appalti in Sicilia: il governo nazionale vuole tutelare gli ‘amici degli amici’? 

Riccardo Gueci* 9 Sep 2015

Il Parlamento siciliano, in materia di appalti pubblici, ha approvato una legge innovativa che blocca sul nascere i ‘cartelli’ di solito espressione dei grandi gruppi. Di fatto, è una legge che difende gli interessi delle imprese siciliane contro i mafiosi che, dagli anni della Cassa per il Mezzogiorno, operano all’ombra dei grandi gruppi nazionali. Antimafia vera che, però, non piace al governo Renzi… 
L'Autonomia speciale della Regione siciliana, appannaggio della borghesia mafiosa, è ridotta proprio male. Specialmente nelle materie che contrastano con gli interessi dei lavoratori siciliani e delle piccole imprese che, in Sicilia, si 'arrabbattano' per sopravvivere.
L'ultima in ordine di tempo è la legge sugli appalti di lavori pubblici, che in Sicilia è un problema di non poco conto, considerato l'uso che le grandi imprese fanno dei ribassi per aggiudicarsi i lavori, tranne poi a rientrare nei costi o utilizzando cemento impoverito, o più spesso attraverso marchingegni , come le riserve o le perizie di variante in corso d'opera.
Questi accorgimenti sono comunemente adottati dalle imprese, anche da quelle che si cimentano nelle costruzioni non tanto perché quello è il loro mestiere, ma per avviare attività di copertura di riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, specialmente di origine mafiosa. Magari dal traffico di droga da reinvestire in attività lecite. In questi casi la convenienza economica dell'appalto non è l'obiettivo principale dell'impresa mafiosa, ma un semplice diversivo teso a giustificare gli enormi guadagni che la mafia ottiene dai suoi traffici. Va da sé che i titolari delle imprese sono sempre persone con le “carte a posto”, irreprensibili e apparentemente dediti al loro lavoro.
In questa confusione di ruoli e di interessi chi ne soffre le conseguenze sono le imprese pulite, che fanno le proprie offerte sulla base di analisi costi-benefici ai quali aggiungono una quota di rischio d'impresa. Queste imprese, in genere, restano senza lavoro e per sopravvivere vivacchiano con piccoli lavoretti di manutenzione del patrimonio immobiliare esistente. Va precisato che i nuovi criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici siciliani valgono, oltre che per le opere pubbliche, anche per le forniture ed i servizi. In pratica, a nostro sommesso parere, la legge varata dal Parlamento siciliano è stata studiata sia per evitare l'aggiudicazione a massimo ribasso, sia per impedire manovre strategiche alle cordate combinate dei concorrenti.
Questa normativa approvata dal Parlamento siciliano è sicuramente innovativa e non è un caso che, oltre ad impedire gli appetiti delle imprese mafiose, rappresenta anche un modello anti corruzione contro gli affarismi poco trasparenti. Forse sarà per queste caratteristiche che la legge regionale 10 luglio 2015, n.14, è entrata nell'orbita censoria del governo nazionale di Matteo Renzi.
Ricordiamo che, nel Sud d’Italia, già ai tempi della cassa per il Mezzogiorno - cioè negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 del secolo passato - i grandi gruppi nazionali trovavano accordi con le mafie locali, penalizzando le imprese del Meridione non legate ad interessi mafiosi. Con questa nuova legge, di fatto, si impediscono giochi e giochetti che finiscono con il favorire gli interessi mafiosi.  
Vediamoli da vicino, le “Modifiche all'articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2011, n.12 introdotte con la nuova legge regionale. Si tratta di alcuni emendamenti che introducono criteri diversi si assegnazione delle gare d'appalto. Il primo così recita: “Per gli appalti di lavori, servizi e che non abbiano carattere transfrontaliero, nel caso in cui il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando che si applichi il criterio dell'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia prevista nel successivo comma”.
Il secondo comma dà la definizione di soglia di anomalia: “La soglia di anomalia è individuata dalla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del 10 per cento arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e quella di minor ribasso, incrementata o decrementata percentualmente di un valore pari alla prima cifra, dopo la virgola, della somma dei ribassi offerti dai concorrenti. Nel caso in cui il valore così determinato risulti inferiore all'offerta di minor ribasso ammessa, la gara è aggiudicata a quest'ultima”. Questo passaggio ai più sembrerà astruso. Semplificando, diciamo che individua ed esclude le offerte truffaldine.
Queste le parti essenziali delle modifiche apportate ai criteri di aggiudicazione, che sembrano essere state studiate per affidare le sorti delle gare d'appalto alla più ampia casualità. La qualcosa non è di scarsa rilevanza. Ma sono proprio questi accorgimenti che hanno fatto saltare sulla sedia il ministro delle Infrastrutture, Graziano Del Rio, che, di sicuro, avrà urlato: ma come si permettono questi siciliani di non consentire la ‘corretta gestione’ degli appalti! Ma siamo proprio impazziti?”. Insomma, i politici che ci stiamo a fare se non possono nemmeno ‘gestire’ gli appalti e favorire gli amici e gli amici degli amici? E la Sicilia, terra di mafia, fa uno sgambetto del genere alla mafia?
Così è iniziato il procedimento di contestazione della nuova legge siciliana con l'invio di una nota che mette in discussione, non solo il contenuto della legge, ma anche il significato stesso dell'Autonomia regionale siciliana, la quale in materia di legislazione in materia di appalti ha competenza primaria. Il testo della nota ministeriale, sulla questione, è assolutamente esplicito ed è proprio la casualità, cioè l'elemento innovativo centrale della legge regionale, l'oggetto della contestazione ministeriale del 25 agosto di quest'anno. In essa si osserva in primo luogo la difformità con i “criteri di valore economico indicati nell'articolo 86 del codice dei contratti pubblici” attraverso un meccanismo che, in sostanza, ne determina in modo casuale le variazioni in aumento o in diminuzione”. Ma l'aspetto più rilevante, e più grave, riguarda il richiamo al Codice degli appalti, il cui articolo 5 “dispone che le Regioni a Statuto speciale che adeguano la loro legislazione ai loro Statuti non possono prevedere una disciplina diversa dal Codice” per rispettare “le competenze esclusive dello Stato”. A sostegno delle sue tesi il ministero richiama due pronunciamenti della Corte Costituzionale, n.401 del 23 novembre 2007 e la n.431 del 14 dicembre 2007, nelle quali la Consulta riconosce “l’inderogabilità sia delle disposizioni che regolano l'evidenza pubblica, sia quelle concernenti il rapporto contrattuale”.
Queste osservazioni ci inducono - noi che non siamo grandi dirigenti amministrativi dello Stato e tanto meno costituzionalisti - a un’ovvia constatazione: che cosa c'entra l'evidenza pubblica o il rapporto contrattuale con i criteri di assegnazione degli appalti? La prima interviene in fase di pubblicazione del bando di gara, con le relative norme che la regolano; la seconda interviene successivamente all'aggiudicazione ed alla fase di rispetto reciproco delle condizioni contrattuali dell'appalto. Pertanto i riferimenti alle sentenze della Corte Costituzionale ci sembrano fuori luogo e comunque non sono minimamente violate dalla legge regionale in discussione.
I rilievi ministeriali si concludono con un’osservazione che è veramente un capolavoro di parole in libertà: “Alla luce dei consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, pertanto, le disposizioni della legge regionale in commento, oggetto dei rilievi illustrati, risultano adottate in violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera e) a tutela della concorrenza”. Qui la risposta è veramente semplice: le norme regionali sull'aggiudicazione degli appalti quali impedimenti oppongono alla libera partecipazione di centinaia o di migliaia di imprese? Quali sono i limiti che essa pone alla partecipazione in concorrenza?
Prima di passare alle controdeduzioni approntate dall'assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo, vogliamo consentirci una divagazione, rispetto alla quale avremmo sicuramente apprezzato un intervento critico del ministro Delrio. Essa riguarda due fatti che sono avvenuti in Italia in tempi relativamente recenti, ma che stanno lì a testimoniare la fallibilità delle legislazioni nazionali sugli appalti. Una riguarda le “ecoballe” nell'entroterra Napoletano e l'altra l'affidamento dei lavori di costruzione della tratta ferroviaria di congiungimento veloce Torino-Lione. Avremmo apprezzato che il ministro Delrio bloccasse i lavori della Torino-Lione, con l'annesso traforo plurichilometrico delle Alpi in Val di Susa, per conoscere a quale gara d'appalto transfrontaliera abbiano partecipato le imprese che stanno eseguendo i lavori. Questo sarebbe stato di sicuro un intervento a tutela della concorrenza. Che ne dice, Ministro Delrio?
In quanto alle ecoballe, se l'incarico di smaltimento dei rifiuti di Napoli fosse stato affidato ad una ventina di piccole imprese, certamente le ecoballe non esisterebbero. Si è scelto di affidarne l'incarico ad una grande impresa nazionale e le ecoballe sono ancora lì a far bella mostra di sé.
Passiamo ora alle controdeduzione dell'assessore regionale alle Infrastrutture, Pizzo. L'assessore Pizzo, in via preliminare, ricorda al Ministro Delrio che i riferimenti giurisprudenziali richiamati nella nota dei rilievi, cioè i riferimenti all'articolo 4 , commi 2 e 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 - il cosiddetto Codice degli appalti - oggetto dei pronunciamenti della Corte Costituzionale, “esplicano il loro contenuto normativo nei confronti delle sole Regioni ordinarie” Fa presente, tuttavia, che la legislazione regionale, anche a Statuto speciale, stabilisce che la potestà legislativa esclusivo/primaria deve essere esercitata “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato”. Questa sottolineatura è una raffinatezza. Come dire: caro Ministro, come dobbiamo legiferare in Sicilia lo sappiamo assai bene e non ci serve alcun insegnamento ministeriale. La perorazione dell'assessore regionale è assai circostanziata e puntuale che non possiamo, per ragioni di spazio, commentare integralmente. Ma un altro aspetto merita di essere riportato e riguarda il riparto delle competenze legislative in materia di appalti pubblici. A tal proposito essa fa riferimento al citato articolo 4 del citato decreto legislativo 163/2006 e ne richiama l'articolo 5, che ovviamente il ministro non aveva letto perché si era fermato agli articoli 2 e 3. L'articolo 5, appunto, stabilisce che “le Regioni a Statuto Speciale adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli Statuti e nelle relative norme di attuazione”.
E' nostro dovere segnalare positivamente l'impegno che in questa battaglia hanno messo gli imprenditori del settore a sostegno della decisione autonoma del Legislatore regionale. Dopo il movimento dei Forconi è la prima volta che una categoria si schiera in difesa dell'Autonomia siciliana.
Nota a margine. Non ne comprendiamo le ragioni strategiche, ma un dato è certo: la Regione siciliana e la sua Autonomia speciale da oltre vent'anni sono sottoposte ad un attacco sistematico ed al controllo delle sue risorse finanziarie. Una delle prime operazioni di controllo dall'interno del governo regionale avvenne con il governo di Salvatore Cuffaro, quando a dirigere l'Ufficio della Programmazione economica, cioè quello che aveva il compito di programmare la spesa dei Fondi strutturali europei, fu affidato ad una funzionaria ministeriale, la dottoressa Gabriella Palocci. Quello fu un periodo assolutamente nero per l'economia siciliana e fu anche il periodo nel quale vennero costituite ben 34 società in house, cioè società che dovevano fare i lavori di competenza degli assessorati. In pratica, fu una duplicazione della spesa corrente regionale con la “facciata” di spese d'investimento perché i fondi europei vennero assegnati in parte alle 34 società per azioni. Società che non operavano nel mercato, ma avevano l'esclusiva della committenza pubblica regionale. Un capolavoro di spreco, inefficienza e clientelismo a mani basse.
Poi fu la volta del governo di Raffaele Lombardo, l'autonomista - quello che prendeva a martellate le targhe delle vie intestate a Giuseppe Garibaldi - il quale accettò la condizione posta dal governo centrale di affidare la gestione delle ingenti somme destinate alla Formazione professionale ad un funzionario ministeriale, il quale ne fece di cotte e di crude, compresa quella di trasferire gran parte del Fondo sociale europeo dalla Sicilia ai ministeri romani.
Quindi è stata la volta del governo di Rosario Crocetta, al quale sono stati imposti prima Luca Bianchi e successivamente Alessandro Baccei quali assessori al Bilancio ed all'Economia. Risultato di queste gestioni finanziarie della Regione siciliana: l'economia dell'Isola cresce la metà di quella greca, la disoccupazione è dilagante e la povertà crescente.
Preferiamo fermarci qua e di non infierire, ma qualcosa sull'Autonomia siciliana ci ripromettiamo di dirla in seguito, anche se già in qualche occasione abbiamo avuto modo di accennare al nostro convincimento.

* Riccardo Gueci è un funzionario pubblico in pensione che, per noi, di solito, illustra e comenta i fatti di politica nazionale e internazionale. Cresciuto nel vecchio Pci, Gueci è rimasto legato all'iea della politica di Enrico Berlinguer. La politica, insomma, vista nella sua accezione nobile. Oggi si ricorda di esere stato un funzionario pubblico e commenta per noi una vicenda in verità molto strana: con il governo nazionale di matteo renzi che contesta una legge, approvata dal Parlamento siciliano, che punta a contrastare in modo serio gli interessi dei mafiosi e dei grandi gruppi nazionali che, dagli anni '50 del secolo passato, fanno affari con le mafie del Sud Italia. Cose strane, insomma...    
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