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27 febbraio 2014 4 27 /02 /febbraio /2014 20:00


Fare il nodo ai lacci delle scarpe, colorare dentro i contorni, lavare bene i denti (anche quelli in fondo), salire scale sempre nuove senza stringere per forza il corrimano. E poi: avere lo sguardo lungo, separare l'ansia dal pericolo vero, vincere, perdere, aspettare, agire, confidarsi, farsi valere, rassegnarsi. A dover imparare tutto ciò, in questo romanzo colmo d'energia e dal potere medicamentoso, sono una donna e il suo bambino. Lei ha l'esperienza, mentre lui per capire mira all'essenziale; lei ha occhi pronti a cogliere ogni spigolo, mentre lui da dietro gli occhiali le insegna a leggere il mondo a due dimensioni.
Davanti a loro si stagliano tutti gli ostacoli possibili, e per fronteggiarli hanno a disposizione molta paura e altrettante armi. La paura è quella di non farcela, e le armi a ben guardare sono le stesse della letteratura: nominare le cose, percorrerle, trasfigurarle, lasciarle andare. Tenendosi per mano - ma chi reggendo chi è difficile dirlo - si muovono tra fisioterapisti e burocrati, insegnanti e compagni di classe, barcollando o danzando, ma sempre stringendo nel pugno una parola difficile che comincia per «H», e che sembra impossibile far germogliare.
Perché se hai tatuato addosso il numero 104 - quello della legge sulla disabilità - e vivi in un mondo «che non ha proprio la forma della promessa», mettere un passo dopo l'altro diventa ogni giorno piú difficile. Ma c'è chi prima di loro e insieme a loro ha solcato lo stesso mare impetuoso, facendosi le stesse domande: «Stiamo tornando indietro o andando avanti? Quando si è in navigazione da tanti anni si perde la rotta».
Tempo di imparare è un libro scritto in prima persona, in cui «io» e «tu» diventano un'unica cosa: «irriducibili l'uno all'altro, eppure intercambiabili». La voce di Valeria Parrella - intima, abissale - dice il momento in cui la relazione tra ogni genitore e ogni figlio si strappa, il binomio si scompone, e ci si guarda da lontano: per intero.


http://www.einaudi.it/libri/libro/valeria-parrella/tempo-di-imparare/978880621406




Imparare ad amare un figlio speciale




PASSAPAROLA

Imparare ad amare un figlio speciale

Non esistono parole più belle per descrivere "tratti autistici", come antica intimità col mare. E' uscito il nuovo romanzo di Valeria Parrella "Tempo di imparare"di CONCITA DE GREGORIO
















Che libro ha scritto Valeria Parrella. . Una giovane donna di nemmeno quarant'anni, una ragazza napoletana coi ricci che trasforma il dolore in bellezza. Una scugnizza sciamana che parla la lingua dei segni e coi segni descrive a chi non sente, mostra a chi non vede. Scava, con le parole, fin dove la spiaggia torna acqua, trova sgrammaticature che scivolano fin dentro la scatola nera, quella che per prudenza per pudore per istinto non apriamo mai. E invece, ad aprirla, guarda la luce che c'è. Cuce un vestito nuovo da uno scampolo strappato, da qualcun altro buttato via, lo fa con precisione e d'urgenza. Con una certa fretta di dire in modo esatto.


Non esiste purtroppo un premio Strega che si vinca così, per manifesta superiorità. Pazienza. Bisogna fregarsene dei premi, quelli vanno come vanno. La trama non è così importante, essendo la materia prima del romanzo la vita stessa. È un pretesto, letteralmente.


Tempo di imparare (Einaudi) narra di una madre e di un figlio, matrice di tutte le storie del mondo. Ma poi anche di un padre, racconta, e di lui con quella madre e quel figlio. Delle persone attorno, e del mondo che gira. Questo figlio è un poco speciale. Come tutti lo sono, ma un po' di più. È un bambino che "non parla ma pensa", dice liquidando secoli di diagnosi mediche la sua compagna, seienne, di classe. Così ci consente, il bambino Arturo, di tornare tutti a quello stadio, "non parlo ma penso". Un paradiso e insieme un inferno. E mano a mano che si procede nella lettura dei brevi capitoli, a volte brevissimi, si può con confidenza dire sì, questo lo so: questo l'ho vissuto almeno una volta ma l'ho messo da parte perché non trovavo un posto dove metterlo, però lo so. Che "tutto ciò che ha saputo rivelare la normalità è stata la sua assenza" è vero sempre nella vita, è più vero del vero se come Arturo hai avuto una (lieve? grave?) asfissia alla nascita e dunque ricordi a memoria le targhe che vedi per strada ma hai paura del corridoio di casa, se uno dei tuoi occhi è cieco ma la tua anima ci vede benissimo, più preciso e più lontano degli altri. E se per esempio sei sua madre costretta ragazza in perpetuo a "salire gli scalini degli ospedali, che sono scale mobili prese al contrario: le persone stanno sempre ferme nello stesso punto, solo fatica assai", a discutere col "dirigente miserrimo, in un palazzo esagonale degli anni Settanta con lo scotch alle finestre", quanti ne abbiamo visti di posti così nella vita?, e a pensare "che sconfitta, figlio, tenere assedio al proprio Paese". Che sconfitta, davvero, avere in perpetuo l'odore umido dei vinti.


Ha un handicap, Arturo. Tutti, da qualche parte. Lui ce l'ha evidente, certificato dalla legge. Handicap si chiama lo svantaggio dei cavalli alla partenza quando sono troppo veloci: un punteggio negativo da calcolare per farli gareggiare con gli altri. Avete presente, quando si deve partire da meno dodici? E il terrore che non si possa mai conoscere la bellezza, che tutto sia sofferenza, le lacrime essiccate da un diserbante, che ogni cosa sia dolorosa più del necessario? Sì, quello. Però poi, invece, le parole bisogna "metterle nell'ovatta bagnata, per vederle germogliare". Bisogna contare sul senso della vita. Noi madri, voi madri di bambini complicati che "ci guardiamo e ci sorridiamo spesso, più del normale, più del dovuto". Ho scelto questa scuola  -  dice Parrella/madre  -  perché "all'insegnante con cui parlavo squillò due volte il cellulare e non rispose". Avete presente? Sì, lo sapete. E sapete anche che se vi dicono ha il piede equino, ha l'ipertono potete sempre sussurrare al vostro bambino nell'orecchio "ce ne andiamo via da qui, figlio, per un mare di parole più belle". Parole più belle. Intimità, per esempio. Intimità. Nessun medico che descriva "tratti autistici" usa questa parola. Antica intimità col mare.


A volte non ci sono le parole per dire le cose. "Poiché mi guardavi io mi guardai". Come si chiama la madre che ha perso un figlio, qual è il negativo della parola orfano? Non esiste "siamo andati fino in Cina a cercare questa parola ma non c'è", in nessun vocabolario. Però c'è a Napoli la Rotonda Bellariva, che è il posto dove tutto si fa lieve, dove il caffè si corregge all'anice e con lui si corregge quando è storta la vita. Lì i pescatori ti dicono "signora, l'orizzonte è dove guarda. Il mio, per esempio, è questo mazzo di carte". Allora capisci. Diventi grande non quando te lo dicono gli altri ma quando "ci reincontriamo ai funerali dei nostri genitori, sulle panche in fondo alle chiese, coi cappotti di lana pettinata invece dei giubbetti, la borsa invece dello zaino, le chiavi dell'auto che tintinnano nella mano, la fretta che tra un po' me ne vado, la bimba esce da scuola". Capisci che l'aquila che divora il fegato ricomincia ogni giorno daccapo, e sarà per sempre. Che non ti basterà rubare i buoi di Gerione, portare vivo a Micene il Cerbero, catturare il toro di Creta. Non ci sono altre prove da superare, non ci sono eroi che arriveranno a salvarti. Oliver Sacks risponde con una cortese mail in automatico, se gli chiedi: scusa, ho bisogno di te. Qualcuno che risponde per lui. I famosi non ti servono. Resterai nuda nella battaglia, senza capelli né unghie, con l'inguine liscio
di una bambola. Dovrai fare senza chiunque altro. Dovrai "camminare come un'indossatrice, un passo avanti all'altro guardando lontano, senza curarti del pubblico che attornia la passerella". Avete presente? Anche se a casa vostra non esiste un Arturo che "che è disabile, è di un'altra tribù", anche se per voi non c'è un handicap dei cavalli da superare, certificato dalla legge. Non è molto facile riuscire a dire "quello che per tutti è normale per noi è bellissimo". Eppure sarebbe un balsamo. Un passo davanti all'altro, guardando lontano, senza curarsi del pubblico.

http://www.repubblica.it/la-repubblica-delle-idee/societa/2014/01/06/news/imparare_ad_amare_un_figlio_speciale-75239114/



VALERIA PARRELLA, TEMPO DI IMPARARE


Questo libro tratta una delle più complesse realtà dell’esistenza umana:l’accettazione della malattia. In particolare, quella di un figlio, il che rende la montagna di ghiaccio ancora più difficile da scalare a mani nude.
Valeria Parrella, come è sua consuetudine letteraria, si inoltra in uno spazio femminile difficilmente raccontabile se non fosse autobiografico: una madre, la disabilità di un figlio, i mostri reali e quelli generati dalla paura. Si viaggia, così, tra l’indifferenza delle leggi, l’inciviltà delle persone e la rabbia disperata che rende ogni percorso interiore spaventoso, tormentato, inaccessibile. Il celebre neurologo-scrittore Oliver Sacks (con il quale, tra l’altro, in un capitolo intitolato “Risposte”, la protagonista cerca invano di mettersi in contatto) ha definito i suoi malati “viaggiatori diretti verso terre inimmaginabili, terre di cui altrimenti non avremmo idea, che non potremmo raffigurarci”. Infatti, si sa poco dell’universo dove sono approdati i malati e i loro familiari perché una grave malattia fa sempre una paura dannata e, in genere, ci si tiene alla larga da quel che spaventa. In ogni caso, una volta raggiunte quelle terre lontane e sconosciute, la loro esplorazione impone a malati e familiari di superare la prova fondamentale: l’accettazione. Il tema del libro, dunque, è scivolosissimo ma la scrittrice lo affronta con determinazione. Dalla sua parte, non solo l’esperienza diretta ma grande sensibilità, capacità letteraria e acutezza di analisi.
Poiché l’intento dell’opera è, appunto, l’analisi della difficoltà ad accettare la malattia invalidante di un figlio, va da sé che rabbia e dolore percorrano le pagine del libro, come una corrente elettrica sottocutanea. Ne consegue, quindi, che più il lettore viene assalito dalle scosse più l’intento è raggiunto.
Anche se, talvolta, la capacità letteraria della scrittrice crea distacco emotivo, il libro amplia spazi conoscitivi e avvicina ad universi altrimenti sconosciuti. Rimane memorabile una certa definizione di disabilità. Un brano da conservare. Ad un bambino sano che chiede al papà di Arturo, il bambino malato, se Arturo è disabile, il papà di Arturo risponde:
 Sì, è disabile, siamo una famiglia di disabili: è come i pellerossa, ne basta uno della tribù che prendono tutti gli stessi segni, io sono disabile, la mamma di Arturo è disabile, i nonni sono disabili, e anche il Botanico, vedi quel signore là che sta fumando fuori dal balcone? È un nostro caro amico, conosce Arturo da quando è nato, così, è disabile anche lui.”

VALERIA PARRELLA, TEMPO DI IMPARARE, EINAUDI

Oggi, dopo tanti anni, sono tornata a scuola.
E accaduto proprio oggi, che non è il primo giorno di
scuola, e neppure un lunedì, e anzi entriamo alle 10,20 per
una riunione sindacale delle maestre.
Ho aperto lo zainetto, preparato l’astuccio con le penne
e i pennarelli, infilato su di un lato la banana per la meren-
da. L’ho messo sulle spalle dei miei quaranta anni e sono
tornata in prima elementare.
Ho aspettato nella calca delle voci che si aprissero i
cancelli, stretta tra i bambini e le madri ho guardato ora il
portone ora il bidello, e l’aria era rarefatta intorno a me,
il tempo volava e si rivelava, assieme, come fa la polvere
nel sole. Quel caldo, il caldo delle parole, il caldo dei cap-
pelli di lana stretti nelle mani, nelle tasche, infilati ancora
in testa: tutto mi ha riscaldato, finché il bidello ha aperto,
e una leggera gentile pressione mi ha spinto dentro. Ab-
biamo salito le scale incuranti degli strilli che ci dicevano
di fare piano. Senza ordine alcuno che non fosse quello
dell’energia nostra interna siamo saliti, e ora ero più in
basso sulle scale, ora guardavo su, i bambini e le mani del-
le madri, nella rampa successiva. Ora ero io a svoltare un
ballatoio, e quel flusso di piedi e teste che saliva con me
era la vita stessa. L’avevo dimenticata perché si rivela ogni
volta diversa, quando lo fa. Ma a incontrarla l’ho ricono-
sciuta senza dubbio.
Poi sono arrivata in classe, fuori c’era l’appendino per
i cappotti, ad altezza di bambino, la porta era aperta e le
maestre non c’erano ancora.


CURIOSITÁ:
Valeria Parrella è nata a Napoli nel 1974. Ha scritto testi teatrali, racconti, libretti d’opera e romanzi, fra cui Lo spazio bianco (Einaudi) da cui Francesca Comencini ha tratto l’omonimo bellissimo film con Margherita Buy. Interpellata a compilare con altri autori Il dizionario affettivo della lingua italiana (Fandango) la scrittrice ha scelto la parola aiuto. Userò parte della sua definizione come spunto per il prossimo post. (nella foto, Parrella-Comencini-Buy)
http://diversamenteaff-abile.gazzetta.it/2014/01/26/valeria-parrella-tempo-di-imparare/
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