Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
26 ottobre 2015 1 26 /10 /ottobre /2015 19:03
"Tale e quale show" alla Regione  Era Crocetta, ora è Lombardo 

Lunedì 19 Ottobre 2015 - 14:05 di Accursio Sabella

Prima ha preso gli uomini, poi i metodi, infine l'alibi. Spuntata la retorica dell'antimafia e quella della rivoluzione, il governatore abbraccia il sicilianismo. E adesso è davvero identico al suo predecessore.




PALERMO - Prima ha preso i suoi voti in campagna elettorale. Poi i suoi uomini, lungo il cammino di questa legislatura, scandito dagli inciampi. Quindi le pratiche politiche, i suoi vizi amministrativi. Infine, ha "rubato" anche l'alibi, il pretesto, sul quale ha spalmato una patina di ideologia da hard discount. Adesso, è davvero difficile scorgere una differenza tra Rosario Crocetta e chi l'ha preceduto. Quel Raffaele Lombardo rispetto al quale il governatore gelese avrebbe segnato un solco. Un fossato apparentemente invalicabile. Sul quale, invece, il presidente della Regione ha fatto calare l'ultimo ponte levatoio: una specie di sicilianismo spicciolo, buono per sostenere la "guerra" con le truppe romane guidata da Faraone.

E adesso trovare una differenza è davvero difficile. Un esito, a dire il vero, in qualche modo prevedibile. Già durante la campagna elettorale che ha portato alla vittoria di Rosario Crocetta erano tante e diffuse le voci di un sostegno più o meno "occulto" di politici vicini, fino al giorno prima, a Raffaele Lombardo. Una illazione che ha trovato presto molte conferme a Sala d'Ercole, dove squadre di lombardiani della prima, primissima e ultima ora non hanno esitato a passare dalla parte del nuovo governatore.

Nella maggioranza di Crocetta, infatti, un passato nell'Mpa possono vantarlo Nicola D'Agostino, che del movimento autonomista fu capogruppo all'Ars, Totò Lentini, Giovanni Lo Sciuto (oggi nell'Ncd alleato col governo), Pippo Nicotra, Giuseppe Picciolo, Paolo Ruggirello. Mentre alleati con Lombardo, senza entrare nel suo partito, sono stati anche Pippo Currenti, Edy Tamajo e Michele Cimino. Quest'ultimo, a dire il vero, fu anche assessore nella giunta del governatore di Grammichele. Dove sedeva anche Titti Bufardeci, che Crocetta ha indicato come membro del Cga. Ex assessori di Lombardo. Nei mesi in cui, a guidare l'Mpa dal punto di vista politico-organizzativo era Giovanni Pistorio, attuale assessore di Crocetta, alla Funzione pubblica. Mesi in cui il partito autonomista era spinto dai consensi di Lino Leanza, scomparso improvvisamente quest'anno, dopo aver fondato Articolo 4 prima e Sicilia democratica poi, soggetti politici a sostegno di Crocetta.

A guardar bene anche le giunte del presidente, ecco altri ponti col lombardismo. La figlia dell'assessore all'Agricoltura Rosaria Barresi fu candidata con l'Mpa alle amministrative di Palermo. La stessa Lucia Borsellino ha ricevuto una spinta alla propria carriera all'interno dell'assessorato di Piazza Ziino, proprio in era Lombardo, all'ombra di Massimo Russo. Mentre l'altra intoccabile (fino alle dimissioni, anche nel suo caso) "donna del presidente", cioè Linda Vancheri, in quei mesi era uno dei più stabili consulenti di Marco Venturi, assessore alle Attività produttive che poi ruppe, sul finire, con Lombardo, così come ha fatto adesso con Crocetta. Con denunce molto gravi, confermate anche da Alfonso Cicero, un fedelissimo di Crocetta fino all'altroieri. E anche lui assolutamente in auge in epoca lombardiana, quando fu scelto come commissario di più Asi, quindi come guida dell'Irsap, appena nato. Non solo. Cicero fu addirittura il candidato sindaco dell'Mpa a Caltanissetta. Altro che rottura, altro che solco. Perché nel sottogoverno (con legittime aspirazioni di ingresso in giunta, auspicato dallo stesso Crocetta) trovi anche Antonio Fiumefreddo, oggi al vertice di Riscossione Sicilia, e in passato (prima anche lui di "litigare" con Lombardo) destinatario di prestigiosi incarichi come quello di Soprintendente del Teatro Bellini di Catania.

Ma il capitolo dei burocrati va raccontato dall'apice in giù. In alto, infatti, c'è Patrizia Monterosso, Segretario generale di Palazzo d'Orleans esattamente come ai tempi di Lombardo, del quale fu anche capo di gabinetto. Stesso ruolo ricoperto da Gianni Silvia, sia col governatore di Grammichele che con quello gelese. Senza contare i vari Dario Cartabellotta (guidò l'Istituto Vite e vino), Luciana Giammanco (al vertice dell'Irsap) e i tanti direttori generali che ieri come oggi sono rimasti a guidare i più importanti dipartimenti della Regione.

Ma al di là dei voti e dei nomi, come detto, Crocetta ha assunto le "pratiche" politiche di Lombardo. A cominciare dai continui ed estenuanti rimpasti. Quello annunciato in queste ore dal presidente rischia di far toccare quota "cinquanta" al numero di avvicendamenti in giunta. Nemmeno il suo predecessore, che in questo fu un recordman, era giunto a tanto. E ovviamente i rimpasti e i ritocchi si traducono anche nell'altra pratica tutta lombardiana, calata nell'era della "rivoluzione", di "spaccare i partiti", di dividere per continuare a restare a galla. Se Lombardo operò un vero e proprio ribaltone, Crocetta ha preferito una pratica più morbida, quella del trasformismo diluito, ma che ha comunque portato nella sua maggioranza venti deputati (uno più, uno meno) eletti con l'opposizione.

Ma non solo. L'altro ponte che unisce Crocetta e Lombardo è quello composto dalla lunghissima fila di commissari che hanno finito per guidare, a volte per anni, enti di grande importanza rispondendo solo al governatore al quale erano (e sono) legati da un rapporto fiduciario. Lombardo fu un re dei commissariamenti selvaggi, ma Crocetta non è da meno: dalle 17 aziende della Sanità, passando per le nove province, e attraverso società partecipate, enti regionali di vario tipo, il governatore ha preferito piazzare fedelissimi ovunque. In qualche caso a costo di rinnovare il loro incarico più volte.

Ma la sovrapposizione totale, al netto delle vicende giudiziarie, si compirà in questi giorni. E i primi segni sono già emersi nella retorica del presidente e di chi improvvisamente, dopo mesi di attacchi fortissimi, si è scoperto in sintonia con Crocetta. Naufragata clamorosamente, tra veleni e contraddizioni, l'ideologia dell'antimafia dei pennacchi, finita tra gli spot e gli annunci a vuoto quella della lotta alla manciugghia e alla casta, esauritasi la retorica della rivoluzione che si è tramutata presto in restaurazione, ecco fare capolino il nuovo alibi per restare a galla. Da giorni, infatti, il problema è diventata la Capitale, quel governo nazionale che avrebbe, nei confronti dell'Isola, un atteggiamento spietato. Il nuovo sicilianismo da supermercato è già stato tirato fuori anche nella dialettica feroce con pezzi del Pd che si rivedono nell'area renziana e in particolare in Davide Faraone. La Sicilia contro Roma. Quelli che difendono i siciliani e quelli che stanno con lo "straniero". Ecco il nuovo pretesto. Benedetto già dall'asse ricostituito che porta i volti di Antonello Cracolici e Beppe Lumia. Già, proprio gli stessi che hanno portato il Pd alla corte di Raffaele Lombardo, il governatore autonomista. Gli stessi che hanno litigato col Pd romano, pur di difendere la scelta di formare un governo politico col presidente già indagato per mafia. Gli stessi che oggi dicono, in coro con Crocetta: "Tra la Sicilia e Roma, scelgo la Sicilia". Come faceva Lombardo.

Condividi post
Repost0
25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:19
Il fallimento dell’antimafia tra ‘buchi’ della Regione, IRSAP e beni sequestrati alla mafia 

Giulio Ambrosetti [21 Sep 2015 |

Piaccia o no, ma la Regione siciliana che affonda, le ombre dell’IRSAP e la gestione dei beni sequestrati alla mafia sono espressione di un’identica ‘Malasignoria’ legata all’antimafia, o presunta tale. Un’antimafia a propria volta riconducibile al centrosinistra. Chi ne sta facendo le spese sono le imprese e le famiglie siciliane depredate da questi signori 
Forse gli unici siciliani che stanno cominciando a capire la gravità della situazione economica e finanziaria della Sicilia sono i sindaci. Non a caso hanno annunciato, per i prossimi giorni, un’assemblea generale che, con molta probabilità, verrà celebrata a Palermo (come potete leggere qui). Per il resto, tutto tace. La vita, nella nostra Isola, scorre tranquilla tra sbarchi di migranti, ospedali nel caos, immondizia non raccolta abbandonata nelle strade, scandali nella gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia con tanto di inchieste giudiziarie, il governo nazionale che continua a depredare i fondi del Bilancio regionale e via continuando con problemi & veleni vari. La novità delle ultime settimane è rappresentata dall’antimafia, vera o presunta, che affonda. Due anni fa circa, quando Pino Maniaci denunciava i ‘magheggi’ nella gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, erano in pochissimi a prenderlo in considerazione. Oggi che il verminaio - come l’ha definito lo stesso Maniaci in un’intervista al nostro giornale (che potete leggere qui) - è venuto fuori, in tanti abbozzano, senza avere nemmeno il coraggio di dire: “Ragazzi, abbiamo sbagliato”.
Non sono, in verità, fatti sconosciuti. La novità è rappresentata, semmai, da un’inchiesta della magistratura, per la precisione, della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta. Chi pensava che mai e poi mai i ‘misteri’ della sezione di Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo sarebbero stati oggetto di una verifica di legge è stato servito. Come finirà non lo sappiamo. Ma ci aspettiamo di tutto e di più. Anche una salutare verifica dei patrimoni personali di chi ha gestito questi beni. E’ una verifica semplice: tu hai svolto questo lavoro e dovresti aver guadagnato, nel rispetto della legge, non più di una certa somma. Se sei proprietario di beni, mobili e immobili, più che proporzionali al lavoro che hai svolto, beh, allora c’è qualcosa che non quadra. E te li leviamo. In fondo è quello che si fa con i mafiosi. Anche in questo caso, non sarebbe una novità.
Su questo filone segnaliamo un aspetto della vita pubblica rimasto ancora oggi in buona parte inesplorato.
mafia
Sono i beni immobili e societari confiscati alla mafia e affittati alle pubbliche amministrazioni. Una legge di almeno sei-sette anni fa prevede che tali beni debbano essere stati ceduti, gratuitamente, alle pubbliche amministrazioni: Regioni, Province, Comuni, strutture sanitarie. Tutto questo è avvenuto, o le pubbliche amministrazioni hanno continuato a pagare affitti, spesso esosi, agli amministratori giudiziari? Abbiamo già segnalato anomalie per l’immobile dove ha sede l’assessorato regionale alle Attività produttive. Ma abbiamo il dubbio, molto fondato, che non si tratti di un caso unico. Ci chiediamo: i nostri dubbi avranno sollecitato l’interesse  dei giudici della Corte dei Conti?
In queste ore scopriamo che Caltanissetta, che geograficamente è il centro della Sicilia, è diventata il centro delle più importanti vicende giudiziarie dell’Isola. Oltre all’inchiesta sulla sezione di Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, la Procura nissena indaga anche sui protagonisti di una stagione antimafia dalla poche luci e dalle molte ombre. Ci riferiamo all’inchiesta che coinvolge il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, in prima fila, per anni, nelle attività antiracket, finito sotto inchiesta per mafia. Non è nostro costume commentare fatti legati a indagini in corso. Ma non possiamo sorvolare su due particolari.
Il primo particolare è legato a un ricordo personale. Chi scrive, già nel 2012 - allora dalle colonne del
professionisti dell'antimafia
quotidiano on lineLinkSicilia - manifestava perplessità sulla presenza, nelle prime file della vita pubblica siciliana, di certi personaggi che ci ricordavano troppo i “Professionisti dell’Antimafia” di sciasciana memoria. Siccome ci occupiamo da anni di politica regionale (grosso modo, dalla prima metà degli anni ’80 del secolo passato), sapevamo benissimo dei miliardi - prima di vecchie Lire, oggi di Euro - che giravano e girano attorno ai Consorzi Asi (Aree di sviluppo industriale) della Sicilia. Sapevamo, per esperienza, che di industrie ce n’erano e ce ne sono poche, mentre di soldi pubblici - come già ricordato - ne circolavano e ne circolano tanti, forse troppi.
Ci colpiva, in particolare, la gestione a dir poco strana di queste aree industriali siciliane con poche industrie e, in molti casi, senza industrie. E ci colpiva, soprattutto, la presenza di industriali senza industrie alla guida di questa aree industriali senza industrie. Quasi che terreni e soldi pubblici - che a nostro modesto avviso avrebbero dovuto essere gestiti, magari in modo oculato e nell’interesse della collettività - dovessero divenire sinecure per una ristretta cerchia di privilegiati. Negli anni del governo regionale di Raffaele Lombardo ci chiedevamo che senso avesse una legge regionale che istituiva quello che, in fondo, non è altro che un nuovo ‘carrozzone’: l’Istituto Regionale per le Attività Produttive, meglio conosciuto come IRSAP. Ci chiedevamo: ma non è più serio liquidare i beni dei vecchi Consorzi Asi e poi, semmai, affidare all’Irfis (Istituto regionale per i finanziamento alle industrie) la gestione delle somme ricavate dalla vendita di questi beni per dare vita a nuove attività imprenditoriali? Invece il Parlamento siciliano, su input del governo regionale, ha istituito l’IRSAP. Di fatto, per dare nelle mani di soggetti privati la gestione di beni mobili e immobili pubblici. Con risultati che, con molta probabilità, non conosceremo mai.
Ci colpiva, sempre in quegli anni, la presenza di imprenditori - in alcuni casi non più titolari di imprese - chiamati ad amministrare Enti Porto, società a partecipazione regionale e, in generale, strutture pubbliche. Ci chiedevamo: ma se non sono stati bravi a gestire le proprie aziende, perché mai dovrebbero diventare bravi nella gestione delle aziende pubbliche?  
irsap
Oggi assistiamo a una girandola di accuse, con uomini di Confindustria Sicilia che accusano altri esponenti di Confindustria Sicilia. E’ il caso dell’ex assessore regionale, Marco Venturi - tra i protagonisti della discutibile gestione della Regione siciliana da parte del già citato governo di Raffaele Lombardo - che accusa senza mezzi termini Montante. Venturi usa parole pesanti. A noi, a dir la verità, Venturi è sempre apparso come un elemento estraneo alla triade di Confindustria Sicilia rappresentata da Montante, da Ivan Lo Bello e da Giuseppe Catanzaro. Le sue dichiarazioni non ci sorprendono. Anche se restiamo della nostra opinione: non c’era alcun bisogno di creare l’IRSAP. E non siamo stupiti del fatto che Venturi, oggi, denunci pressioni indebite sulla gestione dei beni che fanno capo all’IRSAP. Quasi tutto torna. Il quasi è legato ai ritardi dello stesso Venturi: ci voleva tanto per capire certe cose?
La verità - e questo non finiremo di ripeterlo - è che il governo Lombardo e il Parlamento siciliano della passata legislatura hanno fatto malissimo a dare nelle mani di una ristretta cerchia di persone i beni dei vecchi Consorzi Asi. Qualcuno ha pensato che questi beni dovessero essere utilizzati per arricchimenti personali o per finanziare la politica? A giudicare da quello che dice oggi Venturi, le pressioni alle quali sarebbe stato sottoposto Alfonso Cicero, il numero uno dell’IRSAP, voluto dal governo di Rosario Crocetta - nomina, quella di Cicero, accompagnata da altri veleni e da altre polemiche - sono inquietanti. Anche perché sarebbero arrivate da personaggi che tutti noi immaginavamo vicine a Venturi e a Cicero.
Insomma, una storia molto confusa, quella che gira attorno alla gestione dell’Irsap. Montante, Venturi, Crocetta, Cicero, l’ex assessore regionale, Linda Vancheri. E, nell’ombra, il senatore Giuseppe Lumia, che di questo gruppo di potere è sempre stato il garante politico. A giudicare da quello che si legge sui giornali, le incomprensioni che oggi dividono questi signori non sono legate alla nascita di nuove attività imprenditoriali, ma alla gestione di beni pubblici. La dimostrazione che l’Irsap non è stato istituito per creare nuove iniziative imprenditoriali, ma per gestire beni da liquidare e alienare. Sotto questo profilo, le responsabilità del centrosinistra - che ha governato la Regione siciliana dal 2008 al 2012 e che continua a governarla, male, tutt’ora - sono enormi. Anche in questo caso, non siamo stupiti: con un governo regionale di centrosinistra è iniziata, quindici anni fa, la liquidazione di EMS, ESPI e AZASI. Liquidazione che va avanti ancora oggi con una spesa, iscritta in Bilancio, di circa 500 mila Euro all’anno (dato tratto dal Bilancio regionale 2015: sul 2016 attendiamo…).
I ‘magheggi’ attorno ai beni sequestrati e confiscati alla mafia e le ‘mirabolanti’ avventure dell’IRSAP (che, a quanto pare, non avrebbero nulla da invidiare a quelle della Sofis) fanno il paio con la disastrosa situazione finanziaria della Regione. Sono tre aspetti della questione economica e finanziaria siciliana riconducibili all’antimafia, o presunta tale, e alla politica. Aziende sane, che avrebbero dovuto essere restituite ai legittimi proprietari, venuti fuori indenni dalle indagini giudiziarie, sono state ‘masticate’ lo stesso dagli amministratori giudiziari. Non hanno fatto una fine diversa molti dei beni confiscati alla mafia, se è vero che, nel complesso, il 90 per cento e forse più delle aziende sequestrate e confiscate alla mafia falliscono. Sotto questo profilo, il fallimento dell’Antimafia è stato pressoché totale. La stessa presidente dell’Antimafia nazionale, Rosy Bindi - persona per bene - che viene in Sicilia a difendere la gestione della sezione di Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo retta da Silvana Saguto, oggi sotto inchiesta, dà la misura della confusione e, contemporaneamente, dell’abilità di una certa politica nel piazzare in posti nevralgici persone sbagliate.
Non è andata meglio, come già accennato, con l’Irsap. Dove la ressa - perché a quanto pare di questo si è trattato: di una ressa - attorno ai beni degli ex Consorzi Asi da liquidare-alienare ha preso il sopravvento sulla missione dello stesso IRSAP, che avrebbe dovuto essere quella di creare nuove iniziative imprenditoriali. Delle liquidazioni-alienazioni ci sono tante tracce (e molti veleni), mentre delle nuove iniziative imprenditoriali, come già ricordato, non c’è traccia.
Sul fronte della politica regionale assistiamo a un governo nazionale che continua a depredare la Sicilia. Qualche settimana fa abbiamo assistito a un ‘capolavoro’ del governo nazionale: grande risalto alle parole del premier Renzi che annuncia (annunci, non fatti concreti) l’abolizione dell’IMU, compresa l’IMU agricola, mentre lo stesso governo Renzi scippa alla Regione siciliana 60 milioni di Imu agricola nel silenzio generale. La scena non ci sconvolge più di tanto: qualche sera fa, in un Tg nazionale, dopo un servizio in pompa magna sul Ministro dell’Economia, Padoan, che annuncia la riduzione della pressione fiscale, va un altro servizio che illustra (questa volta non è un annuncio, ma un fatto concreto) un nuovo balzello, sempre a cura del governo nazionale: un balzello sulle televisioni negli hotel, tra le proteste degli albergatori italiani, ‘rei’ di aver lavorato bene in estate e quindi pronti per essere ‘spolpati’ da un sempre più grottesco governo Renzi che, però, a parole, ‘annuncia’ riduzioni delle tasse…
Di fatto, la gestione delle Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, la gestione dell’Irsap e gli scippi di risorse dalle ‘casse’ regionali ad opera del governo Renzi hanno contribuito - ognuno per la propria parte - a depauperare quel poco che ormai rimane dell’economia siciliana. Ormai, in Sicilia, esiste e resiste solo l’imprenditoria che non ha nulla a che vedere con la pubblica amministrazione (e con la sezione di Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo).
alessandro baccei
L'assessore regionale all'Economia, Alessandro Baccei
Poi spunta la faccia beffarda dell’assessore regionale all’Economia, il toscano Alessandro Baccei, imposto in Sicilia dal solito Renzi. Baccei, dimenticando i soldi che Roma ha ‘rapinato’ alla Sicilia nell’ultimo anno e mezzo (oltre 10 miliardi di Euro), ci dice che famiglie e imprese siciliane dovranno essere ulteriormente ‘spremute’ per una cifra pari a 1 miliardo e 800 milioni di Euro. Dimenticando di aggiungere - ah, quanto sono brutte le ‘amnesie’… - che bisognerà trovare il miliardo e 200 milioni di Euro da dare al governo Renzi: il solito accantonamento da strappare al Bilancio regionale per il “risanamento” della finanza nazionale. Dunque il ‘buco’ sui conti della Regione per il 2016 non è di un miliardo e 800 milioni di Euro, ma di 3 miliardi di Euro circa! Un ‘buco’ provocato tutto dal governo nazionale di Renzi.
Detto questo, visto che da due anni l’Italia non mette in atto “l’equilibrio di Bilancio” introdotto con la modifica della Costituzione italiana del 1948, e visto che anche per quest’anno il governo Renzi ha chiesto una deroga, ci chiediamo e chiediamo: a cosa sono serviti i soldi che il governo Renzi ha scippato alla Sicilia in questi anni? Insomma, se i “sacrifici” imposti alla Regione siciliana non sono serviti “all’equilibrio di Bilancio” dell’Italia, che fine hanno fatto questi soldi? Come sono stati utilizzati? A questa domanda non dovrà rispondere solo Renzi: dovranno rispondere i partiti politici che governato l’Italia e la Sicilia, PD in testa, ma anche UDC, Nuovo centrodestra Democratico e via continuando.
Un dato, in ogni caso, emerge con estrema chiarezza: da quando il centrosinistra governa la Sicilia - cioè dalla primavera del 2008 fino ad oggi - i siciliani sono diventati sempre più poveri. Il PIL siciliano (Prodotto Interno Lordo) è sceso di 8 punti. La disoccupazione è alle stelle (la sola disoccupazione giovanile è al 70%!). L’agricoltura siciliana è allo sbando e tutt’oggi non sappiamo come sono stati spesi 2,1 miliardi del PSR 2007-2014, né si capisce che fine abbiano fatto altri 3 miliardi circa di fondi destinati sempre all’agricoltura siciliana. L’industria è quasi scomparsa. L’artigianato è in crisi. Il commercio langue. La formazione professionale è stata quasi del tutto smantellata. Ancora: da cinque mesi l’autostrada Palermo-Catania è interrotta e lo rimarrà chissà per quanto tempo ancora; le strade provinciali sono un delirio. Sembra che Ryanair si accinga a lasciare l’aeroporto di Trapani, mentre torme di ‘sciacalli’ hanno puntato le due società aeroportuali pubbliche di Palermo (Gesap) e Catania (Sac).
Per non parlare della spesa sociale, ridotta al lumicino (a Palermo il Comune non ha stanziato i soldi per mille e 200 studenti disabili, come potete leggere qui: ma il problema riguarda tantissimi Comuni siciliani che hanno abbandonato anche minori e anziani). Per non parlare della folle gestione dei rifiuti, in balìa di comitati di affari che inquinano aria, terreni e falde idriche inchiodando l’Isola con le discariche, mentre la raccolta differenziata dei rifiuti rimane la più bassa d’Italia. Con la sfacciataggine di proporre pure gli inceneritori dei rifiuti per 'ammuccarsi' altri soldi.
A conti fatti, da quando governa il centrosinistra la Regione e 5 milioni di siciliani sembrano diventati soggetti da ‘spolpare’. Come già sottolineato, i soldi che Renzi si porta a Roma non si contano più. Così come non si contano gli imbrogli nei conti pubblici, con la sanità utilizzata come schermo per sottoscrivere mutui miliardari che gli ignari siciliani pagano. Ignari fino a un certo punto, perché, piano piano, di questo centrosinistra al governo, a Roma e in Sicilia, i siciliani cominciano ad ‘apprezzare’ IRPEF e IRAP ai massimi livelli (aliquote tra le più alte d’Italia, come se la Sicilia fosse più ricca della Lombardia!), TASI e TARSU tra le più alte d’Italia e, come già accennato, anche 60 milioni di Euro di IMU agricola. Soldi che i Comuni dovranno far pagare, a partire da quest’anno, agli agricoltori siciliani già allo stremo: ennesimo ‘regalo’ di quel governo di ‘banditi’ presieduto da Renzi.
Che dire? Che quando Crocetta e questo fallimentare centrosinistra verranno buttati fuori dalla Regione, quando, insomma, i dati di Bilancio, quelli veri, verranno resi noti, ci accorgeremo che i danni prodotti da questi signori sono molto più gravi di quelli che noi, sommariamente, abbiamo cercato di descrivere.        
Il cancro d'Italia che la sta uccidendo: le collusioni tra mafia, politica e imprenditoria 

Vincenzo Musacchio *

Le nuove mafie non usano più metodi violenti ma si servono della corruzione per snaturare l'economia e la finanza, sottraendo ingenti risorse destinate al bene comune. Si deve subito impedire ai politici e ai burocrati di turno - attraverso una legislazione stringente e una rete di controlli effettiva ed efficace - di dare ai clan mafiosi la possibilità di gestire appalti e lavoro. L'attuale legislazione è insufficiente, serve una nuova rivoluzione culturale
In Italia solo nel 2014 sono scattate indagini di natura penale e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici in quasi tutte le regioni. Sono stati sciolti oltre duecentocinquanta consigli comunali per presunte infiltrazioni mafiose e più di ottanta parlamentari dell’attuale legislatura sono indagati, imputati e condannati per reati di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e per altri reati contro la pubblica amministrazione. Le collusioni tra politica, criminalità organizzata e imprenditoria sono attualmente gli aspetti più preoccupanti per il nostro Paese poiché mettono a rischio la stabilità delle istituzioni democratiche. 
Le nuove mafie, oggi, non usano più metodi violenti ma si servono della corruzione per alterare i normali processi della politica, minare la credibilità delle istituzioni, inquinare gravemente l'ambiente e snaturare l'economia e la finanza, sottraendo ingenti risorse destinate al bene comune, sgretolando il senso civico e la cultura solidaristica del nostro Paese. La simbiosi tra mafie, politica ed economia attualmente è presente in molti settori produttivi nazionali con grande prevalenza nel settore degli appalti pubblici e delle pubbliche sovvenzioni statali ed europee. I predetti legami servono alle mafie soprattutto per condizionare le scelte degli amministratori che sovrintendono le procedure pubbliche, instaurando in tal modo un circuito per lo scambio di favori illeciti. La politica, da un lato, garantisce affari e profitti alla criminalità organizzata, dall’altro, quest’ultima assicura la disponibilità di voti necessari per essere eletti ai politici collusi. Mafia e politica, sotto questo profilo, si sostengono e si garantiscono a vicenda. Il terreno d’incontro è la corruzione e il profitto economico. Per i mafiosi, le enormi quantità di denaro a disposizione costituiscono anche il mezzo per accedere nella cabina di regia degli enti dello Stato sia a livello centrale che periferico allo scopo di eliminare la possibile concorrenza alle loro imprese e agire in regime di monopolio. 
In questo contesto, molto preoccupante, occorre domandarsi cosa si può fare per arginare queste situazioni criminose? Una delle azioni da concretizzare, senza tentennamenti, è senza dubbio quella di impedire ai politici e ai burocrati di turno - attraverso una legislazione stringente e una rete di controlli effettiva ed efficace - di dare ai clan mafiosi la possibilità di gestire assunzioni, appalti e altri vantaggi che consentono loro di offrire ai cittadini possibilità di lavoro. E’ indispensabile fare in modo che per ottenere i propri diritti non si debba più ricorrere al mafioso, al politico o imprenditore colluso. Bisogna assolutamente sradicare la convinzione che la mafia garantisca lavoro. Una cosa difficile da realizzare, soprattutto nel Sud d’Italia, dove lo Stato latita da molto tempo. Dalla rottura dei legami mafie-politica-imprenditoria, a mio avviso, comincerà il vero cambiamento, ma, ciò è possibile solo a condizione che nel nostro Paese si comincino a lottare concretamente la criminalità organizzata, la corruzione, l’evasione fiscale e la mala politica. 
Da esperto della materia posso affermare che l’attuale legislazione è assolutamente insufficiente. La dimostrazione della nostra tesi, ad esempio, risiede nel fatto che l’Italia sia la Nazione più corrotta d’Europa e al tempo stesso quella in cui vi sono meno condanne per corruzione, concussione e abuso d’ufficio. Di certo il virus che sta uccidendo lentamente il nostro Stato in buona parte risiede nell’indebolimento delle norme di controllo, nel depotenziamento del sistema giudiziario e in una burocrazia ferma al secolo scorso priva di trasparenza e di economicità. E’ il mix tra corruzione politica, criminalità organizzata ed economia adulterata il vero cancro della nostra società e non si può continuare a parlare di onestà, di trasparenza e di efficienza in uno Stato che, di fatto, non vuole lottare questi fenomeni così aberranti. 
Il cittadino dovrebbe comprendere che mafiosi, politici e imprenditori perseguono il profitto fine a se stesso servendosi soprattutto di  denaro pubblico, di cui non si riesce nemmeno a tracciare il percorso perché le norme sul riciclaggio sono inefficaci e quelle sull’autoriciclaggio inesistenti. Le confische patrimoniali, molto temute dai mafiosi, languono e anche questo è un aspetto a dir poco allarmante. In questo scenario catastrofico occorrerebbe una rivoluzione culturale che parta dai giovani sulla scorta di quanto accaduto in passato per combattere la mafia - penso alla “Primavera di Palermo” negli anni novanta - quando una moltitudine di cittadini ebbe il coraggio di scendere in piazza dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio per dire no alla mafia. Ecco occorre una nuova “Primavera di Palermo” ma questa volta senza i tanti morti ed estesa a tutta la Nazione per dire no alle mafie e alla corruzione. L’Italia si gioca una partita importantissima: o affronta i veri problemi che la attanagliano, e che ho descritto in precedenza, o sarà destinata al collasso totale. 
Musacchio
 *Vincenzo Musacchio -  Giurista, docente di diritto penale  e direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise





Appalti in Sicilia: il governo nazionale vuole tutelare gli ‘amici degli amici’? 

Riccardo Gueci* 9 Sep 2015

Il Parlamento siciliano, in materia di appalti pubblici, ha approvato una legge innovativa che blocca sul nascere i ‘cartelli’ di solito espressione dei grandi gruppi. Di fatto, è una legge che difende gli interessi delle imprese siciliane contro i mafiosi che, dagli anni della Cassa per il Mezzogiorno, operano all’ombra dei grandi gruppi nazionali. Antimafia vera che, però, non piace al governo Renzi… 
L'Autonomia speciale della Regione siciliana, appannaggio della borghesia mafiosa, è ridotta proprio male. Specialmente nelle materie che contrastano con gli interessi dei lavoratori siciliani e delle piccole imprese che, in Sicilia, si 'arrabbattano' per sopravvivere.
L'ultima in ordine di tempo è la legge sugli appalti di lavori pubblici, che in Sicilia è un problema di non poco conto, considerato l'uso che le grandi imprese fanno dei ribassi per aggiudicarsi i lavori, tranne poi a rientrare nei costi o utilizzando cemento impoverito, o più spesso attraverso marchingegni , come le riserve o le perizie di variante in corso d'opera.
Questi accorgimenti sono comunemente adottati dalle imprese, anche da quelle che si cimentano nelle costruzioni non tanto perché quello è il loro mestiere, ma per avviare attività di copertura di riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, specialmente di origine mafiosa. Magari dal traffico di droga da reinvestire in attività lecite. In questi casi la convenienza economica dell'appalto non è l'obiettivo principale dell'impresa mafiosa, ma un semplice diversivo teso a giustificare gli enormi guadagni che la mafia ottiene dai suoi traffici. Va da sé che i titolari delle imprese sono sempre persone con le “carte a posto”, irreprensibili e apparentemente dediti al loro lavoro.
In questa confusione di ruoli e di interessi chi ne soffre le conseguenze sono le imprese pulite, che fanno le proprie offerte sulla base di analisi costi-benefici ai quali aggiungono una quota di rischio d'impresa. Queste imprese, in genere, restano senza lavoro e per sopravvivere vivacchiano con piccoli lavoretti di manutenzione del patrimonio immobiliare esistente. Va precisato che i nuovi criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici siciliani valgono, oltre che per le opere pubbliche, anche per le forniture ed i servizi. In pratica, a nostro sommesso parere, la legge varata dal Parlamento siciliano è stata studiata sia per evitare l'aggiudicazione a massimo ribasso, sia per impedire manovre strategiche alle cordate combinate dei concorrenti.
Questa normativa approvata dal Parlamento siciliano è sicuramente innovativa e non è un caso che, oltre ad impedire gli appetiti delle imprese mafiose, rappresenta anche un modello anti corruzione contro gli affarismi poco trasparenti. Forse sarà per queste caratteristiche che la legge regionale 10 luglio 2015, n.14, è entrata nell'orbita censoria del governo nazionale di Matteo Renzi.
Ricordiamo che, nel Sud d’Italia, già ai tempi della cassa per il Mezzogiorno - cioè negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 del secolo passato - i grandi gruppi nazionali trovavano accordi con le mafie locali, penalizzando le imprese del Meridione non legate ad interessi mafiosi. Con questa nuova legge, di fatto, si impediscono giochi e giochetti che finiscono con il favorire gli interessi mafiosi.  
Vediamoli da vicino, le “Modifiche all'articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2011, n.12 introdotte con la nuova legge regionale. Si tratta di alcuni emendamenti che introducono criteri diversi si assegnazione delle gare d'appalto. Il primo così recita: “Per gli appalti di lavori, servizi e che non abbiano carattere transfrontaliero, nel caso in cui il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando che si applichi il criterio dell'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia prevista nel successivo comma”.
Il secondo comma dà la definizione di soglia di anomalia: “La soglia di anomalia è individuata dalla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del 10 per cento arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e quella di minor ribasso, incrementata o decrementata percentualmente di un valore pari alla prima cifra, dopo la virgola, della somma dei ribassi offerti dai concorrenti. Nel caso in cui il valore così determinato risulti inferiore all'offerta di minor ribasso ammessa, la gara è aggiudicata a quest'ultima”. Questo passaggio ai più sembrerà astruso. Semplificando, diciamo che individua ed esclude le offerte truffaldine.
Queste le parti essenziali delle modifiche apportate ai criteri di aggiudicazione, che sembrano essere state studiate per affidare le sorti delle gare d'appalto alla più ampia casualità. La qualcosa non è di scarsa rilevanza. Ma sono proprio questi accorgimenti che hanno fatto saltare sulla sedia il ministro delle Infrastrutture, Graziano Del Rio, che, di sicuro, avrà urlato: ma come si permettono questi siciliani di non consentire la ‘corretta gestione’ degli appalti! Ma siamo proprio impazziti?”. Insomma, i politici che ci stiamo a fare se non possono nemmeno ‘gestire’ gli appalti e favorire gli amici e gli amici degli amici? E la Sicilia, terra di mafia, fa uno sgambetto del genere alla mafia?
Così è iniziato il procedimento di contestazione della nuova legge siciliana con l'invio di una nota che mette in discussione, non solo il contenuto della legge, ma anche il significato stesso dell'Autonomia regionale siciliana, la quale in materia di legislazione in materia di appalti ha competenza primaria. Il testo della nota ministeriale, sulla questione, è assolutamente esplicito ed è proprio la casualità, cioè l'elemento innovativo centrale della legge regionale, l'oggetto della contestazione ministeriale del 25 agosto di quest'anno. In essa si osserva in primo luogo la difformità con i “criteri di valore economico indicati nell'articolo 86 del codice dei contratti pubblici” attraverso un meccanismo che, in sostanza, ne determina in modo casuale le variazioni in aumento o in diminuzione”. Ma l'aspetto più rilevante, e più grave, riguarda il richiamo al Codice degli appalti, il cui articolo 5 “dispone che le Regioni a Statuto speciale che adeguano la loro legislazione ai loro Statuti non possono prevedere una disciplina diversa dal Codice” per rispettare “le competenze esclusive dello Stato”. A sostegno delle sue tesi il ministero richiama due pronunciamenti della Corte Costituzionale, n.401 del 23 novembre 2007 e la n.431 del 14 dicembre 2007, nelle quali la Consulta riconosce “l’inderogabilità sia delle disposizioni che regolano l'evidenza pubblica, sia quelle concernenti il rapporto contrattuale”.
Queste osservazioni ci inducono - noi che non siamo grandi dirigenti amministrativi dello Stato e tanto meno costituzionalisti - a un’ovvia constatazione: che cosa c'entra l'evidenza pubblica o il rapporto contrattuale con i criteri di assegnazione degli appalti? La prima interviene in fase di pubblicazione del bando di gara, con le relative norme che la regolano; la seconda interviene successivamente all'aggiudicazione ed alla fase di rispetto reciproco delle condizioni contrattuali dell'appalto. Pertanto i riferimenti alle sentenze della Corte Costituzionale ci sembrano fuori luogo e comunque non sono minimamente violate dalla legge regionale in discussione.
I rilievi ministeriali si concludono con un’osservazione che è veramente un capolavoro di parole in libertà: “Alla luce dei consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, pertanto, le disposizioni della legge regionale in commento, oggetto dei rilievi illustrati, risultano adottate in violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera e) a tutela della concorrenza”. Qui la risposta è veramente semplice: le norme regionali sull'aggiudicazione degli appalti quali impedimenti oppongono alla libera partecipazione di centinaia o di migliaia di imprese? Quali sono i limiti che essa pone alla partecipazione in concorrenza?
Prima di passare alle controdeduzioni approntate dall'assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo, vogliamo consentirci una divagazione, rispetto alla quale avremmo sicuramente apprezzato un intervento critico del ministro Delrio. Essa riguarda due fatti che sono avvenuti in Italia in tempi relativamente recenti, ma che stanno lì a testimoniare la fallibilità delle legislazioni nazionali sugli appalti. Una riguarda le “ecoballe” nell'entroterra Napoletano e l'altra l'affidamento dei lavori di costruzione della tratta ferroviaria di congiungimento veloce Torino-Lione. Avremmo apprezzato che il ministro Delrio bloccasse i lavori della Torino-Lione, con l'annesso traforo plurichilometrico delle Alpi in Val di Susa, per conoscere a quale gara d'appalto transfrontaliera abbiano partecipato le imprese che stanno eseguendo i lavori. Questo sarebbe stato di sicuro un intervento a tutela della concorrenza. Che ne dice, Ministro Delrio?
In quanto alle ecoballe, se l'incarico di smaltimento dei rifiuti di Napoli fosse stato affidato ad una ventina di piccole imprese, certamente le ecoballe non esisterebbero. Si è scelto di affidarne l'incarico ad una grande impresa nazionale e le ecoballe sono ancora lì a far bella mostra di sé.
Passiamo ora alle controdeduzione dell'assessore regionale alle Infrastrutture, Pizzo. L'assessore Pizzo, in via preliminare, ricorda al Ministro Delrio che i riferimenti giurisprudenziali richiamati nella nota dei rilievi, cioè i riferimenti all'articolo 4 , commi 2 e 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 - il cosiddetto Codice degli appalti - oggetto dei pronunciamenti della Corte Costituzionale, “esplicano il loro contenuto normativo nei confronti delle sole Regioni ordinarie” Fa presente, tuttavia, che la legislazione regionale, anche a Statuto speciale, stabilisce che la potestà legislativa esclusivo/primaria deve essere esercitata “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato”. Questa sottolineatura è una raffinatezza. Come dire: caro Ministro, come dobbiamo legiferare in Sicilia lo sappiamo assai bene e non ci serve alcun insegnamento ministeriale. La perorazione dell'assessore regionale è assai circostanziata e puntuale che non possiamo, per ragioni di spazio, commentare integralmente. Ma un altro aspetto merita di essere riportato e riguarda il riparto delle competenze legislative in materia di appalti pubblici. A tal proposito essa fa riferimento al citato articolo 4 del citato decreto legislativo 163/2006 e ne richiama l'articolo 5, che ovviamente il ministro non aveva letto perché si era fermato agli articoli 2 e 3. L'articolo 5, appunto, stabilisce che “le Regioni a Statuto Speciale adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli Statuti e nelle relative norme di attuazione”.
E' nostro dovere segnalare positivamente l'impegno che in questa battaglia hanno messo gli imprenditori del settore a sostegno della decisione autonoma del Legislatore regionale. Dopo il movimento dei Forconi è la prima volta che una categoria si schiera in difesa dell'Autonomia siciliana.
Nota a margine. Non ne comprendiamo le ragioni strategiche, ma un dato è certo: la Regione siciliana e la sua Autonomia speciale da oltre vent'anni sono sottoposte ad un attacco sistematico ed al controllo delle sue risorse finanziarie. Una delle prime operazioni di controllo dall'interno del governo regionale avvenne con il governo di Salvatore Cuffaro, quando a dirigere l'Ufficio della Programmazione economica, cioè quello che aveva il compito di programmare la spesa dei Fondi strutturali europei, fu affidato ad una funzionaria ministeriale, la dottoressa Gabriella Palocci. Quello fu un periodo assolutamente nero per l'economia siciliana e fu anche il periodo nel quale vennero costituite ben 34 società in house, cioè società che dovevano fare i lavori di competenza degli assessorati. In pratica, fu una duplicazione della spesa corrente regionale con la “facciata” di spese d'investimento perché i fondi europei vennero assegnati in parte alle 34 società per azioni. Società che non operavano nel mercato, ma avevano l'esclusiva della committenza pubblica regionale. Un capolavoro di spreco, inefficienza e clientelismo a mani basse.
Poi fu la volta del governo di Raffaele Lombardo, l'autonomista - quello che prendeva a martellate le targhe delle vie intestate a Giuseppe Garibaldi - il quale accettò la condizione posta dal governo centrale di affidare la gestione delle ingenti somme destinate alla Formazione professionale ad un funzionario ministeriale, il quale ne fece di cotte e di crude, compresa quella di trasferire gran parte del Fondo sociale europeo dalla Sicilia ai ministeri romani.
Quindi è stata la volta del governo di Rosario Crocetta, al quale sono stati imposti prima Luca Bianchi e successivamente Alessandro Baccei quali assessori al Bilancio ed all'Economia. Risultato di queste gestioni finanziarie della Regione siciliana: l'economia dell'Isola cresce la metà di quella greca, la disoccupazione è dilagante e la povertà crescente.
Preferiamo fermarci qua e di non infierire, ma qualcosa sull'Autonomia siciliana ci ripromettiamo di dirla in seguito, anche se già in qualche occasione abbiamo avuto modo di accennare al nostro convincimento.

* Riccardo Gueci è un funzionario pubblico in pensione che, per noi, di solito, illustra e comenta i fatti di politica nazionale e internazionale. Cresciuto nel vecchio Pci, Gueci è rimasto legato all'iea della politica di Enrico Berlinguer. La politica, insomma, vista nella sua accezione nobile. Oggi si ricorda di esere stato un funzionario pubblico e commenta per noi una vicenda in verità molto strana: con il governo nazionale di matteo renzi che contesta una legge, approvata dal Parlamento siciliano, che punta a contrastare in modo serio gli interessi dei mafiosi e dei grandi gruppi nazionali che, dagli anni '50 del secolo passato, fanno affari con le mafie del Sud Italia. Cose strane, insomma...    
Crocetta e Baccei: scippare ai siciliani un miliardo e 750 milioni di Euro. A rischio occupazione e ambiente 


Giulio Ambrosetti


Poche ore dopo la bomba d’acqua che ha allagato (e distrutto) mezza Sicilia, Crocetta e Baccei sono già ‘impegnati’ a scippare soldi alle famiglie e alle imprese siciliane che resistono nonostante la Regione. A rischio, però, non è solo l’economia, ma la vita degli stessi cittadini dell’Isola, se è vero che Comuni (senza soldi) e strutture regionali hanno abbandonato i corsi d’acqua che attraversano città e campagne. Di conseguenza, le eventuali bombe d'acqua potrebbero distruggere i centri abitati e le coltivazioni
Semplicemente incredibile: nel giro di poche ore, il presidente della Regione, Rosario Crocetta, e l’assessore all’Economia, Alessandro Baccei, hanno archiviato l’alluvione che ha funestato mezza Sicilia. Città e paesi - Catania e Giardini Naxos in testa, ma l’elenco è lungo - allagati, con le automobili sommerse dall’acqua, strade trasformate in fiumi in piena, corsi d’acqua fino a qualche settimana fa ridotti a rigagnoli dall’arsura estiva che si trasformano, in poche ore, in torrenti impetuosi che distruggono tutto quello che incontrano: strade, abitazioni, caseggiati rurali, coltivazioni. Nella parte orientale della nostra Isola il primo nubifragio di una stagione invernale che si approssima e che si annuncia piena di incognite ha già distrutto importanti segmenti dell’agricoltura. Danni per decine e decine di milioni di Euro. Agricoltori in ginocchio, disperazione. E cosa fanno Crocetta e Baccei davanti a questo inferno che potrebbe riproporsi non tra vent’anni, ma tra qualche settimana? Annunciano tagli a un Bilancio regionale già disastrato per un miliardo e 750 milioni di Euro!
Lo Stato, nell’ultimo anno e mezzo, ha scippato alla Regione siciliana circa 10 miliardi di Euro. Centinaia di
alluvione a giardini
Alluvione a Giardini Naxos: foto di meteoweb
Comuni siciliani sono al dissesto finanziario non dichiarato. La riforma delle Province, con le tre città metropolitane di Palermo, Catania e Messina e i fantomatici Consorzi di Comuni rischia di fallire ancor prima di essere applicata. Interi settori dell’amministrazione pubblica isolana sono senza risorse finanziarie. La spesa sociale è stata praticamente azzerata, se è vero che non ci sono soldi per gli anziani, per l’infanzia e per i portatori di handicap. E si annunciano ‘risparmi’ anche sulla pelle degli studenti.
Di fatto, oggi, in Sicilia, esiste e resiste solo l’economia che non ha nulla a che spartire con la Regione siciliana. E in parte è proprio a questi soggetti - cioè agli imprenditori siciliani che vivono del proprio lavoro - che il governo Crocetta vorrebbe adesso scippare le risorse finanziarie. Nella testa di Baccei spunta il recupero dell’evasione fiscale: ovvero la ‘caccia’ a chi non ha pagato il bollo di circolazione delle automobili (dimenticando che in Sicilia, per la diffusa povertà, un numero impressionante di automobilisti non paga più l’assicurazione delle auto: altro che bollo di circolazione!); la ‘caccia’ agli evasori delle accise sull’energia; l’aumento dei canoni di concessione e, in generale, l’aumento delle imposte locali. E, ciliegina sulla torta, il licenziamento di migliaia di operai della Forestale e il non pagamento delle retribuzioni a migliaia di precari della Regione, dei Comuni e delle ex Province.
Di fatto, davanti a un governo nazionale che deruba le finanze regionali, il toscano Baccei non trova di meglio che tornare a ‘spremere’ i siciliani, colpendo gli imprenditori dell’Isola che hanno la sola ‘colpa’ di essere rimasti in Sicilia a fare impresa, a prescindere da una Regione che ormai è solo un peso per la Sicilia e per i siciliani. Attenzione: noi non stiamo mettendo in discussione le istituzioni autonomistiche della nostra Regione: mettiamo in discussione un governo regionale di ‘ascari’ e venduti a Roma che sta utilizzando le nostre istituzioni per derubare quelle poche risorse finanziarie che le famiglie e le imprese siciliane ancora in piedi riescono a mantenere.
corruzione
Di questi ‘ascari’ che stanno massacrando la Sicilia vi diciamo i nomi e i cognomi politici. In testa c’è il PD siciliano, partito che oggi rappresenta la vera e propria cancrena della nostra Regione. A questo partito si aggiungono l’UDC, Forza Italia, Nuovo Centrodestra, Sicilia Democratica e, in generale, tutti i deputati del Parlamento siciliano che in questi tre anni sono passati con Crocetta (a quanto pare, in cambio di benefici e prebende, come ha denunciato un deputato, Pippo Sorbello: questione ripresa dai grillini: vicenda che, a nostro avviso, dovrebbe essere oggetto di un’inchiesta da parte della magistratura penale, perché parliamo di corruzione di deputati).
Questo governo, questi partiti e questi deputati adesso vogliono ‘saccheggiare’ le famiglie siciliane, perché Baccei - che, ricordiamolo è stato imposto dal governo Renzi - le vuole colpire con un aumento delle tasse locali e con il recupero dell’evasione fiscale. Governo, partiti di governo e deputati regionali vogliono penalizzare anche le imprese che ancora non hanno avuto il ‘piacere’ di conoscere la Regione, aumentando tasse e imposte.
Di fatto, Baccei sta proponendo una manovra economica e finanziaria che trasformerà la recessione che oggi travaglia la Sicilia in vera propria depressione economica. Se, sotto il profilo morale, recuperare l’evasione fiscale è corretto (anche se in questo caso non si tratta di grandi evasori e di grandi cifre, ma di tantissimi evasori per piccole cifre - come il bollo delle automobili - evasori che, spesso, non riescono a mettere d’accordo il pranzo con la cena), sotto il profilo economico, soprattutto se accompagnata da un aumento di imposte e tasse locali, quest’ennesima stretta su famiglie e imprese proposta dall’accoppiata Crocetta-Baccei provocherà un’ulteriore riduzione della domanda al consumo e, di conseguenza, un aumento della disoccupazione. In una parola, Crocetta, Baccei, i partiti che appoggiano il governo e i deputati che sono passati con la maggioranza in cambio di ‘qualcosa’ (che alti valori morali, no? e meno male che era solo Berlusconi il grande corruttore che, nel 2006, ‘acquistava’ parlamentari), in queste ore, stanno lavorando per rendere sempre più povera la Sicilia. E per parare il culo al governo Renzi che vuole continuare a derubare la nostra Regione.
In queste ore - tanto per citare un esempio - i deputati ‘ascari’ di una maggioranza ‘ascara’ stanno
forestali siciliani
chiedendo la convocazione la commissione Bilancio e Finanze del Parlamento siciliano per approvare un disegno di legge sugli operai della Forestale che ancora non c’è! Invitiamo gli operai della Forestale a non cadere in questo tranello e a scegliere altre vie per reclamare il rispetto dei loro diritti. Detto in soldoni: vi stanno prendendo per il culo.
Lo stesso discorso vale per i precari dei Comuni, per i dipendenti e per i precari delle ex Province e per i circa 60 mila precari sparsi tra gli uffici e gli enti della Regione. Egregi signori, svegliatevi, datevi un mossa, perché questo governo vi sta prendendo per il culo.  
Che fare davanti a un prospettiva simile? Qui in gioco non c’è soltanto il futuro economico della Sicilia e la retribuzione di migliaia e migliaia di siciliani, ma la stessa vita dei cittadini siciliani. Il discorso ritorna all’ambiente, alle alluvioni degli ultimi giorni. E’ bene che i cittadini siciliani sappiamo che i Comuni non hanno i soldi per rendere le strade e i corsi d’acqua sicuri. I corsi d’acqua esondano - com’è successo a Giardini Naxos - perché i tecnici dei Comuni non intervengono per liberare l’alveo dalla presenza di rami secchi e spesso di rifiuti che ostacolano lo stesso corso d’acqua. Idem per i tanti punti intasati che possono ostacolare un piccolo torrente che attraversa un centro abitato: un corso d’acqua intasato che, con una bomba d’acqua, si può trasformare, nel giro di qualche ora, in uno strumento di morte.  
Le città si allagano non soltanto perché esondano i corsi d’acqua, ma perché le caditoie e, in generale, i punti drenanti risultano intasati da residui vegetali e da rifiuti (che, ricordiamolo, ormai da qualche anno, in molte città della Sicilia, rimangono ammassati nelle via cittadine andando ad intasare le caditorie: fenomeno che a Palermo è diffusissimo). Vorremmo ricordare che, qualche giorno fa, Palermo e altre città siciliane non si sono allagate non perché è stata fatta correttamente la manutenzione (che non è stata fatta!), ma perché non sono arrivate le bombe d’acqua.
Lo stesso discorso riguarda le campagne della Sicilia. Un tempo del controllo dei fiumi e dei corsi d’acqua si occupava l’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana. In alcuni casi, come nel Messinese, le sistemazioni sono state peraltro sbagliate, con la ‘cementificazione’ del letto delle fiumare. Ma in molti altri casi, con le sistemazioni ‘naturali’, i tecnici dell’Azienda Foreste hanno svolto opera meritoria. Oggi tale Azienda è stata smembrata e snaturata, prima dal governo di Raffaele Lombardo e, adesso, dal governo Crocetta. Fiumi e corsi d’acqua sono abbandonati. Questo spiega gli incredibili danni che in queste ore si contano nelle campagne della Sicilia orientale.
Cosa vogliamo dire con queste sottolineature? Che ormai Il governo Crocetta-Baccei non è soltanto un problema enorme per la poca economia siciliana che ancora resiste. Ormai l’azione malsana e ‘ascara’ di questo governo rischia di provocare danni ingenti all’ambiente e anche alle persone. Non dimentichiamo o morti registrati qualche anno fa nel Messinese (per i quali nessuno ha pagato). Basta andare sulla rete e fare una breve ricerca per capire che il clima sta cambiando. Ormai le precipitazioni tumultuose - le cosiddette bombe d’acqua - stanno diventando la norma. Per proteggere le vite umane, oltre che l’agricoltura e le abitazioni, servono le manutenzioni. Ma quest’esigenza ineludibile si scontra con un governo regionale e con una maggioranza politica che lo sostiene impegnati, di fatto, a scippare soldi alle famiglie e alle imprese siciliane per portarli a Roma. 
http://www.lavocedinewyork.com/Crocetta-e-Baccei-scippare-ai-siciliani-un-miliardo-e-750-milioni-di-Euro-A-rischio-occupazione-e-ambiente/d/14327/


Fedelissimi di Crocetta piazzati ovunque  Il dorato mondo del sottogoverno 

Domenica 06 Settembre 2015 - 06:00 di Accursio Sabella

Dalle società partecipate agli enti regionali, dalle Province agli assessorati, sono decine gli incarichi dati a uomini e donne vicini al presidente. In qualche caso buoni per qualsiasi ruolo, purché ben retribuito.





PALERMO - Doveva essere tagliata, ridotta, cancellata, abbattuta dalla rivoluzione. E invece, la foresta del sottogoverno è tutta lì. Con le sue società partecipate mangiasoldi, con i suoi carrozzoni regionali, con i suoi enti da commissariare. La selva dei “sottoposti” è tutta lì. L'era Crocetta si è limitata a sradicare qualche albero e a piantarne di nuovi. In qualche caso, invece, ha tenuto salda la vegetazione che c'era. In qualche altro caso, invece, ha “testato” il fedelissimo in vista di un eventuale trasferimento nel giardino della giunta.

Così, scopri che oltre al ristretto “cerchio magico” del governatore ne esiste uno appena un po' più largo. Che non si limita a cingere le poltrone più vicine a quelle del presidente, ma comprende anche quell'universo lì, quei satelliti di potere che ruotano attorno al pianeta Crocetta.

Gli uomini (e le donne) buoni per ogni incarico

Per il governatore, ad esempio, esistono uomini che, per le loro capacità, tornano buoni per ricoprire qualsiasi incarico. Anche i più differenti. È il caso, ad esempio, dell'attuale capo di gabinetto di Crocetta, cioè Giulio Guagliano. Già collaboratore dell'ex assessore all'Economia Luca Bianchi, in questi anni Guagliano è stato nominato (probabilmente dimenticheremo qualcosa) anche amministratore della società Resais, componente di uno degli organismi che gestiscono la società Seus-118, commisssario della provincia di Caltanissetta, componente del collegio sindacale dell'Irfis, componente del collegio dei revisori della Camera di commercio di Caltanissetta e di quello del consorzio universitario di Palermo. Incarichi che hanno fruttato oltre 100 mila euro in un anno. Somma che si aggiunge agli altri 100 mila guadagnati in qualità di dirigente regionale. Uomini dalle competenze così ampie, insomma, da poter coprire senza difficoltà ruoli assai diversi. È il caso, ovviamente, di Antonio Ingroia. Prima, per Crocetta, l'ex pm era “perfetto” per il ruolo di presidente della società Riscossione Sicilia. Ma il Csm in quel caso alzò paletta rossa. Poco male. Ingroia era comunque perfetto per guidare una società che si occupa di tutt'altro, come Sicilia e-Servizi. Già che c'era, Crocetta lo ha anche nominato commissario della Provincia di Trapani. Prima di farsi “bacchettare”, stavolta, dal garante anticorruzione. E dire che lo aveva mandato lì per contribuire alle ricerche su Matteo Messina Denaro...

La “cifra” legalitaria è rinvenibile un po' anche nelle storie degli altri fedelissimi del sottogoverno. È il caso ad esempio di Antonio Fiumefreddo. Prima Crocetta lo scelse come assessore ai Beni culturali, attirandosi le ire e il “veto” del Pd. Poi gli propose un incarico di vertice alla Società patrimonio immobiliare, quindi la guida di Riscossione Sicilia. Adesso, per Crocetta, Fiumefreddo, che in passato fu Soprintendente del Teatro Bellini, nominato da Raffaele Lombardo, è persino “l'uomo-chiave” per il rilancio delle imprese siciliane anche per la sua costante “lotta al malaffare”. E per questo il governatore spinge per averlo in giunta, alle Attività produttive. Nonostante il gravoso ruolo di Segretario generale, invece, Patrizia Monterosso è stata anche nominata nel cda di Irfis (vicepresidente) e in quello dela “Kore” di Enna. Superdirigenti, in grado di fare tante cose contemporaneamente. Come Anna Rosa Corsello, che fino a un anno fa ricopriva insieme il ruolo di dirigente generale alla Formazione, dirigente generale al Lavoro e commissario liquidatore sia della società Biosphera sia della Multiservizi. E con il commissariamento infinito delle Province, ecco i doppi incarichi per altri direttori come Dario Cartabellotta, Ignazio Tozzo, Luciana Giammanco e Rosa Barresi, prima del suo approdo in giunta.

Dalla giunta alla sottogiunta

E del resto, il tragitto che lega il governo ai posti di sottogoverno è sempre molto trafficato. È il caso ad esempio di Mariella Lo Bello e Nelli Scilabra, che hanno condiviso – fino a un certo punto – il destino che li ha portati dai posti all'interno dell'esecutivo a quelli degli uffici di gabinetto, col ruolo di segretarie particolari del governatore. Ma anche altri ex assessori sono stati in qualche modo ripescati dalle reti degli incarichi. Quelli di consulenza, in particolare, come nel caso dell'ex assessore all'Ambiente Salvatore Calleri (lo stesso che chiese: “Giuseppe Alessi, chi è costui?”), adesso consulente personale del governatore in carica, o come nel caso dell'ex responsabile in giunta dell'Economia, Roberto Agnello, chiamato come consulente da Lucia Borsellino e confermato da Baldo Gucciardi. E tra i consulenti, ecco spiccare i fedelissimi del presidente. Stefano Polizzotto, a dire il vero, con Crocetta sembra aver “rotto” da un po': ex capo dela segreteria tecnica, per un periodo fu consulente del presidente che adesso si avvale, tra gli altri, di altri due uomini di fiducia. Antonello Pezzini sta ancora lavorando a quel Patto dei sindaci che avrebbe dovuto portare in Sicilia circa 5 miliardi di finanziamenti dall'Europa. Inutile dire che stiamo ancora aspettando. Per Sami Ben Abdelaali un incarico finalizzato ai rapporti con i paesi del mediterraneo e un ruolo centrale anche nella gestione dell'Expo. Poche settimane fa fece discutere l'assunzione del consulente nella società di Tomaso Dragotto, l'imprenditore scelto da Crocetta per far parte del cda di Gesap, l'azienda che gestisce l'aeroporto di Palermo. Un'assunzione sullla quale in tanti hanno sollevato qualche “dubbio”. Si sarebbe trattato di uno dei primi casi di incarico di “sotto-sotto governo”.

C'è poi anche la possibilità di usare il “sottogoverno” per altri incarichi dello stesso tipo. Detto del capo di gabinetto di Crocetta, Giulio Guagliano (che è pur sempre un dirigente della Regione), ecco un altro storico componente degli uffici di gabinetto del presidente, Gaetano Moltalbano, piazzato alla guida della Seus o l'ex capo di gabinetto del governatore, Gianni Silvia, tornato buono anche per la guida della Fondazione orchestra sinfonica siciliana.

Gli straordinari commissari

Francesco Calanna, invece, ha anche militato nel Megafono. Un passato che evidentemente ne fa un uomo di fiducia del presidente. Una fiducia, del resto, manifestata con i “numeri”. Nominato commissario straordinario dell'Ente sviluppo agricolo (il commissario straordinario dovrebbe occuparsi di fatti circoscritti, anche nel tempo), il dirigente si è visto rinnovare il contratto la bellezza di otto volte in due anni. Una scelta in controtendenza, visto che altrove i cambi e i turn over sono stati frenetici. Alla Crias, ad esempio, in pochi mesi si sono alternati Maria Amoroso, Filippo Nasca e, ultimo in ordine di tempo, Claudio Basso. All'ombra dei templi di Agrigento, Gaetano Pennino ha lasciato – una volta nominato dirigente generale – la guida del parco archeologico ad Alberto Pulizzi. All'Istituto regionale del Vino e dell'Olio, Crocetta ha chiamato dapprima come commissario un volto più o meno noto della tv, come il nutrizionista Giorgio Calabrese, per poi sostituirlo con Antonino Di Giacomo Pepe. E ancora, ecco commissari disseminati ovunque, nel corso di questi anni. È il caso di Dario Lo Bosco, già presidente di Ast (sì, proprio l'azienda di trasporto pubblico che Crocetta avrebbe voluto trasformare in una compagnia aerea) nominato anche commissario della Camera di commercio di Catania. Alfonso Cicero, invece, fu per mesi commissario straordinario dell'Irsap prima della nomina a presidente, tra furenti polemiche all'Ars. Ci fermiamo qui. Solo per non annoiare. Ovviamente, questi incarichi sono tutti ben retribuiti, e vengono tranquillamente cumulati tra loro, nei casi dei fortunati fedelissimi "multiruolo". Ma il sottogoverno è si distende ben oltre questi racconti. Persino in una realtà virtuale. Quella che ha visto – con tanto di comunicato stampa del presidente della Regione – Tano Grasso, simbolo della lotta al racket, sedersi sulla poltrona di “superdirigente” agli appalti. Sono passati quasi due anni. Tano Grasso non si è mai insediato.


Inchiesta sui beni confiscati alla mafia: tremano i ‘Palazzi’ del potere di Palermo 

La VOCE Sicilia NY



L’inchiesta, condotta dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, avrebbe subìto un’accelerazione perché Report - la nota trasmissione televisiva d’inchiesta di Milena Gabanelli - starebbe realizzando una puntata su tale argomento. Con testimonianze e interviste ‘pesanti’. Sotto inchiesta Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara

Una bufera starebbe per abbattersi sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. E al centro di questa vicenda ci sarebbe Palermo, da sempre ‘Capitale mondiale di Cosa nostra’, dove si concentrerebbe oltre il 40 per cento dei beni confiscati agli uomini dell’Onorata società. A tremare sarebbero i protagonisti dei ‘Palazzi’ del potere. Ma questa volta ad essere coinvolti non sono i 'Palazzi' della politica siciliana, ma qualche alto rappresentante della Giustizia. Insomma, magistrati che indagano su altri magistrati. Nello specifico, la Procura della Repubblica di Caltanissetta che indaga sulla gestione di un segmento della Giustizia che opera presso il Tribunale di Palermo.  
Insomma, com’era prevedibile, la gestione dei beni confiscati alla mafia è diventato un caso giudiziario. Con il coinvolgimento del presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, il giudice Silvana Saguto, finita sotto inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio. Indagati anche l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, titolare di uno studio, con sede a Palermo, che da anni gestisce tante aziende confiscate ai mafiosi. Sotto inchiesta pure l'ingegnere Lorenzo Caramma, che in passato avrebbe avuto rapporti di consulenza con l’avvocato Seminara, quando la moglie non era ancora presidente della sezione del Tribunale che decreta le confische.
L'inchiesta viene fuori da alcune da denunce pubbliche. In particolare, c’è una denuncia di Massimo Ciancimino, che risale a cinque anni fa. E c’è una battaglia condotta con coraggio e determinazione dal direttore di TeleJato, Pino Maniaci. Sullo sfondo, beni confiscati che sarebbero stati assegnati quasi sempre a una ristretta cerchia di professionisti, che ne avrebbero ricavato parcelle molto ricche. L’inchiesta ruota sui beni immobili e beni aziendali confiscati in Sicilia.
Stando a indiscrezioni, l’inchiesta di Caltanissetta avrebbe subìto un’accelerazione perché su questa storia
mafia
avrebbero lavorato, e molto, i giornalisti di Report, la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli, giornalista di altri tempi abituata a non guardare in faccia nessuno. A quanto pare, sull’argomento potrebbero tornare anche Le Iene, altra trasmissione televisiva che si è ampiamente occupata di questa storia.
I finanzieri della  Polizia tributaria di Palermo avrebbero già fatto visita nello studio dell’avvocato Cappellano Seminara e nell’ufficio del giudice Saguto. Mentre i giornalisti di Report - stando sempre a quanto si sussurra - sarebbero riusciti a raccoglie testimonianze importanti, da parte di personaggi direttamente coinvolti in questa storia.
Le cronache registrano anche una dichiarazione ufficiale della Procura di Caltanissetta: “Questi atti istruttori sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla presidente della sezione Misure di Prevenzione del tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”.
Nel 2014 è stato il Prefetto Giuseppe Caruso, poco prima di lasciare la direzione dell'Agenzia per la gestione dei beni confiscati alla mafia, a denunciare la “gestione ad uso privato” dei beni confiscati. Il riferimento è ad alcuni amministratori giudiziari scelti dai Tribunali, con in testa il già citato avvocato Cappellano Seminara.
Le cronache di quei giorni roventi registrano una visita della Commissione nazionale Antimafia presieduta
nello musumeci
Nello Musumeci
da Rosi Bindi, piombata in Sicilia per difendere, forse in modo un po’ troppo ‘oleografico’, la magistratura. Della serie, non delegittimate il “sistema”, cioè la Giustizia. Un po’ più centrato, nel febbraio di quest’anno, l’intervento della Commissione Antimafia regionale, presieduta da Nello Musumeci, che, differenza delle ‘oleografie’ romane, ha toccato un punto nevralgico: “In alcuni casi - ha affermato Musumeci - abbiamo ricevuto denunce di incompatibilità, eccessiva concentrazione di incarichi, in altri tentativi di favorire società o studi professionali vicini all’amministratore”.
Poi è stata la volta del presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, nominato dal governo all'Agenzia nazionale oggi guidata dal Prefetto Umberto Postiglione. L’azione di Montante è durata poco, perché a suo carico è stata data notizia di un’indagine che lo vedrebbe coinvolto per fatti di mafia.
Sul sito Zone d’ombra tv si leggono alcune notizie che fanno chiarezza su un argomento complesso (che potete leggere qui). Si ricorda la raccolta di firme lanciate dall’associazione Libera per introdurre il riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati. E l’approvazione, da parte del Parlamento nazionale, della legge n. 109 del 1996. Legge che distingue tre categorie di beni confiscati alla mafia. Vediamoli.  
a) I beni mobili, ovvero denaro contante e assegni, liquidità e titoli, crediti personali (cambiali, libretti al portatore, altre obbligazioni), oppure autoveicoli, natanti e beni mobili che non fanno parte di patrimoni aziendali. Di norma, le somme di denaro confiscate o quelle ricavate dalla vendita di altri beni mobili sono finalizzate alla gestione attiva di altri beni confiscati. Anche se su questo non sono mancati i dubbi e le polemiche. Tant’è vero che, tra Montecitorio e Palazzo Madama, alcuni parlamentari meridionali hanno provato, senza successo, a far riportare i beni mobili confiscati nella disponibilità delle aree del Paese dove avvengono le confische. Battaglia parlamentare perduta, perché questi soldi rimangono a Roma.   


b) I beni immobili, ovvero appartamenti, ville, terreni edificabili o agricoli. Hanno un grande valore simbolico, perché rappresentano in modo concreto il potere che il boss può esercitare sul territorio che lo circonda. Possono essere utilizzati per “finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile”, come prevede la legge, o possono essere trasferiti al Comune di appartenenza. I Comuni, a propria volta, possono amministrarli direttamente o assegnarli, a titolo gratuito, ad associazioni, comunità e organizzazioni di volontariato. 
c) I beni aziendali: si tratta, in questo caso, di aziende frutto di riciclaggio di denaro ‘sporco’. In questa categoria ritroviamo aziende di vario tipo: agroalimentari (per esempio, supermercati), aziende che operano nell’edilizia, ristoranti, pizzerie e via continuando.
pino maniaci
Pino Maniaci
Nel sito si leggono alcune dichiarazioni di Pino Maniaci: "Insieme ad altri tre, quattro giudici - dice il direttore di TeleJato - la Saguto gestisce il 43 per cento dell'intero patrimonio sequestrato ai mafiosi in tutta Italia”, che ammonterebbe a circa 50 miliardi di Euro. Beni, aggiunge Maniaci, che sarebbero gestiti sempre le stesse persone, cioè dagli stessi amministratori giudiziari. 
I professionisti in grado di ricoprire il ruolo di amministratore giudiziario sono circa 4mila, tutti inseriti in un albo di amministratori competenti, che è stato costituito, per legge, nel gennaio 2014. “Alla lista - leggiamo sempre nell'articolo pubblicato dal sito - bisognerebbe attingere per la scelta delle professionalità in base a competenze e capacità. La scelta, a quanto pare, è arbitraria, effettuata dai giudici della sezione delle misure di prevenzione in cui si ritrovano molto i soliti trenta nomi.  Tra i preferiti dai giudici spicca il nome di Gaetano Cappellano Seminara, soprannominato il 'Re'. Il 90% delle aziende sequestrata e lui affidate, gran parte nel settore edilizio e immobiliare, sono state chiuse per fallimento”. Qui si tocca un tema caldo: la mancanza di cultura imprenditoriale da parte dei soggetti chiamati a gestire queste aziende, che spesso vanno in malora.
“Seminara - leggiamo sempre nell'articolo - oggi è uno degli avvocati più riccchi d'Italia. Un uomo che si occupa di beni sequestrati e confiscati, con 54 incarichi in varie aziende e amministratore di 250 aziende con un onorario che si aggirerebbe intorno ai 7 milioni di euro l'anno”. 
Nel sito di parla anche del conflitto di interessi dell’avvocato Seminara. “La Legalgest Srl è proprietaria di un hotel di cui Seminara avrebbe il 95% delle quote mentre il restante 5% apparterrebbe alla figlia. La curiosità è che l'amministratore della società è la nonna 82enne dell'avvocato. Nel 2011 la stessa Legalgest cede la gestione dei servizi alberghieri alla Tourism project Srl di cui è proprietaria, al 100% delle quote, la stessa Legalgest Srl”. Insomma, un gioco di scatole cinesi.  
“Appare strano - leggiamo sempre nell’articolo - che nessuno si sia accorto di un evidente conflitto d'interesse quando Seminara si è occupato, come amministratore giudiziario, di un altro gruppo alberghiero: la Ghs Hotels F. Ponte Spa”. 
"Esiste una sorta di cupola degli amministratori giudiziari che agiscono in perfetto accordo con il Tribunale di Palermo, in particolare al responsabile della sezione misure patrimoniali" chiarisce Salvo Vitale di Radio Aut e collaboratore di TeleJato. Nell’articolo si racconta anche del ruolo dell’avvocato Seminara nella discarica di Bucarest, ritenuta la più grande d’Europa. "Quando uno dei proprietari si ritirò e bisognava rinnovare il Consiglio di amministrazione – si legge sempre nel sito che cita un articolo de I Siciliani -  Cappellano pagò un lavavetri per acquistare, come prestanome, una quota importante ed entrare nel consiglio di amministrazione, per poi diventarne presidente, giochetto che gli è riuscito numerose volte. Questa volta il gioco è stato smascherato”.
Il caso è stato smascherato, manco a dirlo, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, già magistrato inquirente di punta al Tribunale di Palermo.  
“A non essere rispettata è la Legislazione Antimafia - Vittime della mafia e relativo Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. I beni confiscati sono circa 12.000 in Italia - si legge sempre nell’articolo -. La fase del sequestro, secondo la legge, non deve superare i 6 mesi, rinnovabile al massimo di altri 6, periodo in cui vengono svolte le dovute indagini e si decide il destino del bene stesso: se dichiarato legato ad attività mafiose esso viene confiscato e destinato al riutilizzo sociale; se il bene è pulito viene restituito al precedente proprietario. Nella pratica il bene non viene mantenuto nello stato in cui viene consegnato alle autorità, né vengono rispettate le tempistiche. In media, il bene resta sotto sequestro per 5-6 anni, ma ci sono casi in cui il tempo si prolunga fino ad arrivare a 16 anni”. 
“Una legge limitata - se legge ancora nell’articolo - da aggiornare, che non permette gli adeguati controlli e conduce troppo spesso al fallimento dei beni per le - forse volute - incapacità del sistema”.
Su Live Sicilia leggiamo la replica di qualche tempo fa dell'avvocato Cappellano Seminare: “Ho presentato una parcella lorda di 7 milioni di euro per 15 anni di lavoro durante il quale ho amministrato, insieme ad un team di 30 collaboratori, 32 società e ho accresciuto il valore commerciale degli asset a me conferiti a 1,5 miliardi di euro. Nel periodo di gestione giudiziaria i soli beni aziendali giunti a confisca hanno prodotto ricavi per oltre 280 milioni di euro, attestando così il costo della gestione giudiziaria a circa il 2,50% dei ricavi. Giova inoltre ricordare che dalla liquidazione disposta dal Tribunale, interamente corrisposta con fondi del patrimonio confiscato, ne è derivata a mio carico, in favore dell'Erario una imposizione fiscale di complessivi euro 4.248.281 pari al 60% del lordo percepito”. 
  •    CORSELLO E MONTEROSSO NEI GUAI  L'EUROPA VUOLE INDIETRO TRE MILIONI  

  • TUTTI GLI UOMINI (E LE DONNE) DEL PRESIDENTE CATALOGO GIUDIZIARIO DEL CERCHIO MAGICO
  • ARNONE GIOVANNI REVOCA INCARICO GULLO BOLOGNA CORSELLO MONTEROSSO LUPO GIAMMANCO GELARDI FEBBRAIO 2013.
·         Anna Rosa Corsello sostituisce Albert Ma in giunta si parla di patto di stabilità
http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/04/m5s-gestione-rifiuti-dirigente.html
·         Patrizia Monterosso nuovo capo   di gabinetto di Raffaele Lombardo
http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/04/il-fantasma-di-lombardo-live-sicilia.html 
  • L'INCHIESTA SUL FLOP-DAY, ANNA ROSA CORSELLO: "AI MAGISTRATI HO CONSEGNATO LE CARTE E SPIEGATO TUTTO"
·         IL RITORNO DELLA CORSELLO
·         REGIONE, MOTO PERPETUO AI VERTICI  COME CROCETTA MACINA I DIRETTORI GENTE CHE VA, GENTE CHE VIENE

      ·         BUFERA SULLA MONTEROSSO CONDANNATA. CROCETTA: "RIMUOVERLA SAREBBE UN ABUSO"

BACCEI,BARRESI, BIANCHI, CALLERI, CARTABELLOTTA,CICERO, CORSELLO,CROCETTA, CUFFARO, FIUMEFREDDO, IRSAP,GIAMMANCO, GUAGLIANO, INGROIA, IRFIS, LO BELLO, LOMBARDO, LUMIA, MARINO, MONTANTE,SAGUTO,SCILABRA, TOZZO, IRSAP,VENTURI,VANCHERI,
Condividi post
Repost0
27 febbraio 2014 4 27 /02 /febbraio /2014 23:52
Ingroia assume gli amici di Cuffaro
poi crea una commissione per indagare

Ingroia assume gli amici di Cuffaro poi crea una commissione per indagare

Antonio Ingroia 
L'ex pm farà un'inchiesta sui 76 dipendenti assorbiti due giorni fa da Sicilia e-Servizi. "Avrei potuto anche dimettermi, ma non l'ho fatto assumendomi la responsabilità di rimettere a posto la società" I grillini all'attacco: "Il commissario venga all'Ars a riferire"
 
Dal figlio dell'ex capo di gabinetto di Cuffaro, Massimo Sarrica, all'ex consigliere comunale dell'Udc Filippo Fraccone. Dal presidente del consiglio comunale di Raffadali, al figlio dell'autista del direttore dell'Irfis Enzo Emanuele. E poi tanti impiegati di Belmonte Mezzagno, paese dell'ex ministro Saverio Romano. Ecco la carica dei "raccomandati": tutti balzati negli organici di Sicilia e-Servizi, quindi sul groppone della Regione, attraverso il trasferimento di 74 dipendenti dal socio privato. 

Nella lista pure il genero del mafioso Giovanni Bontate, ucciso nel 1988. Fra i nomi in transito da una società all’altra, c'è quello di Francesco Nuccio, che nell’estate del 2012 fu arrestato nell’ambito di un’inchiesta sulle tangenti dell’eolico.

Un'operazione firmata dal commissario della spa, l'ex pm antimafia Antonio Ingroia che ieri pomeriggio diceva: "Non potevo consentire che l'attività si fermasse". E ancora: "Le colpe dei padri non ricadono sui figli".

Ma, dopo i servizi pubblicati oggi su "Repubblica" in edicola, Ingroia corregge il tiro e annuncia una commissione speciale. L'ex pm farà un'indagine che dovrà concludere entro due mesi sui 74 dipendenti assunti due giorni fa da Sicilia e-Servizi, la società della Regione di cui l'ex pm è commissario liquidatore, per stabilire che tipo di competenze hanno e se dunque potranno essere confermati dopo i 4 mesi di prova. Si tratta di personale assunto qualche anno fa dal socio privato di Sicilia e-Servizi, che intanto è diventata interamente pubblica e che il governo dieci giorni fa, con la Finanziaria, ora considera strategica, dunque non più in liquidazione.

"Abbiamo deciso di assumere il personale proveniente dall'ex socio privato perché la Regione non ha tra i propri dipendenti le figure professionali per gestire il servizio  -  spiega Ingroia  -  In questo modo abbiamo evitato il blocco del sistema informatico che avrebbe mandato in tilt la Regione, mettendo a rischio le prenotazioni negli ospedali, il servizio del 118 e l'intera macchina burocratica".

Sui nomi degli assunti Ingroia afferma: "In questa fase era fondamentale evitare il blocco del servizio, che sarebbe scattato tra un paio di giorni in quanto la procedura di mobilità, disposta dall'ex socio privato, per le 76 persone scadeva a breve. Non avevamo scelta. In Sicilia c'è il blocco delle assunzioni, potevamo solo assumere personale che aveva precedenti rapporti con l'amministrazione, come in questo caso".

Ingroia aggiunge: "Ho preso in mano questo incarico alla vigilia del blocco delle assunzioni e nel pieno del contenzioso tra Sicilia e-Servizi e socio privato; in cinque anni nessuno aveva mai controllato nulla, avrei potuto anche dimettermi, ma non l'ho fatto assumendomi la responsabilità di rimettere a posto la società".
 
Ma i grillini vanno all'attacco. "Nomi discutibili e in tantissimi casi riconducibili ad amici degli amici. Visto che finora ha fatto orecchie da mercante, ora Ingroia - si legge in una nota del gruppo di M5s all'Ars - venga in commissione Bilancio a riferire in merito alle assunzioni a Sicilia e-servizi. Ci spieghi pure, e con chiarezza, le assunzioni eventualmente eccedenti il numero delle 65 unità, previsto dalla politiche di popolamento aziendale". 


E-Servizi, ecco tutti gli assunti
Questi i nomi degli assunti nella partecipata regionale Sicilia e-Servizi
 
Pietro Accardi, Filippo Accursio, Francesco Aloisio, Antonino Amato, Antonino Atria, Salvatore Barrale, Francesco e Massimo Barrile, Riccardo Biondo, Marilena Bontate, Armando Caruso, Michele Catalano, Giovanni Consiglio, Stefano Curaba, Maria D'Aì, Luigi Dall'Asta, Maurizio D'Amico, Francesco De Giorgi, Filippo De Simone, Giuseppe Di Carlo, Carmen Di Giorgio, Antonella Diliberti, Giuseppe Di Liberto, Valerio Fanelli, Antonino Federico, Francesco Fernandez, Francesco Fontana, Filippo Fraccone, Benedetto Galante, Marco e Giuseppe Garofalo, Calogero Graceffa, Francesco Ingrassia (1984), Francesco Ingrassia (1980), Edoardo Langasco, Matteo Lapunzina, Giuseppina Liberato, Francesco Lombardo, Giovanni Lupo, Pina Messineo, Gianfranco Miceli, Ignazio Minasola, Giuseppe Mirelli, Giovanna Mura, Orazio Nevoloso, Ettore Nicosia, Francesco Nuccio, Saverio Pace, Giuseppe Pecoraro, Marco Picciurro, Salvatore Pollicina, Fabio Randazzo, Salvatore Romano, Frederic Roubaudy, Antonino Russo, Silvio Santangelo, Massimo Sarrica, Onofrio Scaletta, Maria e Salvatore Sciortino, Fabia Settegrana, Luigi Sferrazza, Pietro Sidoti, Giuseppe Sotera, Salvatore Spitaleri, Gabriele Timoneri, Giuliano
 Tomasini, Lorenzo Valenti, Vincenzo Vallone, Paolo Varvarà, Salvatore Zarcone.   


Condividi post
Repost0

Presentazione

Link