Dopo avere ricevuto il regalo dell’Assemblea regionale siciliana, che ha tagliato di dieci punti percentuali le royalties, le compagnie petrolifere inseguono un altro risultato. Il secondo regalo dovrebbe venire da Roma, e riguarda i livelli di emissione nell’atmosfera. Sono alte, infatti, rispetto ai parametri imposti dall’Europa.
Il ministero dell’ambiente “resiste”, ma c’è in dirittura di arrivo un decreto legislativo, che dovrebbero mettere tutto a posto.Si tratta di un lavoro complicato, tuttavia, ben settanta articoli, che richiedono un esame laborioso nelle apposite commissioni. Le compagnie, l’Eni in testa, avrebbero ricevuto assicurazioni che le loro preoccupazioni sarebbero state prese in considerazione, adottando delle deroghe agli aggiornamenti “pretesi” da Bruxelles.
In questa battaglia sotterranea, condotta con grande determinazione dai lobbisti delle compagnie petrolifere, Gela è in prima fila, per via dell’impianto di pet-cocke. E’ qui, infatti, il problema. La raffineria di Gela avrebbe dovuto adeguarsi, abbassando il livello di emissioni, come vogliono i nuovi livelli, ma non l’ha fatto. Il suo piano industrial, illustrato in pompa magna a Palermo, Palazzo dei Normanni, alla presidenza del presidente della Regione, Rosario Crocetta, prevedeva, tra l’altro, la trasformazione di alcune linee di produzione, che avrebbero dovuto riportare lo stabilimento al pareggio di bilancio e mantenere i livelli occupazionali.
Una rinascita, dunque. Ma il piano non è partito, anzi la raffineria ha lavorato a scartamento ridotto, Addirittura si è sfi0rata la chiusura degli impianti. Almeno così è stato fatto credere al sindaco di Gela, Fasulo, che ha allertato un esercito di parlamentari, perché si intervenisse, rassicurando l’Eni. L’assessorato al Territorio e Ambiente della Regione siciliana è stato tempestato di sollecitazioni.
Sala D’Ercole, nel frattempo, ha fatto la sua parte, abbassando le royalties. Il caso non riguardava, stavolta, solo le partecipazioni statali, ma anche le compagnie private. E quindi il soccorso è arrivato dalle altre aree petrolchimiche, e cioè Augusta, Priolo, Milazzo, dove operano le compagnie petrolifere.
Sulle emissioni il problema riguarda soprattutto la raffineria gelese. Si mira ad una deroga. E intanto si marcia a scartamento ridotto. Una strategia che deve mantenere lo stato di “emergenza” occupazione fino a che non sarà raggiunto il risultato sull’aggiornamento della legge 152 (sulla quale c’è stata una riunione, di fatto infruttuosa, della Conferenza delle regioni).
Al di là delle specificità, Gela – e non solo, anche le altre aree petrolchimiche – vive la condizione dell’Ilva di Taranto e di tutte le aree industriali ad alto indice di inquinamento atmosferico, marino ed ambientale. Le aziende non vogliono spendere quattrini, privilegiano i risultati di bilancio “resistono”, finché possono, alle pressioni dell’opinione pubblica. Come? Usando la leva dell’occupazione.Minacciano la chiusura di linee di produzione o della fabbrica. Hanno il coltello dalla parte del manico, oltre che le buone relazioni con una fetta consistente della politica. Difficile sfuggire a questa strategia.
Gela, inoltre, risente, in misura contenuta, invero della crisi libica, dove ormai si è alla vigilia di una guerra civile fra miliziani della Cirenaica e della Tripolitania. La partita si gioca sul controllo delle estrazioni petrolifere. Il porto di Mellilah, da dove parte il gasdotto che approda a Gela, è sotto il controllo dei miliziani cirenaici, che fanno il bello ed il cattivo tempo.