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26 ottobre 2009 1 26 /10 /ottobre /2009 15:27
MAURO ROSTAGNO I primi anni a Torino, con i genitori...

I primi anni a Torino, con i genitori, dipendenti della Fiat che leggevano l'Unità
La laurea a Trento, gli anni all'estero, Macondo a Milano. Le compagne, le figlie Rostagno, operaio, sociologo e sessantottino
Da Lotta Continua a Saman, fino ai killer

 

 

 

Trovò la morte in Sicilia, dove aveva fondato una comunità di recupero per tossicodipendenti
Le ipotesi più diverse per il delitto, e infine l'affermarsi della pista mafiosa
di ROSARIA AMATO


ROMA - Una biografia complessa, che parte da Torino per arrivare a Londra, a Trento e infine approdare in Sicilia, in un paesino del trapanese, per morire a 46 anni per mano dei killer che non si sono accontenti di ucciderlo, lo hanno "orrendamente sfigurato", si legge nei giornali dell'epoca. Era il 26 settembre del 1988, e Mauro Rostagno era un personaggio conosciuto, ma mutevole, uno che dalla Torino operaia era approdato al '68, a Lotta Continua, per poi passare agli 'arancioni' e a una ironica ma non per questo meno dura denuncia contro la mafia.

Una vita complessa, e forse anche per questo le 'piste' seguite dagli inquirenti per il suo omicidio furono le più diverse e lontane: in carcere finì inizialmente la compagna Chicca Roveri, madre di sua figlia Maddalena, quando si pensò a un delitto maturato nell'ambito della comunità Saman, fondata dalla coppia e dall'amico Francesco Cardella. Poi si pensò a un collegamento con il delitto Calabresi, visto che Rostagno era stato con Adriano Sofri, Guido Viale, Marco Boato, Giorgio Pietrostefani e Paolo Brogi tra i fondatori del movimento Lotta Continua, nel 1969. E poi a un traffico d'armi, o di droga, o ai servizi segreti. E infine a un'ipotesi inevitabile visto che il delitto aveva avuto luogo in Sicilia: alla mafia.

Tante ipotesi, così diverse tra loro forse anche perché la vita di Mauro Rostagno era stata una continua evoluzione, con un unico filo conduttore, la ricerca onesta e appassionata della verità, scrisse in uno dei tanti necrologi pubblicati subito dopo l'omicidio un ex compagno di Lotta Continua, Luigi Manconi: "Rostagno è stato un uomo 'di movimento' e 'in movimento', espressione di una generazione mobile e movimentata che ha intrecciato, ostinatamente, la ricerca (e la tutela) delle ragioni della propria esistenza alla ricerca (e alla tutela) delle ragioni della esistenza altrui". Una continua "ricerca di autenticità" che "si faceva conflitto, rischio, messa in gioco".


Mauro Rostagno era nato a Torino il 6 marzo 1942, da genitori che lavoravano alla Fiat e leggevano l'Unità. Rostagno è "stalinista a 13 anni, studente prodigio a 17, operaio a 18, psiuppino a 24, matricola di sociologia a Trento a 26, movimentista nel '68, candidato alle elezioni per Dp nel '76", si legge in una biografia pubblicata da un quotidiano all'indomani della sua morte. Senza dimenticare che a 19 anni si sposa e ha una figlia, ma il matrimonio non dura molto perché pochi mesi dopo è già in Germania e poi a Londra. Per poi tornare in Italia e, dopo la laurea con lode in sociologia a Trento e gli anni di Lotta Continua, aprire a Milano un locale che si chiama Macondo come il paese inventato da Gabriel Marcia Màrquez, un luogo molto alla moda, ma che viene chiuso nel febbraio 1978, per attività legate allo spaccio di sostanze stupefacenti.

A quel punto c'è la svolta 'arancione', e Mauro diventa Sanatano, che significa "eterna beatudine". Con la compagna Chicca e la figlia Maddalena nel 1980 va in India, a Poona, per seguire il maestro Bhagwan. Ma la comunità si trasferisce negli Stati Uniti, scelta non apprezzata da Rostagno che a quel punto sceglie di andare in Sicilia e di fondare, con l'aiuto di Francesco Cardella che gli mette a disposizione la sua villa a Lenzi, vicino a Erice, la comunità Saman, per il recupero dei tossicodipendenti.

"La nostra scelata prima era cambiamo il mondo. Ora è diamo una vita a chi non ce l'ha", confessa Rostagno a un giornalista nel 1988. Il sociologo diventa terapeuta, con un metodo tutto personale: "Prendiamo un cesto con quaranta mele marce e, nel mezzo, infiliamo una mela buona. Le quaranta mele si trasformano in mele buone". Funzionava quasi sempre: "Il fascino è vedere che un uomo, da ultimo, diventa primo".

Ma negli anni in Sicilia Rostagno non si accontenta di occuparsi dei tossicodipendenti e di aiutarli a guarire. In Sicilia c'è anche un'altra grave malattia dalla quale guarire: la mafia, e l'apatia che se ne fa complice. Rostagno ne denuncia giorno per giorno l'operato, le collusioni con le amministrazioni locali, attraverso l'emittente televisiva Radio Tele Cine (RTC). Di quegli anni, racconta successivamente Claudio Fava - che di delitti di questo genere se ne intende dal momento che anche suo padre venne ucciso perché dava fastidio alla mafia, la denunciava negli anni in cui se ne metteva ancora in dubbio l'esistenza - rimangono le 22 cassette sequestrate dal giudice Franco Messina.

"Ventidue cassette, - scrive Fava - una radiografia impietosa della città: i bilanci segreti dell'amministrazione comunale, gli intrallazzi delle cooperative socialiste sui contributi della Regione, le allegre cerimonie d'una loggia massonica in cui si ritrovavano, ogni sabato sera, mafiosi, banchieri e onorevoli. Su tutto Rostagno planava con lingua arguta, con antica ironia. Sfotteva, sfidava. Insegnava ai suoi ragazzi il mestiere della parola. Anche per questo l'hanno ammazzato".

(23 maggio 2009) Tutti gli articoli di cronaca


 

 

Ordini di custodia per Vincenzo Virga, capo mandamento di Trapani
e Vito Mazzara, che secondo i magistrati fu l'esecutore dell'omicidio

 

 

Il delitto Rostagno fu deciso dai boss
dopo 21 anni scoperti mandante e killer

 

 

Il sociologo fu ucciso per le sue continue denunce contro la mafia Svolta nel delitto di Mauro Rostagno. In coincidenza con il diciassettesimo anniversario della strage di Capaci, la squadra mobile di Trapani ha eseguito due ordini di custodia cautelare per l'omicidio del giornalista e sociologo assassinato il 26 settembre del 1988. Mandante dell'omicidio, secondo i magistrati, il boss trapanese Vincenzo Virga, mentre l'esecutore materiale sarebbe Vito Mazzara, noto esponente mafioso di Trapani. Entrambi sono già detenuti per altri reati.

A dare impulso alle indagini è stata una perizia sui tre bossoli e tre cartucce inesplose. Reperti che sono stati messi a paragone con i dati di altri fatti di sangue avvenuti in provincia di Trapani. Identiche le modalità, in particolare l'impiego di un fucile semiautomatico calibro 12 e di un revolver calibro 38.

Un filo rosso lega il delitto Rostagno con altri assassinii: il duplice omicidio di Giuseppe Piazza e Rosario Sciacca, avvenuto l'11 giugno 1990 nel comune di Partanna; l'omicidio di Antonino Monteleone, commesso in contrada Marausa (Trapani) il 7 dicembre 1990; l'omicidio dell'agente di custodia Giuseppe Montalto, avvenuto il 23 dicembre 1995 a Palma, altra frazione del capoluogo di provincia. Tre omicidi con un solo colpevole: Vito Mazzara. Che adesso dovrà pagare anche per la morte di Rostagno.

A costare la vita al giornalista è stata la continua attività di denuncia che svolgeva attraverso la piccola televisione trapanese "Radio Tele Cine". Accuse continue che hanno scatenato la reazione della mafia.
Secondo gli inquirenti, l'omicidio di Rostagno è stato deliberato in seno a Cosa Nostra: "L'ordine di ucciderlo - sottolineano gli investigatori - è stato dato dall'allora rappresentante provinciale Francesco Messina Denaro (morto ormai da anni, ndr) e il mandato per l'organizzazione e la materiale esecuzione è stato conferito a Vincenzo Virga".


Si arrivò così al 26 settembre 1988, quando Rostagno venne freddato in un agguato in contrada Lenzi, davanti all'ingresso della sua comunità terapeutica, Saman. Propio sulla comunità si appuntarono i sospetti dopo l'omicidio. Una pista poi completamente abbandonata. Oggi autori e mandanti hanno un nome.

(23 maggio 2009) Tutti gli articoli di cronaca


 


http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/cronaca/delitto-rostagno/preso-boss/preso-boss.html

 

L'omicidio Rostagno fu deciso dai boss di Trapani, ma restano molti lati oscuri
Le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e una perizia balistica portano al nome di uno dei sicari di Mauro Rostagno, il giornalista sociologo di Trapani ucciso il 26 settembre del 1988. Un provvedimento in carcere è stato notificato al pluriergastolano Vito Mazzara e al boss Vincenzo Virga, ritenuto uno dei mandanti. “Rostagno ucciso perché dava fastidio ai boss, ma non solo”

 

di Salvo Palazzolo
Il segreto era conservato dentro tre cartucce e tre bossoli raccolti la sera di ventuno anni fa, attorno al cadavere di Mauro Rostagno. Una nuova perizia balistica disposta dalla Procura di Palermo svela il nome di uno dei sicari che fecero fuoco sul coraggioso giornalista sociologo impegnato nell’emittente Rtc di Trapani e nella comunità Saman: era un sicario di Cosa nostra, che colpiva le sue vittime sempre con dei fucili calibro 12. Alcuni pentiti di mafia avevano già fatto il suo nome, anni fa. Ma non esistevano le prove per incriminarlo.

Adesso Vito Mazzara, 61 anni, già pluriergastolano, è stato raggiunto in carcere da un nuovo provvedimento di custodia. Questa volta con l’accusa di aver fatto parte del commando che sparò a Mauro Rostagno. Anche uno dei suoi ex capi ha ricevuto in cella lo stesso provvedimento, firmato dal gip di Palermo Maria Pino: si tratta di Vincenzo Virga, storico capomafia di Trapani, che ordinò il delitto. “Rostagno è morto per le sue trasmissioni televisive”, ha spiegato il pentito Vincenzo Sinacori al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e al sostituto Gaetano Paci, che conducono l’inchiesta. “Ogni giorno parlava male di Cosa nostra e dell’a mbiente che girava attorno. Rostagno rompeva giornalmente, ed era ormai diventato un argomento per quasi tutti gli uomini d’onore”.

Da anni, ormai, i mafiosi di lamentavano di Mauro Rostagno, che all’r r emittente Rtc era l’inviato di punta, il commentatore, il conduttore del telegiornale. Dice Sinacori che dell’argomento si parlava con insistenza nelle riunioni convocate dal massimo rappresentante della provincia mafiosa di Trapani, Francesco Messina Denaro, il padre dell’attuale superlatitante di Cosa nostra, ormai l’erede di Riina e Provenzano.

La svolta arrivò nell’estate 1988: “Messina Denaro – dice Virga - comunicò di aver dato incarico a Vincenzo Virga, capo della famiglia di Trapani, di eliminare Rostagno”. E nel gruppo di fuoco di Trapani lo specialista era Vito Mazzara, campione di tiro a volo. “E’ il numero uno al mondo per sparare col fucile, questo si diceva di lui”, spiega ancora Sinacori. Così, l’anno scorso, la Procura di Palermo ha deciso di ripartire da quel fucile calibro 12 che era esploso a uno dei killer di Rostagno durante l’esecuzione, e dai proiettili di quella sera ancora conservati all’ufficio corpi di reato. Il gabinetto regionale di polizia scientifica di Palermo, diretto da Manfredi Lo Presti, ha messo a confronto quei reperti con altri ritrovati sulla scena dei delitti di mafia di Trapani.


Così è emersa la svolta: i tre bossoli ritrovati accanto al cadavere di Rostagno erano stati sparati da un fucile calibro 12, lo stesso tipo di arma utilizzato da Vito Mazzara per commettere altri cinque omicidi, fra cui quello dell’agente di polizia penitenziaria Giuseppe Montalto (ucciso il 23 dicembre 1995). E ancora: uno dei bossoli repertati sul luogo dell’omicidio Rostagno ha la stessa traccia rilevata dalla Scientifica su altri tre bossoli sparati da Mazzara (due nel delitto di Giuseppe Piazza e Rosario Sciacca, l’11 giugno 1990; uno nel delitto di Gaetano Pizzardi, l’8 novembre 1995). Tradotto dal gergo tecnico vuol dire che quei proiettili erano stati caricati una volta sullo stesso fucile. Neanche a dirlo, uno dei calibro 12 della collezione di Vito Mazzara.

Dopo le prime indicazioni della Scientifica, gli investigatori della squadra mobile di Trapani (diretta da Giuseppe Linares) hanno cominciato a intercettare il killer nel carcere dove si trova detenuto, a Biella, durante i colloqui con i familiari. Un giorno, dopo la notizia di una possibile svolta nel caso Rostagno pubblicata dai giornali, Mazzara disse preoccupato alla figlia: “ Avrebbero voluto chiudere l’inchiesta, ma dietro l’opinione pubblica che spinge non gliel’hanno fatta chiudere. Perché non è che comanda la magistratura, comanda l’opinione pubblica. Mi hai capito tu? E tempo fa rimasticavano alcune situazioni… e siccome so che quando devono vestiri u pupu sono capaci di fare qualsiasi cosa… ”. Fra gesti e mezze parole, il boss ordinò alla figlia di nascondere alcune cose. Poi, al colloquio successivo, la figlia riferì: “Ho potuto levare da dentro il garage che non hai idea, sono arrivati a svuotarli tutti”. Il padre ribadiva: “Qualsiasi cosa ci dovrebbe essere butta tutto”. Quando la squadra mobile ha fatto irruzione nel garage di casa Mazzara era già stato portato via tutto da un nascondiglio sotto alcuni mattoni.

Ma il caso Rostagno è tutt’altro che chiuso. Un altro pentito, Francesco Milazzo, ha avvertito: “Quel delitto non interessava quelli del circondario, era un ordine venuto dalla provincia”. “ Mauro Rostagno come Peppino Impastato”, scrive il pm Antonio Ingroia per sottolineare l’impegno di queste vittime nella frontiera dell’informazione contro i boss e i loro complici. Ma Rostagno e Impastato sono accomunati anche dal singolare destino delle indagini seguite alle loro morti: troppo spesso scandite da depistaggi ancora misteriosi.

La sera dell’omicidio Rostagno, Vito Mazzara e i suoi compagni non avevano solo il compito di sparare. Anche questo ha scoperto la perizia balistica: il finestrino posteriore della Duna su cui viaggiava Mauro Rostagno fu infranto con il calcio di un fucile, per prendere la borsa della vittima e guardare cosa ci fosse dentro. In quegli stessi momenti, un altro gruppo faceva irruzione nella sede di Rtc. Da quella sera è scomparsa una videocassetta in cui Mauro Rostagno aveva conservato il suo ultimo scoop, mai andato in onda. Forse, la ripresa di un traffico d’armi clandestino, in un aeroporto poco distante dalla città. “A Trapani – ha spiegato il pentito Nino Giuffrè – c’era un coacervo di interessi che univa mafia, massoneria e servizi deviati”.

Quei segreti i magistrati di Palermo rincorrono ancora oggi. Adesso che il vecchio Messina Denaro è morto, quei segreti sono la forza del nuovo capo della mafia siciliana: Matteo Messina Denaro, 47 anni, uno dei registi delle stragi del 1993, fra Roma, Milano, Firenze. E sembra imprendibile.
(23 maggio 2009

 

 

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