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30 ottobre 2015 5 30 /10 /ottobre /2015 00:21
Il giudice Silvana Saguto mandava gli uomini della scorta a fare la spesa: "Comprami il dentifricio e lo smalto" 

La Stampa Pubblicato: 23/10/2015 11:30 CEST


SILVIA SAGUTO


"Comprami lo spazzolino Elmex verde, il filo interdentale non cerato Oral-B e un dentifricio Mentadent non granulare per Francesco". È la lista della spesa inviata dal giudice Silvana Saguto a un uomo della sua scorta via sms, pubblicata da La Stampa
"Quelli non fanno mai un c....", diceva al telefono e spediva gli agenti in farmacia, a prendere una ricetta nell'ambulatorio medico e a portarla alla madre.
E se il giudice era dell'estetista, ma le mancava lo smalto non c'era problema: "Viene Carmine (agente,ndr) a prenderlo", diceva al marito
Il giudice Silvana Saguto è l'ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, finita nel mirino della polizia tributaria e dei pm di Caltanissetta che indagano sugli incarichi multimilionari, assieme all'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara e a suo marito Lorenzo Caramma, nominato coadiutore di diverse amministrazioni per volere della moglie. I pm indagano su presunte tangenti.
Il giudice Saguto, stando alle intercettazioni, rimprovera al telefono suo figlio chef Elio Caramma per le spese eccessive
"Siamo indebitati persi. Non è possibile, non si può fare, non esiste stipendio che possa garantire queste cose. La nostra situazione economica è arrivata al limite totale, non è possibile più, completamente! Ci sono sempre nuove cose! Voi non potete farmi spendere 12, 13, 14 mila euro al mese, noi non li abbiamo questi introiti"
Per rimediare alla crisi economica della famiglia il giudice avrebbe ottenuto denaro, recapitatole direttamente a casa in un trolley, dall'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara. La vicenda è stata ricostruita dai finanzieri, grazie a pedinamenti e intercettazioni da cui erano emerse una serie di richieste di rientro di scoperti per migliaia di euro avanzate da Banca Nuova e America Express ai coniugi Caramarra. La giudice e l'amministrazione giudiziario parlano in codice: i soldi diventano "documenti" nelle chiamate intercettate.
Dopo la consegna del denaro la Finanza appunta
"Dopo l'incontro per diversi giorni la Saguto non contatta più inisistentemente Cappellano per parlare della documentazione e i dipendenti di Banca Nuova non contattano più Caramma Lorenzo".
Il conto è stato saldato, ma come?

Silvia Saguto, Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, sotto inchiesta per corruzione su gestione beni mafiosi
La Procura di Caltanissetta ha aperto un'inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio nei confronti della Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, che si occupa della gestione dei patrimoni mafiosi sottoposti a sequestro.
La notizia dell'inchiesta è contenuta in una nota ufficiale della stessa Procura di Caltanissetta "allo scopo - è scritto - di evitare il diffondersi di notizie inesatte". "Su disposizione della Procura della Repubblica di Caltanissetta - si legge nella nota - militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, in alcuni casi con la diretta partecipazione dei magistrati titolari del relativo procedimento penale, hanno eseguito ordini di esibizione nonché decreti di perquisizione e sequestro in data 9 settembre 2015".
"Questi atti istruttori - prosegue la nota - sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari".
La difesa del magistrato: "Nessun dubbio sul mio operato". "Non ho dubbi sul mio operato e chiederò subito di essere interrogata": così il magistrato Silvana Saguto ha commentato con il sito on line Live Sicilia. Il magistrato ha aggiunto: "Incarichi a mio marito? Ne ha avuto uno solo a Palermo, e oggi chiuso, che risale agli anni in cui non ero alla sezione misure di prevenzione".















Beni confiscati, i pm accendono i riflettori sul denaro contante a casa della Saguto 

di Riccardo Arena


Nelle intercettazioni il giudice e il padre parlano di «mazzettine» coi soldi. Lei dice che servivano perché le carte di credito non sempre sono accettate

inchiesta beni sequestrati, Gioacchino Natoli, Silvana Saguto, Palermo, Mafia e Mafie



PALERMO. «Tu hai preso i soldi dalla borsa?», chiede Vittorio Saguto alla figlia Silvana, che, il 20 agosto, risponde: «Io ho preso solo quando c'erano i pezzi da cento, solamente, i pezzi da cento li ho presi, non so quanti erano però precisamente, quindi una parte l'ho levata». E il padre, che inizialmente non trova il denaro, ricorda che c'erano «due, tre mazzettine di quelle». Mezz'ora dopo i due si risentono: «Tutto a posto - dice l'uomo -. Allora, quando vieni qua? Ci sono tre... roselline».

Il denaro contante
Circolava, e non poco, in casa dell'ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, oggi indagata a Caltanissetta con le ipotesi di corruzione, concussione per induzione, abuso d'ufficio. Lei, la Saguto, sostiene che era un'esigenza legata al fatto che le carte di credito - la sua, un'American Express in particolare - non sempre sono accettate e per le spese correnti era costretta a prelevare.
Ma chi indaga ci crede poco e guarda anche ai passaggi delle conversazioni intercettate in cui il giudice denuncia notevoli difficoltà economiche. Cosa che imprime un'accelerazione all'indagine sui presunti scambi di favori con gli amministratori giudiziari, con nomine di comodo per il marito del giudice, l'ingegner Lorenzo Caramma, pure indagato. E poi il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza cerca riscontri che sostengano la tesi dei versamenti di contanti a Vittorio Pietro Saguto, che avrebbe ricevuto il denaro per la figlia. L'anziano padre del magistrato è indagato pure lui, per autoriciclaggio.

La nomina sfumata
Nel contesto generale si inseriscono le trattative per la nomina di Lorenzo Caramma anche come coadiutore nella gestione del Cara di Mineo, dopo il sequestro della società che lo gestiva, deciso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma, presieduta da Guglielmo Muntoni, amico della Saguto. Davide Franco, uno degli amministratori, aveva chiamato più volte l'ingegnere. Il 4 settembre era praticamente fatta. Ma l'8 sono scattate le perquisizioni disposte dai pm nisseni.
Parcelle da un milione a testa
È comunque Gaetano Cappellano Seminara, l'amministratore giudiziario al centro di polemiche da almeno due anni e mezzo, il protagonista di alcuni passaggi: «Ma su Palermo - chiede al presidente - misure? Perché considera che noi, lasciata Gas Natural, questa di qua ci impegna molto poco, questa di Roma». Saguto: «Ora vediamo, per ora non abbiamo niente, nemmeno una carta, non c'è più niente per me».
In un altro colloquio, intercettato sempre nell'ufficio del giudice, Cappellano dice: «Abbiamo presentato a Fabio Licata (altro magistrato sotto inchiesta, ndr) la liquidazione di Gas Natural. Eh, in buona sostanza, alla fine, abbiamo chiesto un milione di euro l'uno, complessivamente... io ho chiesto a parte il rimborso forfettario, perché sono l'unico avvocato fra i tre amministratori... sono 700 milioni di euro di volume d'affari». Ieri il presidente della Corte d'appello, Gioacchino Natoli, e il pg Roberto Scarpinato sono stati sentiti dalla prima commissione del Csm, alla quale hanno chiesto di intervenire subito.

«Morirò, ma morirò ricco»
Un altro capitolo riguarda i rapporti, che dalle intercettazioni appaiono altamente conflittuali, con Walter Virga, figlio di Tommaso, giudice ed ex componente del Csm. Secondo i pm nisseni, il giovane avvocato avrebbe ottenuto due misure per «ringraziare» il padre di aver fermato iniziative ed esposti disciplinari contro la Saguto. Tesi anche questa respinta dai diretti interessati.
Le misure Bagagli e Rappa rendono bene: ci sono gli attacchi mediatici, «però domani facciamo i bonifici. Io morirò, ma morirò ricco», dice Virga jr, forse con ironia, alla moglie, Giuliana Pipi, con lui nei cda delle aziende.

La nuora allontanata
Ma il discorso è più ampio e riguarda la Saguto imprenditrice, che dà lavoro. A persone conosciute e di fiducia, spiega lei, perché il settore dei beni sequestrati alla mafia presuppone la massima fiducia. E però il 7 giugno Walter Virga si sfoga con il suo coadiutore Alessio Cordova, dopo avere allontanato dal proprio studio Mariangela Pantò, fidanzata di Francesco Caramma e dunque futura nuora della presidente: la questione è sfociata in una lite con la Saguto. «Fosse successo a me - dice Virga - mi sarebbe dispiaciuto, ma me la sarei presa con mia suocera, perché io avrei detto, guarda, se tu, diciamo, non cercavi di infilare tutta la famiglia, tutti gli amici dei tuoi figli in tutte cose, non finivi su tutti i giornali, sputtanata in tutto il mondo». Parlando con Tommaso Virga, il figlio Walter si lamenta del modo in cui la Saguto ha affrontato la questione: «Lei avrebbe detto che il problema non si pone, perché Mariangela paga un affitto... ma non è vero». E il giudice, che appare molto in ansia: «No, no, si chiude, Walter... si chiude, si chiude...».
La rabbia del presidente
L'amarezza di Virga è condivisa da Cordova: «Io in generale, almeno dal mio punto di vista... non avremo mai più nessun incarico chiaramente dalle misure di prevenzione». E in effetti la Saguto è arrabbiatissima: «Mi dà fastidio perché è stata fatta in questa maniera e lui pagherà le conseguenze di questa decisione... Lui (Virga jr, ndr) lo devo rivedere io e appena lo rivedo, vedrai cosa non succede. La piena la stiamo reggendo tutti, lui non la vuole reggere. E non la regga, ci penso io».
Il figlio del cancelliere
La Saguto il 31 agosto chiama un cancelliere del tribunale: «Intanto cominciamo con tuo figlio, sicuramente». Poco dopo riceve un collaboratore di Cappellano Seminara, Aulo Gigante: «Senti qua, per Vincenzo (non identificato, ndr) avremmo trovato probabilmente un posto, adesso, nell'amministrazione Virga. Però c'è una persona che voglio presa in cambio, che è il figlio di un cancelliere». Qualche giorno dopo il giudice precisa alla diretta interessata: «Tuo figlio lo mettiamo da Niceta, come ragioniere... Poi man mano, per tuo fratello ho parlato con Carmelo Provenzano, il professore». E l'altra: «Mio fratello per ora se l'è preso Carlo». Il 28 agosto un amministratore, Alessandro Scimeca, cerca di evitare un'assunzione con una qualifica «improponibile» per un esecutivo, chiesta da un alto esponente istituzionale: «Da fratello a sorella te lo dico, faccio tutto quello che vuoi ma non ci facciamo sparare».


I fucili e il doposole
Vittorio Saguto e il nipote Emanuele Caramma amano andare a caccia e si devono prendere munizioni e fucili e portarli a Piana degli Albanesi. È «Elio» Caramma, figlio della Saguto, ad insistere molto: «Io ci posso provare - gli spiega la madre - ma commetto un reato, porto e detenzione abusiva di materiale esplodente». E infine la scorta: la Saguto il 28 agosto fa prendere agli agenti un doposole, poi fa accompagnare la Pantò in spiaggia, infine chiede «i dischetti levatrucco, quelli grandi». Il caposcorta le risponde che ci sono quelli piccoli. «No, non li voglio».

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria. Affidate a professionisti con parcelle milionarie. Un sistema di favoritismi, nepotismi e conflitti d’interessi ora sotto inchiesta. Che coinvolge anche diversi magistrati

DI GIANFRANCESCO TURANO

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Quando parlava di professionisti dell’antimafia, Leonardo Sciascia non sapeva fino a che punto avesse ragione. Il passo dai professionisti agli affaristi è cosa fatta.


Così, il manager più pagato d’Europa non è Martin Winterkorn, ex amministratore delegato della Volkswagen in carica dal 2007, allontanato dopo lo scandalo delle emissioni con 60 milioni di euro di buonuscita. È Gaetano Cappellano Seminara, 57 anni, re incontrastato degli amministratori giudiziari, pupillo delle sezioni di misure di prevenzione dei tribunali. Per 200 giorni di lavoro l’avvocato palermitano ha chiesto 18 milioni di euro a Italcementi, pari a 90 mila euro per ognuna delle giornate trascorse nella sede della società bergamasca.



Italcementi, che aveva subito un sequestro preventivo nel 2008, aveva già versato 7,6 milioni di euro al professionista, tutti autorizzati dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il grosso della richiesta aggiuntiva, che non è passata dal vaglio del giudice, doveva fra l’altro compensare il rilascio di un’ “assurance”. È una sorta di certificato per garantire la guarigione di Italcementi da comportamenti passibili di censura giudiziaria, anche se non connessi al crimine organizzato. È l’equivalente in versione moderna delle indulgenze mercanteggiate dal clero nel cristianesimo preluterano.



È giusto aggiungere che la cifra è riferita all’insieme del team formato da Cappellano Seminara e dai suoi coadiutori, sei impiegati in pianta stabile più altri avventizi.



Ma è altrettanto corretto sottolineare che Italcementi è soltanto uno degli oltre cento incarichi ottenuti dal professionista siciliano, che è anche imprenditore in proprio con la Legal Gest consulting e con Tourism Project (hotel Brunaccini di Palermo).



La parcella da 18 milioni ha guastato i rapporti fra Cappellano Seminara e il colosso del calcestruzzo, da poco passato in mano ai tedeschi.



Italcementi si è rivolta alla giustizia. La causa ha superato due gradi di giudizio ed è al vaglio della Cassazione, che non ha ancora fissato la data dell’udienza. Ma finora i verdetti indicano che l’amministratore ha incassato più del dovuto e dovrebbe restituire una quota degli onorari di circa 2 milioni di euro.



Nel frattempo il bubbone è esploso. A Palermo è venuto alla luce un sistema opaco di favoritismi, nepotismi e incarichi in conflitto di interessi che potrebbe non essere limitato al capoluogo siciliano, dove si gestiscono quasi metà dei beni sequestrati in tutta Italia, secondo valutazioni del presidente delle misure di prevenzione Silvana Saguto.



Oltre a Cappellano Seminara, la procura di Caltanissetta indaga sulla stessa Saguto, assegnata ad altro incarico, su suo maritoLorenzo Caramma, consulente di Cappellano, sul suo collega di sezione Lorenzo Chiaramonte, sul sostituto procuratore Dario Scaletta e sull’ex componente togato del Csm Tommaso Virga.



In attesa che si sviluppi il lavoro del pubblico ministero nisseno Cristina Lucchini e del colonnello Francesco Mazzotta della Guardia di finanza, proprio il Csm ha finalmente deciso di affrontare la questione del cumulo degli incarichi nell’amministrazione giudiziaria, diventata ormai un affare da decine di milioni di euro all’anno, soprattutto nelle regioni più colpite dal crimine organizzato.



Anche la politica è dovuta tornare sull’argomento. L’ultima sistemazione datata 2011 si è rivelata disastrosa perché lascia una totale discrezionalità ai singoli tribunali sia nelle nomine sia nella definizione del tariffario che in parte è a carico delle aziende e in parte è a carico della pubblica amministrazione, quindi del contribuente.



In cambio del potere incondizionato che si è dato ai giudici delle misure di prevenzione non c’è stata garanzia di trasparenza né di rotazione negli incarichi. L’allarme lanciato dall’ex direttore dell’agenzia nazionale dei beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso è rimasto inascoltato e la commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi ha preferito impegnarsi in lunghe audizioni di quegli stessi amministratori giudiziari che hanno trasformato la lotta alla mafia in un business altamente lucrativo.



ITALGAS

Nel festival del conflitto di interessi spicca la vicenda Italgas. L’azienda torinese, controllata dalla Snam, finisce sotto sequestro in modo rocambolesco.



L’avvocato Andrea Aiello, 44 anni, amministratore giudiziario della Euro Impianti Plus dei fratelli Cavallotti, sequestrata nel 2012 e in liquidazione a giugno del 2015, riferisce al pm Scaletta di alcune anomalie riguardanti i rapporti fra Euro Impianti e Italgas. In sostanza, Italgas avrebbe firmato un contratto di fornitura con Euro Impianti pur sapendo che i Cavallotti erano soggetti a rischio.



In effetti, gli imprenditori di Belmonte Mezzagno sono stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ma restano “socialmente pericolosi” e la testimonianza di Aiello fa scattare il sequestro di Italgas il 9 luglio 2014.



Il giudice delegato Fabio Licata, che opera insieme ai colleghi Saguto e Chiaramonte ma non risulta indagato, nomina amministratore giudiziario proprio il teste dell’accusa Aiello. Da amministratore di Euro Impianti Plus, Aiello ha chiesto a Italgas un risarcimento di 20 milioni di euro per il contratto di fornitura non rispettato.



Insieme all’avvocato palermitano, sono nominati amministratori anche l’ingegnere Sergio Caramazza, il docente Marco Frey e il commercialista Luigi Saporito. I quattro vengono retribuiti dal tribunale e la cifra non è pubblica. Ma c’è una quota consistente versata dall’azienda sotto sequestro. Italgas ha pagato per un anno di sequestro 6 milioni di euro a 43 coadiutori ingaggiati dagli amministratori, per una media di 140 mila euro a testa.



Fra le criticità suggerite dagli amministratori giudiziari alla Deloitte, ingaggiata come consulente da Italgas, figura ogni genere di problema, inclusa la corretta profondità nell’interramento dei tubi, ma non profili collegati alla criminalità organizzata. La richiesta di dissequestro viene accolta a maggio del 2014 dal pm Dario Scaletta, poi indagato perché avrebbe informato Saguto dell’inchiesta che la riguardava. Nonostante questo, l’azienda viene riconsegnata il 9 luglio 2015, oltren un anno dopo il provvedimento. Ma nemmeno allora i professionisti delle misure di prevenzione si fanno da parte e riaffiorano nelle lunghe trattative per nominare il nuovo organo di vigilanza (Odv), incaricato fra l’altro dell’applicazione dei protocolli antimafia. La terna finale è guidata dal giurista di area Pd Giovanni Fiandaca insieme a Andrea Perini dell’università di Torino e a Gianluca Varraso, direttore con Fiandaca del corso di alta formazione per amministratori giudiziari della Cattolica di Milano, dove ha insegnato lo stesso Aiello.



Seppure molto qualificato, l’Odv viene integrato da tre consulenti: Carlo Amenta, Gianfranco Messina e Cristina Giuffrida, dello studio Aiello. Tutti e tre figurano fra i coadiutori dello stesso Aiello durante il sequestro di Italgas.



NATURAL GAS E GRUPPO MOLLICA

L’inchiesta che ha condotto al sequestro di Italgas, cioè la caccia al tesoro dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ha portato al sequestro di altre tre aziende italiane controllate dal colosso energetico spagnolo Gas Natural Fenosa. Anche in questo caso, la molla è stata la fornitura da parte dei fratelli Cavallotti.



Il giudice Saguto e i suoi colleghi hanno incaricato Cappellano Seminara che, insieme ai colleghi Enzo Bivona e Donato Pezzuto, è stato amministratore giudiziario delle società dal 19 maggio 2014 fino al luglio scorso.



Anche in questa vicenda c’è stato ricorso a decine di coadiutori che sono costati nell’ordine di 1 milione di euro: una bella somma considerando le dimensioni molto più ridotte delle aziende in termini di ricavi e dipendenti.

Le traversie giudiziarie dei fratelli Cavallotti hanno un parallelo nella storia del gruppo Mollica.



Le società dei costruttori di Gioiosa Marea (Messina), guidate dai fratelli Pietro, Domenico e Antonio, sono finite nel mirino come parte integrante di Cosa Nostra, secondo le dichiarazioni di Angelo “Bronson” Siino, il ministro dei lavori pubblici della mafia.



Nel 2011, i fratelli Mollica sono stati assolti da questa accusa tanto che le loro imprese, raccolte nel consorzio Aedars, hanno ottenuto la certificazione per partecipare al rifacimento della Scuola della Misericordia a Venezia, in società con la Umana di Luigi Brugnaro.



Nel giugno di quest’anno, con i lavori della Misericordia compiuti e Brugnaro diventato sindaco della Serenissima, le aziende dei Mollica sono state sequestrate in base a una sentenza del tribunale di Roma che ha bloccato beni per 135 milioni di euro. Niente mafia, stavolta. Tre mesi prima, a marzo del 2015, Pietro Mollica era stato arrestato con l’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Aedars e delle società consorziate, riconducibili ai Mollica. I giudici romani hanno affidato il gruppo a Cappellano Seminara.



L’avvocato palermitano adesso è a un bivio. Sembra che il presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, gradirebbe un passo indietro del superamministratore. Si attendono i passi avanti dei politici.



Aggiornamento dell'8 ottobre 2015
Precisazioni a "Che affarone quel sequestro": le lettere di Rosy Bindi, Fabio Licata, Gaetano Cappellano Seminara e Pietro Cavallotti. 





Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino

Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino


Saguto: "Mie parole estrapolate dal contesto". Manfredi: "Parole catalogate alla voce cattiveria", nessuno commento dal ministro Orlando. Il giudice Muntoni si giustifica: "L'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario

"Leggo sui giornali brandelli di intercettazioni che riguarderebbero giudizi da me espressi. Si tratta di parti di conversazioni estrapolate da contesti più ampi, che singolarmente lette possono avere significati fuorvianti". Lo dice, in una nota, l'ex presidente della sezione misure di prevenzione Silvana Saguto in merito alla conversazione intercettata in cui il magistrato esprime pesanti giudizi sui figli del giudice Paolo Borsellino. Saguto è indagata per corruzione nell'ambito dell'inchiesta su illeciti nelle assegnazioni degli incarichi agli amministratori giudiziari dei beni sotto sequestro. "Aggiungo che probabilmente - spiega - saranno sfuggite al giornalista (l'intercettazione è stata pubblicata da Repubblica ndr) le frasi con cui esprimevo la stima incondizionata e l'affetto che ho sempre nutrito nei confronti di Paolo Borsellino, mio carissimo amico personale, collega anche di corrente ed ineguagliabile maestro". "Mi riservo di chiarire al momento opportuno, - conclude - ed in accordo con i miei legali, tutti gli aspetti giuridicamente rilevanti, relativi alla vicenda processuale".


"Io e mia sorella Lucia siamo senza parole", dice Manfredi Borsellino, dirigente del commissariato di polizia di Cefalù sul contenuto delle intercettazioni che riportano le frasi del giudice Silvana Saguto sui figli di Paolo Borsellino. "Non vogliamo commentare - aggiunge Manfredi - espressioni che andrebbero catalogate alla voce cattiveria. Solo parlandone, rischiamo perciò di attribuire importanza a chi quelle parole ha proferito".


No comment anche dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando: "Non voglio dire niente perché sono oggetto di un'attività di indagine e sono frutto di intercettazioni telefoniche. "Credo - ha aggiunto - che siano valutazioni che deve poter apprezzare il magistrato nell'ambito delle proprie facoltà con le quali conduce oggi le indagini e domani si formerà il giudizio".


Si difende il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma, Guglielmo Muntoni, intercettato mentre rassicurava la collega Saguto - che glielo aveva raccomandato - su un prossimo incarico per il marito, l'ingegnere Lorenzo Caramma: "Ho scritto alla prima Commissione del Csm e al presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano - racconta all'Ansa - segnalando che ritengo il mio comportamento del tutto corretto".  Sull'articolo pubblicato oggi da Republica aggiunge: "L'articolo non dice che l'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario; questo non lo scrive mai nessuno. Preferisco non aggiungere altro, mi sembra tutto un gioco al massacro".


"E' una pagina triste - commenta Rosi Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia - mi auguro - ha detto a margine di un impegno a Quindici - che la giustizia faccia presto il suo corso".


Michele Pagliaro, segretario generale della Cgil Sicilia commenta: "Le indagini che coinvolgono il giudice Silvana Saguto e altri soggetti delineano un quadro inquietante di interessi e scambi attorno alla gestione dei beni sequestrati, sul quale la Cgil già nel 2013 aveva lanciato, unica e inascoltata voce, l'allarme. Istituzioni importanti rischiano il discredito, per questo ritengo che sia urgente l'intervento non solo dell'organo di autogoverno della magistratura ma di tutte le altre Istituzioni preposte e del Presidente della Repubblica nella qualità di Presidente del Csm, per ridare credibilità a queste stesse istituzioni.  Giudichiamo intollerabile la situazione che sta emergendo e che getta nello sconforto noi e tutti coloro che nella società civile sono impegnati costantemente contro la mafia, molti dei quali hanno pagato con la loro vita".


"Insultare la memoria del giudice Paolo Borsellino e i figli nel giorno della commemorazione, il 19 luglio, è l'emblema della turpitudine etica e morale. Tutto ciò lascia sinceramente sbigottiti - dice il coordinatore di Fratelli d'Italia per la Sicilia orientale Sandro Pappalardo - Fratelli d'Italia esprime solidarietà e vicinanza alla famiglia Borsellino, simbolo vero e concreto della lotta alla mafia. Raccomandazioni, favoritismi e insulti ai simboli della Sicilia onesta: il sistema Saguto non deve fare perdere però ai siciliani la fiducia negli uomini delle istituzioni che ogni giorno, seguendo l'esempio di Borsellino e Falcone, combattono indefessamente la criminalità. Occorrono però punizioni esemplari per chi tradisce lo Stato e quindi i cittadini".




"Posti di lavoro nei beni sequestrati"  Le intercettazioni del caso Saguto 

Martedì 20 Ottobre 2015 - 06:00 di Riccardo Lo Verso

Secondo i finanzieri, l'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo avrebbe segnalato amici e conoscenti per farli lavorare nelle aziende sequestrate alla mafia. "Io ti devo chiedere il favore per il prefetto".

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PALERMO - Ultimo giorno dello scorso mese di agosto. Poco dopo la undici e trenta Silvana Saguto contatta al telefono una dipendente che al Palazzo di Giustizia di Palermo fa il funzionario giudiziario. "... era per vedere cose nuove... volevo parlarti un minuto... - dice il magistrato - intanto cominciamo con tuo figlio sicuramente". L'ufficio dell'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale è imbottito di microspie. Le hanno piazzate gli investigatori della Polizia tributaria su delega della Procura di Caltanissetta.

I finanzieri scrivono nelle informative: "Gli approfondimenti investigativi hanno fatto emergere che Silvana Saguto segnala persone da contrattualizzare (amici, conoscenti, personali o di suoi familiari) ad alcuni amministratori giudiziari". Insomma, saremmo di fronte ad una sorta di ufficio di collocamento con i nominativi delle persone da assumere suggeriti dal magistrato a capo, fino ad un mese e mezzo fa, del collegio che sequestra i beni alla mafia e nomina gli amministratori giudiziari. Suggerimenti che non sappiamo se abbiano fatto in tempo ad accogliere, visto che le conversazioni sono state intercettate in prossimità delle perquisizioni e dei sequestri che hanno fatto esplodere lo scandalo. Il lavoro degli investigatori, però, guarda indietro nel tempo per scovare assunzioni sospette avvenute in precedenza.

L'ufficio del magistrato era tappa obbligata per gli amministratori giudiziari, le cui voci sono rimaste impresse nei nastri magnetici che raccontano il "pressing" del magistrato. Quarantasette minuti dopo le undici dello stesso giorno di fine agosto nella stanza dell'allora presidente entra l'avvocato Aulo Gigante. La richiesta della Saguto è diretta e svelerebbe un intreccio di posizioni di lavoro: “... senti qua per Vincenzo avremmo trovato probabilmente un posto adesso, nell'amministrazione Virga dove lui può essere preso intero, però c'è una persona che io voglio presa in cambio... il figlio di... la conosci... il cancelliere... questo ha esperienza... ha fatto fallimenti”.

Ecco la richiesta di piazzare il figlio del funzionario giudiziario. Gigante prende tempo: "... il problema è che siamo in grosse difficoltà... mi devi dare tempo sino a dicembre, a dicembre io so se siamo vivi o morti”. Saguto: "... ma temporaneo non lo potresti prendere?... se io non trovo di meglio subito lo prendiamo temporaneo al posto di Vincenzo appena Vincenzo lo mettiamo... incomprensibile... è bravo, ha fatto fallimenti come curatore". Gigante torna a parlare delle sorti della catena di negozi di abbigliamento, tirando in ballo i vecchi proprietari alla cui gestione, almeno così sembrerebbe dalle sue parole, farebbe risalire lo stato di crisi aziendale: "... ci salviamo riducendo i costi, malgrado Massimo Niceta... vabbè comunque organizziamoci... lo facciamo".

Il 2 settembre successivo la Saguto contatta la funzionaria giudiziaria: "... dovremmo fare con tuo figlio, lo mettiamo da Niceta... in un posto che si libera... contabilità... quello che la faceva era un ragazzo che conoscevo pure io che non è diplomato ragioniere, quindi deve essere una contabilità all'ingrosso, diciamo... se dovesse andare male Niceta, proviamo altri posti... per tuo fratello ho parlato con Provenzano, il professore... ". Tre giorni prima, il 28 agosto 2015, la Saguto chiede ad un altro amministratore, Alessandro Scimeca: "… allora io ti devo chiedere il favore per il prefetto... quello là (incomprensibile) assumere, devi trovare...". "Silvana è improponibile... - Scimeca prova a resistere alle richieste - io faccio tutto quello che vuoi... ma come ti aiuto?... io al prefetto l'aiuto pure, ma non con quella mansione, ma non con quella qualifica". Saguto: "Io posso vedere anche in altri posti ma lui cosa sa fare, niente". 

Nella stessa giornata la cimici captano la conversazione fra la Saguto e il titolare di un noto ristorante-sala ricevimenti in provincia di Palermo dove andrà a lavorare il figlio del magistrato, Elio, di professione chef. Quest'ultimo, a giudicare dalle parole della madre, non è rimasto molto contento della proposta economica. L'imprenditore tranquillizza la madre: "Credo che si può superare tutto". All'indomani le cose si mettono a posto: "Sono contentissima io ed è contentissimo pure Elio". "Hanno trovato l'intesa completa", dice l'imprenditore.

Ed è sempre il futuro di un altro figlio, Emanuele, che sta a cuore al magistrato. Al padre Vittorio dice "che per ora è tranquillo, dal primo ottobre il professore (Carmelo Provenzano, ndr) dice che qualche cosa gliela troverà da fare... intanto vuole fare sto concorso per commissario... poi vuole fare un corso in criminologia... io intanto lo scrivo per l'abilitazione di avvocato". Provenzano, docente universitario ad Enna, secondo l'ipotesi della Procura di Caltanissetta, sarebbe stato inserito dalla Saguto fra gli amministratori giudiziari in cambio dell'aiuto al figlio, sia negli studi che nel mondo del lavoro.



Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"

Le parole di Walter Virga, amministratore giudiziario del patrimonio Rappa, e quelle della ex presidente della sezione Misure di prevenzione: così funzionava il "sistema Saguto"
Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"



PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 13.50. DEL 5 FEBBRAIO 2014 

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. 

  (Così rimane stabilito).
Audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso. 

  L'ordine del giorno è dedicato in maniera particolare alla vicenda della rimozione da parte dell'Agenzia di alcuni amministratori giudiziari di beni confiscati. La notizia è apparsa nei giorni scorsi sugli organi di informazione ed è ripresa anche oggi in un'ampia intervista al dottor Caruso pubblicata sul quotidiano La Repubblica. Il dottor Caruso è accompagnato dal prefetto Maria Rosaria Laganà, dirigente dell'Ufficio beni sequestrati presso la medesima Agenzia. Prima di dare la parola al prefetto Caruso, corre l'obbligo da parte mia di introdurre il dibattito con alcune domande. 
  È evidente che vorremmo conoscere i criteri che hanno ispirato il prefetto a procedere alla sostituzione di alcuni amministratori e quelli che hanno ispirato la nomina dei nuovi amministratori. Tuttavia, soprattutto dopo l'intervista di oggi, corre l'obbligo da parte di questa Commissione di chiedere al prefetto Caruso se sia consapevole che le sue dichiarazioni gettano ombre o creano interrogativi non soltanto sulla gestione degli amministratori, ma anche sull'autorità giudiziaria che li ha nominati e che avrebbe dovuto controllare e vigilare sulle azioni di questi amministratori. 
  Si tratta di magistrati che hanno una responsabilità enorme, come al prefetto non sfugge, che rischiano la vita e che sono tra i più esposti. In queste settimane noi ci siamo interessati molto del problema della sicurezza di alcune procure e abbiamo potuto constatare che tra i magistrati più esposti in questa fase, a Palermo, a Trapani, a Catania, a Reggio Calabria, ci sono proprio i magistrati delle misure di prevenzione. In merito alle sue dichiarazioni di oggi, signor prefetto, noi ci auguriamo di sentire atti di accusa fondati su dati reali. O meglio, ci auguriamo che non ci siano, ma le sue dichiarazioni rischiano di indebolire, in un momento alquanto delicato, tutto l'apparato istituzionale che svolge un compito di lotta alla mafia, in maniera particolare quello dei beni confiscati, che è uno dei punti più delicati. Sappiamo bene che questo è un settore che deve essere riformato, ma chi ha operato e sta operando in questi anni ha una responsabilità enorme. Aggiungo che la sua intervista di oggi tocca anche un Pag. 4altro aspetto, quello dell'utilizzazione di alcuni beni confiscati. A parte il fatto che a noi risultava che fino a quando non c’è la confisca definitiva il denaro e i titoli devono essere ben tutelati e investiti – non sono a disposizione, o così ci sembrava – dalle sue parole abbiamo colto un'accusa generalizzata al sistema. Questa audizione era stata costruita per conoscere i dati particolari. Porremo poi domande precise e ascolteremo quello che ci risponderà. Abbiamo alcune domande sulla sostituzione di alcuni amministratori. Vorremmo sapere perché sono state sostituite persone appena nominate. Mi risulta che lei sia direttore dell'Agenzia dal 2011 e che, quindi, lei abbia controllato le attività di alcuni amministratori che ha sostituito in questi giorni per alcuni anni. Se hanno operato così male, è in ritardo lei nella sua azione di controllo. È vero che ha da fare tante cose, che tutto è centralizzato all'Agenzia – ci risulta che il potere di firma sia solo suo e della dottoressa Laganà – e che, quindi, magari le sfuggono le cose più importanti, ma, visto che era lei il controllore, nell'arrivare tanto tardi e con atti di accusa così pesanti, capisce bene che sta coinvolgendo anche se stesso nell'accusa generale che viene a portare al sistema. La ascoltiamo volentieri ma questa introduzione era doverosa. Il fatto che nel giorno in cui deve venire in audizione in Commissione lei rilasci un'intervista così pesante, con un atto di accusa tanto forte nei confronti di tutto il sistema, francamente ci ha lasciato molto preoccupati. Do la parola al prefetto Caruso.

  GIUSEPPE CARUSO, direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Io non ho rilasciato nessuna intervista. L'ho letta stamattina, come è stata letta da voi. L'ho letta e ho verificato che sono state riportate affermazioni da me fatte fin da quando ho assunto questo incarico. Segnatamente, per quanto concerne il Fondo unico giustizia (FUG), è stato riportato quello che ho detto in più occasioni, forse anche in questa sede. Ho citato anche da dove avevo appreso la notizia. Un articolo su Il Sole 24 Ore che pubblicava alcune dichiarazioni dell'allora sottosegretario all'interno Mantovano, il quale aveva richiesto formalmente al Ministero dell'economia il resoconto delle risultanze e dei redditi ricavati attraverso i sequestri e le confische che giacevano al FUG. A quella domanda – dice sempre il Sottosegretario Mantovano – è stato risposto che al 31 dicembre del 2012, ma non vorrei sbagliare, risultavano depositati al FUG complessivamente 2 miliardi di euro. Di questi 2 miliardi, uno era in contanti e l'altro in titoli. Del miliardo in contanti gli fu riferito che 350 milioni non venivano utilizzati, e io ho aggiunto, a mio giudizio, giustamente. Anzi, forse li avrei aumentati a 500 milioni. Per alcuni sequestri non si era ancora arrivati alla confisca definitiva, ragion per cui non era da escludere che qualche cosa bisognasse restituirla. Andava bene, quindi, accantonare questi 350 milioni. Non hanno saputo rispondere alla domanda del sottosegretario, il quale chiedeva perché i rimanenti 650 milioni risultassero ancora depositati e non utilizzati, come prevede la legge, dal Ministero della giustizia per il migliore funzionamento dell'apparato giudiziario e dal Ministero dell'interno per affitti, caserme, commissariati e via elencando. Sempre il sottosegretario, su quell'articolo di Il Sole 24 Ore, poneva poi il problema del miliardo di euro in titoli. La risposta che gli è stata fornita era che nessuno voleva assumersi la responsabilità di cambiarli, per paura che nel mese o nei due mesi successivi avrebbero potuto aumentare di valore. Non se ne volevano assumere la responsabilità. Questo è il dato storico. Questa è la lettera indirizzata dal sottosegretario all'interno all'epoca al Ministero dell'economia, con la relativa risposta. Il tutto fu pubblicato su Il Sole 24 Ore e ripreso poi in altre occasioni. Laddove mi è stata fatta in passato, in varie sedi, una domanda sul reddito derivante dai sequestri e dalle confische e sulla fine che facessero questi redditi, io mi sono limitato a rispondere in questi termini, attingendo alle notizie riportate da Il Sole 24 Ore. Quello che èPag. 5stato riportato oggi è probabilmente stato ripreso da quanto in più occasioni, lo ripeto, io ho dichiarato attingendo a quella fonte. 

  Quanto all'autorità giudiziaria, io lavoro da quarant'anni esatti con l'autorità giudiziaria. Il mio compito è stato, ed è, a maggior ragione adesso, quello di coadiuvare l'autorità giudiziaria. A differenza di quello che ha riferito, virgolettando, il coadiutore della confisca Piazza, il mio presunto intento di delegittimare gli amministratori e l'autorità giudiziaria di Palermo è assolutamente falso. Non corrisponde assolutamente a verità. Lo si può capire riportando le schede delle quattro persone per le quali mi è stato chiesto di interloquire, le quattro intervistate dai giornali della settimana scorsa, delle quali mi è stato richiesto di parlare e sulle quali io non ho avuto alcuna interlocuzione con il giornalista, se non riprendendo frasi che continuo a ripetere esattamente da due anni e mezzo, da quando sono direttore di questa Agenzia: noi abbiamo rilevato che, disattendendo la legge, la maggior parte dei soggetti del Centro-Sud che ricoprono l'incarico di amministratore giudiziario, soprattutto nelle grosse aziende, ricopre anche la carica di presidente nei consigli di amministrazione delle stesse aziende. In sostanza, le stesse persone fanno il controllore e il controllato, ossia l'Elkann e il Marchionne della situazione. Ciò è ipotizzabile in positivo per quanto concerne la fase del sequestro, perché il proprietario resta il mafioso, ma non è ipotizzabile quando il bene è in confisca definitiva e, quindi, l'erario ne è il proprietario. Preso atto di questo e verificati gli emolumenti stratosferici che venivano attribuiti, abbiamo aspettato che cessasse l'incarico di amministratore giudiziario – depositerò poi le schede – di questi quattro signori. 
  Innanzitutto Cappellano Seminara non l'abbiamo tolto come coadiutore. Resta ancora il coadiutore per quanto concerne la confisca Piazza e, quindi, non abbiamo esautorato nessuno. Lui è stato tolto da presidente del consiglio di amministrazione della stessa azienda proprio per il principio che non possiamo consentire che il controllore sia il controllato. Che cosa ha determinato ciò ? Innanzitutto, questa è una situazione che si è verificata l'anno scorso, più di un anno fa, alla scadenza, che è stata a dicembre 2012. Hanno affastellato tutte queste rimozioni, all'improvviso. Non sono state all'improvviso. Sono arrivate puntualmente alla scadenza del mandato di questi soggetti. La scadenza del mandato di presidente del consiglio di amministrazione di Cappellano Seminara, per quanto concerne Piazza, è avvenuta nel dicembre del 2012. Cosa ha determinato questa rimozione ? Con il nuovo consiglio di amministrazione, a differenza dell'immobilismo di quella procedura, che era stata valutata in fase di sequestro e poi di confisca circa 800 milioni di euro e che dopo tanti anni della gestione di Cappellano Seminara non aveva determinato alcun vantaggio per lo Stato, abbiamo cambiato direzione. Non era stato affidato alcun immobile. Questa è una confisca che comprende circa 495 immobili e non ne era stato dato nemmeno uno all'ente territoriale. Nel momento in cui abbiamo cambiato il consiglio di amministrazione, su mandato mio, questo consiglio di amministrazione mi ha certificato formalmente che l'espungere eventuali immobili da questa immobiliare non avrebbe determinato un disequilibrio economico-finanziario dell'azienda. Con questa certificazione io ho potuto fare quello che si sarebbe dovuto fare anni e anni fa, ossia ho potuto espungere tantissimi beni che ho potuto destinare al comune di Palermo. Tanto per entrare nel dettaglio, se ricordo bene, si è trattato di 30 edifici che erano destinati a uso di istituti scolastici, per i quali il comune di Palermo pagava prima al mafioso e poi all'amministrazione 2 milioni di euro circa. Da quando li abbiamo espunti e destinati, il comune non paga più tutto questo. Abbiamo potuto espungere e dobbiamo destinare al comune moltissimi appartamenti. Abbiamo già avuto un incontro con il sindaco. Questi appartamenti, laddove possono essere destinati per l'emergenza alloggiativa ai non abbienti, verranno prontamente riassegnati. Laddove Pag. 6non possono esserlo perché magari sono di particolare pregio o sono affittati e regolarmente pagati, dopo aver fatto aprire al competente assessorato all'economia del comune il capitolo apposito, si devono mettere gli introiti di questi affitti in un apposito capitolo e destinare il reddito per i buoni casa, sempre per il problema dell'emergenza abitativa. Questo si è potuto fare dopo anni di assoluto immobilismo, dopo che abbiamo potuto cambiare il consiglio di amministrazione e io ho potuto avere questa certificazione. Per quanto concerne l'onorario, mi risulta che in passato, solo per l'incarico della confisca Piazza Cappellano Seminara abbia preso una prima tranche di 7 milioni, come onorario. Per quanto concerne, invece, il consiglio d'amministrazione, come presidente, percepiva 150 mila euro l'anno. Gli altri due percepivano, mi pare, uno 80 mila e l'altro 60 mila euro. I tre relativamente nuovi dal dicembre del 2012, ossia dalla scadenza, prendono tutti e tre complessivamente 150 mila euro per questo compito, esattamente quanto prende Cappellano Seminara. 
  Quanto all'avvocato Cappellano Seminara, per quanto concerne le confische definitive – io non conosco il numero degli incarichi che lui ha in termini di beni sequestrati, perché non dipendono da me – abbiamo verificato in questi giorni che ha 31 incarichi come procedure di confisca e 28 incarichi come amministratore unico, componente o presidente del consiglio di amministrazione, o liquidatore in 25 società. Complessivamente, solo per le confische definitive ha incarichi per 56 tra procedure e aziende confiscate. Questo per quanto riguarda Piazza. 
  Passiamo all'operazione azienda vinicola Suvignano. Cappellano Seminara, pur gestendo e operando a Palermo, era ancora amministratore unico dell'azienda agricola Suvignano. Lui non ha risolto, anche perché la legge lo impediva, i problemi nel senso auspicato da noi per quanto concerne la possibilità di cedere l'azienda alla regione Toscana, che ne aveva fatto richiesta. Alla scadenza del suo mandato, non conoscendo nessuno in quel di Siena, io ho telefonato al prefetto di Siena chiedendogli il nominativo di una persona in grado di continuare a gestire, finché era da gestire, finché non si poteva destinare, quell'azienda. Abbiamo risparmiato un quarto degli emolumenti che Cappellano Seminara prendeva come amministratore unico, nonché le spese di trasferta, di pernottamento e di viaggio, che ovviamente sosteneva nell'andare da Palermo a Suvignano. Ripeto e sottolineo che l'abbiamo fatto alla scadenza del mandato.

  PRESIDENTE. Il mandato di che cosa, signor prefetto ? Noi siamo sicuramente meno conoscitori di lei della legislazione, delle regole, delle norme e del funzionamento, ma io faccio molta fatica a seguirla. Non so se i commissari la seguono, ma penso che non riusciamo a seguirla. Se lei ha una carta scritta e ce la legge, forse è meglio, perché in questo momento io non ho capito. Noi non siamo interessati al destino dei singoli amministratori. Vorrei che fosse chiara questa cosa. Ci interessa il funzionamento del sistema e il punto è uno solo: se queste persone prendevano parcelle d'oro per non far nulla e se gestivano i beni a fini privati, queste sono affermazioni gravi. Se non sono sue, signor prefetto, lei deve fare una smentita ufficiale molto seria e vedersela con il giornale e con i giornalisti. Le dichiarazioni riportate da lei sono queste: questi signori stavano lì, prendevano parcelle d'oro per non far nulla e gestivano questi beni a fini privati. Questo per molti anni. Molti di questi anni coincidono con la sua responsabilità all'Agenzia, signor prefetto. Delle due l'una: o lei per alcuni anni non ha visto che questi signori prendevano parcelle d'oro per non far nulla e usavano beni confiscati alla mafia per fini privati – è un'ipotesi – oppure oggi lei fa delle affermazioni gravi. Noi vogliamo capire se lei per due o tre anni, da quando è in carica, non si è accorto di nulla. Noi qui non siamo preoccupati se c’è o meno la scadenza. Siccome lei subentra a un certo punto: quando i beni confiscati la responsabilità è la sua e comunque lei è vigilante Pag. 7insieme all'autorità giudiziaria in tutta la procedura. 

  Allora le chiedo: ha vigilato o non ha vigilato ? Vorrei che fosse chiaro che noi siamo interessati al funzionamento del sistema. Non stiamo difendendo le parcelle di nessuno, gli incarichi di nessuno, gli alberghi di nessuno. Il problema è un altro. È stato affermato che il patrimonio confiscato alla mafia è stato gestito dallo Stato, o da persone nominate dallo Stato – perché di Stato si tratta, che siano la magistratura o che sia l'Agenzia dei be
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26 ottobre 2015 1 26 /10 /ottobre /2015 14:29
Il giudice Silvana Saguto mandava gli uomini della scorta a fare la spesa: "Comprami il dentifricio e lo smalto" 

La Stampa Pubblicato: 23/10/2015 11:30 CEST


SILVIA SAGUTO


"Comprami lo spazzolino Elmex verde, il filo interdentale non cerato Oral-B e un dentifricio Mentadent non granulare per Francesco". È la lista della spesa inviata dal giudice Silvana Saguto a un uomo della sua scorta via sms, pubblicata da La Stampa
"Quelli non fanno mai un c....", diceva al telefono e spediva gli agenti in farmacia, a prendere una ricetta nell'ambulatorio medico e a portarla alla madre.
E se il giudice era dell'estetista, ma le mancava lo smalto non c'era problema: "Viene Carmine (agente,ndr) a prenderlo", diceva al marito
Il giudice Silvana Saguto è l'ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, finita nel mirino della polizia tributaria e dei pm di Caltanissetta che indagano sugli incarichi multimilionari, assieme all'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara e a suo marito Lorenzo Caramma, nominato coadiutore di diverse amministrazioni per volere della moglie. I pm indagano su presunte tangenti.
Il giudice Saguto, stando alle intercettazioni, rimprovera al telefono suo figlio chef Elio Caramma per le spese eccessive
"Siamo indebitati persi. Non è possibile, non si può fare, non esiste stipendio che possa garantire queste cose. La nostra situazione economica è arrivata al limite totale, non è possibile più, completamente! Ci sono sempre nuove cose! Voi non potete farmi spendere 12, 13, 14 mila euro al mese, noi non li abbiamo questi introiti"
Per rimediare alla crisi economica della famiglia il giudice avrebbe ottenuto denaro, recapitatole direttamente a casa in un trolley, dall'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara. La vicenda è stata ricostruita dai finanzieri, grazie a pedinamenti e intercettazioni da cui erano emerse una serie di richieste di rientro di scoperti per migliaia di euro avanzate da Banca Nuova e America Express ai coniugi Caramarra. La giudice e l'amministrazione giudiziario parlano in codice: i soldi diventano "documenti" nelle chiamate intercettate.
Dopo la consegna del denaro la Finanza appunta
"Dopo l'incontro per diversi giorni la Saguto non contatta più inisistentemente Cappellano per parlare della documentazione e i dipendenti di Banca Nuova non contattano più Caramma Lorenzo".
Il conto è stato saldato, ma come?

Silvia Saguto, Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, sotto inchiesta per corruzione su gestione beni mafiosi
La Procura di Caltanissetta ha aperto un'inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio nei confronti della Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, che si occupa della gestione dei patrimoni mafiosi sottoposti a sequestro.
La notizia dell'inchiesta è contenuta in una nota ufficiale della stessa Procura di Caltanissetta "allo scopo - è scritto - di evitare il diffondersi di notizie inesatte". "Su disposizione della Procura della Repubblica di Caltanissetta - si legge nella nota - militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, in alcuni casi con la diretta partecipazione dei magistrati titolari del relativo procedimento penale, hanno eseguito ordini di esibizione nonché decreti di perquisizione e sequestro in data 9 settembre 2015".
"Questi atti istruttori - prosegue la nota - sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari".
La difesa del magistrato: "Nessun dubbio sul mio operato". "Non ho dubbi sul mio operato e chiederò subito di essere interrogata": così il magistrato Silvana Saguto ha commentato con il sito on line Live Sicilia. Il magistrato ha aggiunto: "Incarichi a mio marito? Ne ha avuto uno solo a Palermo, e oggi chiuso, che risale agli anni in cui non ero alla sezione misure di prevenzione".















Beni confiscati, i pm accendono i riflettori sul denaro contante a casa della Saguto 

di Riccardo Arena


Nelle intercettazioni il giudice e il padre parlano di «mazzettine» coi soldi. Lei dice che servivano perché le carte di credito non sempre sono accettate

inchiesta beni sequestrati, Gioacchino Natoli, Silvana Saguto, Palermo, Mafia e Mafie



PALERMO. «Tu hai preso i soldi dalla borsa?», chiede Vittorio Saguto alla figlia Silvana, che, il 20 agosto, risponde: «Io ho preso solo quando c'erano i pezzi da cento, solamente, i pezzi da cento li ho presi, non so quanti erano però precisamente, quindi una parte l'ho levata». E il padre, che inizialmente non trova il denaro, ricorda che c'erano «due, tre mazzettine di quelle». Mezz'ora dopo i due si risentono: «Tutto a posto - dice l'uomo -. Allora, quando vieni qua? Ci sono tre... roselline».

Il denaro contante
Circolava, e non poco, in casa dell'ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, oggi indagata a Caltanissetta con le ipotesi di corruzione, concussione per induzione, abuso d'ufficio. Lei, la Saguto, sostiene che era un'esigenza legata al fatto che le carte di credito - la sua, un'American Express in particolare - non sempre sono accettate e per le spese correnti era costretta a prelevare.
Ma chi indaga ci crede poco e guarda anche ai passaggi delle conversazioni intercettate in cui il giudice denuncia notevoli difficoltà economiche. Cosa che imprime un'accelerazione all'indagine sui presunti scambi di favori con gli amministratori giudiziari, con nomine di comodo per il marito del giudice, l'ingegner Lorenzo Caramma, pure indagato. E poi il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza cerca riscontri che sostengano la tesi dei versamenti di contanti a Vittorio Pietro Saguto, che avrebbe ricevuto il denaro per la figlia. L'anziano padre del magistrato è indagato pure lui, per autoriciclaggio.

La nomina sfumata
Nel contesto generale si inseriscono le trattative per la nomina di Lorenzo Caramma anche come coadiutore nella gestione del Cara di Mineo, dopo il sequestro della società che lo gestiva, deciso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma, presieduta da Guglielmo Muntoni, amico della Saguto. Davide Franco, uno degli amministratori, aveva chiamato più volte l'ingegnere. Il 4 settembre era praticamente fatta. Ma l'8 sono scattate le perquisizioni disposte dai pm nisseni.
Parcelle da un milione a testa
È comunque Gaetano Cappellano Seminara, l'amministratore giudiziario al centro di polemiche da almeno due anni e mezzo, il protagonista di alcuni passaggi: «Ma su Palermo - chiede al presidente - misure? Perché considera che noi, lasciata Gas Natural, questa di qua ci impegna molto poco, questa di Roma». Saguto: «Ora vediamo, per ora non abbiamo niente, nemmeno una carta, non c'è più niente per me».
In un altro colloquio, intercettato sempre nell'ufficio del giudice, Cappellano dice: «Abbiamo presentato a Fabio Licata (altro magistrato sotto inchiesta, ndr) la liquidazione di Gas Natural. Eh, in buona sostanza, alla fine, abbiamo chiesto un milione di euro l'uno, complessivamente... io ho chiesto a parte il rimborso forfettario, perché sono l'unico avvocato fra i tre amministratori... sono 700 milioni di euro di volume d'affari». Ieri il presidente della Corte d'appello, Gioacchino Natoli, e il pg Roberto Scarpinato sono stati sentiti dalla prima commissione del Csm, alla quale hanno chiesto di intervenire subito.

«Morirò, ma morirò ricco»
Un altro capitolo riguarda i rapporti, che dalle intercettazioni appaiono altamente conflittuali, con Walter Virga, figlio di Tommaso, giudice ed ex componente del Csm. Secondo i pm nisseni, il giovane avvocato avrebbe ottenuto due misure per «ringraziare» il padre di aver fermato iniziative ed esposti disciplinari contro la Saguto. Tesi anche questa respinta dai diretti interessati.
Le misure Bagagli e Rappa rendono bene: ci sono gli attacchi mediatici, «però domani facciamo i bonifici. Io morirò, ma morirò ricco», dice Virga jr, forse con ironia, alla moglie, Giuliana Pipi, con lui nei cda delle aziende.

La nuora allontanata
Ma il discorso è più ampio e riguarda la Saguto imprenditrice, che dà lavoro. A persone conosciute e di fiducia, spiega lei, perché il settore dei beni sequestrati alla mafia presuppone la massima fiducia. E però il 7 giugno Walter Virga si sfoga con il suo coadiutore Alessio Cordova, dopo avere allontanato dal proprio studio Mariangela Pantò, fidanzata di Francesco Caramma e dunque futura nuora della presidente: la questione è sfociata in una lite con la Saguto. «Fosse successo a me - dice Virga - mi sarebbe dispiaciuto, ma me la sarei presa con mia suocera, perché io avrei detto, guarda, se tu, diciamo, non cercavi di infilare tutta la famiglia, tutti gli amici dei tuoi figli in tutte cose, non finivi su tutti i giornali, sputtanata in tutto il mondo». Parlando con Tommaso Virga, il figlio Walter si lamenta del modo in cui la Saguto ha affrontato la questione: «Lei avrebbe detto che il problema non si pone, perché Mariangela paga un affitto... ma non è vero». E il giudice, che appare molto in ansia: «No, no, si chiude, Walter... si chiude, si chiude...».
La rabbia del presidente
L'amarezza di Virga è condivisa da Cordova: «Io in generale, almeno dal mio punto di vista... non avremo mai più nessun incarico chiaramente dalle misure di prevenzione». E in effetti la Saguto è arrabbiatissima: «Mi dà fastidio perché è stata fatta in questa maniera e lui pagherà le conseguenze di questa decisione... Lui (Virga jr, ndr) lo devo rivedere io e appena lo rivedo, vedrai cosa non succede. La piena la stiamo reggendo tutti, lui non la vuole reggere. E non la regga, ci penso io».
Il figlio del cancelliere
La Saguto il 31 agosto chiama un cancelliere del tribunale: «Intanto cominciamo con tuo figlio, sicuramente». Poco dopo riceve un collaboratore di Cappellano Seminara, Aulo Gigante: «Senti qua, per Vincenzo (non identificato, ndr) avremmo trovato probabilmente un posto, adesso, nell'amministrazione Virga. Però c'è una persona che voglio presa in cambio, che è il figlio di un cancelliere». Qualche giorno dopo il giudice precisa alla diretta interessata: «Tuo figlio lo mettiamo da Niceta, come ragioniere... Poi man mano, per tuo fratello ho parlato con Carmelo Provenzano, il professore». E l'altra: «Mio fratello per ora se l'è preso Carlo». Il 28 agosto un amministratore, Alessandro Scimeca, cerca di evitare un'assunzione con una qualifica «improponibile» per un esecutivo, chiesta da un alto esponente istituzionale: «Da fratello a sorella te lo dico, faccio tutto quello che vuoi ma non ci facciamo sparare».



I fucili e il doposole
Vittorio Saguto e il nipote Emanuele Caramma amano andare a caccia e si devono prendere munizioni e fucili e portarli a Piana degli Albanesi. È «Elio» Caramma, figlio della Saguto, ad insistere molto: «Io ci posso provare - gli spiega la madre - ma commetto un reato, porto e detenzione abusiva di materiale esplodente». E infine la scorta: la Saguto il 28 agosto fa prendere agli agenti un doposole, poi fa accompagnare la Pantò in spiaggia, infine chiede «i dischetti levatrucco, quelli grandi». Il caposcorta le risponde che ci sono quelli piccoli. «No, non li voglio».

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria. Affidate a professionisti con parcelle milionarie. Un sistema di favoritismi, nepotismi e conflitti d’interessi ora sotto inchiesta. Che coinvolge anche diversi magistrati

DI GIANFRANCESCO TURANO

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Quando parlava di professionisti dell’antimafia, Leonardo Sciascia non sapeva fino a che punto avesse ragione. Il passo dai professionisti agli affaristi è cosa fatta.


Così, il manager più pagato d’Europa non è Martin Winterkorn, ex amministratore delegato della Volkswagen in carica dal 2007, allontanato dopo lo scandalo delle emissioni con 60 milioni di euro di buonuscita. È Gaetano Cappellano Seminara, 57 anni, re incontrastato degli amministratori giudiziari, pupillo delle sezioni di misure di prevenzione dei tribunali. Per 200 giorni di lavoro l’avvocato palermitano ha chiesto 18 milioni di euro a Italcementi, pari a 90 mila euro per ognuna delle giornate trascorse nella sede della società bergamasca.



Italcementi, che aveva subito un sequestro preventivo nel 2008, aveva già versato 7,6 milioni di euro al professionista, tutti autorizzati dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il grosso della richiesta aggiuntiva, che non è passata dal vaglio del giudice, doveva fra l’altro compensare il rilascio di un’ “assurance”. È una sorta di certificato per garantire la guarigione di Italcementi da comportamenti passibili di censura giudiziaria, anche se non connessi al crimine organizzato. È l’equivalente in versione moderna delle indulgenze mercanteggiate dal clero nel cristianesimo preluterano.



È giusto aggiungere che la cifra è riferita all’insieme del team formato da Cappellano Seminara e dai suoi coadiutori, sei impiegati in pianta stabile più altri avventizi.



Ma è altrettanto corretto sottolineare che Italcementi è soltanto uno degli oltre cento incarichi ottenuti dal professionista siciliano, che è anche imprenditore in proprio con la Legal Gest consulting e con Tourism Project (hotel Brunaccini di Palermo).



La parcella da 18 milioni ha guastato i rapporti fra Cappellano Seminara e il colosso del calcestruzzo, da poco passato in mano ai tedeschi.



Italcementi si è rivolta alla giustizia. La causa ha superato due gradi di giudizio ed è al vaglio della Cassazione, che non ha ancora fissato la data dell’udienza. Ma finora i verdetti indicano che l’amministratore ha incassato più del dovuto e dovrebbe restituire una quota degli onorari di circa 2 milioni di euro.



Nel frattempo il bubbone è esploso. A Palermo è venuto alla luce un sistema opaco di favoritismi, nepotismi e incarichi in conflitto di interessi che potrebbe non essere limitato al capoluogo siciliano, dove si gestiscono quasi metà dei beni sequestrati in tutta Italia, secondo valutazioni del presidente delle misure di prevenzione Silvana Saguto.



Oltre a Cappellano Seminara, la procura di Caltanissetta indaga sulla stessa Saguto, assegnata ad altro incarico, su suo maritoLorenzo Caramma, consulente di Cappellano, sul suo collega di sezione Lorenzo Chiaramonte, sul sostituto procuratore Dario Scaletta e sull’ex componente togato del Csm Tommaso Virga.



In attesa che si sviluppi il lavoro del pubblico ministero nisseno Cristina Lucchini e del colonnello Francesco Mazzotta della Guardia di finanza, proprio il Csm ha finalmente deciso di affrontare la questione del cumulo degli incarichi nell’amministrazione giudiziaria, diventata ormai un affare da decine di milioni di euro all’anno, soprattutto nelle regioni più colpite dal crimine organizzato.



Anche la politica è dovuta tornare sull’argomento. L’ultima sistemazione datata 2011 si è rivelata disastrosa perché lascia una totale discrezionalità ai singoli tribunali sia nelle nomine sia nella definizione del tariffario che in parte è a carico delle aziende e in parte è a carico della pubblica amministrazione, quindi del contribuente.



In cambio del potere incondizionato che si è dato ai giudici delle misure di prevenzione non c’è stata garanzia di trasparenza né di rotazione negli incarichi. L’allarme lanciato dall’ex direttore dell’agenzia nazionale dei beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso è rimasto inascoltato e la commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi ha preferito impegnarsi in lunghe audizioni di quegli stessi amministratori giudiziari che hanno trasformato la lotta alla mafia in un business altamente lucrativo.



ITALGAS

Nel festival del conflitto di interessi spicca la vicenda Italgas. L’azienda torinese, controllata dalla Snam, finisce sotto sequestro in modo rocambolesco.



L’avvocato Andrea Aiello, 44 anni, amministratore giudiziario della Euro Impianti Plus dei fratelli Cavallotti, sequestrata nel 2012 e in liquidazione a giugno del 2015, riferisce al pm Scaletta di alcune anomalie riguardanti i rapporti fra Euro Impianti e Italgas. In sostanza, Italgas avrebbe firmato un contratto di fornitura con Euro Impianti pur sapendo che i Cavallotti erano soggetti a rischio.



In effetti, gli imprenditori di Belmonte Mezzagno sono stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ma restano “socialmente pericolosi” e la testimonianza di Aiello fa scattare il sequestro di Italgas il 9 luglio 2014.



Il giudice delegato Fabio Licata, che opera insieme ai colleghi Saguto e Chiaramonte ma non risulta indagato, nomina amministratore giudiziario proprio il teste dell’accusa Aiello. Da amministratore di Euro Impianti Plus, Aiello ha chiesto a Italgas un risarcimento di 20 milioni di euro per il contratto di fornitura non rispettato.



Insieme all’avvocato palermitano, sono nominati amministratori anche l’ingegnere Sergio Caramazza, il docente Marco Frey e il commercialista Luigi Saporito. I quattro vengono retribuiti dal tribunale e la cifra non è pubblica. Ma c’è una quota consistente versata dall’azienda sotto sequestro. Italgas ha pagato per un anno di sequestro 6 milioni di euro a 43 coadiutori ingaggiati dagli amministratori, per una media di 140 mila euro a testa.



Fra le criticità suggerite dagli amministratori giudiziari alla Deloitte, ingaggiata come consulente da Italgas, figura ogni genere di problema, inclusa la corretta profondità nell’interramento dei tubi, ma non profili collegati alla criminalità organizzata. La richiesta di dissequestro viene accolta a maggio del 2014 dal pm Dario Scaletta, poi indagato perché avrebbe informato Saguto dell’inchiesta che la riguardava. Nonostante questo, l’azienda viene riconsegnata il 9 luglio 2015, oltren un anno dopo il provvedimento. Ma nemmeno allora i professionisti delle misure di prevenzione si fanno da parte e riaffiorano nelle lunghe trattative per nominare il nuovo organo di vigilanza (Odv), incaricato fra l’altro dell’applicazione dei protocolli antimafia. La terna finale è guidata dal giurista di area Pd Giovanni Fiandaca insieme a Andrea Perini dell’università di Torino e a Gianluca Varraso, direttore con Fiandaca del corso di alta formazione per amministratori giudiziari della Cattolica di Milano, dove ha insegnato lo stesso Aiello.



Seppure molto qualificato, l’Odv viene integrato da tre consulenti: Carlo Amenta, Gianfranco Messina e Cristina Giuffrida, dello studio Aiello. Tutti e tre figurano fra i coadiutori dello stesso Aiello durante il sequestro di Italgas.



NATURAL GAS E GRUPPO MOLLICA

L’inchiesta che ha condotto al sequestro di Italgas, cioè la caccia al tesoro dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ha portato al sequestro di altre tre aziende italiane controllate dal colosso energetico spagnolo Gas Natural Fenosa. Anche in questo caso, la molla è stata la fornitura da parte dei fratelli Cavallotti.



Il giudice Saguto e i suoi colleghi hanno incaricato Cappellano Seminara che, insieme ai colleghi Enzo Bivona e Donato Pezzuto, è stato amministratore giudiziario delle società dal 19 maggio 2014 fino al luglio scorso.



Anche in questa vicenda c’è stato ricorso a decine di coadiutori che sono costati nell’ordine di 1 milione di euro: una bella somma considerando le dimensioni molto più ridotte delle aziende in termini di ricavi e dipendenti.

Le traversie giudiziarie dei fratelli Cavallotti hanno un parallelo nella storia del gruppo Mollica.



Le società dei costruttori di Gioiosa Marea (Messina), guidate dai fratelli Pietro, Domenico e Antonio, sono finite nel mirino come parte integrante di Cosa Nostra, secondo le dichiarazioni di Angelo “Bronson” Siino, il ministro dei lavori pubblici della mafia.



Nel 2011, i fratelli Mollica sono stati assolti da questa accusa tanto che le loro imprese, raccolte nel consorzio Aedars, hanno ottenuto la certificazione per partecipare al rifacimento della Scuola della Misericordia a Venezia, in società con la Umana di Luigi Brugnaro.



Nel giugno di quest’anno, con i lavori della Misericordia compiuti e Brugnaro diventato sindaco della Serenissima, le aziende dei Mollica sono state sequestrate in base a una sentenza del tribunale di Roma che ha bloccato beni per 135 milioni di euro. Niente mafia, stavolta. Tre mesi prima, a marzo del 2015, Pietro Mollica era stato arrestato con l’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Aedars e delle società consorziate, riconducibili ai Mollica. I giudici romani hanno affidato il gruppo a Cappellano Seminara.



L’avvocato palermitano adesso è a un bivio. Sembra che il presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, gradirebbe un passo indietro del superamministratore. Si attendono i passi avanti dei politici.



Aggiornamento dell'8 ottobre 2015
Precisazioni a "Che affarone quel sequestro": le lettere di Rosy Bindi, Fabio Licata, Gaetano Cappellano Seminara e Pietro Cavallotti. 





Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino

Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino


Saguto: "Mie parole estrapolate dal contesto". Manfredi: "Parole catalogate alla voce cattiveria", nessuno commento dal ministro Orlando. Il giudice Muntoni si giustifica: "L'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario

"Leggo sui giornali brandelli di intercettazioni che riguarderebbero giudizi da me espressi. Si tratta di parti di conversazioni estrapolate da contesti più ampi, che singolarmente lette possono avere significati fuorvianti". Lo dice, in una nota, l'ex presidente della sezione misure di prevenzione Silvana Saguto in merito alla conversazione intercettata in cui il magistrato esprime pesanti giudizi sui figli del giudice Paolo Borsellino. Saguto è indagata per corruzione nell'ambito dell'inchiesta su illeciti nelle assegnazioni degli incarichi agli amministratori giudiziari dei beni sotto sequestro. "Aggiungo che probabilmente - spiega - saranno sfuggite al giornalista (l'intercettazione è stata pubblicata da Repubblica ndr) le frasi con cui esprimevo la stima incondizionata e l'affetto che ho sempre nutrito nei confronti di Paolo Borsellino, mio carissimo amico personale, collega anche di corrente ed ineguagliabile maestro". "Mi riservo di chiarire al momento opportuno, - conclude - ed in accordo con i miei legali, tutti gli aspetti giuridicamente rilevanti, relativi alla vicenda processuale".


"Io e mia sorella Lucia siamo senza parole", dice Manfredi Borsellino, dirigente del commissariato di polizia di Cefalù sul contenuto delle intercettazioni che riportano le frasi del giudice Silvana Saguto sui figli di Paolo Borsellino. "Non vogliamo commentare - aggiunge Manfredi - espressioni che andrebbero catalogate alla voce cattiveria. Solo parlandone, rischiamo perciò di attribuire importanza a chi quelle parole ha proferito".



No comment anche dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando: "Non voglio dire niente perché sono oggetto di un'attività di indagine e sono frutto di intercettazioni telefoniche. "Credo - ha aggiunto - che siano valutazioni che deve poter apprezzare il magistrato nell'ambito delle proprie facoltà con le quali conduce oggi le indagini e domani si formerà il giudizio".



Si difende il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma, Guglielmo Muntoni, intercettato mentre rassicurava la collega Saguto - che glielo aveva raccomandato - su un prossimo incarico per il marito, l'ingegnere Lorenzo Caramma: "Ho scritto alla prima Commissione del Csm e al presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano - racconta all'Ansa - segnalando che ritengo il mio comportamento del tutto corretto".  Sull'articolo pubblicato oggi da Republica aggiunge: "L'articolo non dice che l'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario; questo non lo scrive mai nessuno. Preferisco non aggiungere altro, mi sembra tutto un gioco al massacro".



"E' una pagina triste - commenta Rosi Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia - mi auguro - ha detto a margine di un impegno a Quindici - che la giustizia faccia presto il suo corso".



Michele Pagliaro, segretario generale della Cgil Sicilia commenta: "Le indagini che coinvolgono il giudice Silvana Saguto e altri soggetti delineano un quadro inquietante di interessi e scambi attorno alla gestione dei beni sequestrati, sul quale la Cgil già nel 2013 aveva lanciato, unica e inascoltata voce, l'allarme. Istituzioni importanti rischiano il discredito, per questo ritengo che sia urgente l'intervento non solo dell'organo di autogoverno della magistratura ma di tutte le altre Istituzioni preposte e del Presidente della Repubblica nella qualità di Presidente del Csm, per ridare credibilità a queste stesse istituzioni.  Giudichiamo intollerabile la situazione che sta emergendo e che getta nello sconforto noi e tutti coloro che nella società civile sono impegnati costantemente contro la mafia, molti dei quali hanno pagato con la loro vita".



"Insultare la memoria del giudice Paolo Borsellino e i figli nel giorno della commemorazione, il 19 luglio, è l'emblema della turpitudine etica e morale. Tutto ciò lascia sinceramente sbigottiti - dice il coordinatore di Fratelli d'Italia per la Sicilia orientale Sandro Pappalardo - Fratelli d'Italia esprime solidarietà e vicinanza alla famiglia Borsellino, simbolo vero e concreto della lotta alla mafia. Raccomandazioni, favoritismi e insulti ai simboli della Sicilia onesta: il sistema Saguto non deve fare perdere però ai siciliani la fiducia negli uomini delle istituzioni che ogni giorno, seguendo l'esempio di Borsellino e Falcone, combattono indefessamente la criminalità. Occorrono però punizioni esemplari per chi tradisce lo Stato e quindi i cittadini".




"Posti di lavoro nei beni sequestrati"  Le intercettazioni del caso Saguto 

Martedì 20 Ottobre 2015 - 06:00 di Riccardo Lo Verso

Secondo i finanzieri, l'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo avrebbe segnalato amici e conoscenti per farli lavorare nelle aziende sequestrate alla mafia. "Io ti devo chiedere il favore per il prefetto".

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PALERMO - Ultimo giorno dello scorso mese di agosto. Poco dopo la undici e trenta Silvana Saguto contatta al telefono una dipendente che al Palazzo di Giustizia di Palermo fa il funzionario giudiziario. "... era per vedere cose nuove... volevo parlarti un minuto... - dice il magistrato - intanto cominciamo con tuo figlio sicuramente". L'ufficio dell'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale è imbottito di microspie. Le hanno piazzate gli investigatori della Polizia tributaria su delega della Procura di Caltanissetta.

I finanzieri scrivono nelle informative: "Gli approfondimenti investigativi hanno fatto emergere che Silvana Saguto segnala persone da contrattualizzare (amici, conoscenti, personali o di suoi familiari) ad alcuni amministratori giudiziari". Insomma, saremmo di fronte ad una sorta di ufficio di collocamento con i nominativi delle persone da assumere suggeriti dal magistrato a capo, fino ad un mese e mezzo fa, del collegio che sequestra i beni alla mafia e nomina gli amministratori giudiziari. Suggerimenti che non sappiamo se abbiano fatto in tempo ad accogliere, visto che le conversazioni sono state intercettate in prossimità delle perquisizioni e dei sequestri che hanno fatto esplodere lo scandalo. Il lavoro degli investigatori, però, guarda indietro nel tempo per scovare assunzioni sospette avvenute in precedenza.

L'ufficio del magistrato era tappa obbligata per gli amministratori giudiziari, le cui voci sono rimaste impresse nei nastri magnetici che raccontano il "pressing" del magistrato. Quarantasette minuti dopo le undici dello stesso giorno di fine agosto nella stanza dell'allora presidente entra l'avvocato Aulo Gigante. La richiesta della Saguto è diretta e svelerebbe un intreccio di posizioni di lavoro: “... senti qua per Vincenzo avremmo trovato probabilmente un posto adesso, nell'amministrazione Virga dove lui può essere preso intero, però c'è una persona che io voglio presa in cambio... il figlio di... la conosci... il cancelliere... questo ha esperienza... ha fatto fallimenti”.

Ecco la richiesta di piazzare il figlio del funzionario giudiziario. Gigante prende tempo: "... il problema è che siamo in grosse difficoltà... mi devi dare tempo sino a dicembre, a dicembre io so se siamo vivi o morti”. Saguto: "... ma temporaneo non lo potresti prendere?... se io non trovo di meglio subito lo prendiamo temporaneo al posto di Vincenzo appena Vincenzo lo mettiamo... incomprensibile... è bravo, ha fatto fallimenti come curatore". Gigante torna a parlare delle sorti della catena di negozi di abbigliamento, tirando in ballo i vecchi proprietari alla cui gestione, almeno così sembrerebbe dalle sue parole, farebbe risalire lo stato di crisi aziendale: "... ci salviamo riducendo i costi, malgrado Massimo Niceta... vabbè comunque organizziamoci... lo facciamo".

Il 2 settembre successivo la Saguto contatta la funzionaria giudiziaria: "... dovremmo fare con tuo figlio, lo mettiamo da Niceta... in un posto che si libera... contabilità... quello che la faceva era un ragazzo che conoscevo pure io che non è diplomato ragioniere, quindi deve essere una contabilità all'ingrosso, diciamo... se dovesse andare male Niceta, proviamo altri posti... per tuo fratello ho parlato con Provenzano, il professore... ". Tre giorni prima, il 28 agosto 2015, la Saguto chiede ad un altro amministratore, Alessandro Scimeca: "… allora io ti devo chiedere il favore per il prefetto... quello là (incomprensibile) assumere, devi trovare...". "Silvana è improponibile... - Scimeca prova a resistere alle richieste - io faccio tutto quello che vuoi... ma come ti aiuto?... io al prefetto l'aiuto pure, ma non con quella mansione, ma non con quella qualifica". Saguto: "Io posso vedere anche in altri posti ma lui cosa sa fare, niente". 

Nella stessa giornata la cimici captano la conversazione fra la Saguto e il titolare di un noto ristorante-sala ricevimenti in provincia di Palermo dove andrà a lavorare il figlio del magistrato, Elio, di professione chef. Quest'ultimo, a giudicare dalle parole della madre, non è rimasto molto contento della proposta economica. L'imprenditore tranquillizza la madre: "Credo che si può superare tutto". All'indomani le cose si mettono a posto: "Sono contentissima io ed è contentissimo pure Elio". "Hanno trovato l'intesa completa", dice l'imprenditore.

Ed è sempre il futuro di un altro figlio, Emanuele, che sta a cuore al magistrato. Al padre Vittorio dice "che per ora è tranquillo, dal primo ottobre il professore (Carmelo Provenzano, ndr) dice che qualche cosa gliela troverà da fare... intanto vuole fare sto concorso per commissario... poi vuole fare un corso in criminologia... io intanto lo scrivo per l'abilitazione di avvocato". Provenzano, docente universitario ad Enna, secondo l'ipotesi della Procura di Caltanissetta, sarebbe stato inserito dalla Saguto fra gli amministratori giudiziari in cambio dell'aiuto al figlio, sia negli studi che nel mondo del lavoro.



Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"

Le parole di Walter Virga, amministratore giudiziario del patrimonio Rappa, e quelle della ex presidente della sezione Misure di prevenzione: così funzionava il "sistema Saguto"
Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"



PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 13.50. DEL 5 FEBBRAIO 2014 

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. 

  (Così rimane stabilito).

Audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso. 

  L'ordine del giorno è dedicato in maniera particolare alla vicenda della rimozione da parte dell'Agenzia di alcuni amministratori giudiziari di beni confiscati. La notizia è apparsa nei giorni scorsi sugli organi di informazione ed è ripresa anche oggi in un'ampia intervista al dottor Caruso pubblicata sul quotidiano La Repubblica. Il dottor Caruso è accompagnato dal prefetto Maria Rosaria Laganà, dirigente dell'Ufficio beni sequestrati presso la medesima Agenzia. Prima di dare la parola al prefetto Caruso, corre l'obbligo da parte mia di introdurre il dibattito con alcune domande. 
  È evidente che vorremmo conoscere i criteri che hanno ispirato il prefetto a procedere alla sostituzione di alcuni amministratori e quelli che hanno ispirato la nomina dei nuovi amministratori. Tuttavia, soprattutto dopo l'intervista di oggi, corre l'obbligo da parte di questa Commissione di chiedere al prefetto Caruso se sia consapevole che le sue dichiarazioni gettano ombre o creano interrogativi non soltanto sulla gestione degli amministratori, ma anche sull'autorità giudiziaria che li ha nominati e che avrebbe dovuto controllare e vigilare sulle azioni di questi amministratori. 
  Si tratta di magistrati che hanno una responsabilità enorme, come al prefetto non sfugge, che rischiano la vita e che sono tra i più esposti. In queste settimane noi ci siamo interessati molto del problema della sicurezza di alcune procure e abbiamo potuto constatare che tra i magistrati più esposti in questa fase, a Palermo, a Trapani, a Catania, a Reggio Calabria, ci sono proprio i magistrati delle misure di prevenzione. In merito alle sue dichiarazioni di oggi, signor prefetto, noi ci auguriamo di sentire atti di accusa fondati su dati reali. O meglio, ci auguriamo che non ci siano, ma le sue dichiarazioni rischiano di indebolire, in un momento alquanto delicato, tutto l'apparato istituzionale che svolge un compito di lotta alla mafia, in maniera particolare quello dei beni confiscati, che è uno dei punti più delicati. Sappiamo bene che questo è un settore che deve essere riformato, ma chi ha operato e sta operando in questi anni ha una responsabilità enorme. Aggiungo che la sua intervista di oggi tocca anche un Pag. 4altro aspetto, quello dell'utilizzazione di alcuni beni confiscati. A parte il fatto che a noi risultava che fino a quando non c’è la confisca definitiva il denaro e i titoli devono essere ben tutelati e investiti – non sono a disposizione, o così ci sembrava – dalle sue parole abbiamo colto un'accusa generalizzata al sistema. Questa audizione era stata costruita per conoscere i dati particolari. Porremo poi domande precise e ascolteremo quello che ci risponderà. Abbiamo alcune domande sulla sostituzione di alcuni amministratori. Vorremmo sapere perché sono state sostituite persone appena nominate. Mi risulta che lei sia direttore dell'Agenzia dal 2011 e che, quindi, lei abbia controllato le attività di alcuni amministratori che ha sostituito in questi giorni per alcuni anni. Se hanno operato così male, è in ritardo lei nella sua azione di controllo. È vero che ha da fare tante cose, che tutto è centralizzato all'Agenzia – ci risulta che il potere di firma sia solo suo e della dottoressa Laganà – e che, quindi, magari le sfuggono le cose più importanti, ma, visto che era lei il controllore, nell'arrivare tanto tardi e con atti di accusa così pesanti, capisce bene che sta coinvolgendo anche se stesso nell'accusa generale che viene a portare al sistema. La ascoltiamo volentieri ma questa introduzione era doverosa. Il fatto che nel giorno in cui deve venire in audizione in Commissione lei rilasci un'intervista così pesante, con un atto di accusa tanto forte nei confronti di tutto il sistema, francamente ci ha lasciato molto preoccupati. Do la parola al prefetto Caruso.

  GIUSEPPE CARUSO, direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Io non ho rilasciato nessuna intervista. L'ho letta stamattina, come è stata letta da voi. L'ho letta e ho verificato che sono state riportate affermazioni da me fatte fin da quando ho assunto questo incarico. Segnatamente, per quanto concerne il Fondo unico giustizia (FUG), è stato riportato quello che ho detto in più occasioni, forse anche in questa sede. Ho citato anche da dove avevo appreso la notizia. Un articolo su Il Sole 24 Ore che pubblicava alcune dichiarazioni dell'allora sottosegretario all'interno Mantovano, il quale aveva richiesto formalmente al Ministero dell'economia il resoconto delle risultanze e dei redditi ricavati attraverso i sequestri e le confische che giacevano al FUG. A quella domanda – dice sempre il Sottosegretario Mantovano – è stato risposto che al 31 dicembre del 2012, ma non vorrei sbagliare, risultavano depositati al FUG complessivamente 2 miliardi di euro. Di questi 2 miliardi, uno era in contanti e l'altro in titoli. Del miliardo in contanti gli fu riferito che 350 milioni non venivano utilizzati, e io ho aggiunto, a mio giudizio, giustamente. Anzi, forse li avrei aumentati a 500 milioni. Per alcuni sequestri non si era ancora arrivati alla confisca definitiva, ragion per cui non era da escludere che qualche cosa bisognasse restituirla. Andava bene, quindi, accantonare questi 350 milioni. Non hanno saputo rispondere alla domanda del sottosegretario, il quale chiedeva perché i rimanenti 650 milioni risultassero ancora depositati e non utilizzati, come prevede la legge, dal Ministero della giustizia per il migliore funzionamento dell'apparato giudiziario e dal Ministero dell'interno per affitti, caserme, commissariati e via elencando. Sempre il sottosegretario, su quell'articolo di Il Sole 24 Ore, poneva poi il problema del miliardo di euro in titoli. La risposta che gli è stata fornita era che nessuno voleva assumersi la responsabilità di cambiarli, per paura che nel mese o nei due mesi successivi avrebbero potuto aumentare di valore. Non se ne volevano assumere la responsabilità. Questo è il dato storico. Questa è la lettera indirizzata dal sottosegretario all'interno all'epoca al Ministero dell'economia, con la relativa risposta. Il tutto fu pubblicato su Il Sole 24 Ore e ripreso poi in altre occasioni. Laddove mi è stata fatta in passato, in varie sedi, una domanda sul reddito derivante dai sequestri e dalle confische e sulla fine che facessero questi redditi, io mi sono limitato a rispondere in questi termini, attingendo alle notizie riportate da Il Sole 24 Ore. Quello che èPag. 5stato riportato oggi è probabilmente stato ripreso da quanto in più occasioni, lo ripeto, io ho dichiarato attingendo a quella fonte. 

  Quanto all'autorità giudiziaria, io lavoro da quarant'anni esatti con l'autorità giudiziaria. Il mio compito è stato, ed è, a maggior ragione adesso, quello di coadiuvare l'autorità giudiziaria. A differenza di quello che ha riferito, virgolettando, il coadiutore della confisca Piazza, il mio presunto intento di delegittimare gli amministratori e l'autorità giudiziaria di Palermo è assolutamente falso. Non corrisponde assolutamente a verità. Lo si può capire riportando le schede delle quattro persone per le quali mi è stato chiesto di interloquire, le quattro intervistate dai giornali della settimana scorsa, delle quali mi è stato richiesto di parlare e sulle quali io non ho avuto alcuna interlocuzione con il giornalista, se non riprendendo frasi che continuo a ripetere esattamente da due anni e mezzo, da quando sono direttore di questa Agenzia: noi abbiamo rilevato che, disattendendo la legge, la maggior parte dei soggetti del Centro-Sud che ricoprono l'incarico di amministratore giudiziario, soprattutto nelle grosse aziende, ricopre anche la carica di presidente nei consigli di amministrazione delle stesse aziende. In sostanza, le stesse persone fanno il controllore e il controllato, ossia l'Elkann e il Marchionne della situazione. Ciò è ipotizzabile in positivo per quanto concerne la fase del sequestro, perché il proprietario resta il mafioso, ma non è ipotizzabile quando il bene è in confisca definitiva e, quindi, l'erario ne è il proprietario. Preso atto di questo e verificati gli emolumenti stratosferici che venivano attribuiti, abbiamo aspettato che cessasse l'incarico di amministratore giudiziario – depositerò poi le schede – di questi quattro signori. 
  Innanzitutto Cappellano Seminara non l'abbiamo tolto come coadiutore. Resta ancora il coadiutore per quanto concerne la confisca Piazza e, quindi, non abbiamo esautorato nessuno. Lui è stato tolto da presidente del consiglio di amministrazione della stessa azienda proprio per il principio che non possiamo consentire che il controllore sia il controllato. Che cosa ha determinato ciò ? Innanzitutto, questa è una situazione che si è verificata l'anno scorso, più di un anno fa, alla scadenza, che è stata a dicembre 2012. Hanno affastellato tutte queste rimozioni, all'improvviso. Non sono state all'improvviso. Sono arrivate puntualmente alla scadenza del mandato di questi soggetti. La scadenza del mandato di presidente del consiglio di amministrazione di Cappellano Seminara, per quanto concerne Piazza, è avvenuta nel dicembre del 2012. Cosa ha determinato questa rimozione ? Con il nuovo consiglio di amministrazione, a differenza dell'immobilismo di quella procedura, che era stata valutata in fase di sequestro e poi di confisca circa 800 milioni di euro e che dopo tanti anni della gestione di Cappellano Seminara non aveva determinato alcun vantaggio per lo Stato, abbiamo cambiato direzione. Non era stato affidato alcun immobile. Questa è una confisca che comprende circa 495 immobili e non ne era stato dato nemmeno uno all'ente territoriale. Nel momento in cui abbiamo cambiato il consiglio di amministrazione, su mandato mio, questo consiglio di amministrazione mi ha certificato formalmente che l'espungere eventuali immobili da questa immobiliare non avrebbe determinato un disequilibrio economico-finanziario dell'azienda. Con questa certificazione io ho potuto fare quello che si sarebbe dovuto fare anni e anni fa, ossia ho potuto espungere tantissimi beni che ho potuto destinare al comune di Palermo. Tanto per entrare nel dettaglio, se ricordo bene, si è trattato di 30 edifici che erano destinati a uso di istituti scolastici, per i quali il comune di Palermo pagava prima al mafioso e poi all'amministrazione 2 milioni di euro circa. Da quando li abbiamo espunti e destinati, il comune non paga più tutto questo. Abbiamo potuto espungere e dobbiamo destinare al comune moltissimi appartamenti. Abbiamo già avuto un incontro con il sindaco. Questi appartamenti, laddove possono essere destinati per l'emergenza alloggiativa ai non abbienti, verranno prontamente riassegnati. Laddove Pag. 6non possono esserlo perché magari sono di particolare pregio o sono affittati e regolarmente pagati, dopo aver fatto aprire al competente assessorato all'economia del comune il capitolo apposito, si devono mettere gli introiti di questi affitti in un apposito capitolo e destinare il reddito per i buoni casa, sempre per il problema dell'emergenza abitativa. Questo si è potuto fare dopo anni di assoluto immobilismo, dopo che abbiamo potuto cambiare il consiglio di amministrazione e io ho potuto avere questa certificazione. Per quanto concerne l'onorario, mi risulta che in passato, solo per l'incarico della confisca Piazza Cappellano Seminara abbia preso una prima tranche di 7 milioni, come onorario. Per quanto concerne, invece, il consiglio d'amministrazione, come presidente, percepiva 150 mila euro l'anno. Gli altri due percepivano, mi pare, uno 80 mila e l'altro 60 mila euro. I tre relativamente nuovi dal dicembre del 2012, ossia dalla scadenza, prendono tutti e tre complessivamente 150 mila euro per questo compito, esattamente quanto prende Cappellano Seminara. 
  Quanto all'avvocato Cappellano Seminara, per quanto concerne le confische definitive – io non conosco il numero degli incarichi che lui ha in termini di beni sequestrati, perché non dipendono da me – abbiamo verificato in questi giorni che ha 31 incarichi come procedure di confisca e 28 incarichi come amministratore unico, componente o presidente del consiglio di amministrazione, o liquidatore in 25 società. Complessivamente, solo per le confische definitive ha incarichi per 56 tra procedure e aziende confiscate. Questo per quanto riguarda Piazza. 
  Passiamo all'operazione azienda vinicola Suvignano. Cappellano Seminara, pur gestendo e operando a Palermo, era ancora amministratore unico dell'azienda agricola Suvignano. Lui non ha risolto, anche perché la legge lo impediva, i problemi nel senso auspicato da noi per quanto concerne la possibilità di cedere l'azienda alla regione Toscana, che ne aveva fatto richiesta. Alla scadenza del suo mandato, non conoscendo nessuno in quel di Siena, io ho telefonato al prefetto di Siena chiedendogli il nominativo di una persona in grado di continuare a gestire, finché era da gestire, finché non si poteva destinare, quell'azienda. Abbiamo risparmiato un quarto degli emolumenti che Cappellano Seminara prendeva come amministratore unico, nonché le spese di trasferta, di pernottamento e di viaggio, che ovviamente sosteneva nell'andare da Palermo a Suvignano. Ripeto e sottolineo che l'abbiamo fatto alla scadenza del mandato.

  PRESIDENTE. Il mandato di che cosa, signor prefetto ? Noi siamo sicuramente meno conoscitori di lei della legislazione, delle regole, delle norme e del funzionamento, ma io faccio molta fatica a seguirla. Non so se i commissari la seguono, ma penso che non riusciamo a seguirla. Se lei ha una carta scritta e ce la legge, forse è meglio, perché in questo momento io non ho capito. Noi non siamo interessati al destino dei singoli amministratori. Vorrei che fosse chiara questa cosa. Ci interessa il funzionamento del sistema e il punto è uno solo: se queste persone prendevano parcelle d'oro per non far nulla e se gestivano i beni a fini privati, queste sono affermazioni gravi. Se non sono sue, signor prefetto, lei deve fare una smentita ufficiale molto seria e vedersela con il giornale e con i giornalisti. Le dichiarazioni riportate da lei sono queste: questi signori stavano lì, prendevano parcelle d'oro per non far nulla e gestivano questi beni a fini privati. Questo per molti anni. Molti di questi anni coincidono con la sua responsabilità all'Agenzia, signor prefetto. Delle due l'una: o lei per alcuni anni non ha visto che questi signori prendevano parcelle d'oro per non far nulla e usavano beni confiscati alla mafia per fini privati – è un'ipotesi – oppure oggi lei fa delle affermazioni gravi. Noi vogliamo capire se lei per due o tre anni, da quando è in carica, non si è accorto di nulla. Noi qui non siamo preoccupati se c’è o meno la scadenza. Siccome lei subentra a un certo punto: quando i beni confiscati la responsabilità è la sua e comunque lei è vigilante Pag. 7insieme all'autorità giudiziaria in tutta la procedura. 

  Allora le chiedo: ha vigilato o non ha vigilato ? Vorrei che fosse chiaro che noi siamo interessati al funzionamento del sistema. Non stiamo difendendo le parcelle di nessuno, gli incarichi di nessuno, gli alberghi di nessuno. Il problema è un altro. È stato affermato che il patrimonio confiscato alla mafia è stato gestito dallo Stato, o da persone nominate dallo Stato – perché di Stato si tratta, che siano la magistratura o che sia l'Agenzia dei beni confiscati – a fini privati e per prendere parcelle d'oro. Se ne rende conto ? Noi vogliamo capirci qualche cosa di più. Questo è il nostro interesse. Io non so chi sono questi signori e non mi interessa il loro destino. Mi interessa sapere se in questi anni si è usato bene questo potere o si è usato male, da parte di tutti. Questo è l'interrogativo. Io non ho capito, per esempio, un fatto: la confisca Piazza è del 2009 e lei è direttore dell'Agenzia dal 2011. Se questo avvocato percepiva parcelle per non fare nulla, quanti anni sono passati prima che lei l'abbia rimosso dal suo incarico ?

  MARIA ROSARIA LAGANÀdirigente Ufficio beni sequestrati dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. [Fuori microfono]
  GIUSEPPE CARUSOdirettore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Glielo spieghi...
  PRESIDENTE. Non lo deve spiegare a me, mi scusi. Un po’ di rispetto...
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:26
I soldi della Mafia e dell'Antimafia/ Pino Maniaci: “Gli amministratori giudiziari fanno fallire le aziende perché ci guadagnano” 


Giulio Ambrosetti [16 Sep 2015 | 

Intervista a Pino Maniaci, il direttore di TeleJato che ha fatto saltare in aria gli affari legati al mondo dei sequestri dei beni ai mafiosi. La sua grinta. Ma anche la sua solitudine: “Ho provato a contattare Michele Santoro e Milena Gabanelli. Tutto inutile”. La clinica Santa Teresa di Bagheria “vicina al fallimento”. Le domande che la redazione di TeleJato ha inviato alla dottoressa Saguto. Che non ha mai risposto 
“Oggi sono molto amareggiato. E addolorato. No, non sono affatto felice. Scoprire un verminaio dentro il Tribunale di Palermo non mi ha dato alcuna soddisfazione. Anzi, se proprio debbo essere sincero, sono molto preoccupato. Non vorrei che, per tutto quello che sta venendo fuori in materia di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, i mafiosi brindino. Mi auguro che la Procura della Repubblica di Caltanissetta metta in luce tutto il malaffare, individuando i responsabili e ripristinando la legalità”. 
Così parla Pino Maniaci, il battagliero e coraggioso direttore di TeleJato. L’uomo è abituato alle bufere. I mafiosi di Alcamo, Partinico, Castellammare del Golfo, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Corleone, Cinisi, Terrasini, Montelepre, in tutti questi anni, gliene hanno fatto vedere di tutti i colori. Minacce, intimidazioni, auto incendiate, i suoi cani impiccati. Fare un giornalismo d’inchiesta contro i mafiosi non è facile. Tutt’altro. Ma lui tira dritto. Anche se incontra una montagna. Perché Pino Maniaci e la redazione di TeleJato, di fatto, negli ultimi due anni, si sono scontrati contro una montagna che, come tutte le montagne, non è facile spianare. Una montagna fatta del vero potere: quello di certi magistrati che gestiscono i beni sequestrati e confiscati alla mafia. Una montagna che si chiama sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo.
Ebbene, Pino Maniaci e la redazione di TeleJato sono riusciti, da soli, a spianare questa montagna di
silvana saguto
Il giudice Silvana Saguto
malaffare. Oggi la montagna non c’è più. La presidente della sezione per le Misure di prevenzione, Silvana Saguto, si è dimessa. E sembra che con questa figura, che ci ricorda un certo Sansone, potrebbero cadere pure tutti i filistei: cioè tutti gli amministratori giudiziari che, per tanti anni, hanno brillato della ‘luce’ irradiata dalla dottoressa Saguto.
Con Pino Maniaci proviamo ad affrontare il ‘caso’ del verminaio da una particolare angolazione: l’economia.
Alla fine certi amministratrori giudiziari hanno devastato l'economia? 
“In certi casi sì - ci dice Maniaci -. Questa è una storia dalle tante sfaccettature. E tra queste sfaccettature c’è anche l’economia. Ora la domanda la pongo io: secondo voi, può un Tribunale gestire l’economia di un’intera provincia?”.
Si riferisce, ovviamente a Palermo e provincia, no?
“Certamente. A Palermo e provincia si concentra il 43 per cento dei beni sequestrati e confiscati. Ebbene, per la gestione di questi beni non sono state nominate figure di prestigio. La sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha nominato solo avvocati. Mi chiedo e chiedo: possono gli avvocati, che spesso non hanno alcuna esperienza imprenditoriale, andare a gestire aziende dove, in tanti casi, lavorano decine, se non centinaia di persone? Attenzione: noi non stiamo contestando la legge sul sequestro ed eventuale confisca dei beni ai mafiosi. La legge è giusta. Noi ci siamo occupati della gestione di questi beni. E abbiamo scoperto cose incredibili! Parcelle enormi. Aziende sane portate al fallimento con enormi danni per l’economia. Lo sapete che il 90 per cento delle aziende finite nelle mani degli amministratori giudiziari falliscono?”.
Perché le fanno fallire?
“Perché gli conviene”.
In che senso?
“Se fanno fallire un’azienda non debbono rendicontare un bel niente. Se invece la tengono in vita debbono rendicontare tutto”.
Il problema, se abbiamo ben capito, non riguarda solo le aziende confiscate, ma anche quelle poste sotto sequestro che, in teoria, potrebbero tornare al legittimo proprietario.
“Per l’appunto”.
Salvo Vitale, qualche giorno fa, ha scritto che molte di queste aziende avrebbero dovuto essere restituite ai legittimi proprietari scagionati dalle indagini. Ai quali hanno restituito aziende malconce.
“Io direi devastate”.
Come fanno a devastare le aziende?
“Con un metodo ben organizzato e ben oliato”.
Proviamo a descriverlo?
“Prima arriva l’amministratore giudiziario nominato dalla sezione per le Misure di prevenzione. E già qui le parcelle volano. Poi spuntano tre coadiutori da 4 mila e 500 euro al mese cadauno. Quindi tocca ai periti che si tengono il cinque per cento del capitale. Il cerchio si chiude con i consulenti”.
Insomma, tante tavole apparecchiate…
“Già”.
Ma che mondo è quello degli amministratori giudiziari made in dottoressa Silvana Saguto?
“E’ un modo chiuso. Solo per pochi eletti”.
Voi di TeleJato come siete arrivati a questo mondo?
“Tutto è iniziato con la denuncia di alcuni operai di un’azienda di calcestruzzo. Un’azienda sana sottoposta a sequestro. Gli operai sono venuti da noi a raccontarci che l’amministratore giudiziario invece di fare lavorare loro faceva lavorare i padroncini di un’altra azienda sottoposta a sequestro. La cosa ci ha allertato. E ci siamo gettati in questa storia. Piano piano, una dopo l’altra, abbiamo iniziato a scoprire tante storie, una più strana dell’altra”.
Man mano che andavate avanti non vi sono arrivati avvertimenti?
“Che dire? Un giorno ho chiesto a un magistrato: ma perché per gestire questi beni vengono nominate quasi sempre le stesse persone? Mi ha risposto: o perché sono bravi, o perché gli piacinu i picciuli (tradotto per i non siciliani: perché gli piacciono i soldi)”.
La seconda tesi ci sembra più veritiera.
“Anche a me”.
Altri avvertimenti?
“Un altro mi ha detto: Pino stai mettendo i piedi su una mina. E un altro ancora ha precisato: sai, se non ti ammazzerà la mafia, questa volta ti ammazzerà l’antimafia”.
Ne ha incontrati, di personaggi particolari, in quest’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati.
“Eccome! Ricordo il giudice Tommaso Virga. Archivia un procedimento a carico della dottoressa Saguto. Dopo qualche settimana Walter Virga, suo figlio, incassa una nomina. Se non ricordo male, 700 mila euro”.
Parla del giudice Virga del CSM?
“Sì, ma oggi non fa più parte del Consiglio Superiore della Magistratura”.
In questa storia, oltre ai magistrati, sono coinvolte altre figure istituzionali?
“Sì. Ci sono Carabinieri, militari della Guardia di Finanza. La dottoressa Saguto cercava di accontentare tutti. Di tutto e di più”.
Avete provato, in questi due anni, a coinvolgere altri esponenti del mondo dell’informazione?
“Certo. Mi sono rivolto a Michele Santoro, a Milena Gabanelli e ad altri”.
Cosa le hanno risposto?
“Nulla. Non si sono mai fatti sentire. La verità è che, a parte Le Iene, in questa storia noi di TeleJato siamo rimasti da soli. Tutti gli altri si toccavano il culo con la pezza. Mi hanno preso per matto. Per uno fuori dagli schemi. Oggi mi danno pacche sulle spalle”.
Alla fine che idea si è fatto di questa storia?
“Che è una storia ben più grave di Mafia Capitale. Nella gestione dei beni sequestrati alla mafia sono coinvolti ‘pezzi’ dello Stato. Invito tutti a riflettere sul silenzio della politica. E sul silenzio dell’antimafia ufficiale. A cominciare dalla commissione nazionale antimafia”.
E’ corretto parlare di mafia dello Stato?
“Io parlerei di mafia dell’antimafia”.
C’è qualcosa che l’ha particolarmente colpito di più in questa storia?
“Sì: la gestione disinvolta dei sequestri di beni. Ci sono beni societari sotto sequestro da diciassette anni! Questo è incredibile. La signora Saguto è stata capace di far modificare la legge sulla scadenza dei termini. Questo avveniva nel 2011. Di fatto, sui sequestri non c’è più scadenza!”.
Ma il Procuratore della Repubblica, il presidente del Tribunale e tutte le altre autorità non sapevano nulla?
“Dovrebbe chiederlo a loro”.
Nella vostra inchiesta avete incrociato politici?
“Ricordo che il senatore Giuseppe Lumia si è battuto per il sequestro di alcune aziende che operano nell’area portuale di Palermo. Aziende che sono ancora sotto sequestro. E sapete chi è l’amministratore giudiziario?”.
Ci dica.
“L’avvocato Gaetano Cappellano Seminara”.
Un nome a caso…
“Sì, un nome molto a caso”.
Che ci dice della clinica Santa Teresa di Bagheria, quella confiscata all’ingegner Michele Aiello?
“Ah, qui ci sarebbe una bella storia”.
Ce la racconta?
“E’ semplice: una lite tra l’ex amministratore giudiziario della clinica Santa Teresa, Andrea Dara, e l’avvocato Cappellano Seminara”.
Ancora lui?
“Sì, ancora lui”.
E che c’entra l’avvocato Cappellano Seminara con la clinica Santa Teresa?
“Ha fatto una bella consulenza. E si è beccato una parcella da circa un milione di Euro”.
Ammazzate!, direbbero a Roma. E poi che sa sul Santa Teresa.
“Poco. Pare che sia sparita una Porsche. E pare che siano stati venduti macchinari per milioni di Euro”.
Venduti? A chi?
“Venduti a dei medici”.
Ma è vero che la clinica Santa Teresa, come si dice in Sicilia, èmuru cu muru cu ‘u spitali? (tradotto: è in difficoltà economiche).
“Credo che sia vicina al fallimento. Insomma, è in grosse difficoltà economiche. Detto questo, l’attuale amministratore, il prefetto Giosuè Marino, è una gran persona per bene”.
La presidente dell’Antimafia nazionale, Rosy Bindi, si è fatta sentire?
“Per favore!”.
Cioè?
“Che vi debbo dire? Ricordo che un giorno è arrivata in Sicilia per portare la solidarietà al giudice Nino Di Matteo. E invece poi ha espresso solidarietà alla dottoressa Saguto. Insomma, per l’onorevole Bindi nella gestione dei beni sequestrati alla mafia andava tutto bene”.
E Claudio Fava?
“Anche per lui andava tutto bene”.
Ma voi vi siete rivolti alla dottoressa Saguto?
“Certo! Le abbiamo chiesto un’intervista. Ci ha risposto dicendoci: inviate le domande. E noi gliele abbiamo inviate”.
Ha risposto?
“Sì: in tre righe. Vi leggo la risposta: ‘In riferimento alla proposta di intervista, sono spiacente di dover declinare la richiesta, poiché, per indirizzo della sezione, non si forniscono informazioni sull'andamento della stessa. Saluti Silvana Saguto’ Capito?”.
Ci può fornire le domande che avete posto alla dottoressa Saguto? Così i nostri lettori si fanno un’idea degli argomenti sui quali l’ex presidente della sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha glissato.
“Certamente. Eccole”.
Queste le domande che la redazione di TeleJato ha posto alla dottoressa Saguto.
Egregia dottoressa Saguto, con la presente le inviamo le domande, come da lei richiestoci, che vorremmo porle nel corso di un’intervista al fine di spiegare ai nostri telespettatori i problemi e le dinamiche riguardanti la gestione dei beni sequestrati alla criminalità, soprattutto quella organizzata.
-          In mancanza dell’albo degli amministratori giudiziari, che pure dovrebbe esistere, come previsto dalla legge del 2010 (DECRETO LEGISLATIVO 4 febbraio 2010, n. 14 e successive modifiche) come si nominano gli amministratori giudiziari?
-          Secondo la prassi gli amministratori giudiziari hanno un rapporto fiduciario con il giudice che li nomina e con i sostituti che si occupano di più specifici ambiti territoriali: questo rapporto è totalmente discrezionale o vi è un garante esterno che può intervenire e sindacare le scelte del tribunale?
-          I periti che devono occuparsi di accertare la provenienza lecita o meno del bene hanno un particolare criterio di scelta od anche quello è discrezionale nella persona del presidente dell’ufficio delle misure di prevenzione e dei suoi sostituti?
-          In che misura e secondo quali crismi vengono calcolate le parcelle degli amministratori e dei periti? Possiamo anche parlare di Milioni di euro?
-          Grave problema, riscontrabile sul territorio, è il deperimento naturale che in particolare le aziende e le imprese, ma solitamente tutti i beni , hanno durante il periodo di amministrazione giudiziaria. Ora, al di là dei rimpalli di competenza con le associazioni subentranti come assegnatari, è evidente che il cittadino medio, che vede decadere le aziende floride, seppur mafiose, sia quasi autorizzato a pensare che lo stato non sia in grado di subentrare alla Mafia, e che economicamente e lavorativamente i mafiosi siano più convenienti. Di quanto detto siamo in grado di fornire diversi esempi, tra i quali i cassaintegrati della <> ed il tracollo della ditta di latticini <>. Quali sono, viene da chiedersi, le competenze esigibili dagli amministratori giudiziari? Come si risolvono eventuali inefficienze ed inadeguatezze?
-          E’ chiaro che non essendoci un albo da cui attingere nominativi è logico ricorrere al sistema del rapporto fiduciario con enti e soggetti del territorio. In tutto ciò si possono verificare evidenti problemi di conflitti d’interesse, che al di là di perniciosi discorsi legislativi, oltrepassano il confine della buona fede e del buon esempio che l’apparato giudiziario deve sempre esprimere. Come si interviene in questi casi? C’è un ente terzo che dovrebbe pronunciarsi? Se così non fosse ci sarebbe la strana regola per cui a pronunciarsi sui conflitti d’interesse sarebbe lo stesso soggetto, ovvero il giudice, coinvolto nel conflitto.
-          In ambito territoriale si riscontra un dato sociologico allarmante, ovvero la scarsa propensione della gente ad accettare l’amministrazione giudiziaria, per i motivi precedentemente esposti. Noi, che partiamo proprio dal territorio per fare un’analisi oggettiva dei fatti le chiediamo: è opportuno che un amministratore giudiziario come il Signor Benanti, dopo essere stato sospeso dall’amministrazione di un bene per avere commesso gravi condotte sia ancora oggi amministrare di altri beni? Cosa vieta di pensare che la condotta si reiteri? Come mai non si è proceduto in suddetto caso, come più logicamente ipotizzabile, alla sospensione totale del rapporto che lega il Sig. Benanti con il Tribunale?
-          Continuando proprio nella scia della richiesta di doverosa trasparenza da parte di tutte le componenti del tribunale le chiediamo: come mai si è deciso di procedere anche con un'altra nomina ad amministratore giudiziario, ovvero quella con lo studio dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, nonostante lo stesso sia in questo momento inquisito per fatti, ancora da verificare alla luce del diritto, ma che si presentano foschi dal punto di vista umano e morale?
Cordiali Saluti, la redazione di Telejato

La risposta
In riferimento alla proposta di intervista, sono spiacente di dover declinare la richiesta, poichè, per indirizzo della sezione, non si forniscono informazioni sull'andamento della stessa.
Saluti
Silvana Saguto


Il cancro d'Italia che la sta uccidendo: le collusioni tra mafia, politica e imprenditoria 

Vincenzo Musacchio *

Le nuove mafie non usano più metodi violenti ma si servono della corruzione per snaturare l'economia e la finanza, sottraendo ingenti risorse destinate al bene comune. Si deve subito impedire ai politici e ai burocrati di turno - attraverso una legislazione stringente e una rete di controlli effettiva ed efficace - di dare ai clan mafiosi la possibilità di gestire appalti e lavoro. L'attuale legislazione è insufficiente, serve una nuova rivoluzione culturale
In Italia solo nel 2014 sono scattate indagini di natura penale e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici in quasi tutte le regioni. Sono stati sciolti oltre duecentocinquanta consigli comunali per presunte infiltrazioni mafiose e più di ottanta parlamentari dell’attuale legislatura sono indagati, imputati e condannati per reati di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e per altri reati contro la pubblica amministrazione. Le collusioni tra politica, criminalità organizzata e imprenditoria sono attualmente gli aspetti più preoccupanti per il nostro Paese poiché mettono a rischio la stabilità delle istituzioni democratiche. 
Le nuove mafie, oggi, non usano più metodi violenti ma si servono della corruzione per alterare i normali processi della politica, minare la credibilità delle istituzioni, inquinare gravemente l'ambiente e snaturare l'economia e la finanza, sottraendo ingenti risorse destinate al bene comune, sgretolando il senso civico e la cultura solidaristica del nostro Paese. La simbiosi tra mafie, politica ed economia attualmente è presente in molti settori produttivi nazionali con grande prevalenza nel settore degli appalti pubblici e delle pubbliche sovvenzioni statali ed europee. I predetti legami servono alle mafie soprattutto per condizionare le scelte degli amministratori che sovrintendono le procedure pubbliche, instaurando in tal modo un circuito per lo scambio di favori illeciti. La politica, da un lato, garantisce affari e profitti alla criminalità organizzata, dall’altro, quest’ultima assicura la disponibilità di voti necessari per essere eletti ai politici collusi. Mafia e politica, sotto questo profilo, si sostengono e si garantiscono a vicenda. Il terreno d’incontro è la corruzione e il profitto economico. Per i mafiosi, le enormi quantità di denaro a disposizione costituiscono anche il mezzo per accedere nella cabina di regia degli enti dello Stato sia a livello centrale che periferico allo scopo di eliminare la possibile concorrenza alle loro imprese e agire in regime di monopolio. 
In questo contesto, molto preoccupante, occorre domandarsi cosa si può fare per arginare queste situazioni criminose? Una delle azioni da concretizzare, senza tentennamenti, è senza dubbio quella di impedire ai politici e ai burocrati di turno - attraverso una legislazione stringente e una rete di controlli effettiva ed efficace - di dare ai clan mafiosi la possibilità di gestire assunzioni, appalti e altri vantaggi che consentono loro di offrire ai cittadini possibilità di lavoro. E’ indispensabile fare in modo che per ottenere i propri diritti non si debba più ricorrere al mafioso, al politico o imprenditore colluso. Bisogna assolutamente sradicare la convinzione che la mafia garantisca lavoro. Una cosa difficile da realizzare, soprattutto nel Sud d’Italia, dove lo Stato latita da molto tempo. Dalla rottura dei legami mafie-politica-imprenditoria, a mio avviso, comincerà il vero cambiamento, ma, ciò è possibile solo a condizione che nel nostro Paese si comincino a lottare concretamente la criminalità organizzata, la corruzione, l’evasione fiscale e la mala politica. 
Da esperto della materia posso affermare che l’attuale legislazione è assolutamente insufficiente. La dimostrazione della nostra tesi, ad esempio, risiede nel fatto che l’Italia sia la Nazione più corrotta d’Europa e al tempo stesso quella in cui vi sono meno condanne per corruzione, concussione e abuso d’ufficio. Di certo il virus che sta uccidendo lentamente il nostro Stato in buona parte risiede nell’indebolimento delle norme di controllo, nel depotenziamento del sistema giudiziario e in una burocrazia ferma al secolo scorso priva di trasparenza e di economicità. E’ il mix tra corruzione politica, criminalità organizzata ed economia adulterata il vero cancro della nostra società e non si può continuare a parlare di onestà, di trasparenza e di efficienza in uno Stato che, di fatto, non vuole lottare questi fenomeni così aberranti. 
Il cittadino dovrebbe comprendere che mafiosi, politici e imprenditori perseguono il profitto fine a se stesso servendosi soprattutto di  denaro pubblico, di cui non si riesce nemmeno a tracciare il percorso perché le norme sul riciclaggio sono inefficaci e quelle sull’autoriciclaggio inesistenti. Le confische patrimoniali, molto temute dai mafiosi, languono e anche questo è un aspetto a dir poco allarmante. In questo scenario catastrofico occorrerebbe una rivoluzione culturale che parta dai giovani sulla scorta di quanto accaduto in passato per combattere la mafia - penso alla “Primavera di Palermo” negli anni novanta - quando una moltitudine di cittadini ebbe il coraggio di scendere in piazza dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio per dire no alla mafia. Ecco occorre una nuova “Primavera di Palermo” ma questa volta senza i tanti morti ed estesa a tutta la Nazione per dire no alle mafie e alla corruzione. L’Italia si gioca una partita importantissima: o affronta i veri problemi che la attanagliano, e che ho descritto in precedenza, o sarà destinata al collasso totale. 
Musacchio
 *Vincenzo Musacchio -  Giurista, docente di diritto penale  e direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise



Inchiesta sui beni confiscati alla mafia: tremano i ‘Palazzi’ del potere di Palermo 

La VOCE Sicilia NY

L’inchiesta, condotta dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, avrebbe subìto un’accelerazione perché Report - la nota trasmissione televisiva d’inchiesta di Milena Gabanelli - starebbe realizzando una puntata su tale argomento. Con testimonianze e interviste ‘pesanti’. Sotto inchiesta Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara
Una bufera starebbe per abbattersi sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. E al centro di questa vicenda ci sarebbe Palermo, da sempre ‘Capitale mondiale di Cosa nostra’, dove si concentrerebbe oltre il 40 per cento dei beni confiscati agli uomini dell’Onorata società. A tremare sarebbero i protagonisti dei ‘Palazzi’ del potere. Ma questa volta ad essere coinvolti non sono i 'Palazzi' della politica siciliana, ma qualche alto rappresentante della Giustizia. Insomma, magistrati che indagano su altri magistrati. Nello specifico, la Procura della Repubblica di Caltanissetta che indaga sulla gestione di un segmento della Giustizia che opera presso il Tribunale di Palermo.  
Insomma, com’era prevedibile, la gestione dei beni confiscati alla mafia è diventato un caso giudiziario. Con il coinvolgimento del presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, il giudice Silvana Saguto, finita sotto inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio. Indagati anche l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, titolare di uno studio, con sede a Palermo, che da anni gestisce tante aziende confiscate ai mafiosi. Sotto inchiesta pure l'ingegnere Lorenzo Caramma, che in passato avrebbe avuto rapporti di consulenza con l’avvocato Seminara, quando la moglie non era ancora presidente della sezione del Tribunale che decreta le confische.
L'inchiesta viene fuori da alcune da denunce pubbliche. In particolare, c’è una denuncia di Massimo Ciancimino, che risale a cinque anni fa. E c’è una battaglia condotta con coraggio e determinazione dal direttore di TeleJato, Pino Maniaci. Sullo sfondo, beni confiscati che sarebbero stati assegnati quasi sempre a una ristretta cerchia di professionisti, che ne avrebbero ricavato parcelle molto ricche. L’inchiesta ruota sui beni immobili e beni aziendali confiscati in Sicilia.
Stando a indiscrezioni, l’inchiesta di Caltanissetta avrebbe subìto un’accelerazione perché su questa storia
mafia
avrebbero lavorato, e molto, i giornalisti di Report, la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli, giornalista di altri tempi abituata a non guardare in faccia nessuno. A quanto pare, sull’argomento potrebbero tornare anche Le Iene, altra trasmissione televisiva che si è ampiamente occupata di questa storia.
I finanzieri della  Polizia tributaria di Palermo avrebbero già fatto visita nello studio dell’avvocato Cappellano Seminara e nell’ufficio del giudice Saguto. Mentre i giornalisti di Report - stando sempre a quanto si sussurra - sarebbero riusciti a raccoglie testimonianze importanti, da parte di personaggi direttamente coinvolti in questa storia.
Le cronache registrano anche una dichiarazione ufficiale della Procura di Caltanissetta: “Questi atti istruttori sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla presidente della sezione Misure di Prevenzione del tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”.
Nel 2014 è stato il Prefetto Giuseppe Caruso, poco prima di lasciare la direzione dell'Agenzia per la gestione dei beni confiscati alla mafia, a denunciare la “gestione ad uso privato” dei beni confiscati. Il riferimento è ad alcuni amministratori giudiziari scelti dai Tribunali, con in testa il già citato avvocato Cappellano Seminara.
Le cronache di quei giorni roventi registrano una visita della Commissione nazionale Antimafia presieduta
nello musumeci
Nello Musumeci
da Rosi Bindi, piombata in Sicilia per difendere, forse in modo un po’ troppo ‘oleografico’, la magistratura. Della serie, non delegittimate il “sistema”, cioè la Giustizia. Un po’ più centrato, nel febbraio di quest’anno, l’intervento della Commissione Antimafia regionale, presieduta da Nello Musumeci, che, differenza delle ‘oleografie’ romane, ha toccato un punto nevralgico: “In alcuni casi - ha affermato Musumeci - abbiamo ricevuto denunce di incompatibilità, eccessiva concentrazione di incarichi, in altri tentativi di favorire società o studi professionali vicini all’amministratore”.
Poi è stata la volta del presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, nominato dal governo all'Agenzia nazionale oggi guidata dal Prefetto Umberto Postiglione. L’azione di Montante è durata poco, perché a suo carico è stata data notizia di un’indagine che lo vedrebbe coinvolto per fatti di mafia.
Sul sito Zone d’ombra tv si leggono alcune notizie che fanno chiarezza su un argomento complesso (che potete leggere qui). Si ricorda la raccolta di firme lanciate dall’associazione Libera per introdurre il riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati. E l’approvazione, da parte del Parlamento nazionale, della legge n. 109 del 1996. Legge che distingue tre categorie di beni confiscati alla mafia. Vediamoli.  
a) I beni mobili, ovvero denaro contante e assegni, liquidità e titoli, crediti personali (cambiali, libretti al portatore, altre obbligazioni), oppure autoveicoli, natanti e beni mobili che non fanno parte di patrimoni aziendali. Di norma, le somme di denaro confiscate o quelle ricavate dalla vendita di altri beni mobili sono finalizzate alla gestione attiva di altri beni confiscati. Anche se su questo non sono mancati i dubbi e le polemiche. Tant’è vero che, tra Montecitorio e Palazzo Madama, alcuni parlamentari meridionali hanno provato, senza successo, a far riportare i beni mobili confiscati nella disponibilità delle aree del Paese dove avvengono le confische. Battaglia parlamentare perduta, perché questi soldi rimangono a Roma.   


b) I beni immobili, ovvero appartamenti, ville, terreni edificabili o agricoli. Hanno un grande valore simbolico, perché rappresentano in modo concreto il potere che il boss può esercitare sul territorio che lo circonda. Possono essere utilizzati per “finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile”, come prevede la legge, o possono essere trasferiti al Comune di appartenenza. I Comuni, a propria volta, possono amministrarli direttamente o assegnarli, a titolo gratuito, ad associazioni, comunità e organizzazioni di volontariato. 

c) I beni aziendali: si tratta, in questo caso, di aziende frutto di riciclaggio di denaro ‘sporco’. In questa categoria ritroviamo aziende di vario tipo: agroalimentari (per esempio, supermercati), aziende che operano nell’edilizia, ristoranti, pizzerie e via continuando.
pino maniaci
Pino Maniaci
Nel sito si leggono alcune dichiarazioni di Pino Maniaci: "Insieme ad altri tre, quattro giudici - dice il direttore di TeleJato - la Saguto gestisce il 43 per cento dell'intero patrimonio sequestrato ai mafiosi in tutta Italia”, che ammonterebbe a circa 50 miliardi di Euro. Beni, aggiunge Maniaci, che sarebbero gestiti sempre le stesse persone, cioè dagli stessi amministratori giudiziari. 
I professionisti in grado di ricoprire il ruolo di amministratore giudiziario sono circa 4mila, tutti inseriti in un albo di amministratori competenti, che è stato costituito, per legge, nel gennaio 2014. “Alla lista - leggiamo sempre nell'articolo pubblicato dal sito - bisognerebbe attingere per la scelta delle professionalità in base a competenze e capacità. La scelta, a quanto pare, è arbitraria, effettuata dai giudici della sezione delle misure di prevenzione in cui si ritrovano molto i soliti trenta nomi.  Tra i preferiti dai giudici spicca il nome di Gaetano Cappellano Seminara, soprannominato il 'Re'. Il 90% delle aziende sequestrata e lui affidate, gran parte nel settore edilizio e immobiliare, sono state chiuse per fallimento”. Qui si tocca un tema caldo: la mancanza di cultura imprenditoriale da parte dei soggetti chiamati a gestire queste aziende, che spesso vanno in malora.
“Seminara - leggiamo sempre nell'articolo - oggi è uno degli avvocati più riccchi d'Italia. Un uomo che si occupa di beni sequestrati e confiscati, con 54 incarichi in varie aziende e amministratore di 250 aziende con un onorario che si aggirerebbe intorno ai 7 milioni di euro l'anno”. 
Nel sito di parla anche del conflitto di interessi dell’avvocato Seminara. “La Legalgest Srl è proprietaria di un hotel di cui Seminara avrebbe il 95% delle quote mentre il restante 5% apparterrebbe alla figlia. La curiosità è che l'amministratore della società è la nonna 82enne dell'avvocato. Nel 2011 la stessa Legalgest cede la gestione dei servizi alberghieri alla Tourism project Srl di cui è proprietaria, al 100% delle quote, la stessa Legalgest Srl”. Insomma, un gioco di scatole cinesi.  
“Appare strano - leggiamo sempre nell’articolo - che nessuno si sia accorto di un evidente conflitto d'interesse quando Seminara si è occupato, come amministratore giudiziario, di un altro gruppo alberghiero: la Ghs Hotels F. Ponte Spa”. 
"Esiste una sorta di cupola degli amministratori giudiziari che agiscono in perfetto accordo con il Tribunale di Palermo, in particolare al responsabile della sezione misure patrimoniali" chiarisce Salvo Vitale di Radio Aut e collaboratore di TeleJato. Nell’articolo si racconta anche del ruolo dell’avvocato Seminara nella discarica di Bucarest, ritenuta la più grande d’Europa. "Quando uno dei proprietari si ritirò e bisognava rinnovare il Consiglio di amministrazione – si legge sempre nel sito che cita un articolo de I Siciliani -  Cappellano pagò un lavavetri per acquistare, come prestanome, una quota importante ed entrare nel consiglio di amministrazione, per poi diventarne presidente, giochetto che gli è riuscito numerose volte. Questa volta il gioco è stato smascherato”.
Il caso è stato smascherato, manco a dirlo, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, già magistrato inquirente di punta al Tribunale di Palermo.  
“A non essere rispettata è la Legislazione Antimafia - Vittime della mafia e relativo Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. I beni confiscati sono circa 12.000 in Italia - si legge sempre nell’articolo -. La fase del sequestro, secondo la legge, non deve superare i 6 mesi, rinnovabile al massimo di altri 6, periodo in cui vengono svolte le dovute indagini e si decide il destino del bene stesso: se dichiarato legato ad attività mafiose esso viene confiscato e destinato al riutilizzo sociale; se il bene è pulito viene restituito al precedente proprietario. Nella pratica il bene non viene mantenuto nello stato in cui viene consegnato alle autorità, né vengono rispettate le tempistiche. In media, il bene resta sotto sequestro per 5-6 anni, ma ci sono casi in cui il tempo si prolunga fino ad arrivare a 16 anni”. 
“Una legge limitata - se legge ancora nell’articolo - da aggiornare, che non permette gli adeguati controlli e conduce troppo spesso al fallimento dei beni per le - forse volute - incapacità del sistema”.
Su Live Sicilia leggiamo la replica di qualche tempo fa dell'avvocato Cappellano Seminare: “Ho presentato una parcella lorda di 7 milioni di euro per 15 anni di lavoro durante il quale ho amministrato, insieme ad un team di 30 collaboratori, 32 società e ho accresciuto il valore commerciale degli asset a me conferiti a 1,5 miliardi di euro. Nel periodo di gestione giudiziaria i soli beni aziendali giunti a confisca hanno prodotto ricavi per oltre 280 milioni di euro, attestando così il costo della gestione giudiziaria a circa il 2,50% dei ricavi. Giova inoltre ricordare che dalla liquidazione disposta dal Tribunale, interamente corrisposta con fondi del patrimonio confiscato, ne è derivata a mio carico, in favore dell'Erario una imposizione fiscale di complessivi euro 4.248.281 pari al 60% del lordo percepito”. 

Appalti in Sicilia: il governo nazionale vuole tutelare gli ‘amici degli amici’? 

Riccardo Gueci* 9 Sep 2015

Il Parlamento siciliano, in materia di appalti pubblici, ha approvato una legge innovativa che blocca sul nascere i ‘cartelli’ di solito espressione dei grandi gruppi. Di fatto, è una legge che difende gli interessi delle imprese siciliane contro i mafiosi che, dagli anni della Cassa per il Mezzogiorno, operano all’ombra dei grandi gruppi nazionali. Antimafia vera che, però, non piace al governo Renzi… 
L'Autonomia speciale della Regione siciliana, appannaggio della borghesia mafiosa, è ridotta proprio male. Specialmente nelle materie che contrastano con gli interessi dei lavoratori siciliani e delle piccole imprese che, in Sicilia, si 'arrabbattano' per sopravvivere.
L'ultima in ordine di tempo è la legge sugli appalti di lavori pubblici, che in Sicilia è un problema di non poco conto, considerato l'uso che le grandi imprese fanno dei ribassi per aggiudicarsi i lavori, tranne poi a rientrare nei costi o utilizzando cemento impoverito, o più spesso attraverso marchingegni , come le riserve o le perizie di variante in corso d'opera.
Questi accorgimenti sono comunemente adottati dalle imprese, anche da quelle che si cimentano nelle costruzioni non tanto perché quello è il loro mestiere, ma per avviare attività di copertura di riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, specialmente di origine mafiosa. Magari dal traffico di droga da reinvestire in attività lecite. In questi casi la convenienza economica dell'appalto non è l'obiettivo principale dell'impresa mafiosa, ma un semplice diversivo teso a giustificare gli enormi guadagni che la mafia ottiene dai suoi traffici. Va da sé che i titolari delle imprese sono sempre persone con le “carte a posto”, irreprensibili e apparentemente dediti al loro lavoro.
In questa confusione di ruoli e di interessi chi ne soffre le conseguenze sono le imprese pulite, che fanno le proprie offerte sulla base di analisi costi-benefici ai quali aggiungono una quota di rischio d'impresa. Queste imprese, in genere, restano senza lavoro e per sopravvivere vivacchiano con piccoli lavoretti di manutenzione del patrimonio immobiliare esistente. Va precisato che i nuovi criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici siciliani valgono, oltre che per le opere pubbliche, anche per le forniture ed i servizi. In pratica, a nostro sommesso parere, la legge varata dal Parlamento siciliano è stata studiata sia per evitare l'aggiudicazione a massimo ribasso, sia per impedire manovre strategiche alle cordate combinate dei concorrenti.
Questa normativa approvata dal Parlamento siciliano è sicuramente innovativa e non è un caso che, oltre ad impedire gli appetiti delle imprese mafiose, rappresenta anche un modello anti corruzione contro gli affarismi poco trasparenti. Forse sarà per queste caratteristiche che la legge regionale 10 luglio 2015, n.14, è entrata nell'orbita censoria del governo nazionale di Matteo Renzi.
Ricordiamo che, nel Sud d’Italia, già ai tempi della cassa per il Mezzogiorno - cioè negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 del secolo passato - i grandi gruppi nazionali trovavano accordi con le mafie locali, penalizzando le imprese del Meridione non legate ad interessi mafiosi. Con questa nuova legge, di fatto, si impediscono giochi e giochetti che finiscono con il favorire gli interessi mafiosi.  
Vediamoli da vicino, le “Modifiche all'articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2011, n.12 introdotte con la nuova legge regionale. Si tratta di alcuni emendamenti che introducono criteri diversi si assegnazione delle gare d'appalto. Il primo così recita: “Per gli appalti di lavori, servizi e che non abbiano carattere transfrontaliero, nel caso in cui il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando che si applichi il criterio dell'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia prevista nel successivo comma”.
Il secondo comma dà la definizione di soglia di anomalia: “La soglia di anomalia è individuata dalla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del 10 per cento arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e quella di minor ribasso, incrementata o decrementata percentualmente di un valore pari alla prima cifra, dopo la virgola, della somma dei ribassi offerti dai concorrenti. Nel caso in cui il valore così determinato risulti inferiore all'offerta di minor ribasso ammessa, la gara è aggiudicata a quest'ultima”. Questo passaggio ai più sembrerà astruso. Semplificando, diciamo che individua ed esclude le offerte truffaldine.
Queste le parti essenziali delle modifiche apportate ai criteri di aggiudicazione, che sembrano essere state studiate per affidare le sorti delle gare d'appalto alla più ampia casualità. La qualcosa non è di scarsa rilevanza. Ma sono proprio questi accorgimenti che hanno fatto saltare sulla sedia il ministro delle Infrastrutture, Graziano Del Rio, che, di sicuro, avrà urlato: ma come si permettono questi siciliani di non consentire la ‘corretta gestione’ degli appalti! Ma siamo proprio impazziti?”. Insomma, i politici che ci stiamo a fare se non possono nemmeno ‘gestire’ gli appalti e favorire gli amici e gli amici degli amici? E la Sicilia, terra di mafia, fa uno sgambetto del genere alla mafia?
Così è iniziato il procedimento di contestazione della nuova legge siciliana con l'invio di una nota che mette in discussione, non solo il contenuto della legge, ma anche il significato stesso dell'Autonomia regionale siciliana, la quale in materia di legislazione in materia di appalti ha competenza primaria. Il testo della nota ministeriale, sulla questione, è assolutamente esplicito ed è proprio la casualità, cioè l'elemento innovativo centrale della legge regionale, l'oggetto della contestazione ministeriale del 25 agosto di quest'anno. In essa si osserva in primo luogo la difformità con i “criteri di valore economico indicati nell'articolo 86 del codice dei contratti pubblici” attraverso un meccanismo che, in sostanza, ne determina in modo casuale le variazioni in aumento o in diminuzione”. Ma l'aspetto più rilevante, e più grave, riguarda il richiamo al Codice degli appalti, il cui articolo 5 “dispone che le Regioni a Statuto speciale che adeguano la loro legislazione ai loro Statuti non possono prevedere una disciplina diversa dal Codice” per rispettare “le competenze esclusive dello Stato”. A sostegno delle sue tesi il ministero richiama due pronunciamenti della Corte Costituzionale, n.401 del 23 novembre 2007 e la n.431 del 14 dicembre 2007, nelle quali la Consulta riconosce “l’inderogabilità sia delle disposizioni che regolano l'evidenza pubblica, sia quelle concernenti il rapporto contrattuale”.
Queste osservazioni ci inducono - noi che non siamo grandi dirigenti amministrativi dello Stato e tanto meno costituzionalisti - a un’ovvia constatazione: che cosa c'entra l'evidenza pubblica o il rapporto contrattuale con i criteri di assegnazione degli appalti? La prima interviene in fase di pubblicazione del bando di gara, con le relative norme che la regolano; la seconda interviene successivamente all'aggiudicazione ed alla fase di rispetto reciproco delle condizioni contrattuali dell'appalto. Pertanto i riferimenti alle sentenze della Corte Costituzionale ci sembrano fuori luogo e comunque non sono minimamente violate dalla legge regionale in discussione.
I rilievi ministeriali si concludono con un’osservazione che è veramente un capolavoro di parole in libertà: “Alla luce dei consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, pertanto, le disposizioni della legge regionale in commento, oggetto dei rilievi illustrati, risultano adottate in violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera e) a tutela della concorrenza”. Qui la risposta è veramente semplice: le norme regionali sull'aggiudicazione degli appalti quali impedimenti oppongono alla libera partecipazione di centinaia o di migliaia di imprese? Quali sono i limiti che essa pone alla partecipazione in concorrenza?
Prima di passare alle controdeduzioni approntate dall'assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo, vogliamo consentirci una divagazione, rispetto alla quale avremmo sicuramente apprezzato un intervento critico del ministro Delrio. Essa riguarda due fatti che sono avvenuti in Italia in tempi relativamente recenti, ma che stanno lì a testimoniare la fallibilità delle legislazioni nazionali sugli appalti. Una riguarda le “ecoballe” nell'entroterra Napoletano e l'altra l'affidamento dei lavori di costruzione della tratta ferroviaria di congiungimento veloce Torino-Lione. Avremmo apprezzato che il ministro Delrio bloccasse i lavori della Torino-Lione, con l'annesso traforo plurichilometrico delle Alpi in Val di Susa, per conoscere a quale gara d'appalto transfrontaliera abbiano partecipato le imprese che stanno eseguendo i lavori. Questo sarebbe stato di sicuro un intervento a tutela della concorrenza. Che ne dice, Ministro Delrio?
In quanto alle ecoballe, se l'incarico di smaltimento dei rifiuti di Napoli fosse stato affidato ad una ventina di piccole imprese, certamente le ecoballe non esisterebbero. Si è scelto di affidarne l'incarico ad una grande impresa nazionale e le ecoballe sono ancora lì a far bella mostra di sé.
Passiamo ora alle controdeduzione dell'assessore regionale alle Infrastrutture, Pizzo. L'assessore Pizzo, in via preliminare, ricorda al Ministro Delrio che i riferimenti giurisprudenziali richiamati nella nota dei rilievi, cioè i riferimenti all'articolo 4 , commi 2 e 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 - il cosiddetto Codice degli appalti - oggetto dei pronunciamenti della Corte Costituzionale, “esplicano il loro contenuto normativo nei confronti delle sole Regioni ordinarie” Fa presente, tuttavia, che la legislazione regionale, anche a Statuto speciale, stabilisce che la potestà legislativa esclusivo/primaria deve essere esercitata “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato”. Questa sottolineatura è una raffinatezza. Come dire: caro Ministro, come dobbiamo legiferare in Sicilia lo sappiamo assai bene e non ci serve alcun insegnamento ministeriale. La perorazione dell'assessore regionale è assai circostanziata e puntuale che non possiamo, per ragioni di spazio, commentare integralmente. Ma un altro aspetto merita di essere riportato e riguarda il riparto delle competenze legislative in materia di appalti pubblici. A tal proposito essa fa riferimento al citato articolo 4 del citato decreto legislativo 163/2006 e ne richiama l'articolo 5, che ovviamente il ministro non aveva letto perché si era fermato agli articoli 2 e 3. L'articolo 5, appunto, stabilisce che “le Regioni a Statuto Speciale adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli Statuti e nelle relative norme di attuazione”.
E' nostro dovere segnalare positivamente l'impegno che in questa battaglia hanno messo gli imprenditori del settore a sostegno della decisione autonoma del Legislatore regionale. Dopo il movimento dei Forconi è la prima volta che una categoria si schiera in difesa dell'Autonomia siciliana.
Nota a margine. Non ne comprendiamo le ragioni strategiche, ma un dato è certo: la Regione siciliana e la sua Autonomia speciale da oltre vent'anni sono sottoposte ad un attacco sistematico ed al controllo delle sue risorse finanziarie. Una delle prime operazioni di controllo dall'interno del governo regionale avvenne con il governo di Salvatore Cuffaro, quando a dirigere l'Ufficio della Programmazione economica, cioè quello che aveva il compito di programmare la spesa dei Fondi strutturali europei, fu affidato ad una funzionaria ministeriale, la dottoressa Gabriella Palocci. Quello fu un periodo assolutamente nero per l'economia siciliana e fu anche il periodo nel quale vennero costituite ben 34 società in house, cioè società che dovevano fare i lavori di competenza degli assessorati. In pratica, fu una duplicazione della spesa corrente regionale con la “facciata” di spese d'investimento perché i fondi europei vennero assegnati in parte alle 34 società per azioni. Società che non operavano nel mercato, ma avevano l'esclusiva della committenza pubblica regionale. Un capolavoro di spreco, inefficienza e clientelismo a mani basse.
Poi fu la volta del governo di Raffaele Lombardo, l'autonomista - quello che prendeva a martellate le targhe delle vie intestate a Giuseppe Garibaldi - il quale accettò la condizione posta dal governo centrale di affidare la gestione delle ingenti somme destinate alla Formazione professionale ad un funzionario ministeriale, il quale ne fece di cotte e di crude, compresa quella di trasferire gran parte del Fondo sociale europeo dalla Sicilia ai ministeri romani.
Quindi è stata la volta del governo di Rosario Crocetta, al quale sono stati imposti prima Luca Bianchi e successivamente Alessandro Baccei quali assessori al Bilancio ed all'Economia. Risultato di queste gestioni finanziarie della Regione siciliana: l'economia dell'Isola cresce la metà di quella greca, la disoccupazione è dilagante e la povertà crescente.
Preferiamo fermarci qua e di non infierire, ma qualcosa sull'Autonomia siciliana ci ripromettiamo di dirla in seguito, anche se già in qualche occasione abbiamo avuto modo di accennare al nostro convincimento.

* Riccardo Gueci è un funzionario pubblico in pensione che, per noi, di solito, illustra e comenta i fatti di politica nazionale e internazionale. Cresciuto nel vecchio Pci, Gueci è rimasto legato all'iea della politica di Enrico Berlinguer. La politica, insomma, vista nella sua accezione nobile. Oggi si ricorda di esere stato un funzionario pubblico e commenta per noi una vicenda in verità molto strana: con il governo nazionale di matteo renzi che contesta una legge, approvata dal Parlamento siciliano, che punta a contrastare in modo serio gli interessi dei mafiosi e dei grandi gruppi nazionali che, dagli anni '50 del secolo passato, fanno affari con le mafie del Sud Italia. Cose strane, insomma...    
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:24
Parla l'omicida della cava: "Li ho uccisi perché mi hanno rovinato" 



Parla l'omicida della cava: "Li ho uccisi perché mi hanno rovinato"
"Li ho uccisi perche' mi hanno rovinato". Sarebbero queste le uniche parole pronunciate da Francesco La Russa, 49 anni, fermato per il duplice omicidio avvenuto ieri in una cava in contrada Giardinello, a Trabia, in provincia di Palermo. Le due vittime sono il consulente per la sicurezza, Gianluca Grimaldi, di 39 anni, e il direttore del cantiere Giovanni Sorci, di 56 anni. Risparmiata una terza persona, il ragioniere, che per un malore e' stato poi trasportato in ospedale. L'indagato, accusato di omicidio volontario, interrogato dai pm della Procura di Termini Imerese, si e' avvalso della facolta' di non rispondere. L'uomo, da sette mesi in mobilita', con moglie e tre figli a carico, in gravi difficolta' economiche e disperato, era convinto che i due ostacolassero il suo rientro al lavoro. Ed e' per questo che li ha freddati, a colpi di pistola, prima ha fatto fuoco contro Grimaldi, poi contro Sorci. Adesso l'indagato si trova detenuto nel carcere di Termini Imerese, in attesa di essere interrogato dal gip. Nel pomeriggio verra' eseguita l'autopsia sul corpo delle vittime.
La tragedia si intreccia con l'inchiesta sulla gestione dei beni confiscati alla mafia, che ha coinvolto, tra gli altri, la presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto. La cava era stata sequestrata a Cosa nostra, circa 5 anni fa, ed e' ora in amministrazione controllata. La gestione dell'azienda fa capo all'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, anche lui coinvolto nell'inchiesta. Che in qualche modo accusa i media del clamore suscitato con l'inchiesta: "Osservo che l'ingiustificata e ingiustificabile furia omicida di Francesco La Russa è esplosa dopo nove mesi dalla sua messa in mobilità, e solo in concomitanza al clamore che ha suscitato l'inchiesta da parte della Procura della Repubblica di Caltanissetta e che ha finito per scatenare attacchi personali nei confronti di tutti coloro che gestiscono i beni sequestrati alle mafie accusati di arricchirsi in danno dei titolari delle imprese dei proposti e dei loro dipendenti". "Sicuramente - dice ancora Seminara - l'osservanza del prescritto segreto delle indagini preliminari avrebbe contribuito ad evitare il formarsi di giudizi sommari ed affrettati oltre che infondati".  "Francesco La Russa - aggiunge il legale - non è una vittima della crisi economica o delle politiche dell'Amministrazione Giudiziaria. E' un criminale che ha distrutto 2 famiglie. Non solo era in mobilità ma aveva rifiutato di essere assunto alle medesime condizioni presso la Cava Valle Rena di Altofonte che dista solo 10 chilometri dalla Cava Giardinello. Chi versa in condizioni economiche difficili non rifiuta il lavoro che gli viene offerto".

"Sono molto addolorato per la morte dei due dipendenti ed anche per quel povero disgraziato che li ha ammazzati, ma non renderemmo loro giustizia se rimaniamo nell'ambiguità", afferma il presidente di Ance Palermo, Fabio Sanfratello. "Non basta mettersi la coscienza in pace, come fa qualche sindacalista, dicendo che le imprese pensano solo al loro profitto, perché quello è il compito dell'impresa - continua Sanfratello - Nel caso specifico, tra l'altro, la controparte non era un imprenditore avido, ma un amministratore giudiziario che rispettava scrupolosamente la legge. Uscire dall'ambiguità, dunque, significa affermare con chiarezza che l'edilizia sta morendo, anzi è già morta, perché questo governo regionale ha dirottato tutte le risorse ad essa destinate verso l'assistenzialismo: siano essi forestali o precari o dipendenti di aziende regionali decotte. E non ci sono neanche i soldi per cofinanziare i progetti europei, come ha recentemente affermato l'assessore Pizzo. Il sindacato non può continuare a difendere tutti. Lo poteva fare quando non c'erano limiti all'indebitamento pubblico. Ora bisogna scegliere: o si difendono gli investimenti nell'edilizia, e quindi i lavoratori edili disoccupati, o si difende l'assistenzialismo. Ma se riparte l'edilizia - conclude il presidente di Ance Palermo - si rimette in moto l'economia e ci saranno anche risorse per aiutare i più deboli. Al contrario non c'è speranza per nessuno".

I VOLTI
IN CELLA
Francesco La Russa, 49 anni, sposato e con tre figli, è stato arrestato per il duplice omicidio
IL RESPONSABILE
Gianluca Grimaldi, 39 anni, era il responsabile della cava, è una delle vittime
IL CAPO CANTIERE
Giovanni Sorci, 56 anni, direttore del cantiere della cava, ucciso dopo una lite con l'operaio



"Datemi il lavoro o sparo" Operaio perde il posto e uccide i suoi due capi
FRANCESCO PATANÉ
Una disperata vendetta, una folle punizione per chi continuava a promettergli solo a parole il rientro al lavoro.
Sarebbero questi i motivi che ieri poco dopo mezzogiorno hanno spinto Francesco La Russa, operaio di 49 anni, ad uccidere il direttore della cava Giardinello di Trabia Gianluca Grimaldi, 39 anni palermitano, e il capo cantiere Giovanni Sorce, 56 anni di Bagheria. Risparmiato il ragioniere. La Russa è stato arrestato dalla polizia dopo poco più di un'ora, dopo essersi rifugiato nell'abitazione dei genitori nelle campagne di Trabia. «O mi ridate il lavoro o vi ammazzo tutti», avrebbe detto Francesco La Russa, entrando nell'ufficio all'interno della cava di contrada Giardinello armato di una pistola calibro 9 regolarmente detenuta. Il 49enne operaio di Trabia, sposato e padre di tre figli, dallo scorso dicembre è in mobilità e da settimane si presentava nell'ufficio di Gianluca Grimaldi, che coadiuva l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara nell'amministrazione giudiziaria del bene sottratto nel 2007 alla famiglia Buttitta. Ogni volta la richiesta era sempre la stessa: tornare a lavorare. E ogni volta la risposta era identica: per ora non c'è. Una risposta che ieri a La Russa è suonata come l'ennesima presa in giro.
La discussione è subito degenerata: pare che sia Grimaldi che Sorce abbiano rinfacciato a La Russa di non aver accettato il lavoro nella vicina cava di Valle Rena. «Gli era stato proposto di lavorare in un'altra cava a dieci chilometri di distanza ma lui aveva rifiutato», commentano dallo staff dell'avvocato Cappellano Seminara.
Un operaio che era all'esterno ha sentito le grida, per un attimo ha pensato all'ennesima discussione dell'operaio in mobilità con i vertici dell'azienda. Poi nel silenzio della cava sono rimbombati gli spari. Da una prima ricostruzione degli agenti della squadra mobile che lo hanno interrogato fino a tarda sera, La Russa ha premuto il grilletto prima contro il capo cantiere Sorce, colpendolo a morte, poi ha puntato l'arma contro Gianluca Grimaldi. Il 39enne ha cercato di fuggire tanto che è stato raggiunto dai proiettili mentre correva nel corridoio vicino all'ufficio.
Secondo le testimonianze di alcuni dei 13 dipendenti della cava, La Russa dopo il duplice omicidio è uscito dall'ufficio impugnando ancora l'arma. «È salito nell'auto parcheggiata vicino al cancello d'entrata e si è allontanato come se nulla fosse successo», racconta un dipendente. L'allarme è scattato poco prima delle 13. Immediata è scattata la caccia all'uomo. Ad aiutare gli agenti anche il cognato di La Russa che lavora nella cava. Quando lo hanno trovato nella casa di campagna, l'uomo non ha opposto resistenza, ha confessato il delitto e ha indicato l'armadietto dove aveva appena nascosto l'arma.
Gianluca Grimaldi è il figlio di Elio Grimaldi, assistente nella cancelleria della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo che si occupa dell'assegnazione dei beni sequestrati alla mafia. Ieri la moglie straziata dal dolore continuava a ripetere: «Oggi Gianluca ha accompagnato la nostra bimba a scuola per il suo primo giorno di scuola, la mia bimba non lo rivedrà più è stata l'ultima volta che ha visto il suo papà».

IL LUOGO
La cava in contrada Giardinello a Trabia dove un operaio che ha perso il lavoro ha ucciso due suoi capi. La cava, sequestrata alla mafia, è ora in amministrazione giudiziaria

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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:22
Perchè tanto silenzio sui miliardi di euro dell’Antimafia?

Fabio Cammalleri

Dopo che per anni i giornalisti della piccola Telejato diretta da Pino Maniaci avevano suonato l'allarme che nessuno voleva ascoltare, finalmente si indaga sulla gestione di beni sequestrati e confiscati per mafia in seno al Tribunale di Palermo. Ma i reati supposti potrebbero celare molto di più, e risultare un comodo capro espiatorio. Bisogna allargare lo sguardo,  guardare l’insieme e non darsi alla fuga. Se vi riesce
Immagine tratta dal sito www.nonsprecare.it
Immagine tratta dal sito www.nonsprecare.it
Segnatevi questa frase: “...non ci vuole nulla a combinare un’accusa di associazione mafiosa, basta un contatto, uno scontrino, un’intercettazione fraintesa o manipolata, un documento che lasci supporre una presunta amicizia pericolosa, magari del padre o del nonno ed è fatta. Il denunciato dovrà preoccuparsi di dimostrare la legittimità di quello che possiede; ma, anche se fosse in grado di farlo, dovrà andare incontro a una serie di rinvii giudiziari, scientificamente studiati, che durano anni e che finiscono col distruggere la vita dell’incauto oltre che le aziende e i beni che gli sono sequestrati.”
L’ha scritta Salvo Vitale, coraggioso come Peppino Impastato, di cui era amico e, come si diceva una volta, compagno di lotta. A Cinisi contro Gaetano Badalamenti, oggi, insieme a Pino Maniaci, anima e corpo di Telejato, contro.... Ora vedremo di che si tratta.  
Intanto rilevo che né Salvo Vitale né Pino Maniaci hanno mai pensato alloshow business: libri di successo (e di insuccesso), prime serate, inchieste con telecamera fissa, con la musichetta, con il maxischermo al posto della lavagna del maestrino millenial, giornaloni, soldi. Sì, soldi: perché sempre i soldi contano; e si contano.
No, questi due hanno fatto i giornalisti senza rimanere incollati al terminale o alla telecamera. Si sono messi a cercare, per strada, parlando con le persone, leggendo documenti: e hanno dubitato che il Tribunale di Palermo, Sezione  Misure di Prevenzione, presentasse qualche problema di funzionamento.
In particolare si sono occupati di sequestri e confische. Beni patrimoniali: terreni, fabbricati; aziende: conti correnti, beni aziendali, fatturato, stipendi, cioè flussi finanziari da e verso fornitori: soldi. Un sacco di soldi. Ma, più esattamente, bisogna considerare i flussi.
Cosa è accaduto, lo spiega chiaramente lo stesso Maniaci a Giulio Ambrosetti, che meritoriamente lo ha intervistato per questo giornale e, se non sbaglio, si tratta ancora di un pezzo unico. Riassumo brevemente: la Procura di Caltanissetta ha avviato un’indagine che coinvolge, fin qui, quattro magistrati e svariati professionisti: perchè si sospetta che abbiano gestito i flussi, anziché le aziende. Amministratori giudiziari infedeli, di beni o aziende sequestrate o confiscate per sospetto mafioso. 
Qui interessano alcuni rilevi ulteriori che, senza offesa, in qualche modo depotenziano la rilevanza dell’indagine penale.
Primo. Posto che gli accusati risultassero non colpevoli, non cambierebbe nulla. Perchè il punto non è la loro personale colpevolezza; in sè, sono ipotesi di reato come altre formulate in simili casi. Quello che dovrebbe interessare è il presupposto. Che è di duplice natura: normativa e culturale.
Le denuncie dei due valenti giornalisti hanno già messo in luce il bubbone: che è la struttura normativa e le istituzioni, venutesi sviluppando, nel corso di questi ultimi due decenni, sotto l’insegna della c.d. antimafia. Com’è noto, proprio a partire dalle stragi di Capaci e di Via D’Amelio.
Se una stessa persona può legittimamente ricoprire più di novanta cariche, cioè amministrare novanta diverse aziende, non è necessaria la malversazione, per rilevare la mostruosità della struttura normativa che  consente simili concentrazioni di potere.
Se la struttura istituzionale nata da quella struttura normativa è complessa, richiede e coinvolge l’opera di più persone, che hanno colleghi, referenti istituzionali, non è necessario attendere chissà chi, o chissà che, per chiedersi: ma, hanno fatto tutto da soli? Di qui l’analisi del presupposto culturale, per dir così. 
Io sono molto cauto di fronte alle stime, specie nella materia criminale; così, quando si dice che i patrimoni di interesse c.d. mafioso, e amministrati per via giudiziaria, ammonterebbero a circa trenta miliardi di euro, rimango molto cauto. Limitiamoci allora a dire che, però, sono comunque tanti soldi: anche se fossero la metà, o un terzo, di quella cifra.
E che dieci miliardi di euro, considerati come flusso grezzo, e non entro una funzionalità e un criterio aziendale, che vive di margini sui flussi, e non di flussi (altrimenti si fallisce all’istante), dicevo, diciamo che dieci miliardi di euro, pronti in mano, sono una cifra dalle potenzialità tiranniche pressocché indescrivibili. 
Tiranniche, perché sistemiche; non criminali, cioè individuali. Si vuol dire che, a volte, il reato può assolvere alla funzione di utile capro espiatorio, o di foglia di fico. Specie quando si parla di stipendi, per quanto lauti, di benefit, per quanto satrapici. Cioè di minutaglia, rispetto all’intero. Sicchè, non solo è pressocchè irrilevante accertarlo, ma, in un certo senso, controproducente. Per questo scrivevo in quei termini dell’indagine in corso. Un pò di pazienza.
Gli amministratori giudiziari sono nominati da magistrati. E bisogna dire magistrati, e non riferirsi agli uffici, altrimenti si smarrisce il senso delle cose. Messe le mani sui flussi, essendo provenienti da beni colpiti da scomunica maggiore (mafia), nessuno potrà inarcare un sopracciglio anche quando le aziende fallissero. O falliscono.
Un qualsiasi gestore deve potenzialmente temere un rendiconto, o durante, o alla fine dell’opera. Se si elimina, di fatto, la possibilità del rendiconto, il flusso è disponibile nella sua interezza, fino ad esaurimento.
I magistrati sono assegnati ai singoli uffici dai loro colleghi del CSM, e la componente togata è maggioritaria (18 su 27, gli altri, al più, negoziano); la componente togata è eletta secondo correnti, organizzate nell’ANM. 
Dieci miliardi di euro liberi. Come nel caso dei quattro magistrati per ora indagati, si stanno accertando le loro consistenze. Gli stipendi, pur cospicui, sono noti. Le eventuali incongruenze, ovviamente estendendo il campo ai prossimi congiunti, sono agevolmente accertabili. 
Il silenzio ostinato con cui tutti i maggiori giornali (in realtà note Lobby politico-finanziarie, che hanno assunto un ruolo politico patrizio e impropriamente ma efficacemente decisorio) stanno affrontando una vicenda che appare essere, semplicemente, il centro del sistema, è innaturale. 
E, più che innaturale, è insolente, come rileva lo steso Maniaci, che Milena Gabanelli, Michele Santoro, Rosy Bindi, Claudio Fava, ciascuno per la sua parte (dal ricco cortigiano al servo sciocco) abbiano nicchiato a precise richieste di intervento, e di sostegno alla ricerca, avanzate da Maniaci.
In linea col doppio binario gli interventi di Don Luigi Ciotti: “parcelle spropositate che finivano nelle mani di pochi amministratori, ma anche ritardi”; e di Giancarlo Caselli: “Silvana Saguto è una delle donne economicamente più potenti di Palermo”. Ma sì, è solo, una pur preoccupante, questione di scrocconi, per questo non vi siete precipitati in prima serata, come ai bei tempi. Non è vero?  
Certo, il silenzio, aggiunto alle dichiarazioni pro forma, significa che dalla Sicilia si è preso quello che si doveva prendere, in termini di costruzione del consenso e di potere; ma significa anche che vent’anni di scempio delle coscienze e delle istituzioni hanno prodotto scorie tossiche al sommo grado: da tenere assolutamente nascoste. Altro che terra dei fuochi. 
Dieci miliardi di euro. E un sistema connesso in minutissimi legami, tale per cui la nomina a dirigere un ufficio periferico determina quella a dirigerne uno importantissimo, magari distante due ore di aereo e, insieme, nè è determinata. Un sistema in cui i magistrati che accusano e quelli che giudicano sono colleghi. In cui, come nel corrente caso, a fronte di sospetti gravissimi, l’unico effetto imposto dalla struttura è spostarsi di una decina di passi ad un’altra stanza (il presidente Saguto, ora non è più Presidente del Tribunale, Sezione misure di Prevenzione, ma magistrato con altre funzioni). Un sistema che sui cadaveri di Falcone e Borsellino ha eretto una legittimazione emotiva che ha strattonato e percosso vent’anni di vita pubblica e istituzionale.
Considerate i dieci miliardi di euro e la frase con cui abbiamo cominciato; poi aggiungete la storia d’Italia lungo l’asse Palermo-resto d’Italia. Considerate i coriacei silenzi dei Grandi Virtuosi e, con la mente al paradigma-Uno Bianca, considerate i singoli, le persone, le loro case e tutto quello che è loro, e ciò che gli è riconducibile senza soverchie difficoltà. Considerate tutto il potere che hanno amministrato e amministrano. Considerate le loro carriere, le nomine, le elezioni, la forza, che questa organizzazione ha dimostrato e dimostra, di annichilire il peso formale di decine di milioni di voti, comunque espressi: e  provate a fare una somma.
Troverete i soldi. Una montagna di soldi da spartirsi per una miriade di interessi, anonimi, quasi invisibili, ma che pure nascono e vivono insieme. Così, sopra la montagna di soldi, troverete la Tirannia. Dal centro alla periferia, e dalla periferia al centro.
Ma prima i soldi, bisogna cercare i soldi: quelli veri. Diceva Falcone. 

Venturi: “Trame e affari torbidi, la svolta antimafia di Confindustria è solo un inganno”


Parla l’imprenditore presidente dell’associazione per la Sicilia centrale ed ex assessore del governo Lombardo: “Con Montante accaduti fatti inquietanti. A parole si esibisce il vessillo della legalità, nei fatti si fanno gli interessi dei clan. È un doppio gioco. Vivo in un mondo pericoloso e ho paura di quello che mi può succedere. Ma ora denuncerò tutto ai magistrati"
MARCO VENTURI 



CALTANISSETTA. C’è una voce "dal di dentro" che rompe un silenzio di tomba in Confindustria Sicilia. Per la prima volta una figura rappresentativa degli imprenditori dell’isola parla dell’indagato di mafia Antonello Montante e del "grande inganno della rivoluzione" portata avanti dalla sua associazione, confessa di "avere paura per quello che mi può succedere", racconta di "episodi inquietanti" intorno all’inchiesta giudiziaria aperta sul delegato nazionale per la legalità di Confindustria. Testi avvicinati, pretese di lettere riservate dove si chiedeva di certificare il falso, pressioni "per condizionare l’azione di pulizia nelle aree industriali e fermare Alfonso Cicero, un funzionario regionale che è sempre più a rischio di vita". Si presenta: "Sono Marco Venturi, ho 53 anni, sono il presidente di Confindustria Centro-Sicilia e uno degli imprenditori che nel 2005 insieme a Montante, Ivan Lo Bello e Giuseppe Catanzaro ha creduto nella battaglia contro il racket del pizzo per spazzare via la nomenclatura che governava la Cupola degli industriali siciliani. Quelle che da tempo erano perplessità adesso sono diventate certezze. Da mesi vivo in uno stato di profonda inquietudine che mi ha spinto a uscire allo scoperto".

Perché questa paura?

"Vivo con angoscia dentro un mondo pericoloso che non mi appartiene".

Di cosa sta parlando? Perché non prova a spiegarsi meglio?

"Lo farò con i magistrati che indagano sul caso Montante, ci sono vicende molto gravi che riguardano Confindustria Sicilia e delle quali nessuno ancora è a conoscenza".

Ma lei è uno di quegli imprenditori del nuovo corso siciliano, cosa è accaduto di tanto intollerabile per fare questo passo?

"L’iniziale battaglia contro le estorsioni dei boss ha portato alla ribalta nazionale il nostro movimento, però quando dal livello basso del pizzo ci siamo inoltrati nel cuore del vero potere mafioso siciliano — cioè dentro i grovigli delle aree industriali — ho capito chiaramente che non tutti i miei compagni di viaggio erano interessati ad andare avanti. Al contrario, alcuni me li sono ritrovati contro".
Eppure tutti in Confindustria Sicilia sbandierano il vessillo dell’antimafia..
"È il doppio gioco. A parole qualcuno — che dimostra chiaramente di essere condizionato — sostiene una certa azione, il risultato però è che con i fatti favorisce interessi di mafia. Emblematico è il caso dell’azione legalitaria che conduce da anni Alfonso Cicero, il presidente dell’Irsap, l’ente che ha sostituito gli undici carrozzoni dei consorzi industriali. Quell’azione non è mai piaciuta — nonostante le dichiarazioni di circostanza — al presidente di Confindustria Sicilia Montante. Montante ha sempre tentato di utilizzare per i suoi scopi l’opera di pulizia di Cicero, nell’ombra ha sempre cercato di neutralizzarlo anche se consapevole degli altissimi rischi che corre. Chi non vuole Cicero oggi in Sicilia lo sta trasformando in un bersaglio facile".
Montante ha conquistato una sproporzionata credibilità istituzionale nonostante le dubbie origini per i suoi contatti con Cosa Nostra, a cosa sta mirando realmente Confindustria Sicilia?
"A un certo punto c’è stata una inversione di rotta. Montante non ha fatto come doveva gli interessi degli imprenditori siciliani ma ha intrecciato trame. Commistioni con apparati polizieschi di ogni livello. Per colpa sua Confindustria Sicilia è diventata un centro di potere a Palermo e a Roma, un giro stretto, lui e pochi devoti".
In Confindustria Sicilia ci sono alcuni indagati per reati di mafia e rinviati a giudizio per truffa alla Regione, tutti sempre ai loro posti. E il vostro codice etico?
"Il codice etico non lo si può far valere per gli altri e ignorarlo al nostro interno. Confindustria nazionale è stata zitta per molti mesi: ora mi aspetto che il presidente Squinzi intervenga a tutela della onorabilità della nostra associazione. È il momento di farlo, non si può più attendere. Chiedo solo il rispetto delle regole, cambiare pagina, offrire di noi stessi un’altra immagine".
Quante espulsioni per mafia ha fatto Confindustria in questi anni?
"Che io ricordi nessuna".
Lei è stato assessore regionale alle Attività Produttive — insieme a magistrati come Chinnici e Russo, prefetti come Marino e altri «tecnici» — quando presidente era Raffaele Lombardo, un condannato per mafia. Non si è mai accorto di nulla delle manovre che si facevano in quel governo?
"Il mio obiettivo era quello di bonificare le aree industriali degradate dagli appetiti mafiosi, quando però Lombardo ha rimosso Cicero, che aveva denunciato ai procuratori il malaffare, mi sono dimesso e ho presentato un esposto in procura accusando il governatore di salvaguardare gli interessi dei boss. Dopo di me, con il governo Crocetta, è venuta Linda Vancheri: un assessore che era al servizio totale di Montante".
Ma in sostanza lei cosa andrà a raccontare ai magistrati?
"Episodi inquietanti che mi sono capitati. E sono sicuro che nei prossimi giorni non sarò il solo ad andarci, ci sarà qualcun altro che vorrà parlare con i procuratori. Qualche mese fa Montante e un suo amico esperto in security volevano che io facessi loro da sponda per un’operazione torbida. Sono anche a conoscenza di movimenti strani intorno a chi è tenuto a dire la verità ai magistrati che indagano sul presidente di Confindustria Sicilia".
Sta riferendo vicende molto gravi...
"Non è finita. Montante ha chiesto ripetutamente a un rappresentante delle istituzioni che aveva deposto in commissione parlamentare antimafia una lettera riservata, ma soprattutto retrodatata con tanto di firma".
Cosa voleva esattamente da quel personaggio?
"Che dichiarasse per iscritto a lui una cosa impossibile: e cioè che tutto quello che aveva già riferito alla presidente Bindi nel luglio del 2014 sulle sue denunce e in particolare su Dario Di Francesco — un mafioso che poi si è pentito chiamando in causa lo stesso presidente di Confindustria Sicilia — , era stato suggerito da lui, Montante. Naturalmente non era vero e naturalmente quel rappresentante delle istituzioni si è rifiutato".
Ha parlato tanto di Montante, ma che fine hanno fatto Lo Bello e Catanzaro?

I soldi della Mafia e dell'Antimafia/ Pino Maniaci: “Gli amministratori giudiziari fanno fallire le aziende perché ci guadagnano” 


Giulio Ambrosetti [16 Sep 2015 | 

Intervista a Pino Maniaci, il direttore di TeleJato che ha fatto saltare in aria gli affari legati al mondo dei sequestri dei beni ai mafiosi. La sua grinta. Ma anche la sua solitudine: “Ho provato a contattare Michele Santoro e Milena Gabanelli. Tutto inutile”. La clinica Santa Teresa di Bagheria “vicina al fallimento”. Le domande che la redazione di TeleJato ha inviato alla dottoressa Saguto. Che non ha mai risposto 
“Oggi sono molto amareggiato. E addolorato. No, non sono affatto felice. Scoprire un verminaio dentro il Tribunale di Palermo non mi ha dato alcuna soddisfazione. Anzi, se proprio debbo essere sincero, sono molto preoccupato. Non vorrei che, per tutto quello che sta venendo fuori in materia di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, i mafiosi brindino. Mi auguro che la Procura della Repubblica di Caltanissetta metta in luce tutto il malaffare, individuando i responsabili e ripristinando la legalità”. 
Così parla Pino Maniaci, il battagliero e coraggioso direttore di TeleJato. L’uomo è abituato alle bufere. I mafiosi di Alcamo, Partinico, Castellammare del Golfo, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Corleone, Cinisi, Terrasini, Montelepre, in tutti questi anni, gliene hanno fatto vedere di tutti i colori. Minacce, intimidazioni, auto incendiate, i suoi cani impiccati. Fare un giornalismo d’inchiesta contro i mafiosi non è facile. Tutt’altro. Ma lui tira dritto. Anche se incontra una montagna. Perché Pino Maniaci e la redazione di TeleJato, di fatto, negli ultimi due anni, si sono scontrati contro una montagna che, come tutte le montagne, non è facile spianare. Una montagna fatta del vero potere: quello di certi magistrati che gestiscono i beni sequestrati e confiscati alla mafia. Una montagna che si chiama sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo.
Ebbene, Pino Maniaci e la redazione di TeleJato sono riusciti, da soli, a spianare questa montagna di
silvana saguto
Il giudice Silvana Saguto
malaffare. Oggi la montagna non c’è più. La presidente della sezione per le Misure di prevenzione, Silvana Saguto, si è dimessa. E sembra che con questa figura, che ci ricorda un certo Sansone, potrebbero cadere pure tutti i filistei: cioè tutti gli amministratori giudiziari che, per tanti anni, hanno brillato della ‘luce’ irradiata dalla dottoressa Saguto.
Con Pino Maniaci proviamo ad affrontare il ‘caso’ del verminaio da una particolare angolazione: l’economia.
Alla fine certi amministratrori giudiziari hanno devastato l'economia? 
“In certi casi sì - ci dice Maniaci -. Questa è una storia dalle tante sfaccettature. E tra queste sfaccettature c’è anche l’economia. Ora la domanda la pongo io: secondo voi, può un Tribunale gestire l’economia di un’intera provincia?”.
Si riferisce, ovviamente a Palermo e provincia, no?
“Certamente. A Palermo e provincia si concentra il 43 per cento dei beni sequestrati e confiscati. Ebbene, per la gestione di questi beni non sono state nominate figure di prestigio. La sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha nominato solo avvocati. Mi chiedo e chiedo: possono gli avvocati, che spesso non hanno alcuna esperienza imprenditoriale, andare a gestire aziende dove, in tanti casi, lavorano decine, se non centinaia di persone? Attenzione: noi non stiamo contestando la legge sul sequestro ed eventuale confisca dei beni ai mafiosi. La legge è giusta. Noi ci siamo occupati della gestione di questi beni. E abbiamo scoperto cose incredibili! Parcelle enormi. Aziende sane portate al fallimento con enormi danni per l’economia. Lo sapete che il 90 per cento delle aziende finite nelle mani degli amministratori giudiziari falliscono?”.
Perché le fanno fallire?
“Perché gli conviene”.
In che senso?
“Se fanno fallire un’azienda non debbono rendicontare un bel niente. Se invece la tengono in vita debbono rendicontare tutto”.
Il problema, se abbiamo ben capito, non riguarda solo le aziende confiscate, ma anche quelle poste sotto sequestro che, in teoria, potrebbero tornare al legittimo proprietario.
“Per l’appunto”.
Salvo Vitale, qualche giorno fa, ha scritto che molte di queste aziende avrebbero dovuto essere restituite ai legittimi proprietari scagionati dalle indagini. Ai quali hanno restituito aziende malconce.
“Io direi devastate”.
Come fanno a devastare le aziende?
“Con un metodo ben organizzato e ben oliato”.
Proviamo a descriverlo?
“Prima arriva l’amministratore giudiziario nominato dalla sezione per le Misure di prevenzione. E già qui le parcelle volano. Poi spuntano tre coadiutori da 4 mila e 500 euro al mese cadauno. Quindi tocca ai periti che si tengono il cinque per cento del capitale. Il cerchio si chiude con i consulenti”.
Insomma, tante tavole apparecchiate…
“Già”.
Ma che mondo è quello degli amministratori giudiziari made in dottoressa Silvana Saguto?
“E’ un modo chiuso. Solo per pochi eletti”.
Voi di TeleJato come siete arrivati a questo mondo?
“Tutto è iniziato con la denuncia di alcuni operai di un’azienda di calcestruzzo. Un’azienda sana sottoposta a sequestro. Gli operai sono venuti da noi a raccontarci che l’amministratore giudiziario invece di fare lavorare loro faceva lavorare i padroncini di un’altra azienda sottoposta a sequestro. La cosa ci ha allertato. E ci siamo gettati in questa storia. Piano piano, una dopo l’altra, abbiamo iniziato a scoprire tante storie, una più strana dell’altra”.
Man mano che andavate avanti non vi sono arrivati avvertimenti?
“Che dire? Un giorno ho chiesto a un magistrato: ma perché per gestire questi beni vengono nominate quasi sempre le stesse persone? Mi ha risposto: o perché sono bravi, o perché gli piacinu i picciuli (tradotto per i non siciliani: perché gli piacciono i soldi)”.
La seconda tesi ci sembra più veritiera.
“Anche a me”.
Altri avvertimenti?
“Un altro mi ha detto: Pino stai mettendo i piedi su una mina. E un altro ancora ha precisato: sai, se non ti ammazzerà la mafia, questa volta ti ammazzerà l’antimafia”.
Ne ha incontrati, di personaggi particolari, in quest’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati.
“Eccome! Ricordo il giudice Tommaso Virga. Archivia un procedimento a carico della dottoressa Saguto. Dopo qualche settimana Walter Virga, suo figlio, incassa una nomina. Se non ricordo male, 700 mila euro”.
Parla del giudice Virga del CSM?
“Sì, ma oggi non fa più parte del Consiglio Superiore della Magistratura”.
In questa storia, oltre ai magistrati, sono coinvolte altre figure istituzionali?
“Sì. Ci sono Carabinieri, militari della Guardia di Finanza. La dottoressa Saguto cercava di accontentare tutti. Di tutto e di più”.
Avete provato, in questi due anni, a coinvolgere altri esponenti del mondo dell’informazione?
“Certo. Mi sono rivolto a Michele Santoro, a Milena Gabanelli e ad altri”.
Cosa le hanno risposto?
“Nulla. Non si sono mai fatti sentire. La verità è che, a parte Le Iene, in questa storia noi di TeleJato siamo rimasti da soli. Tutti gli altri si toccavano il culo con la pezza. Mi hanno preso per matto. Per uno fuori dagli schemi. Oggi mi danno pacche sulle spalle”.
Alla fine che idea si è fatto di questa storia?
“Che è una storia ben più grave di Mafia Capitale. Nella gestione dei beni sequestrati alla mafia sono coinvolti ‘pezzi’ dello Stato. Invito tutti a riflettere sul silenzio della politica. E sul silenzio dell’antimafia ufficiale. A cominciare dalla commissione nazionale antimafia”.
E’ corretto parlare di mafia dello Stato?
“Io parlerei di mafia dell’antimafia”.
C’è qualcosa che l’ha particolarmente colpito di più in questa storia?
“Sì: la gestione disinvolta dei sequestri di beni. Ci sono beni societari sotto sequestro da diciassette anni! Questo è incredibile. La signora Saguto è stata capace di far modificare la legge sulla scadenza dei termini. Questo avveniva nel 2011. Di fatto, sui sequestri non c’è più scadenza!”.
Ma il Procuratore della Repubblica, il presidente del Tribunale e tutte le altre autorità non sapevano nulla?
“Dovrebbe chiederlo a loro”.
Nella vostra inchiesta avete incrociato politici?
“Ricordo che il senatore Giuseppe Lumia si è battuto per il sequestro di alcune aziende che operano nell’area portuale di Palermo. Aziende che sono ancora sotto sequestro. E sapete chi è l’amministratore giudiziario?”.
Ci dica.
“L’avvocato Gaetano Cappellano Seminara”.
Un nome a caso…
“Sì, un nome molto a caso”.
Che ci dice della clinica Santa Teresa di Bagheria, quella confiscata all’ingegner Michele Aiello?
“Ah, qui ci sarebbe una bella storia”.
Ce la racconta?
“E’ semplice: una lite tra l’ex amministratore giudiziario della clinica Santa Teresa, Andrea Dara, e l’avvocato Cappellano Seminara”.
Ancora lui?
“Sì, ancora lui”.
E che c’entra l’avvocato Cappellano Seminara con la clinica Santa Teresa?
“Ha fatto una bella consulenza. E si è beccato una parcella da circa un milione di Euro”.
Ammazzate!, direbbero a Roma. E poi che sa sul Santa Teresa.
“Poco. Pare che sia sparita una Porsche. E pare che siano stati venduti macchinari per milioni di Euro”.
Venduti? A chi?
“Venduti a dei medici”.
Ma è vero che la clinica Santa Teresa, come si dice in Sicilia, èmuru cu muru cu ‘u spitali? (tradotto: è in difficoltà economiche).
“Credo che sia vicina al fallimento. Insomma, è in grosse difficoltà economiche. Detto questo, l’attuale amministratore, il prefetto Giosuè Marino, è una gran persona per bene”.
La presidente dell’Antimafia nazionale, Rosy Bindi, si è fatta sentire?
“Per favore!”.
Cioè?
“Che vi debbo dire? Ricordo che un giorno è arrivata in Sicilia per portare la solidarietà al giudice Nino Di Matteo. E invece poi ha espresso solidarietà alla dottoressa Saguto. Insomma, per l’onorevole Bindi nella gestione dei beni sequestrati alla mafia andava tutto bene”.
E Claudio Fava?
“Anche per lui andava tutto bene”.
Ma voi vi siete rivolti alla dottoressa Saguto?
“Certo! Le abbiamo chiesto un’intervista. Ci ha risposto dicendoci: inviate le domande. E noi gliele abbiamo inviate”.
Ha risposto?
“Sì: in tre righe. Vi leggo la risposta: ‘In riferimento alla proposta di intervista, sono spiacente di dover declinare la richiesta, poiché, per indirizzo della sezione, non si forniscono informazioni sull'andamento della stessa. Saluti Silvana Saguto’ Capito?”.
Ci può fornire le domande che avete posto alla dottoressa Saguto? Così i nostri lettori si fanno un’idea degli argomenti sui quali l’ex presidente della sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha glissato.
“Certamente. Eccole”.
Queste le domande che la redazione di TeleJato ha posto alla dottoressa Saguto.
Egregia dottoressa Saguto, con la presente le inviamo le domande, come da lei richiestoci, che vorremmo porle nel corso di un’intervista al fine di spiegare ai nostri telespettatori i problemi e le dinamiche riguardanti la gestione dei beni sequestrati alla criminalità, soprattutto quella organizzata.
-          In mancanza dell’albo degli amministratori giudiziari, che pure dovrebbe esistere, come previsto dalla legge del 2010 (DECRETO LEGISLATIVO 4 febbraio 2010, n. 14 e successive modifiche) come si nominano gli amministratori giudiziari?
-          Secondo la prassi gli amministratori giudiziari hanno un rapporto fiduciario con il giudice che li nomina e con i sostituti che si occupano di più specifici ambiti territoriali: questo rapporto è totalmente discrezionale o vi è un garante esterno che può intervenire e sindacare le scelte del tribunale?
-          I periti che devono occuparsi di accertare la provenienza lecita o meno del bene hanno un particolare criterio di scelta od anche quello è discrezionale nella persona del presidente dell’ufficio delle misure di prevenzione e dei suoi sostituti?
-          In che misura e secondo quali crismi vengono calcolate le parcelle degli amministratori e dei periti? Possiamo anche parlare di Milioni di euro?
-          Grave problema, riscontrabile sul territorio, è il deperimento naturale che in particolare le aziende e le imprese, ma solitamente tutti i beni , hanno durante il periodo di amministrazione giudiziaria. Ora, al di là dei rimpalli di competenza con le associazioni subentranti come assegnatari, è evidente che il cittadino medio, che vede decadere le aziende floride, seppur mafiose, sia quasi autorizzato a pensare che lo stato non sia in grado di subentrare alla Mafia, e che economicamente e lavorativamente i mafiosi siano più convenienti. Di quanto detto siamo in grado di fornire diversi esempi, tra i quali i cassaintegrati della <> ed il tracollo della ditta di latticini <>. Quali sono, viene da chiedersi, le competenze esigibili dagli amministratori giudiziari? Come si risolvono eventuali inefficienze ed inadeguatezze?
-          E’ chiaro che non essendoci un albo da cui attingere nominativi è logico ricorrere al sistema del rapporto fiduciario con enti e soggetti del territorio. In tutto ciò si possono verificare evidenti problemi di conflitti d’interesse, che al di là di perniciosi discorsi legislativi, oltrepassano il confine della buona fede e del buon esempio che l’apparato giudiziario deve sempre esprimere. Come si interviene in questi casi? C’è un ente terzo che dovrebbe pronunciarsi? Se così non fosse ci sarebbe la strana regola per cui a pronunciarsi sui conflitti d’interesse sarebbe lo stesso soggetto, ovvero il giudice, coinvolto nel conflitto.
-          In ambito territoriale si riscontra un dato sociologico allarmante, ovvero la scarsa propensione della gente ad accettare l’amministrazione giudiziaria, per i motivi precedentemente esposti. Noi, che partiamo proprio dal territorio per fare un’analisi oggettiva dei fatti le chiediamo: è opportuno che un amministratore giudiziario come il Signor Benanti, dopo essere stato sospeso dall’amministrazione di un bene per avere commesso gravi condotte sia ancora oggi amministrare di altri beni? Cosa vieta di pensare che la condotta si reiteri? Come mai non si è proceduto in suddetto caso, come più logicamente ipotizzabile, alla sospensione totale del rapporto che lega il Sig. Benanti con il Tribunale?
-          Continuando proprio nella scia della richiesta di doverosa trasparenza da parte di tutte le componenti del tribunale le chiediamo: come mai si è deciso di procedere anche con un'altra nomina ad amministratore giudiziario, ovvero quella con lo studio dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, nonostante lo stesso sia in questo momento inquisito per fatti, ancora da verificare alla luce del diritto, ma che si presentano foschi dal punto di vista umano e morale?
Cordiali Saluti, la redazione di Telejato

La risposta
In riferimento alla proposta di intervista, sono spiacente di dover declinare la richiesta, poichè, per indirizzo della sezione, non si forniscono informazioni sull'andamento della stessa.
Saluti
Silvana Saguto


Appalti in Sicilia: il governo nazionale vuole tutelare gli ‘amici degli amici’? 

Riccardo Gueci* 9 Sep 2015

Il Parlamento siciliano, in materia di appalti pubblici, ha approvato una legge innovativa che blocca sul nascere i ‘cartelli’ di solito espressione dei grandi gruppi. Di fatto, è una legge che difende gli interessi delle imprese siciliane contro i mafiosi che, dagli anni della Cassa per il Mezzogiorno, operano all’ombra dei grandi gruppi nazionali. Antimafia vera che, però, non piace al governo Renzi… 
L'Autonomia speciale della Regione siciliana, appannaggio della borghesia mafiosa, è ridotta proprio male. Specialmente nelle materie che contrastano con gli interessi dei lavoratori siciliani e delle piccole imprese che, in Sicilia, si 'arrabbattano' per sopravvivere.
L'ultima in ordine di tempo è la legge sugli appalti di lavori pubblici, che in Sicilia è un problema di non poco conto, considerato l'uso che le grandi imprese fanno dei ribassi per aggiudicarsi i lavori, tranne poi a rientrare nei costi o utilizzando cemento impoverito, o più spesso attraverso marchingegni , come le riserve o le perizie di variante in corso d'opera.
Questi accorgimenti sono comunemente adottati dalle imprese, anche da quelle che si cimentano nelle costruzioni non tanto perché quello è il loro mestiere, ma per avviare attività di copertura di riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, specialmente di origine mafiosa. Magari dal traffico di droga da reinvestire in attività lecite. In questi casi la convenienza economica dell'appalto non è l'obiettivo principale dell'impresa mafiosa, ma un semplice diversivo teso a giustificare gli enormi guadagni che la mafia ottiene dai suoi traffici. Va da sé che i titolari delle imprese sono sempre persone con le “carte a posto”, irreprensibili e apparentemente dediti al loro lavoro.
In questa confusione di ruoli e di interessi chi ne soffre le conseguenze sono le imprese pulite, che fanno le proprie offerte sulla base di analisi costi-benefici ai quali aggiungono una quota di rischio d'impresa. Queste imprese, in genere, restano senza lavoro e per sopravvivere vivacchiano con piccoli lavoretti di manutenzione del patrimonio immobiliare esistente. Va precisato che i nuovi criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici siciliani valgono, oltre che per le opere pubbliche, anche per le forniture ed i servizi. In pratica, a nostro sommesso parere, la legge varata dal Parlamento siciliano è stata studiata sia per evitare l'aggiudicazione a massimo ribasso, sia per impedire manovre strategiche alle cordate combinate dei concorrenti.
Questa normativa approvata dal Parlamento siciliano è sicuramente innovativa e non è un caso che, oltre ad impedire gli appetiti delle imprese mafiose, rappresenta anche un modello anti corruzione contro gli affarismi poco trasparenti. Forse sarà per queste caratteristiche che la legge regionale 10 luglio 2015, n.14, è entrata nell'orbita censoria del governo nazionale di Matteo Renzi.
Ricordiamo che, nel Sud d’Italia, già ai tempi della cassa per il Mezzogiorno - cioè negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 del secolo passato - i grandi gruppi nazionali trovavano accordi con le mafie locali, penalizzando le imprese del Meridione non legate ad interessi mafiosi. Con questa nuova legge, di fatto, si impediscono giochi e giochetti che finiscono con il favorire gli interessi mafiosi.  
Vediamoli da vicino, le “Modifiche all'articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2011, n.12 introdotte con la nuova legge regionale. Si tratta di alcuni emendamenti che introducono criteri diversi si assegnazione delle gare d'appalto. Il primo così recita: “Per gli appalti di lavori, servizi e che non abbiano carattere transfrontaliero, nel caso in cui il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando che si applichi il criterio dell'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia prevista nel successivo comma”.
Il secondo comma dà la definizione di soglia di anomalia: “La soglia di anomalia è individuata dalla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del 10 per cento arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e quella di minor ribasso, incrementata o decrementata percentualmente di un valore pari alla prima cifra, dopo la virgola, della somma dei ribassi offerti dai concorrenti. Nel caso in cui il valore così determinato risulti inferiore all'offerta di minor ribasso ammessa, la gara è aggiudicata a quest'ultima”. Questo passaggio ai più sembrerà astruso. Semplificando, diciamo che individua ed esclude le offerte truffaldine.
Queste le parti essenziali delle modifiche apportate ai criteri di aggiudicazione, che sembrano essere state studiate per affidare le sorti delle gare d'appalto alla più ampia casualità. La qualcosa non è di scarsa rilevanza. Ma sono proprio questi accorgimenti che hanno fatto saltare sulla sedia il ministro delle Infrastrutture, Graziano Del Rio, che, di sicuro, avrà urlato: ma come si permettono questi siciliani di non consentire la ‘corretta gestione’ degli appalti! Ma siamo proprio impazziti?”. Insomma, i politici che ci stiamo a fare se non possono nemmeno ‘gestire’ gli appalti e favorire gli amici e gli amici degli amici? E la Sicilia, terra di mafia, fa uno sgambetto del genere alla mafia?
Così è iniziato il procedimento di contestazione della nuova legge siciliana con l'invio di una nota che mette in discussione, non solo il contenuto della legge, ma anche il significato stesso dell'Autonomia regionale siciliana, la quale in materia di legislazione in materia di appalti ha competenza primaria. Il testo della nota ministeriale, sulla questione, è assolutamente esplicito ed è proprio la casualità, cioè l'elemento innovativo centrale della legge regionale, l'oggetto della contestazione ministeriale del 25 agosto di quest'anno. In essa si osserva in primo luogo la difformità con i “criteri di valore economico indicati nell'articolo 86 del codice dei contratti pubblici” attraverso un meccanismo che, in sostanza, ne determina in modo casuale le variazioni in aumento o in diminuzione”. Ma l'aspetto più rilevante, e più grave, riguarda il richiamo al Codice degli appalti, il cui articolo 5 “dispone che le Regioni a Statuto speciale che adeguano la loro legislazione ai loro Statuti non possono prevedere una disciplina diversa dal Codice” per rispettare “le competenze esclusive dello Stato”. A sostegno delle sue tesi il ministero richiama due pronunciamenti della Corte Costituzionale, n.401 del 23 novembre 2007 e la n.431 del 14 dicembre 2007, nelle quali la Consulta riconosce “l’inderogabilità sia delle disposizioni che regolano l'evidenza pubblica, sia quelle concernenti il rapporto contrattuale”.
Queste osservazioni ci inducono - noi che non siamo grandi dirigenti amministrativi dello Stato e tanto meno costituzionalisti - a un’ovvia constatazione: che cosa c'entra l'evidenza pubblica o il rapporto contrattuale con i criteri di assegnazione degli appalti? La prima interviene in fase di pubblicazione del bando di gara, con le relative norme che la regolano; la seconda interviene successivamente all'aggiudicazione ed alla fase di rispetto reciproco delle condizioni contrattuali dell'appalto. Pertanto i riferimenti alle sentenze della Corte Costituzionale ci sembrano fuori luogo e comunque non sono minimamente violate dalla legge regionale in discussione.
I rilievi ministeriali si concludono con un’osservazione che è veramente un capolavoro di parole in libertà: “Alla luce dei consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, pertanto, le disposizioni della legge regionale in commento, oggetto dei rilievi illustrati, risultano adottate in violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera e) a tutela della concorrenza”. Qui la risposta è veramente semplice: le norme regionali sull'aggiudicazione degli appalti quali impedimenti oppongono alla libera partecipazione di centinaia o di migliaia di imprese? Quali sono i limiti che essa pone alla partecipazione in concorrenza?
Prima di passare alle controdeduzioni approntate dall'assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo, vogliamo consentirci una divagazione, rispetto alla quale avremmo sicuramente apprezzato un intervento critico del ministro Delrio. Essa riguarda due fatti che sono avvenuti in Italia in tempi relativamente recenti, ma che stanno lì a testimoniare la fallibilità delle legislazioni nazionali sugli appalti. Una riguarda le “ecoballe” nell'entroterra Napoletano e l'altra l'affidamento dei lavori di costruzione della tratta ferroviaria di congiungimento veloce Torino-Lione. Avremmo apprezzato che il ministro Delrio bloccasse i lavori della Torino-Lione, con l'annesso traforo plurichilometrico delle Alpi in Val di Susa, per conoscere a quale gara d'appalto transfrontaliera abbiano partecipato le imprese che stanno eseguendo i lavori. Questo sarebbe stato di sicuro un intervento a tutela della concorrenza. Che ne dice, Ministro Delrio?
In quanto alle ecoballe, se l'incarico di smaltimento dei rifiuti di Napoli fosse stato affidato ad una ventina di piccole imprese, certamente le ecoballe non esisterebbero. Si è scelto di affidarne l'incarico ad una grande impresa nazionale e le ecoballe sono ancora lì a far bella mostra di sé.
Passiamo ora alle controdeduzione dell'assessore regionale alle Infrastrutture, Pizzo. L'assessore Pizzo, in via preliminare, ricorda al Ministro Delrio che i riferimenti giurisprudenziali richiamati nella nota dei rilievi, cioè i riferimenti all'articolo 4 , commi 2 e 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 - il cosiddetto Codice degli appalti - oggetto dei pronunciamenti della Corte Costituzionale, “esplicano il loro contenuto normativo nei confronti delle sole Regioni ordinarie” Fa presente, tuttavia, che la legislazione regionale, anche a Statuto speciale, stabilisce che la potestà legislativa esclusivo/primaria deve essere esercitata “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato”. Questa sottolineatura è una raffinatezza. Come dire: caro Ministro, come dobbiamo legiferare in Sicilia lo sappiamo assai bene e non ci serve alcun insegnamento ministeriale. La perorazione dell'assessore regionale è assai circostanziata e puntuale che non possiamo, per ragioni di spazio, commentare integralmente. Ma un altro aspetto merita di essere riportato e riguarda il riparto delle competenze legislative in materia di appalti pubblici. A tal proposito essa fa riferimento al citato articolo 4 del citato decreto legislativo 163/2006 e ne richiama l'articolo 5, che ovviamente il ministro non aveva letto perché si era fermato agli articoli 2 e 3. L'articolo 5, appunto, stabilisce che “le Regioni a Statuto Speciale adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli Statuti e nelle relative norme di attuazione”.
E' nostro dovere segnalare positivamente l'impegno che in questa battaglia hanno messo gli imprenditori del settore a sostegno della decisione autonoma del Legislatore regionale. Dopo il movimento dei Forconi è la prima volta che una categoria si schiera in difesa dell'Autonomia siciliana.
Nota a margine. Non ne comprendiamo le ragioni strategiche, ma un dato è certo: la Regione siciliana e la sua Autonomia speciale da oltre vent'anni sono sottoposte ad un attacco sistematico ed al controllo delle sue risorse finanziarie. Una delle prime operazioni di controllo dall'interno del governo regionale avvenne con il governo di Salvatore Cuffaro, quando a dirigere l'Ufficio della Programmazione economica, cioè quello che aveva il compito di programmare la spesa dei Fondi strutturali europei, fu affidato ad una funzionaria ministeriale, la dottoressa Gabriella Palocci. Quello fu un periodo assolutamente nero per l'economia siciliana e fu anche il periodo nel quale vennero costituite ben 34 società in house, cioè società che dovevano fare i lavori di competenza degli assessorati. In pratica, fu una duplicazione della spesa corrente regionale con la “facciata” di spese d'investimento perché i fondi europei vennero assegnati in parte alle 34 società per azioni. Società che non operavano nel mercato, ma avevano l'esclusiva della committenza pubblica regionale. Un capolavoro di spreco, inefficienza e clientelismo a mani basse.
Poi fu la volta del governo di Raffaele Lombardo, l'autonomista - quello che prendeva a martellate le targhe delle vie intestate a Giuseppe Garibaldi - il quale accettò la condizione posta dal governo centrale di affidare la gestione delle ingenti somme destinate alla Formazione professionale ad un funzionario ministeriale, il quale ne fece di cotte e di crude, compresa quella di trasferire gran parte del Fondo sociale europeo dalla Sicilia ai ministeri romani.
Quindi è stata la volta del governo di Rosario Crocetta, al quale sono stati imposti prima Luca Bianchi e successivamente Alessandro Baccei quali assessori al Bilancio ed all'Economia. Risultato di queste gestioni finanziarie della Regione siciliana: l'economia dell'Isola cresce la metà di quella greca, la disoccupazione è dilagante e la povertà crescente.
Preferiamo fermarci qua e di non infierire, ma qualcosa sull'Autonomia siciliana ci ripromettiamo di dirla in seguito, anche se già in qualche occasione abbiamo avuto modo di accennare al nostro convincimento.

* Riccardo Gueci è un funzionario pubblico in pensione che, per noi, di solito, illustra e comenta i fatti di politica nazionale e internazionale. Cresciuto nel vecchio Pci, Gueci è rimasto legato all'iea della politica di Enrico Berlinguer. La politica, insomma, vista nella sua accezione nobile. Oggi si ricorda di esere stato un funzionario pubblico e commenta per noi una vicenda in verità molto strana: con il governo nazionale di matteo renzi che contesta una legge, approvata dal Parlamento siciliano, che punta a contrastare in modo serio gli interessi dei mafiosi e dei grandi gruppi nazionali che, dagli anni '50 del secolo passato, fanno affari con le mafie del Sud Italia. Cose strane, insomma...    
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27 febbraio 2014 4 27 /02 /febbraio /2014 19:50
Trapani, arrestato sindaco “antimafia” di Calatafimi: intascò mazzetta

Nicolò Ferrara, 57 anni, era presidente del consorzio pubblico che a Trapani si occupa di gestione di fondi per la legalità e la manutenzione dei beni confiscati. E' finito in manette per corruzione. Complessivamente sono 11 gli indagati, impiegati e altri “faccendieri” coinvolti



Trapani, arrestato sindaco “antimafia” di Calatafimi: intascò mazzetta
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29 marzo 2013 5 29 /03 /marzo /2013 11:36
IL COPIOSO “CORPOSO” ED APPROFONDITO LAVORO DI INDAGINI DELLA COMMISSIONE GOVERNATIVA DI ACCESSO AGLI ATTI AL COMUNE DI ISOLA DELLE FEMMINE CON  IL CONSEGUENTE  DECRETO MINISTERIALE DI SCIOGLIMENTO DELLA GIUNTA PORTOBELLO E DELL’INTERO CONSIGLIO COMUNALE A CUI E’ STATA CONTESTATA   LA INCANDIDABILITA’ ALLE PROSSIME COMPETIZIONI ELETTORALI LE MOTIVAZIONI NELLE CONCLUSIONI DEL PUBBLICO MINISTERO FRANCESCA MAZZOCCO



 



 

 

 

 

 


RELAZIONE PREFETTIZIA DELLACOMMISSIONE DI ACCESSO AGLI ATTI AL COMUNE DI ISOLA DELLE FEMMINE E DECRETOPRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI SCIOGLIMENTO DEL CONSIGLIO COMUNALE  (PDF) -scarica la relazione -

http://lakupoladellapolitikaaisoladellefemmine.files.wordpress.com/2012/11/relazione-commissione-prefettizia-scioglimento-consiglio-comunale-di-isola-delle-femmine.pdf 

http://cupoladellapolitikaaisoladellefemmine.blogspot.it/2012/11/isola-delle-femmine-il-ministro.html


https://pinociampolillo.files.wordpress.com/2012/04/mafia-a-isola-delle-femmine-addio-pizzo-5-custodia-cautelare-pdf2.pdf



http://isoladellefemmineaddiopizzo5.blogspot.it/2011/01/blog-post_4562.html



http://ifattidiisoladellefemmine.files.wordpress.com/2012/12/mafia-21-dicembre-2000-condannati-pietro-bruno-giuseppe-vassallo-20001221gdsa-11.pdf



http://ifattidiisoladellefemmine.files.wordpress.com/2012/12/117690774-decreti-scioglimento-consigli-comunali-isola-delle-femmine-misilmeri-capaci.pdf



http://ifattidiisoladellefemmine.files.wordpress.com/2012/12/mafia-21-dicembre-2000-condannati-pietro-bruno-giuseppe-vassallo-20001221gdsa-11.pdf
















Piano Regione Sicilia Tutela Qualità Aria: RIFIUTI NEI CEMENTIFICI LEGGE CLINI Petix a Isola ...: Legislatura 16ª - 13ª Commissione permanente - Resoconto sommario n. 404 del 16/01/2013   TERRITORIO, AMBIENTE, BENI AMBIENTALI    (1...


Servizio Pubblico, diretta streaming: “Decide Grillo”
“Decide Grillo” è il titolo della nuova puntata di “Servizio Pubblico“, il programma di Michele Santoro in onda su La7 e in diretta streaming su ilfattoquotidiano.it alle ore 21.10. Tra gli ospiti in studio, l’onorevole Giuseppe Civati del Pd, l’eurodeputato del Pdl Lara Comi e il critico d’arte Vittorio Sgarbi.







Scioglimento consiglio comunale di Isola delle Femmine per mafia,Bruno,Cutino,Portobello,Aiello,Puglisi,Pomiero,Copacabana,Riso,Lucido,Enea,Lottizzazione La Paloma GLI IMPRESENTABILI DI ISOLA DELLE FEMMINE DOPO LO SCIOGLIMENTO DEL CONSIGLIO COMUNALE PER INFILTRAZIONI MAFIOSE

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25 luglio 2010 7 25 /07 /luglio /2010 15:52
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10 giugno 2010 4 10 /06 /giugno /2010 17:56
Caro "Sindaco" Prof Gaspare Portobello Mafia o Antimafia?
*Caro "Sindaco" Prof Gaspare Portobello Mafia o Antimafia?
*Non chiamiamoli più rifiuti!
*Basta MUNNEZZA per le strade di Isola delle Femmine
*Munnezza a Isola delle Femmine Costi e Ricavi?
*ATO IDRICO PA 1 Assemblea 7 8 giugno 2010
*Lavoro, protesta dei precari degli enti locali
*La manovra finanziaria " Lacrime e sangue"
*La Sicilia Le maggioranze Trasversali sul Servizio Idrico ARIA FRITTA
*Isola delle Femmine Distributore di benzina al Porto Pescatori o Diportisti?
*Italcementi, non condanniamo la torre alta 120 metri
*I Beni Comuni nello spezzatino del Federalismo
*Donatella Costa Lettera al Presidente regione Sicilia Raffaele Lombardo
*Libertà di Stampa e Regime
*La munnezza di Isola delle Femmine vale tanto oro quanto pesa
*SiciliaMafiopoli: IL CASO GENCHI PELLERITO termovalorizzatori e........
*TRASFERIMENTO DEFINITIVO ALL’ATO PA1 DI ALCUNI DIPENDENTI Delibera impegno riassunnzione da parte dei Comuni
*Mi Illumino di Incenso
*SINDACO: Punito perchè virtuoso
*Lombardo: "Ecco i nemici del cambiamento"
*Corte dei Conti INDAGINE funzionamento ATO PA 1
*ATO Rifiuti Sentenza Corte Conti Tariffe Competenza Comuni
*ATO Idrico Pa1 Struttura tariffa e agevolazioni
*FEDERALISMO Demaniale
*Piccolo apologo sul paese illegale
*Indagato il sindaco Cammarata per la discarica di Bellolampo
*Sicilia i Termovaloroizzatori "puzzano" di mafia








Caro "Sindaco" Prof Gaspare Portobello Mafia o Antimafia?




Fuori i Voti dello ZIO !
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Caro Signor “Sindaco” Professore Gaspare Portobello, tra qualche ora saranno le 17 e cinquaottominuti, e come sempre mi succede, penso a quale potrebbe essere il mio piccolo contributo per onorare la memoria dell’UOMO Giovanni Falcone, un contributo atto a denunciare i tanti assassinii e le tante ingiustizie che vengono perpetrate contro la parte più debole della Società, un contributo che denunci i tanti diritti negati.

Un contributo capace di trasformarsi in un unico e grande urlo contro chi “avvelena” nella mente nel fisico e nello spirito un’intera comunità al solo scopo di perseguire il proprio interesse personale fatto di soldi e di potere.

 

Il problema è, caro Signor “Sindaco” Professore Gaspare Portobello, da dove partire?

Ma soprattutto con Chi?

 

Con chi, nella sua funzione di “Sindaco” nel seno di un consenso di un Consiglio Comunale dichiara apertamente:

“Giova ricordare peraltro che il personaggio proprietario del bene confiscato, in occasione delle scorse elezioni amministrative, sosteneva il candidato della lista Rinascita Isolana, Rosario Rappa”…

Come dire il Consiglio Comunale è stato eletto anche grazie ai voti dei mafiosi?

 

Con chi, come LEI Signor “Sindaco” Professore Gaspare Portobello, QUERELA i Cittadini che con spirito di sacrificio con abnegazione con tantissimo senso civico si sforzano di informare, raccontare i fatti, collegare i fatti tra loro e dare loro una sequenzialità nel loro accadimento?

 



Caro Signor “Sindaco” Professore Gaspare Portobello, riportare atti, riportare deliberazioni, riportare dichiarazioni, ricordare gli impegni presi in campagna elettorale che non siete stati capaci di mantenere, informare i Cittadini di Isola delle Femmine dell’enorme spreco di risorse economiche del comune, informare delle assidue e persistenti presenze nella Casa Comunale di personaggi su cui l’amministrazione della giustizia ha sentenziato, informare i Cittadini di Isola delle Femmine dei legami di parentela che legano personaggi della Pubblica Amministrazione con il mondo degli affari della speculazione della mafia…

Questo, Signor “Sindaco” Professore Gaspare Portobello è il mio piccolo contributo alla memoria dell’UOMO Giovanni Falcone ed ai tanti UOMINI senza ZII, non conosciuti, che quotidianamente si battono contro l’ingiustizia la sopraffazione e il RISPETTO DELLA DIGNITA’ UMANA.

 



Caro Signor “Sindaco” Professore Gaspare Portobello il mio impegno, in questo momento, è rivolto inoltre ad impedire che la Sua QUERELA nei miei confronti non DIVENTI un fatto personale tra me e la Sua persona (su cui, per educazione ricevuta, nutro sempre RISPETTO), ma venga riportata nel suo giusto alveo di una QUERELA tutta politica. Perché i fatti denunciati nell’articolo “La Kupola della politica a Isola delle Femmine ” è una DENUNCIA POLITICA, sono FATTI che mettono in discussione VALORI che non sono certamente appannaggio del solo Cittadino Ciampolillo, bensì sono VALORI che appartengono anzi devono appartenere a tutta una Comunità. Pensa veramente Lei Signor “Sindaco” che il VALORE “libertà di espressione” possa appartenere solo al sottoscritto Pino Ciampolillo?

 



NO! Signor “Sindaco” Professore Gaspare Portobello il VALORE “libertà” appartiene oltre che al sottoscritto, all’amico Rubino, agli amici de il Notiziario, agli amici del Vespro, appartiene al compagno Ambrogio Conigliaro, all’amico Stefano Bologna come a Caltanisetta ed al gruppo di Rinascita Isolana, il VALORE LIBERTA’ appartiene a tutti quei Cittadini di Isola delle Femmine che liberamente non l’hanno votato, ma comunque si aspettavano da Lei risposte concrete ai tanti problemi che attanagliano Isola delle Femmine.



No! Signor “Sindaco” Professore Gaspare Portobello non è stata una dimenticanza non aver citato Lei e tantomeno il Suo GRUPPO, per un semplice motivo: Lei nel QUERELARMI ha di fatto dichiarato che il VALORE “libertà di espressione” non fa parte della Sua Personalità come non fa parte della personalità dei membri del Suo Gruppo che non hanno espresso la loro contrarietà alla sua decisione di QUERELARMI. Insomma non fa parte del vostro bagaglio Culturale.

 



Caro Signor “Sindaco” Professore Gaspare Portobello, mi chiedevo se la Sua coscienza, ha avuto qualche dubbio, oppure un rimorso, quantomeno un piccolissimo ripensamento nel momento in cui si faceva stilare la QUERELA , contro la mia persona e della redazione de il “Vespro”.



Caro Signor “Sindaco” sa perfettamente che ex amministratori di Isola delle Femmine con i Cittadini onesti di Isola delle Femmine sono ancora oggi in attesa di un Suo atto, di una Sua dichiarazione, di una Sua difesa e/o smentita alle accuse riportate da Stampa e televisione, accuse riprese e ripetute nei comizi elettorali delle amministrative scorse, circa le supposte destinazioni di alcuni appartamenti della Calliope in cambio di facilitazioni e “snellimento” delle pratiche edilizie?



Non si è fermato neppure un attimo a pensare ciò? male...male..male..male

 

 



Caro Signor, “Sindaco” Professore Gaspare Portobello, a questo punto, la devo lasciare, per ritrovarmi fra qualche minuto sotto l’albero di Falcone in Via Notarbartolo, con i Cittadini onesti e amanti della LIBERTA’ se Lei riesce a liberarsi da lacci e lacciuoli dello ZIO di turno, l’appuntamento è sotto l’albero di Falcone.



Pino Ciampolillo








“Possiamo sempre fare qualcosa”. per Giovanni Falcone?
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A Isola delle Femmine il fenomeno mafioso?
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“Possiamo sempre fare qualcosa”. In memoria di Giovanni Falcone


“Possiamo sempre fare qualcosa”. In memoria di Giovanni Falcone

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Sono trascorsi diciotto anni dalla strage che il 23 maggio 1992 uccise, insieme alla moglie e alla scorta, Giovanni Falcone. Voglio ricordarlo con le parole che Marcelle Padovani dedica al magistrato come nota introduttiva all’edizione del 1995 di Cose di Cosa Nostra:

“Non avrebbe voluto diventare un eroe, Giovanni Falcone. Perché era convinto che uno Stato tecnicamente attrezzato e politicamente impegnato potesse sconfiggere il crimine organizzato facendo a meno di tanti sacrifici individuali.

Per Falcone, la responsabilità collettiva di un ufficio specializzato, di un’istituzione locale, di una Procura nazionale, avrebbe dovuto cancellare le singole personalità, le singole reponsabilità e dunque la vulnerabilità dei singoli operatori dell’Antimafia: “Quando esistono gli organismi collettivi,” diceva “quando la lotta non è concentrata o simboleggiata da una sola persona, allora la mafia pensa due volte prima di uccidere.” Non avrebbe dunque, Falcone, voluto diventare un eroe. “Vale la pena”, gli avevo chiesto durante un’intervista televisiva del gennaio 1988, “vale la pena rischiare la propria vita per questo Stato?” E lui rispose, un po’ sconcertato: “Che io sappia, c’è soltanto questo Stato, o più precisamente questa società di cui lo Stato è espressione”. Non eroe per vocazione, ma servitore dello Stato: questo era il giudice Falcone.

Era anche – per essere esatti: per questo motivo era – un uomo appassionato di conoscenza, curioso, preciso, pignolo, pragmatico, ossessivamente rigoroso nel rispetto delle forme, sempre alla ricerca di un indizio, di un’informazione, di una verifica, di una prova. Quando interrogava un mafioso, ciò avveniva soltanto dopo aver sgomberato la mente da ogni pregiudizio, da ogni preconcetto, da ogni giudizio ideologico. Mandò un ufficiale della Guardia di Finanza per verificare se nella tale piazzetta a San Paolo in Brasile ci fosse, all’inizio degli anni Ottanta, quel banco di ferro dinanzi a quella falegnameria di cui Tommaso Buscetta aveva parlato nelle sue confessioni. Non per amore del dettaglio accessorio, ma per accertare l’attendibilità dell’insieme della testimonianza dell’ormai celebre “pentito”. In un paese dove troppo spesso ci si accontenta di approssimazioni, di valutazioni, di finti sondaggi, di cifre non verificate, lui si distingueva – e si distingue ancora – per un rigore quasi matematico nella ricerca della verità. Anche per questo, dunque, Falcone fu un grande servitore dello Stato. Un servitore dello Stato che metteva lucidamente in conto anche il sacrifico della propria vita.”

Un sacrificio che c’è stato, e che tuttavia non ci priva della speranza che la sua battaglia possa un giorno essere vinta. Per questo alla memoria della figura umana e professionale di Giovanni Falcone non può che unirsi una massima che, secondo il giudice, “andrebbe scolpita sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto” (p. 153): possiamo fare sempre qualcosa.

Parole che, se davvero abbiamo a cuore il lavoro di Falcone e di quanti hanno sacrificato la propria vita per sconfiggere la mafia, dovremmo fare nostre anche da semplici cittadini – non solo in occasione delle ricorrenze, ma ogni giorno.

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22 maggio 2010

fonte: http://ilnichilista.wordpress.com/2010/05/22/possiamo-sempre-fare-qualcosa-in-memoria-di-giovanni-falcone/

Giovanni Falcone e la paura

 

Giovanni Falcone e il coraggio

 

Giovanni Falcone: “La mafia avrà una fine”

 

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“Si muore quando si viene lasciati soli”
Giovanni Falcone






*Caro "Sindaco" Prof Gaspare Portobello Mafia o Antimafia?
*“Possiamo sempre fare qualcosa”. In memoria di Giovanni Falcone?
*DISTRIBUTORE BENZINA AL PORTO DI ISOLA?

*I TURISTI SCAPPANO DA ISOLA DELLE FEMMINE
SICILIA RIFIUTI: ** Rifiuti in Sicilia, un dossier anonimo
*Candidato alle elezioni amministrative anche un nipote del boss

*
Isola Pulita
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Isola delle Femmine Consiglio Comunale Bilancio Previsione 2010 6 maggio 2010
*“Sono disposta a vendere una delle mie ville per disporre dei fondi necessari a impedire il successo delle liste avversarie da quella di Portobello

Isola delle Femmine: **Isola delle Femmine Consiglio Comunale Bilancio Previsione 2010 6 maggio 2010

Sicilia Mafiopoli: ** IL CASO GENCHI PELLERITO termovalorizzatori e........
*
Consiglio Comunale Isola delle Femmine "infiltrazioni mafiose nella Pubblica Amministrazione"  

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Isola delle Femmine Consiglio Comunale Bilancio Previsione 2010 6 maggio 2010
*Arrestato Il Sindaco è accusato di peculato, falso, abuso d'ufficio, truffa aggravata e violazioni al Testo unico in materia edilizia
*Consiglio Comunale Isola delle Femmine 1 febbraio 2010 Rinascita Isolana: Le Vostre collusioni con i POTERI FORTI
*
Isola delle Femmine 16 Gennaio 2010 Rinascita isolana Denuncia il Segretario dr. Scafidi
*Consiglio Comunale 18/9/09 Interrogazioni. Croce Antonio Ato Idrico Associazione Protezione Civile Maggioli
*
Consiglio Comunale Isola delle Femmine 6 Agosto 2009 Rinascita Isolana: "Assessore" CUTINO dimettiti Revocate l'incarico al geom Impastato
*
Bilancio di previsione 2010 proroga al 30 giugno
*La solidarietà dalle Valle dei Templi

*Morte di un Siciliano
*Isola Ecologica di Isola finanziata dalla C.E., Ditta Zuccarello, AL.TA. Borgetto, ATO/PA1?
Dr. Croce, Bruno, geologo Cutino,Puglisi, Ing. Francavilla Arch Licata, M.A.M. s.n.c., geom Dionisi.........
*
SEQUESTRATE LE SCHEDE ELETTORALI
*
CONSULENZE e..............
*I PACCHI DELL'AMBIENTALISTA rosso-verde-arancione
*M.A.M. s.n.c. PALazzotto Pizzerie verde e Isola ecologiche
*M.A.M. s.n.c. Progetto di Variante ed Elezioni Amministrative

*Consiglio Comunale Su ATO rifiuti e Ripubblicizzazione Acqua Bene Comune
*Angela Corica
*LA CRICCA DEGLI APPALTI
*La munnezza di Isola delle Femmine vale tanto oro quanto pesa
*DELIBERE DELLA GIUNTA PORTOBELLO 2010
*DELIBERE CONSIGLIO COMUNALE
*Rapporto ecomafia 2008 - Sicilia, ciclo dei rifiuti, la monnezza è “Cosa Nostra”
*
Controllo su atti Enti Locali Circolari e Legge Regionale 44/1991
*
U.R.P. Isola delle Femmine inadempiente pag 7
*
Ingegnere Francavilla Stefano
*
APPROVATI CANTIERI DI LAVORO
*
Ingegnere Lascari Gioacchino
*
Ingegnere Lascari Gioacchino Scalici
*C.E n.03-2010 - Enea Orazio Ing Lascari
*C
onsulenti Geologi Eletti
*
Dr. Marcello Cutino geologo
*
Cutino dr. Marcello Pet-coke Portobello DIMISSIONI
*Consiglio Comunale Isola delle Femmine 6 Agosto 2009 Rinascita Isolana: "Assessore" CUTINO dimettiti Revocate l'incarico al geom Impastato
*
Minagra dr. Vincenzo Biologo
*Minagra dr. Vincenzo Consulente ambientale del Sindaco Portobello
*
Le acque d’oro di Ambiente e Sicurezza Dr. Minagra
*Vincenzo dr. Minagra Pet-coke Cutino Portobello
*
I COSTI DELLA POLITICA INCARICHI DIRIGENZIALI A LAVORATORI PRECARI
*
Vigilanza e controllo degli enti locali - Ufficio ispettivo

*ISOLA ecologica PIANO Levante CANTIERI lavoro M.A.M. Pizzerie e........
*
APPROVATI CANTIERI DI LAVORO
*
Cantiere Lavoro all’isola ecologica
*Isola ecologica
*
Architetto Licata Geologo Cutino Incaricati di……
*
Architetto Licata
*Restauro Torre
*
Consiglio Comunale 25 giugno 2009 Insediamento "Sindaco" a Isola delle FemmineDichiarazione Rinascita Isolana

*Accesso agli Atti Dichiarazione Redditi Amministratori
*Isola delle Femmine CARTA DEI VALORI "Servire il Paese"
*Interrogazione Parlamentare su infiltrazione mafiosa a Isola delle Femmine

*Esposto Denuncia Corte dei Conti e Assessorato per danni ERARIALI
*Mi si è ristretto il pene! Colpa dell'inquinamento

*Raccolte 350 firme dei pescatori contro l’installazione del distributore al porto
*Distributore di benzina al porto. Pescatori o diportisti?
*Gestione Porto Ordinanza Capitaneria 20/08
*LA PESCA IL PORTO A ISOLA DELLE FEMMINE
*Impastato Giovanni Assessore LLPP inaugura il porto di Isola
*Geometra Impastato Giovanni da Assessore LLPP a Consulente del Sindaco
*ISOLA DELLE FEMMINE TRA STORIA E TRADIZIONE

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*C.V. Dott. Scafidi Manlio Segretario Generale.
*C.V. Sig.ra Pirrone Nunzia Responsabile Settore Amministrativo e del Settore Servizi Sociali.
*C.V. Rag. Fontanetta Biagio Responsabile Settore Economico-finanziario e del Settore Personale.
*C.V. Arch. D'Arpa Sandro Responsabile Settore Urbanistica e del Settore Lavori Pubblici.
*C.V. Dott. Croce Antonio Responsabile Settore Vigilanza (Polizia Municipale).
*C.V. Sig. Tricoli Antonino Responsabile Settore Attività Produttive, Tributi ed Acquedotto

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10 giugno 2010 4 10 /06 /giugno /2010 17:45
Palermo: operazione antimafia, 19 arresti a Palermo


Maxi retata a Palermo 19 arresti
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Palermo: operazione antimafia, 19 arresti

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Circa 200 agenti della sezione criminalità organizzata della Mobile di Palermo hanno effettuato una maxi operazione antimafia coordinata dalla Dda del capoluogo dell’isola: 19 le persone destinatarie di ordinanze di custodia cautelare in carcere, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio ed interposizione fittizia di beni. Con questa indagine, coordinata dal dipartimento Mafia ed economia della Dda, diretto dal pm Roberto Scarpinato, la polizia ha fatto luce su illeciti nella gestione dei grandi appalti di opere pubbliche e private e sulle connessioni tra mafia ed imprenditoria. Nell’ambito della stessa inchiesta sono stati sottoposti a sequestro preventivo aziende, imprese e beni immobili del valore di diverse centinaia di milioni di euro. Le indagini, che si sono avvalse di intercettazioni ambientali e accertamenti nei confronti degli esponenti di vertice di Cosa Nostra palermitana a partire dal 2005 sino ad oggi, hanno permesso di svelare i sistemi mediante i quali l’organizzazione mafiosa ha mantenuto nel tempo il controllo di tutto il ciclo produttivo del mercato edilizio: dalla fase di acquisto dei terreni, alla gestione delle cave di inerti, all’imposizione delle imprese addette a tutti i comparti produttivi, sino alla fase di smaltimento dei materiali di risulta nelle discariche, con interessi che si proiettavano anche sui lavori concernenti l’esecuzione dei lavori per la realizzazione di un termovalorizzatore a Bellolampo. I boss palermitani – tra i quali i capi mandamento Antonino Rotolo, Antonino Cinà e Salvatore Lo Piccolo – secondo le indagini arrivavano a imporre ad alcuni accreditati studi professionali di consegnare l’elenco dei lavori più importanti in corso di progettazione, in modo da effettuare una cernita preliminare di quelli da riservare all ‘organizzazione. La penetrazione all’interno nel settore degli appalti pubblici e privati veniva realizzata mediante imprenditori, alcuni dei quali controllavano consorzi operanti in campo nazionale e numerose società di primo piano del mercato palermitano, in qualità di soci dei capimafia, riciclatori o bracci operativi fiduciari.
Mafia e appalti, 19 arresti a Palermo

da 2 ore 49 minuti

La polizia ha eseguito 19 arresti nell'ambito di un'inchiesta sui rapporti tra mafia e appalti coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, come si legge in una nota.

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Foto d'archivio di un'auto della polizia. Ingrandisci immagine

Circa 200 agenti della Squadra mobile palermitana, sotto la direzione del Dipartimento mafia ed economia della Dda coordinato da Roberto Scarpinato, "hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 19 soggetti, ritenuti responsabili dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, riciclaggio, interposizione fittizia di beni ed estorsione", spiega la nota.

Il provvedimento, firmato dal gip Maria Pino, "è il frutto di indagini che si sono avvalse di intercettazioni ambientali e di servizi sul territorio nei confronti dei massimi esponenti di vertice di Cosa Nostra palermitana a partire dagli anni 2005/2006 sino ad oggi e che hanno permesso di svelare i sofisticati sistemi mediante i quali l'organizzazione mafiosa ha mantenuto nel tempo un pervasivo controllo di tutto il ciclo produttivo del mercato edilizio - dalla fase di acquisto dei terreni, alla gestione delle cave di inerti, all'imposizione delle imprese addette a tutti i comparti produttivi dell'edilizia, sino alla fase di smaltimento dei materiali di risulta nelle discariche".

Dall'inchiesta è emerso che tra gli interessi di Cosa Nostra in questo settore c'erano anche i lavori per la realizzazione di un termovalorizzatore a Bellolampo.

I vertici di Cosa Nostra, fra cui i campi mandamento Antonino Rotolo, Antonino Cinà e Salvatore Lo Piccolo, arrivavano a imporre ad alcuni studi professionali di consegnare l'elenco dei lavori più importanti in corso di progettazione, per poter poi decidere su quali concentrarsi.

La penetrazione nel settore degli appalti pubblici e privati avveniva attraverso imprenditori, alcuni dei quali controllavano consorzi operanti in campo nazionale e numerose società di primo piano nel mercato palermitano.

"E' stato, inoltre, disposto il sequestro preventivo di aziende, imprese, immobili e patrimoni di numerosi imprenditori risultati coinvolti nel reinvestimento illecito dei patrimoni mafiosi, per un valore che sfiora le molte centinaia di milioni di euro".

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Controllato tutto il ciclo produttivo del mercato edilizio
Le mani dei boss sugli appalti pubblici, sequestri e diciannove arresti a Palermo
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ultimo aggiornamento: 10 giugno, ore 08:38
Palermo - (Adnkronos) - Scoperte connessioni tra Cosa nostra e imprenditoria locale grazie alle indagini che si sono avvalse delle intercettazioni ambientali. Accuse a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, riciclaggio e interposizione fittizia di beni
Palermo, 10 giu. (Adnkronos) - E' in corso dalle prime luci dell'alba una vasta operazione antimafia a Palermo condotta dalla Polizia di Stato. Le accuse sono, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, riciclaggio e interposizione fittizia di beni.
L'inchiesta ha fatto luce sul sistema di gestione dei grandi appalti di opere pubbliche e private e sulle connessioni tra mafia e imprenditoria edilizia. Aziende, imprese e beni immobili per diverse centinaia di milioni di euro sono stati sottoposti a sequestro preventivo da parte della Sezione Criminalita' organizzata della Squadra Mobile di Palermo, sotto la direzione del Dipartimento mafia ed economia della Dda palermitana, coordinato da Roberto Scarpinato, da pochi giorni Procuratore generale di Caltanissetta.

 

 

Le indagini, che si sono avvalse di intercettazioni ambientali e accertamenti nei confronti degli esponenti di vertice di Cosa Nostra palermitana a partire dal 2005 sino ad oggi, hanno permesso di svelare i sistemi attraverso i quali l'organizzazione mafiosa ha mantenuto nel tempo il controllo di tutto il ciclo produttivo del mercato edilizio: dalla fase di acquisto dei terreni, alla gestione delle cave di inerti, all'imposizione delle imprese addette a tutti i comparti produttivi, sino alla fase di smaltimento dei materiali di risulta nelle discariche, con interessi che si proiettavano anche sui lavori concernenti l'esecuzione dei lavori per la realizzazione di un termovalorizzatore a Bellolampo.

 

 

I boss palermitani - tra i quali i capi mandamento Antonino Rotolo, Antonino Cina' e Salvatore Lo Piccolo - secondo le indagini arrivavano a imporre ad alcuni accreditati studi professionali di consegnare l'elenco dei lavori piu' importanti in corso di progettazione, in modo da effettuare una cernita preliminare di quelli da riservare all 'organizzazione.

 

 

La penetrazione all'interno nel settore degli appalti pubblici e privati veniva realizzata mediante imprenditori, alcuni dei quali controllavano consorzi operanti in campo nazionale e numerose societa' di primo piano del mercato palermitano, in qualita' di soci dei capimafia, riciclatori o bracci operativi fiduciari. E' stato, inoltre, disposto il sequestro preventivo di aziende, imprese e immobili di numerosi imprenditori risultati coinvolti nel riciclaggio di patrimoni mafiosi, per un valore di molte centinaia di milioni di euro.
notizie:
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Le-mani-dei-boss-sugli-appalti-pubblici-sequestri-e-diciannove-arresti-a-Palermo_519817085.html
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