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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:08



Che affarone quel sequestro scrive Rosy Bindi

In merito all’articolo di  Gianfrancesco Turano 

“Che affarone quel sequestro” (“l'Espresso” n. 40), vorrei precisare che la Commissione parlamentare Antimafia ha svolto un'inchiesta molto approfondita sulla gestione dei beni confiscati e non sono rimasti inascoltati gli allarmi sul cattivo funzionamento del sistema. È stato il primo tema di cui ci siamo occupati, con un lavoro a tappeto, numerose audizioni, missioni e sopralluoghi in tutt’Italia.
Oltre un anno fa abbiamo presentato una Relazione, approvata dal Parlamento, che indicava le tante criticità del sistema. E nel settembre 2014 abbiamo depositato un progetto di riforma organica, ora all’esame della Commissione giustizia di Montecitorio.
Il prefetto Caruso era stato chiamato a rendere conto dello stallo in cui versava l’Agenzia nazionale che assegnava i beni in ritardo, con il contagocce e non aveva ancora realizzato un data base informatico, nonostante i 7 milioni di euro assegnati. Nella sua audizione Caruso, che non ha fornito chiarimenti esaurienti sulla sua gestione, al contrario di quanto sostiene Turano non ha mai denunciato irregolarità precise o ipotesi di reato a carico di singoli amministratori giudiziari o magistrati. Ha solo lamentato i tanti incarichi assegnati all’avvocato Cappellano Seminara e i compensi troppo alti. Su questi rilievi abbiamo sollecitato il governo ad approvare il tariffario e nel nostro Ddl abbiamo previsto regole stringenti per evitare il cumulo degli incarichi.
La Commissione d’inchiesta per legge non può ricorrere a strumenti d’indagine incisivi come le intercettazioni, utilizzate dalla Procura di Caltanissetta. La Commissione Antimafia non è un Tribunale ma svolge una funzione politica e legislativa, ed è proprio quello che abbiamo fatto e continueremo a fare, augurandoci che anche gli altri facciano il proprio dovere.

Rosy Bindi

Presidente Commissione parlamentare Antimafia
L'on. Bindi stessa scrive che il prefetto Caruso aveva segnalato irregolarità precise e ben identificate. La funzione politica e legislativa dell'Antimafia è chiara. Nel caso in questione non sembra essere stata così efficace. (G. Tur.)
Che affarone quel sequestro scrive il giudice Licata
A proposito dell’articolo "Che affarone quel sequestrio” di Gianfrancesco Turano (“l'Espresso” n. 40), sono tenuto a fare alcune precisazioni, essendo direttamente chiamato in causa in relazione al mio ruolo di giudice delegato delle procedure di amministrazione giudiziaria a carico di “Italgas S.p.A.” e “Gas Natural S.p.A.”.


A. Non è esatto che, quale giudice delegato alla procedura di amministrazione giudiziaria nei confronti di Italgas S.p.A., avrei nominato l’avv. Andrea Aiello quale componente del collegio di amministratori giudiziari.
Infatti, secondo quanto previsto dalla legge, la nomina degli amministratori giudiziari è di esclusiva competenza del tribunale in composizione collegiale e viene deliberata contestualmente all’adozione della misura di prevenzione patrimoniale, insieme alla designazione del giudice delegato.
Inoltre, dovendo applicare la particolare misura dell'amministrazione giudiziaria prevista dall'art. 34 cod. antimafia a una società di grande rilevanza come Italgas S.p.A, il tribunale ha affidato l’ufficio di amministratore non al solo avv. Aiello, ma a un collegio di ben quattro qualificati esperti, tra cui anche il prof. Marco Frey, direttore dell'Istituto di Management della Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant'Anna di Pisa, l'ing. Sergio Caramazza, tecnico di elevata professionalità e con uno specifico curriculum, il dr. Luigi Saporito, esperto commercialista ed amministratore milanese.


B. Non è vero che l'avv. Aiello, al momento della sua nomina quale componente del predetto collegio, potesse essere considerato in conflitto d'interessi con l’azienda da amministrare.
Infatti, l'avv. Aiello, nell'avere riferito al PM circostanze utilizzate dalla Procura della Repubblica di Palermo nel contesto della richiesta di applicazione del provvedimento di amministrazione giudiziaria, si è limitato ad assolvere al suo dovere di cittadino e di pubblico ufficiale. E l'aver maturato, nella precedente qualità di amministratore giudiziario nella procedura Cavallotti, conoscenze su vicende relative a Italgas, lungi dal renderlo potatore di interessi privati, lo rendeva anzi ancora più competente a svolgere il successivo ruolo di componente del collegio di amministrazione giudiziaria della medesima società, posto che l'unico interesse di cui è portatore un amministratore giudiziario è quello pubblico, connesso alle finalità del suo ufficio.


C. L’articolo ha poi riportato in maniera fuorviante i dati relativi ai costi dell’amministrazione giudiziaria.
Infatti, la cifra di circa sei milioni di euro è servita a coprire i costi necessari al funzionamento di uno staff di 43 collaboratori, assolutamente indispensabile agli amministratori giudiziari per gestire, controllare e risanare, nel corso di quasi un anno, l'attività di un'azienda di proporzioni straordinarie come Italgas: 1,3 miliardi di euro di fatturato annuo, oltre 3.300 dipendenti, una struttura operativa presente su tutto il territorio nazionale e distribuita tra la sede legale di Torino e sette distretti territoriali, tra cui il distretto di Roma che è il centro di distribuzione gas più vasto d’Europa (1,8 milioni di utenze), 58.000 km di reti di distribuzione del gas e 6 milioni di utenze da gestire.
Inoltre, anche in questo caso, la misura dell’amministrazione giudiziaria aveva una duplice finalità: garantire la continuità e la produttività dell’attività economica in sequestro e verificare in maniera indipendente la persistenza dei pericoli d’infiltrazione.
È da precisare, altresì, che i compensi dei predetti collaboratori sono stati determinati dal collegio degli amministratori, riducendo notevolmente la retribuzione già prevista per le corrispondenti figure professionali della struttura Italgas.
I compensi del collegio degli amministratori, invece, sono stati sino ad ora liquidati soltanto per il primo semestre di attività, con decreto motivato del tribunale fondato sul rigoroso rispetto dei parametri indicati dalla legge e, comunque, con criteri tali da pervenire a cifre di gran lunga inferiori a quelle previste dal D.M. n. 140/12 per la liquidazione compensi dei professionisti da parte di organi giurisdizionali, e nemmeno lontanamente paragonabili a quelle teoricamente previste dalle tabelle dei rispettivi ordini professionali.


D. L’articolo offre una ricostruzione dell’andamento del procedimento di prevenzione fondata su circostanze oggettivamente non vere.
Anzitutto non è esatto che non siano emerse nel corso del procedimento conferme dei pericoli d’infiltrazione criminale.
Il tribunale, infatti, nel suo provvedimento finale, tenuto conto dei risultati delle indagini del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, della consulenza tecnica disposta dal P.M., nonché delle circostanze segnalate dagli amministratori giudiziari in una serie di ponderose relazioni, ha ritenuto non ancora cessato l’oggettivo pericolo d’infiltrazione mafiosa di Italgas; tanto è vero che, per tali ragioni, con il provvedimento di revoca della misura dell’amministrazione giudiziaria, è stata applicata la misura del controllo giudiziario, pure prevista dall’art. 34 d. lgs. n. 159/11, che impone all’azienda di comunicare ad alcune autorità inquirenti i dati relativi a determinate attività contrattuali e gestionali per un periodo di tre anni.


E. È oggettivamente falso che il P.M. abbia chiesto il dissequestro dell’azienda nel mese di maggio del 2014 e che il tribunale abbia revocato il provvedimento nel mese di luglio del 2015, a oltre un anno di distanza da tale presunta richiesta.
Nel maggio 2014, infatti, il P.M. non avrebbe potuto chiedere la revoca di un provvedimento ancora inesistente, posto che l’amministrazione giudiziaria di Italgas è stata disposta nel luglio 2014.
È vero invece che il P.M., a seguito dell’adozione del predetto provvedimento, ha svolto una complessa attività di verifica investigativa e, nel maggio del 2015, ha chiesto al tribunale di poter proseguire ulteriormente la trattazione del procedimento in camera di consiglio, al fine di poter svolgere altri accertamenti.
Il tribunale ha rigettato tale richiesta e, il 21 maggio del 2015, ha invitato le parti a concludere. In tale sede, il P.M. ha chiesto l’applicazione della misura del controllo giudiziario, mentre il tribunale ha depositato il proprio decreto finale, munito di una lunga e complessa motivazione, poco più di un mese dopo.


Precisati i fatti, vanno forniti alcuni fondamentali chiarimenti.
L'amministrazione giudiziaria ha messo a fuoco un complessivo scenario aziendale caratterizzato da un insieme di criticità a vari livelli, che vanno dal persistente rischio d'infiltrazione criminale, alla mancata osservanza di discipline tecniche e giuridiche relative alla sicurezza e alla correttezza e trasparenza dei processi di gestione di appalti e contratti.
Per affrontare tale variegato quadro di criticità, gli amministratori hanno elaborato un ampio piano d'intervento risanatore, sostanzialmente condiviso da Italgas S.p.A. e Snam S.p.A., tanto che i dirigenti di tali società hanno direttamente e attivamente partecipato ai tavoli tecnici istituiti per individuare le misure da intraprendere.
Tenuto conto della complessità e della non breve durata di tale piano di risanamento, è emersa l'esigenza di costituire un nuovo Organismo di Vigilanza ex D.lgs. 231/01, dotato di effettivi requisiti di professionalità e indipendenza, e incaricato anche di monitorare l'attuazione del piano di bonifica in questione.
Sono stati gli stessi difensori di Snam e Italgas a proporre formalmente la costituzione di tale particolare Organismo di Vigilanza, i cui componenti sono stati individuati con provvedimento del giudice delegato, tenuto conto anche delle specifiche indicazioni e del gradimento espresso dai legali delle due società.
Tale organismo, composto dai proff. Giovanni Fiandaca, Andrea Perini e Gianluca Varraso, mai destinatari di incarichi da parte del Tribunale di Palermo, è stato ritenuto “molto qualificato” anche dallo stesso autore dell’articolo ed ha iniziato a operare in completa autonomia e indipendenza rispetto all’autorità giudiziaria, all’amministrazione giudiziaria (ormai esauritasi) e ai vertici di Snam e Italgas. E ciò, anche nella scelta dei collaboratori.
In conclusione, va detto che l’amministrazione giudiziaria ha pienamente centrato i propri obiettivi istituzionali: l’operatività gestionale di Italgas è stata totalmente garantita; è stato assicurato il pieno rispetto degli obblighi previsti dalla partecipazione al gruppo Snam; è stata svolta un’adeguata attività di monitoraggio dell’organizzazione aziendale, della gestione delle gare di appalto e dell’amministrazione delle attività operative; è stato messo a punto e avviato un importante piano di bonifica ispirato a obiettivi di legalità, trasparenza e ottimale funzionamento aziendale.


Infine, risulta superficiale anche la, sia pur sintetica, trattazione della parallela vicenda giudiziaria che ha riguardato le tre società del gruppo Gas Natural operanti in Italia.
Anche in tal caso l'articolo fornisce il dato del costo delle attività dell’amministrazione giudiziaria, senza tuttavia indicare alcun elemento idoneo a valutare la congruità di tale costo rispetto alle reali dimensioni dell’azienda, agli obiettivi istituzionali dell’amministrazione giudiziaria e alle attività effettivamente svolte, così ingenerando nel lettore la sensazione che si tratti di spese ingiustificate. Un’appropriata valutazione di tali dati rivelerebbe, invece, che le risorse impiegate e i costi sostenuti erano necessari al perseguimento delle finalità proprie del procedimento di amministrazione giudiziaria, riguardante un gruppo societario di grande rilievo nazionale.

Dr. Fabio Licata

Giudice del Tribunale di Palermo
È chiaro che se si misurano gli emolumenti di amministratori e coadiutori in proporzione ai ricavi dell'azienda ne vengono fuori cifre enormi, come correttamente indicato dall'articolo. Ma il tribunale di Palermo non ha controllato 58 mila km di rete e 6 milioni di utenze.

Segnaliamo che Raffaele Cantone, presidente dell'Anac, ha commissariato Maltauro per Expo 2015 solo limitatamente al distretto dove si ipotizzavano condotte irregolari (Milano) mentre Italgas è stata commissariata in toto.

Il controllo giudiziario consiste nel semplice obbligo dell'azienda di comunicare in questura le operazioni per importi superiori a 150 mila euro, senza nemmeno fornire la documentazione.
Quanto al resto, nessuno mette in dubbio la collegialità delle decisioni del tribunale e l'indicazione del maggio 2014, anziché maggio 2015, è un semplice errore materiale. (G. Tur.)

Che affarone quel sequestro scrive l'avv. Cappellano Seminara
Scrivo per esprimere sconcerto in merito all'articolo "Che affarone quel sequestrio” di Gianfrancesco Turano (“l'Espresso” n. 40). Sottolineando che il giornalista non mi ha mai contattato per verificare la veridicità delle informazioni in suo possesso, scrivo per rettificare le notizie false e sommarie riportate nell'articolo.
Per quanto riguarda il mio impegno in Calcestruzzi s.p.a., è bene ricordare che il Provvedimento di Sequestro Preventivo è stato emesso dal Tribunale di Caltanissetta - ufficio del GIP e non come erroneamente riportato nell'articolo dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo che quindi non aveva, e non ha, alcuna competenza sulle autorizzazioni alla liquidazione degli onorari nella misura in argomento.
Per circa 3 anni di attività in qualità di Amministratore Giudiziario e circa 1 anno di attività di Organismo Esterno di Vigilanza, Controllo e/o Garanzia di Calcestruzzi s.p.a. - società che all'epoca contava oltre 1.000 dipendenti, 15 direzioni di zona, 250 impianti di produzione del calcestruzzo sparsi su tutto il territorio nazionale da Courmayeur a Gela, 60 cave e fatturava oltre 600 milioni di euro all'anno e che durante il periodo dell'Amministrazione Giudiziaria ha dovuto confrontarsi con la spaventosa crisi del settore edile - ho personalmente ricevuto compensi per complessivi euro 1.906.250,01. Tale ammontare è stato pre concordato con il Tribunale di Caltanissetta, Ufficio del Gip, con il vaglio positivo della Procura della Repubblica di Caltanissetta, in quanto in linea con il solo costo aziendale complessivo - all'epoca euro 604.000/anno, incluse indennità e contributi - precedentemente sostenuto da Calcestruzzi s.p.a. per l'Amministratore Delegato, Mario Colombini, in carica prima dell'ordinanza di sequestro preventivo da parte del Tribunale di Caltanissetta. Nei quattro anni di mia gestione sottolineo essere stato l'unico rappresentante legale di Calcestruzzi s.p.a. e delle 5 società controllate dalla stessa, non potendomi avvalere di una governance collegiale.
L'istanza di liquidazione da me presentata al Giudice del Tribunale di Caltanissetta in data 23 giugno 2011, in assenza di un tariffario riferito specificamente alle Amministrazioni Giudiziarie, è stata calcolata in una media ponderata tra le tariffe adottate dal Tribunale di Napoli del 1993, le tariffe dei Curatori Fallimentari e quelle dell'Ordine degli Avvocati, e, quindi, non su base discrezionale come si vorrebbe, invece, far intendere.
Tale quantificazione, peraltro, solo proposta e portata al vaglio del Tribunale di Caltanissetta, computata al netto di quanto già percepito e inclusiva del lavoro svolto nei quasi 4 anni - e non 200 giorni come asserito nell'articolo - dal team dell'Amministrazione Giudiziaria, impegnato in azienda e composto da 18 professionisti, è stata di euro 10.245.819,49 e non di 18 milioni come riportato.
Peraltro, di tale team facevano parte undici professionisti dell'area tecnica fra ingegneri, geologi e un informatico, che costituivano il team business control, specificamente previsto dal modello Organizzazione, Gestione e Controllo ex D.Lgs. 231/01, adottato dal Consiglio di Amministrazione “indipendente” della società Calcestruzzi s.p.a., nominato dalla Italcementi s.p.a., in costanza di Amministrazione Giudiziaria. Pertanto il loro costo è da considerarsi costo diretto aziendale e non costituisce compenso dell'Amministrazione Giudiziaria.
A fronte del diniego del Presidente del Tribunale di autorizzare tale liquidazione, così riducendone l'importo, ho proposto impugnazione, come era mio diritto, avverso il provvedimento del Tribunale di Caltanissetta e la causa ha già superato due gradi di giudizio ed è ora in attesa di quello della Cassazione. E' quindi nuovamente falso affermare, come si è fatto nell'articolo, che il ricorso in Cassazione è stato proposto dal Gruppo Italcementi.
Altrettanto falso è asserire, come ha fatto il giornalista, che la liquidazione della seconda fase della procedura non sarebbe “passata al vaglio del Giudice”. Questa invece è parimenti come la prima (fase) passata al vaglio positivo sia del Tribunale di Caltanissetta - Ufficio del GIP, sia della Procura di Caltanissetta.
E d'altronde, tenuto conto che la seconda fase era costituita dall'assunzione da parte dello scrivente della veste di Organo Esterno di Vigilanza Controllo e Garanzia, in relazione all'esatto adempimento delle prescrizioni imposte dall'Autorità Giudiziaria alla Calcestruzzi s.p.a., siccome da quest'ultima, unitamente alla Italcementi s.p.a., espressamente voluto dalle stesse nell'ambito della relativa proposta di dissequestro con prescrizione a firma dei rispettivi legali rappresentanti, con atto depositato in Tribunale, non poteva essere diversamente avendone con il riferito atto assunto espressamente il relativo onere. Ed anzi con l'istanza in argomento le due società si erano obbligate a sostenere l'onere dell'intera procedura sino al rilascio dell'assurance e tali oneri non solo erano stati pre concordati con il Tribunale di Caltanissetta e con il visto della Procura, ma erano addirittura riportati nell'ambito del provvedimento medesimo.
Nel pieno rispetto del diritto all'informazione, la delicatezza e la complessità della materia imporrebbe un controllo e un'analisi scrupolosa delle informazioni. Siamo invece in presenza di un articolo “di inchiesta” superficiale che non contribuisce ad un approfondimento delle conoscenze ma soltanto ad alimentare un pericoloso clima nei confronti miei e dei miei familiari.

Avv. Gaetano Cappellano Seminara

La cifra indicata (18 milioni di euro) risulta dalla semplice addizione approssimata per eccesso fra i 10,2 milioni richiesti e i 7,6 milioni di euro già versati da Italcementi (17,8 milioni di euro complessivi).

Appare fuorviante, come nel caso di Italgas, ricavare questa cifra dall'intero giro d'affari di Italcementi tanto che le sentenze del tribunale acquisite finora hanno di molto ridotto la somma richiesta da Cappellano Seminara. Ed è anche fuorviante paragonare la richiesta di Cappellano Seminara allo stipendio dell'amministratore delegato di Italcementi. Colombini non lavorava per una media di 1,7 giorni alla settimana e non aveva un centinaio di altri incarichi svolti contemporaneamente. (G. Tur.)

In difesa della presunzione di innocenza
Ho letto con molta attenzione l'articolo di Gianfrancesco Turano “Che affarone quel sequestro” (“l'Espresso” n. 40).
La vicenda Italgas è stata oggetto della lettera che ebbi ad inviare in Commissione Nazionale Antimafia e con la quale chiarivo i rapporti di natura assolutamente lecita intercorsi tra la Italgas e la Euro Impianti plus, amministrata dai miei cugini e dai miei fratelli. Smentivo altresì, producendo un ampio compendio documentale, le affermazioni fatte dai pubblici ministeri Scaletta, De Lucia e Petralia nel corso della loro audizione in Commissione.
Se solo si ponesse attenzione ai fatti che ho elencato in quella lettera si potrebbe ben comprendere come l'amministrazione giudiziaria di Italgas sia stata preparata ad arte - mi verrebbe da dire "a tavolino"! - per arrivare - questo era lo scopo ultimo - alla Snam attraverso una serie incredibile di sequestri a cascata che ha travolto la mia famiglia. Lo schema è sempre lo stesso: l'amministratore giudiziario segnala l'esistenza di una azienda che ha l'unica colpa (questo è l'indizio che giustifica il sequestro!) di fare "concorrenza" all'azienda da lui amministrata; questa azienda viene pertanto sequestrata e affidata allo stesso amministrazione giudiziario e così via.
Peraltro, l'ingiustizia di una legge fatta male e applicata ancor peggio (mettendo in ginocchio l'economia sana di una intera Regione) ha spinto me ed altre vittime di (da tempo) sistematici "errori" giudiziari ad unirci in una associazione senza scopo di lucro con l'obiettivo - lo dico in maniera molto sintetica - di difendere la presunzione di innocenza, i diritti del proposto nel processo di prevenzione, il diritto alla difesa innanzi ad un giudice terzo ed imparziale. Tale associazione ha il fine ultimo di proporre alcune modifiche del Codice Antimafia che rendano il sistema della prevenzione antimafia compatibile rispetto ai principi della Costituzione. Siamo convinti che non si possa ventilare lo spettro della mafia per espropriare (senza condanna!) Interi patrimoni, rovinare vite e violare diritti costituzionalmente garantiti.
Pietro Cavallotti

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria. Affidate a professionisti con parcelle milionarie. Un sistema di favoritismi, nepotismi e conflitti d’interessi ora sotto inchiesta. Che coinvolge anche diversi magistrati

DI GIANFRANCESCO TURANO

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Quando parlava di professionisti dell’antimafia, Leonardo Sciascia non sapeva fino a che punto avesse ragione. Il passo dai professionisti agli affaristi è cosa fatta.


Così, il manager più pagato d’Europa non è Martin Winterkorn, ex amministratore delegato della Volkswagen in carica dal 2007, allontanato dopo lo scandalo delle emissioni con 60 milioni di euro di buonuscita. È Gaetano Cappellano Seminara, 57 anni, re incontrastato degli amministratori giudiziari, pupillo delle sezioni di misure di prevenzione dei tribunali. Per 200 giorni di lavoro l’avvocato palermitano ha chiesto 18 milioni di euro a Italcementi, pari a 90 mila euro per ognuna delle giornate trascorse nella sede della società bergamasca.



Italcementi, che aveva subito un sequestro preventivo nel 2008, aveva già versato 7,6 milioni di euro al professionista, tutti autorizzati dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il grosso della richiesta aggiuntiva, che non è passata dal vaglio del giudice, doveva fra l’altro compensare il rilascio di un’ “assurance”. È una sorta di certificato per garantire la guarigione di Italcementi da comportamenti passibili di censura giudiziaria, anche se non connessi al crimine organizzato. È l’equivalente in versione moderna delle indulgenze mercanteggiate dal clero nel cristianesimo preluterano.



È giusto aggiungere che la cifra è riferita all’insieme del team formato da Cappellano Seminara e dai suoi coadiutori, sei impiegati in pianta stabile più altri avventizi.



Ma è altrettanto corretto sottolineare che Italcementi è soltanto uno degli oltre cento incarichi ottenuti dal professionista siciliano, che è anche imprenditore in proprio con la Legal Gest consulting e con Tourism Project (hotel Brunaccini di Palermo).



La parcella da 18 milioni ha guastato i rapporti fra Cappellano Seminara e il colosso del calcestruzzo, da poco passato in mano ai tedeschi.



Italcementi si è rivolta alla giustizia. La causa ha superato due gradi di giudizio ed è al vaglio della Cassazione, che non ha ancora fissato la data dell’udienza. Ma finora i verdetti indicano che l’amministratore ha incassato più del dovuto e dovrebbe restituire una quota degli onorari di circa 2 milioni di euro.



Nel frattempo il bubbone è esploso. A Palermo è venuto alla luce un sistema opaco di favoritismi, nepotismi e incarichi in conflitto di interessi che potrebbe non essere limitato al capoluogo siciliano, dove si gestiscono quasi metà dei beni sequestrati in tutta Italia, secondo valutazioni del presidente delle misure di prevenzione Silvana Saguto.



Oltre a Cappellano Seminara, la procura di Caltanissetta indaga sulla stessa Saguto, assegnata ad altro incarico, su suo maritoLorenzo Caramma, consulente di Cappellano, sul suo collega di sezione Lorenzo Chiaramonte, sul sostituto procuratore Dario Scaletta e sull’ex componente togato del Csm Tommaso Virga.



In attesa che si sviluppi il lavoro del pubblico ministero nisseno Cristina Lucchini e del colonnello Francesco Mazzotta della Guardia di finanza, proprio il Csm ha finalmente deciso di affrontare la questione del cumulo degli incarichi nell’amministrazione giudiziaria, diventata ormai un affare da decine di milioni di euro all’anno, soprattutto nelle regioni più colpite dal crimine organizzato.



Anche la politica è dovuta tornare sull’argomento. L’ultima sistemazione datata 2011 si è rivelata disastrosa perché lascia una totale discrezionalità ai singoli tribunali sia nelle nomine sia nella definizione del tariffario che in parte è a carico delle aziende e in parte è a carico della pubblica amministrazione, quindi del contribuente.



In cambio del potere incondizionato che si è dato ai giudici delle misure di prevenzione non c’è stata garanzia di trasparenza né di rotazione negli incarichi. L’allarme lanciato dall’ex direttore dell’agenzia nazionale dei beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso è rimasto inascoltato e la commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi ha preferito impegnarsi in lunghe audizioni di quegli stessi amministratori giudiziari che hanno trasformato la lotta alla mafia in un business altamente lucrativo.



ITALGAS

Nel festival del conflitto di interessi spicca la vicenda Italgas. L’azienda torinese, controllata dalla Snam, finisce sotto sequestro in modo rocambolesco.



L’avvocato Andrea Aiello, 44 anni, amministratore giudiziario della Euro Impianti Plus dei fratelli Cavallotti, sequestrata nel 2012 e in liquidazione a giugno del 2015, riferisce al pm Scaletta di alcune anomalie riguardanti i rapporti fra Euro Impianti e Italgas. In sostanza, Italgas avrebbe firmato un contratto di fornitura con Euro Impianti pur sapendo che i Cavallotti erano soggetti a rischio.



In effetti, gli imprenditori di Belmonte Mezzagno sono stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ma restano “socialmente pericolosi” e la testimonianza di Aiello fa scattare il sequestro di Italgas il 9 luglio 2014.



Il giudice delegato Fabio Licata, che opera insieme ai colleghi Saguto e Chiaramonte ma non risulta indagato, nomina amministratore giudiziario proprio il teste dell’accusa Aiello. Da amministratore di Euro Impianti Plus, Aiello ha chiesto a Italgas un risarcimento di 20 milioni di euro per il contratto di fornitura non rispettato.



Insieme all’avvocato palermitano, sono nominati amministratori anche l’ingegnere Sergio Caramazza, il docente Marco Frey e il commercialista Luigi Saporito. I quattro vengono retribuiti dal tribunale e la cifra non è pubblica. Ma c’è una quota consistente versata dall’azienda sotto sequestro. Italgas ha pagato per un anno di sequestro 6 milioni di euro a 43 coadiutori ingaggiati dagli amministratori, per una media di 140 mila euro a testa.



Fra le criticità suggerite dagli amministratori giudiziari alla Deloitte, ingaggiata come consulente da Italgas, figura ogni genere di problema, inclusa la corretta profondità nell’interramento dei tubi, ma non profili collegati alla criminalità organizzata. La richiesta di dissequestro viene accolta a maggio del 2014 dal pm Dario Scaletta, poi indagato perché avrebbe informato Saguto dell’inchiesta che la riguardava. Nonostante questo, l’azienda viene riconsegnata il 9 luglio 2015, oltren un anno dopo il provvedimento. Ma nemmeno allora i professionisti delle misure di prevenzione si fanno da parte e riaffiorano nelle lunghe trattative per nominare il nuovo organo di vigilanza (Odv), incaricato fra l’altro dell’applicazione dei protocolli antimafia. La terna finale è guidata dal giurista di area Pd Giovanni Fiandaca insieme a Andrea Perini dell’università di Torino e a Gianluca Varraso, direttore con Fiandaca del corso di alta formazione per amministratori giudiziari della Cattolica di Milano, dove ha insegnato lo stesso Aiello.



Seppure molto qualificato, l’Odv viene integrato da tre consulenti: Carlo Amenta, Gianfranco Messina e Cristina Giuffrida, dello studio Aiello. Tutti e tre figurano fra i coadiutori dello stesso Aiello durante il sequestro di Italgas.



NATURAL GAS E GRUPPO MOLLICA

L’inchiesta che ha condotto al sequestro di Italgas, cioè la caccia al tesoro dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ha portato al sequestro di altre tre aziende italiane controllate dal colosso energetico spagnolo Gas Natural Fenosa. Anche in questo caso, la molla è stata la fornitura da parte dei fratelli Cavallotti.



Il giudice Saguto e i suoi colleghi hanno incaricato Cappellano Seminara che, insieme ai colleghi Enzo Bivona e Donato Pezzuto, è stato amministratore giudiziario delle società dal 19 maggio 2014 fino al luglio scorso.



Anche in questa vicenda c’è stato ricorso a decine di coadiutori che sono costati nell’ordine di 1 milione di euro: una bella somma considerando le dimensioni molto più ridotte delle aziende in termini di ricavi e dipendenti.

Le traversie giudiziarie dei fratelli Cavallotti hanno un parallelo nella storia del gruppo Mollica.



Le società dei costruttori di Gioiosa Marea (Messina), guidate dai fratelli Pietro, Domenico e Antonio, sono finite nel mirino come parte integrante di Cosa Nostra, secondo le dichiarazioni di Angelo “Bronson” Siino, il ministro dei lavori pubblici della mafia.



Nel 2011, i fratelli Mollica sono stati assolti da questa accusa tanto che le loro imprese, raccolte nel consorzio Aedars, hanno ottenuto la certificazione per partecipare al rifacimento della Scuola della Misericordia a Venezia, in società con la Umana di Luigi Brugnaro.



Nel giugno di quest’anno, con i lavori della Misericordia compiuti e Brugnaro diventato sindaco della Serenissima, le aziende dei Mollica sono state sequestrate in base a una sentenza del tribunale di Roma che ha bloccato beni per 135 milioni di euro. Niente mafia, stavolta. Tre mesi prima, a marzo del 2015, Pietro Mollica era stato arrestato con l’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Aedars e delle società consorziate, riconducibili ai Mollica. I giudici romani hanno affidato il gruppo a Cappellano Seminara.



L’avvocato palermitano adesso è a un bivio. Sembra che il presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, gradirebbe un passo indietro del superamministratore. Si attendono i passi avanti dei politici.



Aggiornamento dell'8 ottobre 2015
Precisazioni a "Che affarone quel sequestro": le lettere di Rosy Bindi, Fabio Licata, Gaetano Cappellano Seminara e Pietro Cavallotti. 




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