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30 ottobre 2015 5 30 /10 /ottobre /2015 00:33
Fascicolo su un giudice di Roma: Saguto gli avrebbe sollecitato la nomina del marito 

28 Ottobre 2015

Fonte ANSA

Fascicolo distinto dalla pratica trasferimenti. Al vaglio colloqui con Saguto





ROMA. Il Csm aprirà un fascicolo connesso alla procedura di trasferimento d'ufficio aperta nei confronti dei magistrati di Palermo finiti sotto inchiesta a Caltanissetta. Riguarda il presidente della Sezione Misure di  prevenzione del tribunale di Roma, Riccardo Muntoni, a cui la collega Silvana Saguto, indagata per corruzione, sollecitò - a  quanto emerso dalle indagini- la nomina di suo marito quale coadiutore nelle amministrazioni giudiziarie. In una lettera al Csm Muntoni rivendica la propria correttezza.
Muntoni ha preso carta e penna dopo aver letto sui giornali delle intercettazioni che lo riguardavano. Ed è stata la sua iniziativa a convincere i consiglieri della necessità di approfondire anche questa  vicenda. E dunque a spingere la Prima Commissione a chiedere al Comitato di presidenza di Palazzo dei marescialli l'apertura di un fascicolo specifico e del tutto autonomo rispetto alla procedura di trasferimento d'ufficio che riguarda i magistrati palermitani.
«Ritengo di aver agito nella massima correttezza al solo fine di garantire la tutela degli interessi che mi sono stati affidati» ha scritto tra l'altro il magistrato, spiegando che per alcune procedure cercava professionisti attivi in Sicilia. È probabile che Muntoni - al quale non viene mossa alcuna contestazione - sarà convocato al Csm per un'audizione. Ma non subito e forse non prima che venga messa la parola fine alla procedura sui colleghi siciliani.
Arriveranno martedì prossimo le prime decisioni del Csm sui magistrati di Palermo coinvolti, a vario titolo, nell'inchiesta di Caltanissetta sulla gestione dei beni sequestrati alla mafia. Per quel giorno sono stati convocati a Palazzo dei marescialli quelli di loro che hanno chiesto di essere destinati a altra sede, per evitare il trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale che è stato aperto nei loro confronti. Subito dopo l'audizione, la Prima Commissione deciderà se le loro richieste possono essere accolte.
I convocati di martedì sono i giudici Lorenzo Chiaromonte, Fabio Licata e Silvana Saguto, ex presidente della Sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. L'audizione di Saguto potrebbe però diventare superflua, se dopodomani la Sezione disciplinare del Csm accogliesse la richiesta del ministro della Giustizia e del Procuratore generale della Cassazione di sospenderla dalle funzioni e dallo stipendio. In quel caso quasi certamente la Prima Commissione sospenderebbe l'intera procedura avviata nei suoi confronti per attendere l'esito del processo disciplinare. Saguto - che nell'inchiesta di Caltanissetta è accusata di corruzione - ha chiesto al Csm di essere destinata alla Corte d'appello di Catania o in alternativa a quella di Milano. Mentre Chiaromonte e Licata hanno indicato per una possibile loro assegnazione i tribunali di Termini Imerese, Trapani e Marsala. Giovedì prossimo saranno invece ascoltati gli altri due magistrati coinvolti nell'inchiesta di Caltanissetta: l'ex consigliere del Csm Tommaso Virga e il pm della Dda di Palermo Dario Scaletta. Dovrebbe essere questo l'ultimo atto dell'istruttoria del Csm, secondo quanto ha stabilito oggi la Commissione - presieduta  dal componente laico Renato Balduzzi - in una riunione straordinaria convocata per fare il punto della situazione, alla luce delle ultime carte trasmesse dalla procura di Caltanissetta. I consiglieri hanno infatti deciso di confermare la linea di procedere il più rapidamente possibile . Per questo terminate le audizioni ci sarà il deposito degli  atti. E trascorsi i tempi tecnici per la presentazione di controdeduzioni da parte degli «incolpati» , la Commissione  proporrà al plenum le sue conclusioni. Il che significa che la parola fine dovrebbe essere scritta nel mese di novembre. 
(Ansa)

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30 ottobre 2015 5 30 /10 /ottobre /2015 00:30
Caramma, la revoca e l'equivoco "Che fa, ti stanno arrestando" 


Mercoledì 28 Ottobre 2015 - 06:11 di Riccardo Lo Verso

Le microspie svelano i retroscena della rinuncia all'incarico del marito di Silvana Saguto nella cava Buttitta, gestita da Gaetano Cappellano Seminara.



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PALERMO - Lorenzo Caramma si sentiva “umiliato”. Gaetano Cappellano Seminara, invece, era “addolorato”. Era stato caratterizzato dalle polemiche il passo indietro di Caramma, ingegnere e marito di Silvana Saguto, costretto a rinunciare all'incarico di coadiutore tecnico in una cava gestita dal principe degli amministratori giudiziari.

Stando alle intercettazioni delle conversazioni della stessa Saguto si erano mossi il presidente della Corte d'appello, Gioacchino Natoli, e del Tribunale, Salvatore Di Vitale, per arrivare alla revoca dell'incarico di Caramma nella cava Buttitta di Trabia. “Diremo, per non dire che si dimette, - spiegava la Saguto - che cessa l'incarico, nel senso che non serve più la sua figura professionale”. Il fatto che Caramma non sarebbe più andato al lavoro ero stato comunicato in azienda con una e mail circolare. Pure questa finita agli atti dell'inchiesta della Procura di Caltanissetta coordinata dall'aggiunto Lia Sava.

“Lorenzo ha avuto telefonate di tutti i tipi”, diceva nel luglio scorso l'ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. “Cappellano - annotano i finanzieri - ribatteva che non era nei suoi pensieri e che per questo ha buttato fuori la persona che ha scritto l'e mail”. L'amministratore era addirittura pronto a fare un passo indietro, a lasciare le misure di prevenzione. Si era stancato “perché questa cosa è iniziata male ed è finita peggio”.

Poco dopo l'avvocato chiamava Lorenzo Caramma: “... siccome ho sentito tua moglie e mi ha detto, ah, ma so che hai dato comunicazione, quindi io mi sono, dissi ma comunicazione in che senso, hai mandato la mail, io non le ho detto niente ma ti sto chiamando perché ho chiesto a questo cretino di chiedere scusa”. Caramma non l'aveva presa bene, perché “ho dovuto spegnere il telefono, perché mi sono arrivate cinquanta telefonate, ma che fa ti hanno denunciato, ti stanno arrestando, che cosa hai combinato”. Si era dovuto sorbire pure “le risatine dietro le telefonate”.


http://livesicilia.it/2015/10/28/caramma-saguto-incarico-inchiesta-beni-confiscati-cappellano-seminara-mafia_678709/




LA STAMPA

Il caso
"No a parentopoli in Tribunale
Incarichi solo a chi è capace"
Palermo, circolare del nuovo presidente della sezione che amministra i beni confiscati


PALERMO. La parentopoli non è solo nelle Università o nelle aziende pubbliche ma pure nei Tribunali: il nuovo presidente della sezione misure di prevenzione di Palermo è così costretto a mettere per iscritto che, «allo  scopo di garantire la assoluta trasparenza», gli amministratori giudiziari dei beni di mafia sequestrati e confiscati saranno invitati a «selezionare i collaboratori solo in base alla competenza e alla affidabilità, anche etica, escludendo persone che abbiamo legami di parentela o di intima amicizia  con i magistrati o con il personale della cancelleria della sezione». 
La circolare è appesa da ieri nella cancelleria della sezione nell`occhio del ciclone, messa a soqquadro, un paio di settimane fa, da finanzieri alla ricerca di prove delle «combine» tra giudici e amministratori, sfociate in un`inchiesta della Procura di Caltanissetta e nell`azzeramento del pool coordinato dalla ormai ex presidente Silvana Saguto, indagata per corruzione, concussione per induzione e abuso d`ufficio.


Oggi a Palermo sbarcherà la prima commissione del Csm, che con ogni probabilità disporrà i trasferimenti d`ufficio per incompatibilità ambientale. 

In attesa del repulisti definitivo, il nuovo presidente della sezione, Mario Fontana, ha dovuto ricordare a coloro che vengono chiamati ad amministrare patrimoni di centinaia di milioni che certe scelte, sebbene non vietate dalla legge, sono da evitare comunque. Cosa tra l`altro emersa e conclamata da tempo: Silvana Saguto, ad esempio, è moglie di Lorenzo Caramma, ingegnere, già collaboratore dell`avvocato Gaetano Cappellano Seminara (tutti e tre sono oggi indagati), nella gestione di cinque cave confiscate, affidate alla sezione del Tribunale presieduta dalla moglie: e anche se Caramma era stato nominato prima del 2010, quando la moglie non era ancora presidente, aveva mantenuto gli incarichi anche dopo.

Qualche mese fa il presidente della Corte d`appello, Gioacchino Natoli, aveva chiesto che l`anomalia venisse eliminata e l`ingegnere si era dimesso: un 

gesto che forse gli ha salvato la vita, perché la settimana scorsa un operaio che aveva perso il lavoro si è presentato nella cava confiscata Buttitta, a Trabia, 
una ventina di chilometri da Palermo, e ha ucciso due persone.

Una, il direttore tecnico, era Gianluca Grimaldi. E il duplice delitto aveva fatto emergere che il geologo era figlio di Elio Grimaldi, cancelliere della sezione 

misure di prevenzione: anche lui era stato nominato da Cappellano Seminara, recordman degli incarichi di amministrazione giudiziaria, accusato di avere «gratificato» la Saguto con incarichi dati a Caramma in mezza Sicilia, per compensi da 750 mila euro, ma anche con regali e denaro che avrebbe ricevuto Vittorio Saguto, padre della giudice, indagato con l`ipotesi di riciclaggio.

Un altro caso riguarda Lorenzo Chiaramonte, accusato di abuso d`ufficio per avere nominato un avvocato al quale era molto legato. E ancora nel mirino 

c`è la scelta di Walter Virga, figlio di un ex consigliere del Csm, Tommaso, entrambi indagati perché il padre - sostiene l`accusa - avrebbe rallentato 
esposti contro la Saguto. Virga junior, classe 1980, aveva ricevuto l`incarico di gestire un patrimonio da 800 milioni, con un maxistipendio per sé. Doveva 
amministrare pure una concessionaria Bmw, Land Rover e Mini. Il direttore commerciale scelto da Virga, Giuseppe Rizzo, avrebbe preso per sé una Audi A4 e una Mini Cooper; uno dei consiglieri di amministrazione, Alessio Cordova, le avrebbe prese per la mamma e per la suocera, un altro, Dario Majuri, per la moglie. Un collaboratore di Virga, Alessandro Kallinen Garipoli, avrebbe pensato anche lui alla consorte. Andrea Vincenti, figlio di un ex presidente della sezione misure di prevenzione, prese una Land Rover: carte alla mano, ha però spiegato che lo sconto ottenuto era quello ordinario. 

RICCARDO ARENA 
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30 ottobre 2015 5 30 /10 /ottobre /2015 00:29
L'incarico e la paura della Saguto  "È un ragazzetto, non so come farà" 


Martedì 27 Ottobre 2015 - 06:00 di Riccardo Lo Verso

Lo scorso luglio la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo sequestrò un patrimonio sterminato agli imprenditori Virga di Marineo. La nomina ad amministratore faceva gola a molti. La scelta preoccupava lo stesso magistrato travolto dallo scandalo. Si indaga anche sugli incarichi di Walter Virga in altri settori.


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PALERMO - "Gli daranno un incarico di quelli giganteschi", diceva un commercialista all'avvocato Walter Virga. Era il 2 luglio scorso. La voce correva nei corridoi del Tribunale di Palermo ed era arrivata alle orecchie di molti. Anche del commercialista. Un patrimonio sterminato sarebbe finito sotto la scure della sezione Misure di prevenzione e comprendeva "di tutto e di più, dalle case di cura, alle immobiliari alle cave".

Il 6 luglio successivo agli imprenditori Virga di Marineo furono sequestrati beni per un miliardo e 600 milioni, tra cui 33 imprese di calcestruzzo, 700 tra case, ville e immobili, 80 rapporti bancari, 40 assicurativi e oltre 40 mezzi. Il collegio delle misure di prevenzione, presieduto da Silvana Saguto, scelse come amministratore giudiziario il commercialista Giuseppe Rizzo. Virga era rammaricato. Riteneva che un suo collaboratore, Alessio Cordova, fosse pronto per l'incarico: "... senti, ma secondo te questa qua non è andata, non tanto a me, ad Alessio, alla luce delle pressioni di quello la", oppure poteva essere una conseguenza "di quello che è successo". Lo sponsor di Rizzo, secondo i finanzieri, sarebbe stato l'ufficiale della Dia, Rosolino Nasca, mentre Virga non escludeva che la mancata scelta di Cordova fosse dovuta allo scontro aperto con la Saguto dopo che il giovane amministratore aveva allontanato dal suo studio Mariangela Pantò, fidanzata di uno dei figli del magistrato.

Il 17 luglio era la stessa Saguto a mostrarsi timorosa per la nomina di Rizzo. Aveva scelto "un ragazzetto che non so come farà, adesso io devo nominare un coadiutore giusto perché sennò". La scelta sarebbe ricaduta su Carmelo Provenzano perché "è un docente e non può dire niente nessuno". Le cose sarebbero andate in maniera diversa. Oggi Provenzano, professore alla Kore di Enna, è finito sotto inchiesta. Sarebbe stato l'organizzatore di quella che gli stessi indagati definiscono la "laurea farsa" di Emanuele Caramma, altro figlio della Saguto.

Il 17 luglio i rapporti fra l'allora presidente delle Misure di prevenzione e Walter Virga erano ormai ai ferri corti. Virga non si rammaricava più per l'incarico sfuggito al suo collaboratore Cordova, piuttosto voleva fare un passo indietro. Fabio Licata, altro giudice delle Misure di prevenzione indagato, riferiva le parole pronunciate da Tommaso Virga, presidente di una sezione del Tribunale e padre del giovane amministratore giudiziario: "Io ci ho pensato, dice, mi dovete liberare Walter". Il figlio si sentiva sotto pressione, voleva rinunciare alle amministrazione di Rappa e Bagagli. La stessa Saguto era incredula: "Non lo capisco cioè Walter non lavorerà più col Tribunale. Cioè non si prende più curatele, non fa più l'avvocato? Perché lui qua è... fatti suoi sono... se può campare senza lavorare al Tribunale di Palermo, fatti suoi, perché come è questa sezione, così è un'altra, non è che Tommaso (Virga, ndr) è in questa sezione". Il riferimento era ad altri incarichi ricevuti dal giovane in altri settori dell'amministrazione della giustizia. Da qui i controlli della finanza alle sezioni delle Esecuzioni immobiliari e alla Fallimentare.

Alla fine Virga avrebbe davvero rinunciato agli incarichi, ma solo quando l'inchiesta della procura di Caltanissetta era già avviata e lo scandalo esploso nelle stanze del palazzo di giustizia palermitano.


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30 ottobre 2015 5 30 /10 /ottobre /2015 00:21
Il giudice Silvana Saguto mandava gli uomini della scorta a fare la spesa: "Comprami il dentifricio e lo smalto" 

La Stampa Pubblicato: 23/10/2015 11:30 CEST


SILVIA SAGUTO


"Comprami lo spazzolino Elmex verde, il filo interdentale non cerato Oral-B e un dentifricio Mentadent non granulare per Francesco". È la lista della spesa inviata dal giudice Silvana Saguto a un uomo della sua scorta via sms, pubblicata da La Stampa
"Quelli non fanno mai un c....", diceva al telefono e spediva gli agenti in farmacia, a prendere una ricetta nell'ambulatorio medico e a portarla alla madre.
E se il giudice era dell'estetista, ma le mancava lo smalto non c'era problema: "Viene Carmine (agente,ndr) a prenderlo", diceva al marito
Il giudice Silvana Saguto è l'ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, finita nel mirino della polizia tributaria e dei pm di Caltanissetta che indagano sugli incarichi multimilionari, assieme all'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara e a suo marito Lorenzo Caramma, nominato coadiutore di diverse amministrazioni per volere della moglie. I pm indagano su presunte tangenti.
Il giudice Saguto, stando alle intercettazioni, rimprovera al telefono suo figlio chef Elio Caramma per le spese eccessive
"Siamo indebitati persi. Non è possibile, non si può fare, non esiste stipendio che possa garantire queste cose. La nostra situazione economica è arrivata al limite totale, non è possibile più, completamente! Ci sono sempre nuove cose! Voi non potete farmi spendere 12, 13, 14 mila euro al mese, noi non li abbiamo questi introiti"
Per rimediare alla crisi economica della famiglia il giudice avrebbe ottenuto denaro, recapitatole direttamente a casa in un trolley, dall'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara. La vicenda è stata ricostruita dai finanzieri, grazie a pedinamenti e intercettazioni da cui erano emerse una serie di richieste di rientro di scoperti per migliaia di euro avanzate da Banca Nuova e America Express ai coniugi Caramarra. La giudice e l'amministrazione giudiziario parlano in codice: i soldi diventano "documenti" nelle chiamate intercettate.
Dopo la consegna del denaro la Finanza appunta
"Dopo l'incontro per diversi giorni la Saguto non contatta più inisistentemente Cappellano per parlare della documentazione e i dipendenti di Banca Nuova non contattano più Caramma Lorenzo".
Il conto è stato saldato, ma come?

Silvia Saguto, Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, sotto inchiesta per corruzione su gestione beni mafiosi
La Procura di Caltanissetta ha aperto un'inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio nei confronti della Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, che si occupa della gestione dei patrimoni mafiosi sottoposti a sequestro.
La notizia dell'inchiesta è contenuta in una nota ufficiale della stessa Procura di Caltanissetta "allo scopo - è scritto - di evitare il diffondersi di notizie inesatte". "Su disposizione della Procura della Repubblica di Caltanissetta - si legge nella nota - militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, in alcuni casi con la diretta partecipazione dei magistrati titolari del relativo procedimento penale, hanno eseguito ordini di esibizione nonché decreti di perquisizione e sequestro in data 9 settembre 2015".
"Questi atti istruttori - prosegue la nota - sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari".
La difesa del magistrato: "Nessun dubbio sul mio operato". "Non ho dubbi sul mio operato e chiederò subito di essere interrogata": così il magistrato Silvana Saguto ha commentato con il sito on line Live Sicilia. Il magistrato ha aggiunto: "Incarichi a mio marito? Ne ha avuto uno solo a Palermo, e oggi chiuso, che risale agli anni in cui non ero alla sezione misure di prevenzione".















Beni confiscati, i pm accendono i riflettori sul denaro contante a casa della Saguto 

di Riccardo Arena


Nelle intercettazioni il giudice e il padre parlano di «mazzettine» coi soldi. Lei dice che servivano perché le carte di credito non sempre sono accettate

inchiesta beni sequestrati, Gioacchino Natoli, Silvana Saguto, Palermo, Mafia e Mafie



PALERMO. «Tu hai preso i soldi dalla borsa?», chiede Vittorio Saguto alla figlia Silvana, che, il 20 agosto, risponde: «Io ho preso solo quando c'erano i pezzi da cento, solamente, i pezzi da cento li ho presi, non so quanti erano però precisamente, quindi una parte l'ho levata». E il padre, che inizialmente non trova il denaro, ricorda che c'erano «due, tre mazzettine di quelle». Mezz'ora dopo i due si risentono: «Tutto a posto - dice l'uomo -. Allora, quando vieni qua? Ci sono tre... roselline».

Il denaro contante
Circolava, e non poco, in casa dell'ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, oggi indagata a Caltanissetta con le ipotesi di corruzione, concussione per induzione, abuso d'ufficio. Lei, la Saguto, sostiene che era un'esigenza legata al fatto che le carte di credito - la sua, un'American Express in particolare - non sempre sono accettate e per le spese correnti era costretta a prelevare.
Ma chi indaga ci crede poco e guarda anche ai passaggi delle conversazioni intercettate in cui il giudice denuncia notevoli difficoltà economiche. Cosa che imprime un'accelerazione all'indagine sui presunti scambi di favori con gli amministratori giudiziari, con nomine di comodo per il marito del giudice, l'ingegner Lorenzo Caramma, pure indagato. E poi il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza cerca riscontri che sostengano la tesi dei versamenti di contanti a Vittorio Pietro Saguto, che avrebbe ricevuto il denaro per la figlia. L'anziano padre del magistrato è indagato pure lui, per autoriciclaggio.

La nomina sfumata
Nel contesto generale si inseriscono le trattative per la nomina di Lorenzo Caramma anche come coadiutore nella gestione del Cara di Mineo, dopo il sequestro della società che lo gestiva, deciso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma, presieduta da Guglielmo Muntoni, amico della Saguto. Davide Franco, uno degli amministratori, aveva chiamato più volte l'ingegnere. Il 4 settembre era praticamente fatta. Ma l'8 sono scattate le perquisizioni disposte dai pm nisseni.
Parcelle da un milione a testa
È comunque Gaetano Cappellano Seminara, l'amministratore giudiziario al centro di polemiche da almeno due anni e mezzo, il protagonista di alcuni passaggi: «Ma su Palermo - chiede al presidente - misure? Perché considera che noi, lasciata Gas Natural, questa di qua ci impegna molto poco, questa di Roma». Saguto: «Ora vediamo, per ora non abbiamo niente, nemmeno una carta, non c'è più niente per me».
In un altro colloquio, intercettato sempre nell'ufficio del giudice, Cappellano dice: «Abbiamo presentato a Fabio Licata (altro magistrato sotto inchiesta, ndr) la liquidazione di Gas Natural. Eh, in buona sostanza, alla fine, abbiamo chiesto un milione di euro l'uno, complessivamente... io ho chiesto a parte il rimborso forfettario, perché sono l'unico avvocato fra i tre amministratori... sono 700 milioni di euro di volume d'affari». Ieri il presidente della Corte d'appello, Gioacchino Natoli, e il pg Roberto Scarpinato sono stati sentiti dalla prima commissione del Csm, alla quale hanno chiesto di intervenire subito.

«Morirò, ma morirò ricco»
Un altro capitolo riguarda i rapporti, che dalle intercettazioni appaiono altamente conflittuali, con Walter Virga, figlio di Tommaso, giudice ed ex componente del Csm. Secondo i pm nisseni, il giovane avvocato avrebbe ottenuto due misure per «ringraziare» il padre di aver fermato iniziative ed esposti disciplinari contro la Saguto. Tesi anche questa respinta dai diretti interessati.
Le misure Bagagli e Rappa rendono bene: ci sono gli attacchi mediatici, «però domani facciamo i bonifici. Io morirò, ma morirò ricco», dice Virga jr, forse con ironia, alla moglie, Giuliana Pipi, con lui nei cda delle aziende.

La nuora allontanata
Ma il discorso è più ampio e riguarda la Saguto imprenditrice, che dà lavoro. A persone conosciute e di fiducia, spiega lei, perché il settore dei beni sequestrati alla mafia presuppone la massima fiducia. E però il 7 giugno Walter Virga si sfoga con il suo coadiutore Alessio Cordova, dopo avere allontanato dal proprio studio Mariangela Pantò, fidanzata di Francesco Caramma e dunque futura nuora della presidente: la questione è sfociata in una lite con la Saguto. «Fosse successo a me - dice Virga - mi sarebbe dispiaciuto, ma me la sarei presa con mia suocera, perché io avrei detto, guarda, se tu, diciamo, non cercavi di infilare tutta la famiglia, tutti gli amici dei tuoi figli in tutte cose, non finivi su tutti i giornali, sputtanata in tutto il mondo». Parlando con Tommaso Virga, il figlio Walter si lamenta del modo in cui la Saguto ha affrontato la questione: «Lei avrebbe detto che il problema non si pone, perché Mariangela paga un affitto... ma non è vero». E il giudice, che appare molto in ansia: «No, no, si chiude, Walter... si chiude, si chiude...».
La rabbia del presidente
L'amarezza di Virga è condivisa da Cordova: «Io in generale, almeno dal mio punto di vista... non avremo mai più nessun incarico chiaramente dalle misure di prevenzione». E in effetti la Saguto è arrabbiatissima: «Mi dà fastidio perché è stata fatta in questa maniera e lui pagherà le conseguenze di questa decisione... Lui (Virga jr, ndr) lo devo rivedere io e appena lo rivedo, vedrai cosa non succede. La piena la stiamo reggendo tutti, lui non la vuole reggere. E non la regga, ci penso io».
Il figlio del cancelliere
La Saguto il 31 agosto chiama un cancelliere del tribunale: «Intanto cominciamo con tuo figlio, sicuramente». Poco dopo riceve un collaboratore di Cappellano Seminara, Aulo Gigante: «Senti qua, per Vincenzo (non identificato, ndr) avremmo trovato probabilmente un posto, adesso, nell'amministrazione Virga. Però c'è una persona che voglio presa in cambio, che è il figlio di un cancelliere». Qualche giorno dopo il giudice precisa alla diretta interessata: «Tuo figlio lo mettiamo da Niceta, come ragioniere... Poi man mano, per tuo fratello ho parlato con Carmelo Provenzano, il professore». E l'altra: «Mio fratello per ora se l'è preso Carlo». Il 28 agosto un amministratore, Alessandro Scimeca, cerca di evitare un'assunzione con una qualifica «improponibile» per un esecutivo, chiesta da un alto esponente istituzionale: «Da fratello a sorella te lo dico, faccio tutto quello che vuoi ma non ci facciamo sparare».


I fucili e il doposole
Vittorio Saguto e il nipote Emanuele Caramma amano andare a caccia e si devono prendere munizioni e fucili e portarli a Piana degli Albanesi. È «Elio» Caramma, figlio della Saguto, ad insistere molto: «Io ci posso provare - gli spiega la madre - ma commetto un reato, porto e detenzione abusiva di materiale esplodente». E infine la scorta: la Saguto il 28 agosto fa prendere agli agenti un doposole, poi fa accompagnare la Pantò in spiaggia, infine chiede «i dischetti levatrucco, quelli grandi». Il caposcorta le risponde che ci sono quelli piccoli. «No, non li voglio».

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria. Affidate a professionisti con parcelle milionarie. Un sistema di favoritismi, nepotismi e conflitti d’interessi ora sotto inchiesta. Che coinvolge anche diversi magistrati

DI GIANFRANCESCO TURANO

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Quando parlava di professionisti dell’antimafia, Leonardo Sciascia non sapeva fino a che punto avesse ragione. Il passo dai professionisti agli affaristi è cosa fatta.


Così, il manager più pagato d’Europa non è Martin Winterkorn, ex amministratore delegato della Volkswagen in carica dal 2007, allontanato dopo lo scandalo delle emissioni con 60 milioni di euro di buonuscita. È Gaetano Cappellano Seminara, 57 anni, re incontrastato degli amministratori giudiziari, pupillo delle sezioni di misure di prevenzione dei tribunali. Per 200 giorni di lavoro l’avvocato palermitano ha chiesto 18 milioni di euro a Italcementi, pari a 90 mila euro per ognuna delle giornate trascorse nella sede della società bergamasca.



Italcementi, che aveva subito un sequestro preventivo nel 2008, aveva già versato 7,6 milioni di euro al professionista, tutti autorizzati dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il grosso della richiesta aggiuntiva, che non è passata dal vaglio del giudice, doveva fra l’altro compensare il rilascio di un’ “assurance”. È una sorta di certificato per garantire la guarigione di Italcementi da comportamenti passibili di censura giudiziaria, anche se non connessi al crimine organizzato. È l’equivalente in versione moderna delle indulgenze mercanteggiate dal clero nel cristianesimo preluterano.



È giusto aggiungere che la cifra è riferita all’insieme del team formato da Cappellano Seminara e dai suoi coadiutori, sei impiegati in pianta stabile più altri avventizi.



Ma è altrettanto corretto sottolineare che Italcementi è soltanto uno degli oltre cento incarichi ottenuti dal professionista siciliano, che è anche imprenditore in proprio con la Legal Gest consulting e con Tourism Project (hotel Brunaccini di Palermo).



La parcella da 18 milioni ha guastato i rapporti fra Cappellano Seminara e il colosso del calcestruzzo, da poco passato in mano ai tedeschi.



Italcementi si è rivolta alla giustizia. La causa ha superato due gradi di giudizio ed è al vaglio della Cassazione, che non ha ancora fissato la data dell’udienza. Ma finora i verdetti indicano che l’amministratore ha incassato più del dovuto e dovrebbe restituire una quota degli onorari di circa 2 milioni di euro.



Nel frattempo il bubbone è esploso. A Palermo è venuto alla luce un sistema opaco di favoritismi, nepotismi e incarichi in conflitto di interessi che potrebbe non essere limitato al capoluogo siciliano, dove si gestiscono quasi metà dei beni sequestrati in tutta Italia, secondo valutazioni del presidente delle misure di prevenzione Silvana Saguto.



Oltre a Cappellano Seminara, la procura di Caltanissetta indaga sulla stessa Saguto, assegnata ad altro incarico, su suo maritoLorenzo Caramma, consulente di Cappellano, sul suo collega di sezione Lorenzo Chiaramonte, sul sostituto procuratore Dario Scaletta e sull’ex componente togato del Csm Tommaso Virga.



In attesa che si sviluppi il lavoro del pubblico ministero nisseno Cristina Lucchini e del colonnello Francesco Mazzotta della Guardia di finanza, proprio il Csm ha finalmente deciso di affrontare la questione del cumulo degli incarichi nell’amministrazione giudiziaria, diventata ormai un affare da decine di milioni di euro all’anno, soprattutto nelle regioni più colpite dal crimine organizzato.



Anche la politica è dovuta tornare sull’argomento. L’ultima sistemazione datata 2011 si è rivelata disastrosa perché lascia una totale discrezionalità ai singoli tribunali sia nelle nomine sia nella definizione del tariffario che in parte è a carico delle aziende e in parte è a carico della pubblica amministrazione, quindi del contribuente.



In cambio del potere incondizionato che si è dato ai giudici delle misure di prevenzione non c’è stata garanzia di trasparenza né di rotazione negli incarichi. L’allarme lanciato dall’ex direttore dell’agenzia nazionale dei beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso è rimasto inascoltato e la commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi ha preferito impegnarsi in lunghe audizioni di quegli stessi amministratori giudiziari che hanno trasformato la lotta alla mafia in un business altamente lucrativo.



ITALGAS

Nel festival del conflitto di interessi spicca la vicenda Italgas. L’azienda torinese, controllata dalla Snam, finisce sotto sequestro in modo rocambolesco.



L’avvocato Andrea Aiello, 44 anni, amministratore giudiziario della Euro Impianti Plus dei fratelli Cavallotti, sequestrata nel 2012 e in liquidazione a giugno del 2015, riferisce al pm Scaletta di alcune anomalie riguardanti i rapporti fra Euro Impianti e Italgas. In sostanza, Italgas avrebbe firmato un contratto di fornitura con Euro Impianti pur sapendo che i Cavallotti erano soggetti a rischio.



In effetti, gli imprenditori di Belmonte Mezzagno sono stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ma restano “socialmente pericolosi” e la testimonianza di Aiello fa scattare il sequestro di Italgas il 9 luglio 2014.



Il giudice delegato Fabio Licata, che opera insieme ai colleghi Saguto e Chiaramonte ma non risulta indagato, nomina amministratore giudiziario proprio il teste dell’accusa Aiello. Da amministratore di Euro Impianti Plus, Aiello ha chiesto a Italgas un risarcimento di 20 milioni di euro per il contratto di fornitura non rispettato.



Insieme all’avvocato palermitano, sono nominati amministratori anche l’ingegnere Sergio Caramazza, il docente Marco Frey e il commercialista Luigi Saporito. I quattro vengono retribuiti dal tribunale e la cifra non è pubblica. Ma c’è una quota consistente versata dall’azienda sotto sequestro. Italgas ha pagato per un anno di sequestro 6 milioni di euro a 43 coadiutori ingaggiati dagli amministratori, per una media di 140 mila euro a testa.



Fra le criticità suggerite dagli amministratori giudiziari alla Deloitte, ingaggiata come consulente da Italgas, figura ogni genere di problema, inclusa la corretta profondità nell’interramento dei tubi, ma non profili collegati alla criminalità organizzata. La richiesta di dissequestro viene accolta a maggio del 2014 dal pm Dario Scaletta, poi indagato perché avrebbe informato Saguto dell’inchiesta che la riguardava. Nonostante questo, l’azienda viene riconsegnata il 9 luglio 2015, oltren un anno dopo il provvedimento. Ma nemmeno allora i professionisti delle misure di prevenzione si fanno da parte e riaffiorano nelle lunghe trattative per nominare il nuovo organo di vigilanza (Odv), incaricato fra l’altro dell’applicazione dei protocolli antimafia. La terna finale è guidata dal giurista di area Pd Giovanni Fiandaca insieme a Andrea Perini dell’università di Torino e a Gianluca Varraso, direttore con Fiandaca del corso di alta formazione per amministratori giudiziari della Cattolica di Milano, dove ha insegnato lo stesso Aiello.



Seppure molto qualificato, l’Odv viene integrato da tre consulenti: Carlo Amenta, Gianfranco Messina e Cristina Giuffrida, dello studio Aiello. Tutti e tre figurano fra i coadiutori dello stesso Aiello durante il sequestro di Italgas.



NATURAL GAS E GRUPPO MOLLICA

L’inchiesta che ha condotto al sequestro di Italgas, cioè la caccia al tesoro dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ha portato al sequestro di altre tre aziende italiane controllate dal colosso energetico spagnolo Gas Natural Fenosa. Anche in questo caso, la molla è stata la fornitura da parte dei fratelli Cavallotti.



Il giudice Saguto e i suoi colleghi hanno incaricato Cappellano Seminara che, insieme ai colleghi Enzo Bivona e Donato Pezzuto, è stato amministratore giudiziario delle società dal 19 maggio 2014 fino al luglio scorso.



Anche in questa vicenda c’è stato ricorso a decine di coadiutori che sono costati nell’ordine di 1 milione di euro: una bella somma considerando le dimensioni molto più ridotte delle aziende in termini di ricavi e dipendenti.

Le traversie giudiziarie dei fratelli Cavallotti hanno un parallelo nella storia del gruppo Mollica.



Le società dei costruttori di Gioiosa Marea (Messina), guidate dai fratelli Pietro, Domenico e Antonio, sono finite nel mirino come parte integrante di Cosa Nostra, secondo le dichiarazioni di Angelo “Bronson” Siino, il ministro dei lavori pubblici della mafia.



Nel 2011, i fratelli Mollica sono stati assolti da questa accusa tanto che le loro imprese, raccolte nel consorzio Aedars, hanno ottenuto la certificazione per partecipare al rifacimento della Scuola della Misericordia a Venezia, in società con la Umana di Luigi Brugnaro.



Nel giugno di quest’anno, con i lavori della Misericordia compiuti e Brugnaro diventato sindaco della Serenissima, le aziende dei Mollica sono state sequestrate in base a una sentenza del tribunale di Roma che ha bloccato beni per 135 milioni di euro. Niente mafia, stavolta. Tre mesi prima, a marzo del 2015, Pietro Mollica era stato arrestato con l’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Aedars e delle società consorziate, riconducibili ai Mollica. I giudici romani hanno affidato il gruppo a Cappellano Seminara.



L’avvocato palermitano adesso è a un bivio. Sembra che il presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, gradirebbe un passo indietro del superamministratore. Si attendono i passi avanti dei politici.



Aggiornamento dell'8 ottobre 2015
Precisazioni a "Che affarone quel sequestro": le lettere di Rosy Bindi, Fabio Licata, Gaetano Cappellano Seminara e Pietro Cavallotti. 





Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino

Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino


Saguto: "Mie parole estrapolate dal contesto". Manfredi: "Parole catalogate alla voce cattiveria", nessuno commento dal ministro Orlando. Il giudice Muntoni si giustifica: "L'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario

"Leggo sui giornali brandelli di intercettazioni che riguarderebbero giudizi da me espressi. Si tratta di parti di conversazioni estrapolate da contesti più ampi, che singolarmente lette possono avere significati fuorvianti". Lo dice, in una nota, l'ex presidente della sezione misure di prevenzione Silvana Saguto in merito alla conversazione intercettata in cui il magistrato esprime pesanti giudizi sui figli del giudice Paolo Borsellino. Saguto è indagata per corruzione nell'ambito dell'inchiesta su illeciti nelle assegnazioni degli incarichi agli amministratori giudiziari dei beni sotto sequestro. "Aggiungo che probabilmente - spiega - saranno sfuggite al giornalista (l'intercettazione è stata pubblicata da Repubblica ndr) le frasi con cui esprimevo la stima incondizionata e l'affetto che ho sempre nutrito nei confronti di Paolo Borsellino, mio carissimo amico personale, collega anche di corrente ed ineguagliabile maestro". "Mi riservo di chiarire al momento opportuno, - conclude - ed in accordo con i miei legali, tutti gli aspetti giuridicamente rilevanti, relativi alla vicenda processuale".


"Io e mia sorella Lucia siamo senza parole", dice Manfredi Borsellino, dirigente del commissariato di polizia di Cefalù sul contenuto delle intercettazioni che riportano le frasi del giudice Silvana Saguto sui figli di Paolo Borsellino. "Non vogliamo commentare - aggiunge Manfredi - espressioni che andrebbero catalogate alla voce cattiveria. Solo parlandone, rischiamo perciò di attribuire importanza a chi quelle parole ha proferito".


No comment anche dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando: "Non voglio dire niente perché sono oggetto di un'attività di indagine e sono frutto di intercettazioni telefoniche. "Credo - ha aggiunto - che siano valutazioni che deve poter apprezzare il magistrato nell'ambito delle proprie facoltà con le quali conduce oggi le indagini e domani si formerà il giudizio".


Si difende il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma, Guglielmo Muntoni, intercettato mentre rassicurava la collega Saguto - che glielo aveva raccomandato - su un prossimo incarico per il marito, l'ingegnere Lorenzo Caramma: "Ho scritto alla prima Commissione del Csm e al presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano - racconta all'Ansa - segnalando che ritengo il mio comportamento del tutto corretto".  Sull'articolo pubblicato oggi da Republica aggiunge: "L'articolo non dice che l'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario; questo non lo scrive mai nessuno. Preferisco non aggiungere altro, mi sembra tutto un gioco al massacro".


"E' una pagina triste - commenta Rosi Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia - mi auguro - ha detto a margine di un impegno a Quindici - che la giustizia faccia presto il suo corso".


Michele Pagliaro, segretario generale della Cgil Sicilia commenta: "Le indagini che coinvolgono il giudice Silvana Saguto e altri soggetti delineano un quadro inquietante di interessi e scambi attorno alla gestione dei beni sequestrati, sul quale la Cgil già nel 2013 aveva lanciato, unica e inascoltata voce, l'allarme. Istituzioni importanti rischiano il discredito, per questo ritengo che sia urgente l'intervento non solo dell'organo di autogoverno della magistratura ma di tutte le altre Istituzioni preposte e del Presidente della Repubblica nella qualità di Presidente del Csm, per ridare credibilità a queste stesse istituzioni.  Giudichiamo intollerabile la situazione che sta emergendo e che getta nello sconforto noi e tutti coloro che nella società civile sono impegnati costantemente contro la mafia, molti dei quali hanno pagato con la loro vita".


"Insultare la memoria del giudice Paolo Borsellino e i figli nel giorno della commemorazione, il 19 luglio, è l'emblema della turpitudine etica e morale. Tutto ciò lascia sinceramente sbigottiti - dice il coordinatore di Fratelli d'Italia per la Sicilia orientale Sandro Pappalardo - Fratelli d'Italia esprime solidarietà e vicinanza alla famiglia Borsellino, simbolo vero e concreto della lotta alla mafia. Raccomandazioni, favoritismi e insulti ai simboli della Sicilia onesta: il sistema Saguto non deve fare perdere però ai siciliani la fiducia negli uomini delle istituzioni che ogni giorno, seguendo l'esempio di Borsellino e Falcone, combattono indefessamente la criminalità. Occorrono però punizioni esemplari per chi tradisce lo Stato e quindi i cittadini".




"Posti di lavoro nei beni sequestrati"  Le intercettazioni del caso Saguto 

Martedì 20 Ottobre 2015 - 06:00 di Riccardo Lo Verso

Secondo i finanzieri, l'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo avrebbe segnalato amici e conoscenti per farli lavorare nelle aziende sequestrate alla mafia. "Io ti devo chiedere il favore per il prefetto".

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PALERMO - Ultimo giorno dello scorso mese di agosto. Poco dopo la undici e trenta Silvana Saguto contatta al telefono una dipendente che al Palazzo di Giustizia di Palermo fa il funzionario giudiziario. "... era per vedere cose nuove... volevo parlarti un minuto... - dice il magistrato - intanto cominciamo con tuo figlio sicuramente". L'ufficio dell'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale è imbottito di microspie. Le hanno piazzate gli investigatori della Polizia tributaria su delega della Procura di Caltanissetta.

I finanzieri scrivono nelle informative: "Gli approfondimenti investigativi hanno fatto emergere che Silvana Saguto segnala persone da contrattualizzare (amici, conoscenti, personali o di suoi familiari) ad alcuni amministratori giudiziari". Insomma, saremmo di fronte ad una sorta di ufficio di collocamento con i nominativi delle persone da assumere suggeriti dal magistrato a capo, fino ad un mese e mezzo fa, del collegio che sequestra i beni alla mafia e nomina gli amministratori giudiziari. Suggerimenti che non sappiamo se abbiano fatto in tempo ad accogliere, visto che le conversazioni sono state intercettate in prossimità delle perquisizioni e dei sequestri che hanno fatto esplodere lo scandalo. Il lavoro degli investigatori, però, guarda indietro nel tempo per scovare assunzioni sospette avvenute in precedenza.

L'ufficio del magistrato era tappa obbligata per gli amministratori giudiziari, le cui voci sono rimaste impresse nei nastri magnetici che raccontano il "pressing" del magistrato. Quarantasette minuti dopo le undici dello stesso giorno di fine agosto nella stanza dell'allora presidente entra l'avvocato Aulo Gigante. La richiesta della Saguto è diretta e svelerebbe un intreccio di posizioni di lavoro: “... senti qua per Vincenzo avremmo trovato probabilmente un posto adesso, nell'amministrazione Virga dove lui può essere preso intero, però c'è una persona che io voglio presa in cambio... il figlio di... la conosci... il cancelliere... questo ha esperienza... ha fatto fallimenti”.

Ecco la richiesta di piazzare il figlio del funzionario giudiziario. Gigante prende tempo: "... il problema è che siamo in grosse difficoltà... mi devi dare tempo sino a dicembre, a dicembre io so se siamo vivi o morti”. Saguto: "... ma temporaneo non lo potresti prendere?... se io non trovo di meglio subito lo prendiamo temporaneo al posto di Vincenzo appena Vincenzo lo mettiamo... incomprensibile... è bravo, ha fatto fallimenti come curatore". Gigante torna a parlare delle sorti della catena di negozi di abbigliamento, tirando in ballo i vecchi proprietari alla cui gestione, almeno così sembrerebbe dalle sue parole, farebbe risalire lo stato di crisi aziendale: "... ci salviamo riducendo i costi, malgrado Massimo Niceta... vabbè comunque organizziamoci... lo facciamo".

Il 2 settembre successivo la Saguto contatta la funzionaria giudiziaria: "... dovremmo fare con tuo figlio, lo mettiamo da Niceta... in un posto che si libera... contabilità... quello che la faceva era un ragazzo che conoscevo pure io che non è diplomato ragioniere, quindi deve essere una contabilità all'ingrosso, diciamo... se dovesse andare male Niceta, proviamo altri posti... per tuo fratello ho parlato con Provenzano, il professore... ". Tre giorni prima, il 28 agosto 2015, la Saguto chiede ad un altro amministratore, Alessandro Scimeca: "… allora io ti devo chiedere il favore per il prefetto... quello là (incomprensibile) assumere, devi trovare...". "Silvana è improponibile... - Scimeca prova a resistere alle richieste - io faccio tutto quello che vuoi... ma come ti aiuto?... io al prefetto l'aiuto pure, ma non con quella mansione, ma non con quella qualifica". Saguto: "Io posso vedere anche in altri posti ma lui cosa sa fare, niente". 

Nella stessa giornata la cimici captano la conversazione fra la Saguto e il titolare di un noto ristorante-sala ricevimenti in provincia di Palermo dove andrà a lavorare il figlio del magistrato, Elio, di professione chef. Quest'ultimo, a giudicare dalle parole della madre, non è rimasto molto contento della proposta economica. L'imprenditore tranquillizza la madre: "Credo che si può superare tutto". All'indomani le cose si mettono a posto: "Sono contentissima io ed è contentissimo pure Elio". "Hanno trovato l'intesa completa", dice l'imprenditore.

Ed è sempre il futuro di un altro figlio, Emanuele, che sta a cuore al magistrato. Al padre Vittorio dice "che per ora è tranquillo, dal primo ottobre il professore (Carmelo Provenzano, ndr) dice che qualche cosa gliela troverà da fare... intanto vuole fare sto concorso per commissario... poi vuole fare un corso in criminologia... io intanto lo scrivo per l'abilitazione di avvocato". Provenzano, docente universitario ad Enna, secondo l'ipotesi della Procura di Caltanissetta, sarebbe stato inserito dalla Saguto fra gli amministratori giudiziari in cambio dell'aiuto al figlio, sia negli studi che nel mondo del lavoro.



Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"

Le parole di Walter Virga, amministratore giudiziario del patrimonio Rappa, e quelle della ex presidente della sezione Misure di prevenzione: così funzionava il "sistema Saguto"
Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"



PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 13.50. DEL 5 FEBBRAIO 2014 

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. 

  (Così rimane stabilito).
Audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso. 

  L'ordine del giorno è dedicato in maniera particolare alla vicenda della rimozione da parte dell'Agenzia di alcuni amministratori giudiziari di beni confiscati. La notizia è apparsa nei giorni scorsi sugli organi di informazione ed è ripresa anche oggi in un'ampia intervista al dottor Caruso pubblicata sul quotidiano La Repubblica. Il dottor Caruso è accompagnato dal prefetto Maria Rosaria Laganà, dirigente dell'Ufficio beni sequestrati presso la medesima Agenzia. Prima di dare la parola al prefetto Caruso, corre l'obbligo da parte mia di introdurre il dibattito con alcune domande. 
  È evidente che vorremmo conoscere i criteri che hanno ispirato il prefetto a procedere alla sostituzione di alcuni amministratori e quelli che hanno ispirato la nomina dei nuovi amministratori. Tuttavia, soprattutto dopo l'intervista di oggi, corre l'obbligo da parte di questa Commissione di chiedere al prefetto Caruso se sia consapevole che le sue dichiarazioni gettano ombre o creano interrogativi non soltanto sulla gestione degli amministratori, ma anche sull'autorità giudiziaria che li ha nominati e che avrebbe dovuto controllare e vigilare sulle azioni di questi amministratori. 
  Si tratta di magistrati che hanno una responsabilità enorme, come al prefetto non sfugge, che rischiano la vita e che sono tra i più esposti. In queste settimane noi ci siamo interessati molto del problema della sicurezza di alcune procure e abbiamo potuto constatare che tra i magistrati più esposti in questa fase, a Palermo, a Trapani, a Catania, a Reggio Calabria, ci sono proprio i magistrati delle misure di prevenzione. In merito alle sue dichiarazioni di oggi, signor prefetto, noi ci auguriamo di sentire atti di accusa fondati su dati reali. O meglio, ci auguriamo che non ci siano, ma le sue dichiarazioni rischiano di indebolire, in un momento alquanto delicato, tutto l'apparato istituzionale che svolge un compito di lotta alla mafia, in maniera particolare quello dei beni confiscati, che è uno dei punti più delicati. Sappiamo bene che questo è un settore che deve essere riformato, ma chi ha operato e sta operando in questi anni ha una responsabilità enorme. Aggiungo che la sua intervista di oggi tocca anche un Pag. 4altro aspetto, quello dell'utilizzazione di alcuni beni confiscati. A parte il fatto che a noi risultava che fino a quando non c’è la confisca definitiva il denaro e i titoli devono essere ben tutelati e investiti – non sono a disposizione, o così ci sembrava – dalle sue parole abbiamo colto un'accusa generalizzata al sistema. Questa audizione era stata costruita per conoscere i dati particolari. Porremo poi domande precise e ascolteremo quello che ci risponderà. Abbiamo alcune domande sulla sostituzione di alcuni amministratori. Vorremmo sapere perché sono state sostituite persone appena nominate. Mi risulta che lei sia direttore dell'Agenzia dal 2011 e che, quindi, lei abbia controllato le attività di alcuni amministratori che ha sostituito in questi giorni per alcuni anni. Se hanno operato così male, è in ritardo lei nella sua azione di controllo. È vero che ha da fare tante cose, che tutto è centralizzato all'Agenzia – ci risulta che il potere di firma sia solo suo e della dottoressa Laganà – e che, quindi, magari le sfuggono le cose più importanti, ma, visto che era lei il controllore, nell'arrivare tanto tardi e con atti di accusa così pesanti, capisce bene che sta coinvolgendo anche se stesso nell'accusa generale che viene a portare al sistema. La ascoltiamo volentieri ma questa introduzione era doverosa. Il fatto che nel giorno in cui deve venire in audizione in Commissione lei rilasci un'intervista così pesante, con un atto di accusa tanto forte nei confronti di tutto il sistema, francamente ci ha lasciato molto preoccupati. Do la parola al prefetto Caruso.

  GIUSEPPE CARUSO, direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Io non ho rilasciato nessuna intervista. L'ho letta stamattina, come è stata letta da voi. L'ho letta e ho verificato che sono state riportate affermazioni da me fatte fin da quando ho assunto questo incarico. Segnatamente, per quanto concerne il Fondo unico giustizia (FUG), è stato riportato quello che ho detto in più occasioni, forse anche in questa sede. Ho citato anche da dove avevo appreso la notizia. Un articolo su Il Sole 24 Ore che pubblicava alcune dichiarazioni dell'allora sottosegretario all'interno Mantovano, il quale aveva richiesto formalmente al Ministero dell'economia il resoconto delle risultanze e dei redditi ricavati attraverso i sequestri e le confische che giacevano al FUG. A quella domanda – dice sempre il Sottosegretario Mantovano – è stato risposto che al 31 dicembre del 2012, ma non vorrei sbagliare, risultavano depositati al FUG complessivamente 2 miliardi di euro. Di questi 2 miliardi, uno era in contanti e l'altro in titoli. Del miliardo in contanti gli fu riferito che 350 milioni non venivano utilizzati, e io ho aggiunto, a mio giudizio, giustamente. Anzi, forse li avrei aumentati a 500 milioni. Per alcuni sequestri non si era ancora arrivati alla confisca definitiva, ragion per cui non era da escludere che qualche cosa bisognasse restituirla. Andava bene, quindi, accantonare questi 350 milioni. Non hanno saputo rispondere alla domanda del sottosegretario, il quale chiedeva perché i rimanenti 650 milioni risultassero ancora depositati e non utilizzati, come prevede la legge, dal Ministero della giustizia per il migliore funzionamento dell'apparato giudiziario e dal Ministero dell'interno per affitti, caserme, commissariati e via elencando. Sempre il sottosegretario, su quell'articolo di Il Sole 24 Ore, poneva poi il problema del miliardo di euro in titoli. La risposta che gli è stata fornita era che nessuno voleva assumersi la responsabilità di cambiarli, per paura che nel mese o nei due mesi successivi avrebbero potuto aumentare di valore. Non se ne volevano assumere la responsabilità. Questo è il dato storico. Questa è la lettera indirizzata dal sottosegretario all'interno all'epoca al Ministero dell'economia, con la relativa risposta. Il tutto fu pubblicato su Il Sole 24 Ore e ripreso poi in altre occasioni. Laddove mi è stata fatta in passato, in varie sedi, una domanda sul reddito derivante dai sequestri e dalle confische e sulla fine che facessero questi redditi, io mi sono limitato a rispondere in questi termini, attingendo alle notizie riportate da Il Sole 24 Ore. Quello che èPag. 5stato riportato oggi è probabilmente stato ripreso da quanto in più occasioni, lo ripeto, io ho dichiarato attingendo a quella fonte. 

  Quanto all'autorità giudiziaria, io lavoro da quarant'anni esatti con l'autorità giudiziaria. Il mio compito è stato, ed è, a maggior ragione adesso, quello di coadiuvare l'autorità giudiziaria. A differenza di quello che ha riferito, virgolettando, il coadiutore della confisca Piazza, il mio presunto intento di delegittimare gli amministratori e l'autorità giudiziaria di Palermo è assolutamente falso. Non corrisponde assolutamente a verità. Lo si può capire riportando le schede delle quattro persone per le quali mi è stato chiesto di interloquire, le quattro intervistate dai giornali della settimana scorsa, delle quali mi è stato richiesto di parlare e sulle quali io non ho avuto alcuna interlocuzione con il giornalista, se non riprendendo frasi che continuo a ripetere esattamente da due anni e mezzo, da quando sono direttore di questa Agenzia: noi abbiamo rilevato che, disattendendo la legge, la maggior parte dei soggetti del Centro-Sud che ricoprono l'incarico di amministratore giudiziario, soprattutto nelle grosse aziende, ricopre anche la carica di presidente nei consigli di amministrazione delle stesse aziende. In sostanza, le stesse persone fanno il controllore e il controllato, ossia l'Elkann e il Marchionne della situazione. Ciò è ipotizzabile in positivo per quanto concerne la fase del sequestro, perché il proprietario resta il mafioso, ma non è ipotizzabile quando il bene è in confisca definitiva e, quindi, l'erario ne è il proprietario. Preso atto di questo e verificati gli emolumenti stratosferici che venivano attribuiti, abbiamo aspettato che cessasse l'incarico di amministratore giudiziario – depositerò poi le schede – di questi quattro signori. 
  Innanzitutto Cappellano Seminara non l'abbiamo tolto come coadiutore. Resta ancora il coadiutore per quanto concerne la confisca Piazza e, quindi, non abbiamo esautorato nessuno. Lui è stato tolto da presidente del consiglio di amministrazione della stessa azienda proprio per il principio che non possiamo consentire che il controllore sia il controllato. Che cosa ha determinato ciò ? Innanzitutto, questa è una situazione che si è verificata l'anno scorso, più di un anno fa, alla scadenza, che è stata a dicembre 2012. Hanno affastellato tutte queste rimozioni, all'improvviso. Non sono state all'improvviso. Sono arrivate puntualmente alla scadenza del mandato di questi soggetti. La scadenza del mandato di presidente del consiglio di amministrazione di Cappellano Seminara, per quanto concerne Piazza, è avvenuta nel dicembre del 2012. Cosa ha determinato questa rimozione ? Con il nuovo consiglio di amministrazione, a differenza dell'immobilismo di quella procedura, che era stata valutata in fase di sequestro e poi di confisca circa 800 milioni di euro e che dopo tanti anni della gestione di Cappellano Seminara non aveva determinato alcun vantaggio per lo Stato, abbiamo cambiato direzione. Non era stato affidato alcun immobile. Questa è una confisca che comprende circa 495 immobili e non ne era stato dato nemmeno uno all'ente territoriale. Nel momento in cui abbiamo cambiato il consiglio di amministrazione, su mandato mio, questo consiglio di amministrazione mi ha certificato formalmente che l'espungere eventuali immobili da questa immobiliare non avrebbe determinato un disequilibrio economico-finanziario dell'azienda. Con questa certificazione io ho potuto fare quello che si sarebbe dovuto fare anni e anni fa, ossia ho potuto espungere tantissimi beni che ho potuto destinare al comune di Palermo. Tanto per entrare nel dettaglio, se ricordo bene, si è trattato di 30 edifici che erano destinati a uso di istituti scolastici, per i quali il comune di Palermo pagava prima al mafioso e poi all'amministrazione 2 milioni di euro circa. Da quando li abbiamo espunti e destinati, il comune non paga più tutto questo. Abbiamo potuto espungere e dobbiamo destinare al comune moltissimi appartamenti. Abbiamo già avuto un incontro con il sindaco. Questi appartamenti, laddove possono essere destinati per l'emergenza alloggiativa ai non abbienti, verranno prontamente riassegnati. Laddove Pag. 6non possono esserlo perché magari sono di particolare pregio o sono affittati e regolarmente pagati, dopo aver fatto aprire al competente assessorato all'economia del comune il capitolo apposito, si devono mettere gli introiti di questi affitti in un apposito capitolo e destinare il reddito per i buoni casa, sempre per il problema dell'emergenza abitativa. Questo si è potuto fare dopo anni di assoluto immobilismo, dopo che abbiamo potuto cambiare il consiglio di amministrazione e io ho potuto avere questa certificazione. Per quanto concerne l'onorario, mi risulta che in passato, solo per l'incarico della confisca Piazza Cappellano Seminara abbia preso una prima tranche di 7 milioni, come onorario. Per quanto concerne, invece, il consiglio d'amministrazione, come presidente, percepiva 150 mila euro l'anno. Gli altri due percepivano, mi pare, uno 80 mila e l'altro 60 mila euro. I tre relativamente nuovi dal dicembre del 2012, ossia dalla scadenza, prendono tutti e tre complessivamente 150 mila euro per questo compito, esattamente quanto prende Cappellano Seminara. 
  Quanto all'avvocato Cappellano Seminara, per quanto concerne le confische definitive – io non conosco il numero degli incarichi che lui ha in termini di beni sequestrati, perché non dipendono da me – abbiamo verificato in questi giorni che ha 31 incarichi come procedure di confisca e 28 incarichi come amministratore unico, componente o presidente del consiglio di amministrazione, o liquidatore in 25 società. Complessivamente, solo per le confische definitive ha incarichi per 56 tra procedure e aziende confiscate. Questo per quanto riguarda Piazza. 
  Passiamo all'operazione azienda vinicola Suvignano. Cappellano Seminara, pur gestendo e operando a Palermo, era ancora amministratore unico dell'azienda agricola Suvignano. Lui non ha risolto, anche perché la legge lo impediva, i problemi nel senso auspicato da noi per quanto concerne la possibilità di cedere l'azienda alla regione Toscana, che ne aveva fatto richiesta. Alla scadenza del suo mandato, non conoscendo nessuno in quel di Siena, io ho telefonato al prefetto di Siena chiedendogli il nominativo di una persona in grado di continuare a gestire, finché era da gestire, finché non si poteva destinare, quell'azienda. Abbiamo risparmiato un quarto degli emolumenti che Cappellano Seminara prendeva come amministratore unico, nonché le spese di trasferta, di pernottamento e di viaggio, che ovviamente sosteneva nell'andare da Palermo a Suvignano. Ripeto e sottolineo che l'abbiamo fatto alla scadenza del mandato.

  PRESIDENTE. Il mandato di che cosa, signor prefetto ? Noi siamo sicuramente meno conoscitori di lei della legislazione, delle regole, delle norme e del funzionamento, ma io faccio molta fatica a seguirla. Non so se i commissari la seguono, ma penso che non riusciamo a seguirla. Se lei ha una carta scritta e ce la legge, forse è meglio, perché in questo momento io non ho capito. Noi non siamo interessati al destino dei singoli amministratori. Vorrei che fosse chiara questa cosa. Ci interessa il funzionamento del sistema e il punto è uno solo: se queste persone prendevano parcelle d'oro per non far nulla e se gestivano i beni a fini privati, queste sono affermazioni gravi. Se non sono sue, signor prefetto, lei deve fare una smentita ufficiale molto seria e vedersela con il giornale e con i giornalisti. Le dichiarazioni riportate da lei sono queste: questi signori stavano lì, prendevano parcelle d'oro per non far nulla e gestivano questi beni a fini privati. Questo per molti anni. Molti di questi anni coincidono con la sua responsabilità all'Agenzia, signor prefetto. Delle due l'una: o lei per alcuni anni non ha visto che questi signori prendevano parcelle d'oro per non far nulla e usavano beni confiscati alla mafia per fini privati – è un'ipotesi – oppure oggi lei fa delle affermazioni gravi. Noi vogliamo capire se lei per due o tre anni, da quando è in carica, non si è accorto di nulla. Noi qui non siamo preoccupati se c’è o meno la scadenza. Siccome lei subentra a un certo punto: quando i beni confiscati la responsabilità è la sua e comunque lei è vigilante Pag. 7insieme all'autorità giudiziaria in tutta la procedura. 

  Allora le chiedo: ha vigilato o non ha vigilato ? Vorrei che fosse chiaro che noi siamo interessati al funzionamento del sistema. Non stiamo difendendo le parcelle di nessuno, gli incarichi di nessuno, gli alberghi di nessuno. Il problema è un altro. È stato affermato che il patrimonio confiscato alla mafia è stato gestito dallo Stato, o da persone nominate dallo Stato – perché di Stato si tratta, che siano la magistratura o che sia l'Agenzia dei be
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26 ottobre 2015 1 26 /10 /ottobre /2015 14:29
Il giudice Silvana Saguto mandava gli uomini della scorta a fare la spesa: "Comprami il dentifricio e lo smalto" 

La Stampa Pubblicato: 23/10/2015 11:30 CEST


SILVIA SAGUTO


"Comprami lo spazzolino Elmex verde, il filo interdentale non cerato Oral-B e un dentifricio Mentadent non granulare per Francesco". È la lista della spesa inviata dal giudice Silvana Saguto a un uomo della sua scorta via sms, pubblicata da La Stampa
"Quelli non fanno mai un c....", diceva al telefono e spediva gli agenti in farmacia, a prendere una ricetta nell'ambulatorio medico e a portarla alla madre.
E se il giudice era dell'estetista, ma le mancava lo smalto non c'era problema: "Viene Carmine (agente,ndr) a prenderlo", diceva al marito
Il giudice Silvana Saguto è l'ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, finita nel mirino della polizia tributaria e dei pm di Caltanissetta che indagano sugli incarichi multimilionari, assieme all'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara e a suo marito Lorenzo Caramma, nominato coadiutore di diverse amministrazioni per volere della moglie. I pm indagano su presunte tangenti.
Il giudice Saguto, stando alle intercettazioni, rimprovera al telefono suo figlio chef Elio Caramma per le spese eccessive
"Siamo indebitati persi. Non è possibile, non si può fare, non esiste stipendio che possa garantire queste cose. La nostra situazione economica è arrivata al limite totale, non è possibile più, completamente! Ci sono sempre nuove cose! Voi non potete farmi spendere 12, 13, 14 mila euro al mese, noi non li abbiamo questi introiti"
Per rimediare alla crisi economica della famiglia il giudice avrebbe ottenuto denaro, recapitatole direttamente a casa in un trolley, dall'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara. La vicenda è stata ricostruita dai finanzieri, grazie a pedinamenti e intercettazioni da cui erano emerse una serie di richieste di rientro di scoperti per migliaia di euro avanzate da Banca Nuova e America Express ai coniugi Caramarra. La giudice e l'amministrazione giudiziario parlano in codice: i soldi diventano "documenti" nelle chiamate intercettate.
Dopo la consegna del denaro la Finanza appunta
"Dopo l'incontro per diversi giorni la Saguto non contatta più inisistentemente Cappellano per parlare della documentazione e i dipendenti di Banca Nuova non contattano più Caramma Lorenzo".
Il conto è stato saldato, ma come?

Silvia Saguto, Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, sotto inchiesta per corruzione su gestione beni mafiosi
La Procura di Caltanissetta ha aperto un'inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio nei confronti della Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, che si occupa della gestione dei patrimoni mafiosi sottoposti a sequestro.
La notizia dell'inchiesta è contenuta in una nota ufficiale della stessa Procura di Caltanissetta "allo scopo - è scritto - di evitare il diffondersi di notizie inesatte". "Su disposizione della Procura della Repubblica di Caltanissetta - si legge nella nota - militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, in alcuni casi con la diretta partecipazione dei magistrati titolari del relativo procedimento penale, hanno eseguito ordini di esibizione nonché decreti di perquisizione e sequestro in data 9 settembre 2015".
"Questi atti istruttori - prosegue la nota - sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari".
La difesa del magistrato: "Nessun dubbio sul mio operato". "Non ho dubbi sul mio operato e chiederò subito di essere interrogata": così il magistrato Silvana Saguto ha commentato con il sito on line Live Sicilia. Il magistrato ha aggiunto: "Incarichi a mio marito? Ne ha avuto uno solo a Palermo, e oggi chiuso, che risale agli anni in cui non ero alla sezione misure di prevenzione".















Beni confiscati, i pm accendono i riflettori sul denaro contante a casa della Saguto 

di Riccardo Arena


Nelle intercettazioni il giudice e il padre parlano di «mazzettine» coi soldi. Lei dice che servivano perché le carte di credito non sempre sono accettate

inchiesta beni sequestrati, Gioacchino Natoli, Silvana Saguto, Palermo, Mafia e Mafie



PALERMO. «Tu hai preso i soldi dalla borsa?», chiede Vittorio Saguto alla figlia Silvana, che, il 20 agosto, risponde: «Io ho preso solo quando c'erano i pezzi da cento, solamente, i pezzi da cento li ho presi, non so quanti erano però precisamente, quindi una parte l'ho levata». E il padre, che inizialmente non trova il denaro, ricorda che c'erano «due, tre mazzettine di quelle». Mezz'ora dopo i due si risentono: «Tutto a posto - dice l'uomo -. Allora, quando vieni qua? Ci sono tre... roselline».

Il denaro contante
Circolava, e non poco, in casa dell'ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, oggi indagata a Caltanissetta con le ipotesi di corruzione, concussione per induzione, abuso d'ufficio. Lei, la Saguto, sostiene che era un'esigenza legata al fatto che le carte di credito - la sua, un'American Express in particolare - non sempre sono accettate e per le spese correnti era costretta a prelevare.
Ma chi indaga ci crede poco e guarda anche ai passaggi delle conversazioni intercettate in cui il giudice denuncia notevoli difficoltà economiche. Cosa che imprime un'accelerazione all'indagine sui presunti scambi di favori con gli amministratori giudiziari, con nomine di comodo per il marito del giudice, l'ingegner Lorenzo Caramma, pure indagato. E poi il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza cerca riscontri che sostengano la tesi dei versamenti di contanti a Vittorio Pietro Saguto, che avrebbe ricevuto il denaro per la figlia. L'anziano padre del magistrato è indagato pure lui, per autoriciclaggio.

La nomina sfumata
Nel contesto generale si inseriscono le trattative per la nomina di Lorenzo Caramma anche come coadiutore nella gestione del Cara di Mineo, dopo il sequestro della società che lo gestiva, deciso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma, presieduta da Guglielmo Muntoni, amico della Saguto. Davide Franco, uno degli amministratori, aveva chiamato più volte l'ingegnere. Il 4 settembre era praticamente fatta. Ma l'8 sono scattate le perquisizioni disposte dai pm nisseni.
Parcelle da un milione a testa
È comunque Gaetano Cappellano Seminara, l'amministratore giudiziario al centro di polemiche da almeno due anni e mezzo, il protagonista di alcuni passaggi: «Ma su Palermo - chiede al presidente - misure? Perché considera che noi, lasciata Gas Natural, questa di qua ci impegna molto poco, questa di Roma». Saguto: «Ora vediamo, per ora non abbiamo niente, nemmeno una carta, non c'è più niente per me».
In un altro colloquio, intercettato sempre nell'ufficio del giudice, Cappellano dice: «Abbiamo presentato a Fabio Licata (altro magistrato sotto inchiesta, ndr) la liquidazione di Gas Natural. Eh, in buona sostanza, alla fine, abbiamo chiesto un milione di euro l'uno, complessivamente... io ho chiesto a parte il rimborso forfettario, perché sono l'unico avvocato fra i tre amministratori... sono 700 milioni di euro di volume d'affari». Ieri il presidente della Corte d'appello, Gioacchino Natoli, e il pg Roberto Scarpinato sono stati sentiti dalla prima commissione del Csm, alla quale hanno chiesto di intervenire subito.

«Morirò, ma morirò ricco»
Un altro capitolo riguarda i rapporti, che dalle intercettazioni appaiono altamente conflittuali, con Walter Virga, figlio di Tommaso, giudice ed ex componente del Csm. Secondo i pm nisseni, il giovane avvocato avrebbe ottenuto due misure per «ringraziare» il padre di aver fermato iniziative ed esposti disciplinari contro la Saguto. Tesi anche questa respinta dai diretti interessati.
Le misure Bagagli e Rappa rendono bene: ci sono gli attacchi mediatici, «però domani facciamo i bonifici. Io morirò, ma morirò ricco», dice Virga jr, forse con ironia, alla moglie, Giuliana Pipi, con lui nei cda delle aziende.

La nuora allontanata
Ma il discorso è più ampio e riguarda la Saguto imprenditrice, che dà lavoro. A persone conosciute e di fiducia, spiega lei, perché il settore dei beni sequestrati alla mafia presuppone la massima fiducia. E però il 7 giugno Walter Virga si sfoga con il suo coadiutore Alessio Cordova, dopo avere allontanato dal proprio studio Mariangela Pantò, fidanzata di Francesco Caramma e dunque futura nuora della presidente: la questione è sfociata in una lite con la Saguto. «Fosse successo a me - dice Virga - mi sarebbe dispiaciuto, ma me la sarei presa con mia suocera, perché io avrei detto, guarda, se tu, diciamo, non cercavi di infilare tutta la famiglia, tutti gli amici dei tuoi figli in tutte cose, non finivi su tutti i giornali, sputtanata in tutto il mondo». Parlando con Tommaso Virga, il figlio Walter si lamenta del modo in cui la Saguto ha affrontato la questione: «Lei avrebbe detto che il problema non si pone, perché Mariangela paga un affitto... ma non è vero». E il giudice, che appare molto in ansia: «No, no, si chiude, Walter... si chiude, si chiude...».
La rabbia del presidente
L'amarezza di Virga è condivisa da Cordova: «Io in generale, almeno dal mio punto di vista... non avremo mai più nessun incarico chiaramente dalle misure di prevenzione». E in effetti la Saguto è arrabbiatissima: «Mi dà fastidio perché è stata fatta in questa maniera e lui pagherà le conseguenze di questa decisione... Lui (Virga jr, ndr) lo devo rivedere io e appena lo rivedo, vedrai cosa non succede. La piena la stiamo reggendo tutti, lui non la vuole reggere. E non la regga, ci penso io».
Il figlio del cancelliere
La Saguto il 31 agosto chiama un cancelliere del tribunale: «Intanto cominciamo con tuo figlio, sicuramente». Poco dopo riceve un collaboratore di Cappellano Seminara, Aulo Gigante: «Senti qua, per Vincenzo (non identificato, ndr) avremmo trovato probabilmente un posto, adesso, nell'amministrazione Virga. Però c'è una persona che voglio presa in cambio, che è il figlio di un cancelliere». Qualche giorno dopo il giudice precisa alla diretta interessata: «Tuo figlio lo mettiamo da Niceta, come ragioniere... Poi man mano, per tuo fratello ho parlato con Carmelo Provenzano, il professore». E l'altra: «Mio fratello per ora se l'è preso Carlo». Il 28 agosto un amministratore, Alessandro Scimeca, cerca di evitare un'assunzione con una qualifica «improponibile» per un esecutivo, chiesta da un alto esponente istituzionale: «Da fratello a sorella te lo dico, faccio tutto quello che vuoi ma non ci facciamo sparare».



I fucili e il doposole
Vittorio Saguto e il nipote Emanuele Caramma amano andare a caccia e si devono prendere munizioni e fucili e portarli a Piana degli Albanesi. È «Elio» Caramma, figlio della Saguto, ad insistere molto: «Io ci posso provare - gli spiega la madre - ma commetto un reato, porto e detenzione abusiva di materiale esplodente». E infine la scorta: la Saguto il 28 agosto fa prendere agli agenti un doposole, poi fa accompagnare la Pantò in spiaggia, infine chiede «i dischetti levatrucco, quelli grandi». Il caposcorta le risponde che ci sono quelli piccoli. «No, non li voglio».

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria. Affidate a professionisti con parcelle milionarie. Un sistema di favoritismi, nepotismi e conflitti d’interessi ora sotto inchiesta. Che coinvolge anche diversi magistrati

DI GIANFRANCESCO TURANO

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Quando parlava di professionisti dell’antimafia, Leonardo Sciascia non sapeva fino a che punto avesse ragione. Il passo dai professionisti agli affaristi è cosa fatta.


Così, il manager più pagato d’Europa non è Martin Winterkorn, ex amministratore delegato della Volkswagen in carica dal 2007, allontanato dopo lo scandalo delle emissioni con 60 milioni di euro di buonuscita. È Gaetano Cappellano Seminara, 57 anni, re incontrastato degli amministratori giudiziari, pupillo delle sezioni di misure di prevenzione dei tribunali. Per 200 giorni di lavoro l’avvocato palermitano ha chiesto 18 milioni di euro a Italcementi, pari a 90 mila euro per ognuna delle giornate trascorse nella sede della società bergamasca.



Italcementi, che aveva subito un sequestro preventivo nel 2008, aveva già versato 7,6 milioni di euro al professionista, tutti autorizzati dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il grosso della richiesta aggiuntiva, che non è passata dal vaglio del giudice, doveva fra l’altro compensare il rilascio di un’ “assurance”. È una sorta di certificato per garantire la guarigione di Italcementi da comportamenti passibili di censura giudiziaria, anche se non connessi al crimine organizzato. È l’equivalente in versione moderna delle indulgenze mercanteggiate dal clero nel cristianesimo preluterano.



È giusto aggiungere che la cifra è riferita all’insieme del team formato da Cappellano Seminara e dai suoi coadiutori, sei impiegati in pianta stabile più altri avventizi.



Ma è altrettanto corretto sottolineare che Italcementi è soltanto uno degli oltre cento incarichi ottenuti dal professionista siciliano, che è anche imprenditore in proprio con la Legal Gest consulting e con Tourism Project (hotel Brunaccini di Palermo).



La parcella da 18 milioni ha guastato i rapporti fra Cappellano Seminara e il colosso del calcestruzzo, da poco passato in mano ai tedeschi.



Italcementi si è rivolta alla giustizia. La causa ha superato due gradi di giudizio ed è al vaglio della Cassazione, che non ha ancora fissato la data dell’udienza. Ma finora i verdetti indicano che l’amministratore ha incassato più del dovuto e dovrebbe restituire una quota degli onorari di circa 2 milioni di euro.



Nel frattempo il bubbone è esploso. A Palermo è venuto alla luce un sistema opaco di favoritismi, nepotismi e incarichi in conflitto di interessi che potrebbe non essere limitato al capoluogo siciliano, dove si gestiscono quasi metà dei beni sequestrati in tutta Italia, secondo valutazioni del presidente delle misure di prevenzione Silvana Saguto.



Oltre a Cappellano Seminara, la procura di Caltanissetta indaga sulla stessa Saguto, assegnata ad altro incarico, su suo maritoLorenzo Caramma, consulente di Cappellano, sul suo collega di sezione Lorenzo Chiaramonte, sul sostituto procuratore Dario Scaletta e sull’ex componente togato del Csm Tommaso Virga.



In attesa che si sviluppi il lavoro del pubblico ministero nisseno Cristina Lucchini e del colonnello Francesco Mazzotta della Guardia di finanza, proprio il Csm ha finalmente deciso di affrontare la questione del cumulo degli incarichi nell’amministrazione giudiziaria, diventata ormai un affare da decine di milioni di euro all’anno, soprattutto nelle regioni più colpite dal crimine organizzato.



Anche la politica è dovuta tornare sull’argomento. L’ultima sistemazione datata 2011 si è rivelata disastrosa perché lascia una totale discrezionalità ai singoli tribunali sia nelle nomine sia nella definizione del tariffario che in parte è a carico delle aziende e in parte è a carico della pubblica amministrazione, quindi del contribuente.



In cambio del potere incondizionato che si è dato ai giudici delle misure di prevenzione non c’è stata garanzia di trasparenza né di rotazione negli incarichi. L’allarme lanciato dall’ex direttore dell’agenzia nazionale dei beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso è rimasto inascoltato e la commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi ha preferito impegnarsi in lunghe audizioni di quegli stessi amministratori giudiziari che hanno trasformato la lotta alla mafia in un business altamente lucrativo.



ITALGAS

Nel festival del conflitto di interessi spicca la vicenda Italgas. L’azienda torinese, controllata dalla Snam, finisce sotto sequestro in modo rocambolesco.



L’avvocato Andrea Aiello, 44 anni, amministratore giudiziario della Euro Impianti Plus dei fratelli Cavallotti, sequestrata nel 2012 e in liquidazione a giugno del 2015, riferisce al pm Scaletta di alcune anomalie riguardanti i rapporti fra Euro Impianti e Italgas. In sostanza, Italgas avrebbe firmato un contratto di fornitura con Euro Impianti pur sapendo che i Cavallotti erano soggetti a rischio.



In effetti, gli imprenditori di Belmonte Mezzagno sono stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ma restano “socialmente pericolosi” e la testimonianza di Aiello fa scattare il sequestro di Italgas il 9 luglio 2014.



Il giudice delegato Fabio Licata, che opera insieme ai colleghi Saguto e Chiaramonte ma non risulta indagato, nomina amministratore giudiziario proprio il teste dell’accusa Aiello. Da amministratore di Euro Impianti Plus, Aiello ha chiesto a Italgas un risarcimento di 20 milioni di euro per il contratto di fornitura non rispettato.



Insieme all’avvocato palermitano, sono nominati amministratori anche l’ingegnere Sergio Caramazza, il docente Marco Frey e il commercialista Luigi Saporito. I quattro vengono retribuiti dal tribunale e la cifra non è pubblica. Ma c’è una quota consistente versata dall’azienda sotto sequestro. Italgas ha pagato per un anno di sequestro 6 milioni di euro a 43 coadiutori ingaggiati dagli amministratori, per una media di 140 mila euro a testa.



Fra le criticità suggerite dagli amministratori giudiziari alla Deloitte, ingaggiata come consulente da Italgas, figura ogni genere di problema, inclusa la corretta profondità nell’interramento dei tubi, ma non profili collegati alla criminalità organizzata. La richiesta di dissequestro viene accolta a maggio del 2014 dal pm Dario Scaletta, poi indagato perché avrebbe informato Saguto dell’inchiesta che la riguardava. Nonostante questo, l’azienda viene riconsegnata il 9 luglio 2015, oltren un anno dopo il provvedimento. Ma nemmeno allora i professionisti delle misure di prevenzione si fanno da parte e riaffiorano nelle lunghe trattative per nominare il nuovo organo di vigilanza (Odv), incaricato fra l’altro dell’applicazione dei protocolli antimafia. La terna finale è guidata dal giurista di area Pd Giovanni Fiandaca insieme a Andrea Perini dell’università di Torino e a Gianluca Varraso, direttore con Fiandaca del corso di alta formazione per amministratori giudiziari della Cattolica di Milano, dove ha insegnato lo stesso Aiello.



Seppure molto qualificato, l’Odv viene integrato da tre consulenti: Carlo Amenta, Gianfranco Messina e Cristina Giuffrida, dello studio Aiello. Tutti e tre figurano fra i coadiutori dello stesso Aiello durante il sequestro di Italgas.



NATURAL GAS E GRUPPO MOLLICA

L’inchiesta che ha condotto al sequestro di Italgas, cioè la caccia al tesoro dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ha portato al sequestro di altre tre aziende italiane controllate dal colosso energetico spagnolo Gas Natural Fenosa. Anche in questo caso, la molla è stata la fornitura da parte dei fratelli Cavallotti.



Il giudice Saguto e i suoi colleghi hanno incaricato Cappellano Seminara che, insieme ai colleghi Enzo Bivona e Donato Pezzuto, è stato amministratore giudiziario delle società dal 19 maggio 2014 fino al luglio scorso.



Anche in questa vicenda c’è stato ricorso a decine di coadiutori che sono costati nell’ordine di 1 milione di euro: una bella somma considerando le dimensioni molto più ridotte delle aziende in termini di ricavi e dipendenti.

Le traversie giudiziarie dei fratelli Cavallotti hanno un parallelo nella storia del gruppo Mollica.



Le società dei costruttori di Gioiosa Marea (Messina), guidate dai fratelli Pietro, Domenico e Antonio, sono finite nel mirino come parte integrante di Cosa Nostra, secondo le dichiarazioni di Angelo “Bronson” Siino, il ministro dei lavori pubblici della mafia.



Nel 2011, i fratelli Mollica sono stati assolti da questa accusa tanto che le loro imprese, raccolte nel consorzio Aedars, hanno ottenuto la certificazione per partecipare al rifacimento della Scuola della Misericordia a Venezia, in società con la Umana di Luigi Brugnaro.



Nel giugno di quest’anno, con i lavori della Misericordia compiuti e Brugnaro diventato sindaco della Serenissima, le aziende dei Mollica sono state sequestrate in base a una sentenza del tribunale di Roma che ha bloccato beni per 135 milioni di euro. Niente mafia, stavolta. Tre mesi prima, a marzo del 2015, Pietro Mollica era stato arrestato con l’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Aedars e delle società consorziate, riconducibili ai Mollica. I giudici romani hanno affidato il gruppo a Cappellano Seminara.



L’avvocato palermitano adesso è a un bivio. Sembra che il presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, gradirebbe un passo indietro del superamministratore. Si attendono i passi avanti dei politici.



Aggiornamento dell'8 ottobre 2015
Precisazioni a "Che affarone quel sequestro": le lettere di Rosy Bindi, Fabio Licata, Gaetano Cappellano Seminara e Pietro Cavallotti. 





Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino

Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino


Saguto: "Mie parole estrapolate dal contesto". Manfredi: "Parole catalogate alla voce cattiveria", nessuno commento dal ministro Orlando. Il giudice Muntoni si giustifica: "L'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario

"Leggo sui giornali brandelli di intercettazioni che riguarderebbero giudizi da me espressi. Si tratta di parti di conversazioni estrapolate da contesti più ampi, che singolarmente lette possono avere significati fuorvianti". Lo dice, in una nota, l'ex presidente della sezione misure di prevenzione Silvana Saguto in merito alla conversazione intercettata in cui il magistrato esprime pesanti giudizi sui figli del giudice Paolo Borsellino. Saguto è indagata per corruzione nell'ambito dell'inchiesta su illeciti nelle assegnazioni degli incarichi agli amministratori giudiziari dei beni sotto sequestro. "Aggiungo che probabilmente - spiega - saranno sfuggite al giornalista (l'intercettazione è stata pubblicata da Repubblica ndr) le frasi con cui esprimevo la stima incondizionata e l'affetto che ho sempre nutrito nei confronti di Paolo Borsellino, mio carissimo amico personale, collega anche di corrente ed ineguagliabile maestro". "Mi riservo di chiarire al momento opportuno, - conclude - ed in accordo con i miei legali, tutti gli aspetti giuridicamente rilevanti, relativi alla vicenda processuale".


"Io e mia sorella Lucia siamo senza parole", dice Manfredi Borsellino, dirigente del commissariato di polizia di Cefalù sul contenuto delle intercettazioni che riportano le frasi del giudice Silvana Saguto sui figli di Paolo Borsellino. "Non vogliamo commentare - aggiunge Manfredi - espressioni che andrebbero catalogate alla voce cattiveria. Solo parlandone, rischiamo perciò di attribuire importanza a chi quelle parole ha proferito".



No comment anche dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando: "Non voglio dire niente perché sono oggetto di un'attività di indagine e sono frutto di intercettazioni telefoniche. "Credo - ha aggiunto - che siano valutazioni che deve poter apprezzare il magistrato nell'ambito delle proprie facoltà con le quali conduce oggi le indagini e domani si formerà il giudizio".



Si difende il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma, Guglielmo Muntoni, intercettato mentre rassicurava la collega Saguto - che glielo aveva raccomandato - su un prossimo incarico per il marito, l'ingegnere Lorenzo Caramma: "Ho scritto alla prima Commissione del Csm e al presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano - racconta all'Ansa - segnalando che ritengo il mio comportamento del tutto corretto".  Sull'articolo pubblicato oggi da Republica aggiunge: "L'articolo non dice che l'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario; questo non lo scrive mai nessuno. Preferisco non aggiungere altro, mi sembra tutto un gioco al massacro".



"E' una pagina triste - commenta Rosi Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia - mi auguro - ha detto a margine di un impegno a Quindici - che la giustizia faccia presto il suo corso".



Michele Pagliaro, segretario generale della Cgil Sicilia commenta: "Le indagini che coinvolgono il giudice Silvana Saguto e altri soggetti delineano un quadro inquietante di interessi e scambi attorno alla gestione dei beni sequestrati, sul quale la Cgil già nel 2013 aveva lanciato, unica e inascoltata voce, l'allarme. Istituzioni importanti rischiano il discredito, per questo ritengo che sia urgente l'intervento non solo dell'organo di autogoverno della magistratura ma di tutte le altre Istituzioni preposte e del Presidente della Repubblica nella qualità di Presidente del Csm, per ridare credibilità a queste stesse istituzioni.  Giudichiamo intollerabile la situazione che sta emergendo e che getta nello sconforto noi e tutti coloro che nella società civile sono impegnati costantemente contro la mafia, molti dei quali hanno pagato con la loro vita".



"Insultare la memoria del giudice Paolo Borsellino e i figli nel giorno della commemorazione, il 19 luglio, è l'emblema della turpitudine etica e morale. Tutto ciò lascia sinceramente sbigottiti - dice il coordinatore di Fratelli d'Italia per la Sicilia orientale Sandro Pappalardo - Fratelli d'Italia esprime solidarietà e vicinanza alla famiglia Borsellino, simbolo vero e concreto della lotta alla mafia. Raccomandazioni, favoritismi e insulti ai simboli della Sicilia onesta: il sistema Saguto non deve fare perdere però ai siciliani la fiducia negli uomini delle istituzioni che ogni giorno, seguendo l'esempio di Borsellino e Falcone, combattono indefessamente la criminalità. Occorrono però punizioni esemplari per chi tradisce lo Stato e quindi i cittadini".




"Posti di lavoro nei beni sequestrati"  Le intercettazioni del caso Saguto 

Martedì 20 Ottobre 2015 - 06:00 di Riccardo Lo Verso

Secondo i finanzieri, l'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo avrebbe segnalato amici e conoscenti per farli lavorare nelle aziende sequestrate alla mafia. "Io ti devo chiedere il favore per il prefetto".

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PALERMO - Ultimo giorno dello scorso mese di agosto. Poco dopo la undici e trenta Silvana Saguto contatta al telefono una dipendente che al Palazzo di Giustizia di Palermo fa il funzionario giudiziario. "... era per vedere cose nuove... volevo parlarti un minuto... - dice il magistrato - intanto cominciamo con tuo figlio sicuramente". L'ufficio dell'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale è imbottito di microspie. Le hanno piazzate gli investigatori della Polizia tributaria su delega della Procura di Caltanissetta.

I finanzieri scrivono nelle informative: "Gli approfondimenti investigativi hanno fatto emergere che Silvana Saguto segnala persone da contrattualizzare (amici, conoscenti, personali o di suoi familiari) ad alcuni amministratori giudiziari". Insomma, saremmo di fronte ad una sorta di ufficio di collocamento con i nominativi delle persone da assumere suggeriti dal magistrato a capo, fino ad un mese e mezzo fa, del collegio che sequestra i beni alla mafia e nomina gli amministratori giudiziari. Suggerimenti che non sappiamo se abbiano fatto in tempo ad accogliere, visto che le conversazioni sono state intercettate in prossimità delle perquisizioni e dei sequestri che hanno fatto esplodere lo scandalo. Il lavoro degli investigatori, però, guarda indietro nel tempo per scovare assunzioni sospette avvenute in precedenza.

L'ufficio del magistrato era tappa obbligata per gli amministratori giudiziari, le cui voci sono rimaste impresse nei nastri magnetici che raccontano il "pressing" del magistrato. Quarantasette minuti dopo le undici dello stesso giorno di fine agosto nella stanza dell'allora presidente entra l'avvocato Aulo Gigante. La richiesta della Saguto è diretta e svelerebbe un intreccio di posizioni di lavoro: “... senti qua per Vincenzo avremmo trovato probabilmente un posto adesso, nell'amministrazione Virga dove lui può essere preso intero, però c'è una persona che io voglio presa in cambio... il figlio di... la conosci... il cancelliere... questo ha esperienza... ha fatto fallimenti”.

Ecco la richiesta di piazzare il figlio del funzionario giudiziario. Gigante prende tempo: "... il problema è che siamo in grosse difficoltà... mi devi dare tempo sino a dicembre, a dicembre io so se siamo vivi o morti”. Saguto: "... ma temporaneo non lo potresti prendere?... se io non trovo di meglio subito lo prendiamo temporaneo al posto di Vincenzo appena Vincenzo lo mettiamo... incomprensibile... è bravo, ha fatto fallimenti come curatore". Gigante torna a parlare delle sorti della catena di negozi di abbigliamento, tirando in ballo i vecchi proprietari alla cui gestione, almeno così sembrerebbe dalle sue parole, farebbe risalire lo stato di crisi aziendale: "... ci salviamo riducendo i costi, malgrado Massimo Niceta... vabbè comunque organizziamoci... lo facciamo".

Il 2 settembre successivo la Saguto contatta la funzionaria giudiziaria: "... dovremmo fare con tuo figlio, lo mettiamo da Niceta... in un posto che si libera... contabilità... quello che la faceva era un ragazzo che conoscevo pure io che non è diplomato ragioniere, quindi deve essere una contabilità all'ingrosso, diciamo... se dovesse andare male Niceta, proviamo altri posti... per tuo fratello ho parlato con Provenzano, il professore... ". Tre giorni prima, il 28 agosto 2015, la Saguto chiede ad un altro amministratore, Alessandro Scimeca: "… allora io ti devo chiedere il favore per il prefetto... quello là (incomprensibile) assumere, devi trovare...". "Silvana è improponibile... - Scimeca prova a resistere alle richieste - io faccio tutto quello che vuoi... ma come ti aiuto?... io al prefetto l'aiuto pure, ma non con quella mansione, ma non con quella qualifica". Saguto: "Io posso vedere anche in altri posti ma lui cosa sa fare, niente". 

Nella stessa giornata la cimici captano la conversazione fra la Saguto e il titolare di un noto ristorante-sala ricevimenti in provincia di Palermo dove andrà a lavorare il figlio del magistrato, Elio, di professione chef. Quest'ultimo, a giudicare dalle parole della madre, non è rimasto molto contento della proposta economica. L'imprenditore tranquillizza la madre: "Credo che si può superare tutto". All'indomani le cose si mettono a posto: "Sono contentissima io ed è contentissimo pure Elio". "Hanno trovato l'intesa completa", dice l'imprenditore.

Ed è sempre il futuro di un altro figlio, Emanuele, che sta a cuore al magistrato. Al padre Vittorio dice "che per ora è tranquillo, dal primo ottobre il professore (Carmelo Provenzano, ndr) dice che qualche cosa gliela troverà da fare... intanto vuole fare sto concorso per commissario... poi vuole fare un corso in criminologia... io intanto lo scrivo per l'abilitazione di avvocato". Provenzano, docente universitario ad Enna, secondo l'ipotesi della Procura di Caltanissetta, sarebbe stato inserito dalla Saguto fra gli amministratori giudiziari in cambio dell'aiuto al figlio, sia negli studi che nel mondo del lavoro.



Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"

Le parole di Walter Virga, amministratore giudiziario del patrimonio Rappa, e quelle della ex presidente della sezione Misure di prevenzione: così funzionava il "sistema Saguto"
Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"



PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 13.50. DEL 5 FEBBRAIO 2014 

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. 

  (Così rimane stabilito).

Audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso. 

  L'ordine del giorno è dedicato in maniera particolare alla vicenda della rimozione da parte dell'Agenzia di alcuni amministratori giudiziari di beni confiscati. La notizia è apparsa nei giorni scorsi sugli organi di informazione ed è ripresa anche oggi in un'ampia intervista al dottor Caruso pubblicata sul quotidiano La Repubblica. Il dottor Caruso è accompagnato dal prefetto Maria Rosaria Laganà, dirigente dell'Ufficio beni sequestrati presso la medesima Agenzia. Prima di dare la parola al prefetto Caruso, corre l'obbligo da parte mia di introdurre il dibattito con alcune domande. 
  È evidente che vorremmo conoscere i criteri che hanno ispirato il prefetto a procedere alla sostituzione di alcuni amministratori e quelli che hanno ispirato la nomina dei nuovi amministratori. Tuttavia, soprattutto dopo l'intervista di oggi, corre l'obbligo da parte di questa Commissione di chiedere al prefetto Caruso se sia consapevole che le sue dichiarazioni gettano ombre o creano interrogativi non soltanto sulla gestione degli amministratori, ma anche sull'autorità giudiziaria che li ha nominati e che avrebbe dovuto controllare e vigilare sulle azioni di questi amministratori. 
  Si tratta di magistrati che hanno una responsabilità enorme, come al prefetto non sfugge, che rischiano la vita e che sono tra i più esposti. In queste settimane noi ci siamo interessati molto del problema della sicurezza di alcune procure e abbiamo potuto constatare che tra i magistrati più esposti in questa fase, a Palermo, a Trapani, a Catania, a Reggio Calabria, ci sono proprio i magistrati delle misure di prevenzione. In merito alle sue dichiarazioni di oggi, signor prefetto, noi ci auguriamo di sentire atti di accusa fondati su dati reali. O meglio, ci auguriamo che non ci siano, ma le sue dichiarazioni rischiano di indebolire, in un momento alquanto delicato, tutto l'apparato istituzionale che svolge un compito di lotta alla mafia, in maniera particolare quello dei beni confiscati, che è uno dei punti più delicati. Sappiamo bene che questo è un settore che deve essere riformato, ma chi ha operato e sta operando in questi anni ha una responsabilità enorme. Aggiungo che la sua intervista di oggi tocca anche un Pag. 4altro aspetto, quello dell'utilizzazione di alcuni beni confiscati. A parte il fatto che a noi risultava che fino a quando non c’è la confisca definitiva il denaro e i titoli devono essere ben tutelati e investiti – non sono a disposizione, o così ci sembrava – dalle sue parole abbiamo colto un'accusa generalizzata al sistema. Questa audizione era stata costruita per conoscere i dati particolari. Porremo poi domande precise e ascolteremo quello che ci risponderà. Abbiamo alcune domande sulla sostituzione di alcuni amministratori. Vorremmo sapere perché sono state sostituite persone appena nominate. Mi risulta che lei sia direttore dell'Agenzia dal 2011 e che, quindi, lei abbia controllato le attività di alcuni amministratori che ha sostituito in questi giorni per alcuni anni. Se hanno operato così male, è in ritardo lei nella sua azione di controllo. È vero che ha da fare tante cose, che tutto è centralizzato all'Agenzia – ci risulta che il potere di firma sia solo suo e della dottoressa Laganà – e che, quindi, magari le sfuggono le cose più importanti, ma, visto che era lei il controllore, nell'arrivare tanto tardi e con atti di accusa così pesanti, capisce bene che sta coinvolgendo anche se stesso nell'accusa generale che viene a portare al sistema. La ascoltiamo volentieri ma questa introduzione era doverosa. Il fatto che nel giorno in cui deve venire in audizione in Commissione lei rilasci un'intervista così pesante, con un atto di accusa tanto forte nei confronti di tutto il sistema, francamente ci ha lasciato molto preoccupati. Do la parola al prefetto Caruso.

  GIUSEPPE CARUSO, direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Io non ho rilasciato nessuna intervista. L'ho letta stamattina, come è stata letta da voi. L'ho letta e ho verificato che sono state riportate affermazioni da me fatte fin da quando ho assunto questo incarico. Segnatamente, per quanto concerne il Fondo unico giustizia (FUG), è stato riportato quello che ho detto in più occasioni, forse anche in questa sede. Ho citato anche da dove avevo appreso la notizia. Un articolo su Il Sole 24 Ore che pubblicava alcune dichiarazioni dell'allora sottosegretario all'interno Mantovano, il quale aveva richiesto formalmente al Ministero dell'economia il resoconto delle risultanze e dei redditi ricavati attraverso i sequestri e le confische che giacevano al FUG. A quella domanda – dice sempre il Sottosegretario Mantovano – è stato risposto che al 31 dicembre del 2012, ma non vorrei sbagliare, risultavano depositati al FUG complessivamente 2 miliardi di euro. Di questi 2 miliardi, uno era in contanti e l'altro in titoli. Del miliardo in contanti gli fu riferito che 350 milioni non venivano utilizzati, e io ho aggiunto, a mio giudizio, giustamente. Anzi, forse li avrei aumentati a 500 milioni. Per alcuni sequestri non si era ancora arrivati alla confisca definitiva, ragion per cui non era da escludere che qualche cosa bisognasse restituirla. Andava bene, quindi, accantonare questi 350 milioni. Non hanno saputo rispondere alla domanda del sottosegretario, il quale chiedeva perché i rimanenti 650 milioni risultassero ancora depositati e non utilizzati, come prevede la legge, dal Ministero della giustizia per il migliore funzionamento dell'apparato giudiziario e dal Ministero dell'interno per affitti, caserme, commissariati e via elencando. Sempre il sottosegretario, su quell'articolo di Il Sole 24 Ore, poneva poi il problema del miliardo di euro in titoli. La risposta che gli è stata fornita era che nessuno voleva assumersi la responsabilità di cambiarli, per paura che nel mese o nei due mesi successivi avrebbero potuto aumentare di valore. Non se ne volevano assumere la responsabilità. Questo è il dato storico. Questa è la lettera indirizzata dal sottosegretario all'interno all'epoca al Ministero dell'economia, con la relativa risposta. Il tutto fu pubblicato su Il Sole 24 Ore e ripreso poi in altre occasioni. Laddove mi è stata fatta in passato, in varie sedi, una domanda sul reddito derivante dai sequestri e dalle confische e sulla fine che facessero questi redditi, io mi sono limitato a rispondere in questi termini, attingendo alle notizie riportate da Il Sole 24 Ore. Quello che èPag. 5stato riportato oggi è probabilmente stato ripreso da quanto in più occasioni, lo ripeto, io ho dichiarato attingendo a quella fonte. 

  Quanto all'autorità giudiziaria, io lavoro da quarant'anni esatti con l'autorità giudiziaria. Il mio compito è stato, ed è, a maggior ragione adesso, quello di coadiuvare l'autorità giudiziaria. A differenza di quello che ha riferito, virgolettando, il coadiutore della confisca Piazza, il mio presunto intento di delegittimare gli amministratori e l'autorità giudiziaria di Palermo è assolutamente falso. Non corrisponde assolutamente a verità. Lo si può capire riportando le schede delle quattro persone per le quali mi è stato chiesto di interloquire, le quattro intervistate dai giornali della settimana scorsa, delle quali mi è stato richiesto di parlare e sulle quali io non ho avuto alcuna interlocuzione con il giornalista, se non riprendendo frasi che continuo a ripetere esattamente da due anni e mezzo, da quando sono direttore di questa Agenzia: noi abbiamo rilevato che, disattendendo la legge, la maggior parte dei soggetti del Centro-Sud che ricoprono l'incarico di amministratore giudiziario, soprattutto nelle grosse aziende, ricopre anche la carica di presidente nei consigli di amministrazione delle stesse aziende. In sostanza, le stesse persone fanno il controllore e il controllato, ossia l'Elkann e il Marchionne della situazione. Ciò è ipotizzabile in positivo per quanto concerne la fase del sequestro, perché il proprietario resta il mafioso, ma non è ipotizzabile quando il bene è in confisca definitiva e, quindi, l'erario ne è il proprietario. Preso atto di questo e verificati gli emolumenti stratosferici che venivano attribuiti, abbiamo aspettato che cessasse l'incarico di amministratore giudiziario – depositerò poi le schede – di questi quattro signori. 
  Innanzitutto Cappellano Seminara non l'abbiamo tolto come coadiutore. Resta ancora il coadiutore per quanto concerne la confisca Piazza e, quindi, non abbiamo esautorato nessuno. Lui è stato tolto da presidente del consiglio di amministrazione della stessa azienda proprio per il principio che non possiamo consentire che il controllore sia il controllato. Che cosa ha determinato ciò ? Innanzitutto, questa è una situazione che si è verificata l'anno scorso, più di un anno fa, alla scadenza, che è stata a dicembre 2012. Hanno affastellato tutte queste rimozioni, all'improvviso. Non sono state all'improvviso. Sono arrivate puntualmente alla scadenza del mandato di questi soggetti. La scadenza del mandato di presidente del consiglio di amministrazione di Cappellano Seminara, per quanto concerne Piazza, è avvenuta nel dicembre del 2012. Cosa ha determinato questa rimozione ? Con il nuovo consiglio di amministrazione, a differenza dell'immobilismo di quella procedura, che era stata valutata in fase di sequestro e poi di confisca circa 800 milioni di euro e che dopo tanti anni della gestione di Cappellano Seminara non aveva determinato alcun vantaggio per lo Stato, abbiamo cambiato direzione. Non era stato affidato alcun immobile. Questa è una confisca che comprende circa 495 immobili e non ne era stato dato nemmeno uno all'ente territoriale. Nel momento in cui abbiamo cambiato il consiglio di amministrazione, su mandato mio, questo consiglio di amministrazione mi ha certificato formalmente che l'espungere eventuali immobili da questa immobiliare non avrebbe determinato un disequilibrio economico-finanziario dell'azienda. Con questa certificazione io ho potuto fare quello che si sarebbe dovuto fare anni e anni fa, ossia ho potuto espungere tantissimi beni che ho potuto destinare al comune di Palermo. Tanto per entrare nel dettaglio, se ricordo bene, si è trattato di 30 edifici che erano destinati a uso di istituti scolastici, per i quali il comune di Palermo pagava prima al mafioso e poi all'amministrazione 2 milioni di euro circa. Da quando li abbiamo espunti e destinati, il comune non paga più tutto questo. Abbiamo potuto espungere e dobbiamo destinare al comune moltissimi appartamenti. Abbiamo già avuto un incontro con il sindaco. Questi appartamenti, laddove possono essere destinati per l'emergenza alloggiativa ai non abbienti, verranno prontamente riassegnati. Laddove Pag. 6non possono esserlo perché magari sono di particolare pregio o sono affittati e regolarmente pagati, dopo aver fatto aprire al competente assessorato all'economia del comune il capitolo apposito, si devono mettere gli introiti di questi affitti in un apposito capitolo e destinare il reddito per i buoni casa, sempre per il problema dell'emergenza abitativa. Questo si è potuto fare dopo anni di assoluto immobilismo, dopo che abbiamo potuto cambiare il consiglio di amministrazione e io ho potuto avere questa certificazione. Per quanto concerne l'onorario, mi risulta che in passato, solo per l'incarico della confisca Piazza Cappellano Seminara abbia preso una prima tranche di 7 milioni, come onorario. Per quanto concerne, invece, il consiglio d'amministrazione, come presidente, percepiva 150 mila euro l'anno. Gli altri due percepivano, mi pare, uno 80 mila e l'altro 60 mila euro. I tre relativamente nuovi dal dicembre del 2012, ossia dalla scadenza, prendono tutti e tre complessivamente 150 mila euro per questo compito, esattamente quanto prende Cappellano Seminara. 
  Quanto all'avvocato Cappellano Seminara, per quanto concerne le confische definitive – io non conosco il numero degli incarichi che lui ha in termini di beni sequestrati, perché non dipendono da me – abbiamo verificato in questi giorni che ha 31 incarichi come procedure di confisca e 28 incarichi come amministratore unico, componente o presidente del consiglio di amministrazione, o liquidatore in 25 società. Complessivamente, solo per le confische definitive ha incarichi per 56 tra procedure e aziende confiscate. Questo per quanto riguarda Piazza. 
  Passiamo all'operazione azienda vinicola Suvignano. Cappellano Seminara, pur gestendo e operando a Palermo, era ancora amministratore unico dell'azienda agricola Suvignano. Lui non ha risolto, anche perché la legge lo impediva, i problemi nel senso auspicato da noi per quanto concerne la possibilità di cedere l'azienda alla regione Toscana, che ne aveva fatto richiesta. Alla scadenza del suo mandato, non conoscendo nessuno in quel di Siena, io ho telefonato al prefetto di Siena chiedendogli il nominativo di una persona in grado di continuare a gestire, finché era da gestire, finché non si poteva destinare, quell'azienda. Abbiamo risparmiato un quarto degli emolumenti che Cappellano Seminara prendeva come amministratore unico, nonché le spese di trasferta, di pernottamento e di viaggio, che ovviamente sosteneva nell'andare da Palermo a Suvignano. Ripeto e sottolineo che l'abbiamo fatto alla scadenza del mandato.

  PRESIDENTE. Il mandato di che cosa, signor prefetto ? Noi siamo sicuramente meno conoscitori di lei della legislazione, delle regole, delle norme e del funzionamento, ma io faccio molta fatica a seguirla. Non so se i commissari la seguono, ma penso che non riusciamo a seguirla. Se lei ha una carta scritta e ce la legge, forse è meglio, perché in questo momento io non ho capito. Noi non siamo interessati al destino dei singoli amministratori. Vorrei che fosse chiara questa cosa. Ci interessa il funzionamento del sistema e il punto è uno solo: se queste persone prendevano parcelle d'oro per non far nulla e se gestivano i beni a fini privati, queste sono affermazioni gravi. Se non sono sue, signor prefetto, lei deve fare una smentita ufficiale molto seria e vedersela con il giornale e con i giornalisti. Le dichiarazioni riportate da lei sono queste: questi signori stavano lì, prendevano parcelle d'oro per non far nulla e gestivano questi beni a fini privati. Questo per molti anni. Molti di questi anni coincidono con la sua responsabilità all'Agenzia, signor prefetto. Delle due l'una: o lei per alcuni anni non ha visto che questi signori prendevano parcelle d'oro per non far nulla e usavano beni confiscati alla mafia per fini privati – è un'ipotesi – oppure oggi lei fa delle affermazioni gravi. Noi vogliamo capire se lei per due o tre anni, da quando è in carica, non si è accorto di nulla. Noi qui non siamo preoccupati se c’è o meno la scadenza. Siccome lei subentra a un certo punto: quando i beni confiscati la responsabilità è la sua e comunque lei è vigilante Pag. 7insieme all'autorità giudiziaria in tutta la procedura. 

  Allora le chiedo: ha vigilato o non ha vigilato ? Vorrei che fosse chiaro che noi siamo interessati al funzionamento del sistema. Non stiamo difendendo le parcelle di nessuno, gli incarichi di nessuno, gli alberghi di nessuno. Il problema è un altro. È stato affermato che il patrimonio confiscato alla mafia è stato gestito dallo Stato, o da persone nominate dallo Stato – perché di Stato si tratta, che siano la magistratura o che sia l'Agenzia dei beni confiscati – a fini privati e per prendere parcelle d'oro. Se ne rende conto ? Noi vogliamo capirci qualche cosa di più. Questo è il nostro interesse. Io non so chi sono questi signori e non mi interessa il loro destino. Mi interessa sapere se in questi anni si è usato bene questo potere o si è usato male, da parte di tutti. Questo è l'interrogativo. Io non ho capito, per esempio, un fatto: la confisca Piazza è del 2009 e lei è direttore dell'Agenzia dal 2011. Se questo avvocato percepiva parcelle per non fare nulla, quanti anni sono passati prima che lei l'abbia rimosso dal suo incarico ?

  MARIA ROSARIA LAGANÀdirigente Ufficio beni sequestrati dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. [Fuori microfono]
  GIUSEPPE CARUSOdirettore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Glielo spieghi...
  PRESIDENTE. Non lo deve spiegare a me, mi scusi. Un po’ di rispetto...
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:46
Ipoteche, debiti e abusi il pasticcio dei beni mafiosi 'Confiscati ma inutilizzabili'


PER apportare a quel latifondo una serie di migliorie, il Banco di Sicilia aveva concesso al "Papa" un mutuo di un miliardo e mezzo di lire senza battere ciglio. Erano altri tempi e le banche, specialmente in Sicilia, non andavano tanto per il sottile con i mafiosi soprattutto se, come Michele Greco, frequentavano i salotti bene e conoscevano le persone giuste. Quel miliardo e mezzo, tramutatosi in una pesantissima ipoteca, per 25 anni è stata "l' arma" con la quale, nonostante la confisca, Cosa nostra è riuscita ad impedire allo Stato di riprendersi e far fruttare un pezzo del suo patrimonio. Solo ora, grazie alle insistenti pressioni del prefetto Giuseppe Caruso che ha quasi obbligato Unicredit a rinunciare a buona parte del suo credito e a rateizzare il resto, nei 150 ettari del feudo di Verbumcaudo, sulle colline delle Madonie, vero e proprio emblema della forza economica della mafia siciliana, è già partita la semina del grano e sta per essere realizzato un impianto di produzione prima di olivi e poi di vini e sorgerà la prima Banca vitivinicola siciliana. Purtroppo una goccia nel tempestoso mare del riutilizzo dei beni mafiosi, la trincea più avanzata della lotta alla criminalità organizzata dal sud al nord del paese, che rischia di essere travolta dall' inarrestabile onda d' urto dei gravami finanziari sui beni confiscati. 

UN PATRIMONIO CONTESO DALLE BANCHE È un tesoro da 20 miliardi di euro quello che è stato sottratto alle mafie: aziende, società, edifici, case, magazzini, terreni, auto di lusso, barche, che il lavoro incessante di anni di magistrati e forze dell' ordine è riuscito a portare via dai bilanci di Cosa nostra, camorra, ' ndrangheta. Il ministro della giustizia Paola Severino, alla commissione antimafia, ha dato una valutazione positiva dell' attività di contrasto fin qui svolta parlando di oltre il 50 per cento dei beni confiscati come già destinati ma il prefetto Giuseppe Caruso, da nove mesi direttore dell' Agenzia nazionale per i beni confiscati al quale è affidata la gestione di questo patrimonio, lotta contro un nemico a cui adesso ha dato un nome: le banche. Come è possibile, si è chiesto, che quasi l' 80 per cento di questi beni è sostanzialmente ingestibile, al 65 per cento per i gravami ipotecari avanzati da decine di istituti di credito? «Ho già firmato oltre 200 istanze all' Avvocatura dello Stato per chiedere direttamente l' accertamento della buona o mala fede di chi ha concesso crediti ai mafiosi. È davvero impressionante constatare quante banche hanno erogato soldi senza verificare chi fosse il destinatario di questo fido». Oggi il rischio concreto è di mancare clamorosamente un obiettivo decisivo nel contrasto alla criminalità organizzata, la reimmissione in un circuito economico virtuoso dei soldi sporchi. Un bel problema considerato che adesso, a differenza di quando la competenza era del Demanio, l' Agenzia può destinare solo beni totalmente privi di criticità. Il che equivale a dire che un patrimonio da almeno 10-12 miliardi è totalmente a perdere. Un allarme rilanciato anche dal presidente di Libera, don Luigi Ciotti che con il circuito dei beni confiscati ha avviato un meccanismo virtuoso che produce e dà lavoro a centinaia di giovani. «Le banche dicono ai Comuni di pagargli l' ipoteca che il mafioso o il prestanome hanno fatto, ma le associazioni antimafia interessate al bene per un uso sociale non hanno i soldi per pagare un' ipoteca e le banche, salvo rare eccezioni, rivendicano il denaro. Questo è un nodo politico che va sciolto». 

LA STRATEGIA DEI BOSS Sicilia, Campania, Puglia e Calabria detengono il primato dei beni sottratti alle cosche, ma purtroppo anchei casi più eclatanti dimostrano come troppo spesso le confische siano delle occasioni sprecate. L' ultimo in ordine di tempo è quello del Parco dei Templari e della ex masseria di Altamura, in provincia di Bari, un meraviglioso parco da 66 mila metri quadrati con fabbricati per 8.500 metri quadri, valore stimato 16 milioni di euro, confiscato nel 2007 e gestito fino ad ora in una sorta di partnership pubblico-privato tra l' Agenzia nazionale e lo chef Gianfranco Vissani che aveva accettato la scommessa di rilanciare la struttura con 36 dipendenti. Alta cucina per banchetti e ricevimenti aveva anche assicurato un certo introito ma un buco finanziario da 600 mila euro ha indotto l' Agenzia a fare un passo indietro e a chiedere alla Regione Puglia di intervenire. Ma chi dovrebbe accollarsi l' onere di gestione di un bene così indebitato con le banche? A Pomigliano d' Arco, la Masseria Castello, 8.000 metri di terreno e lo scheletro di un edificio, sequestrato al clan Foria, è in totale stato di abbandono. Confiscato a giugno del 2000 e assegnato al Comune, vede il progetto di realizzazione di un centro giovanile già finanziato con 3 milioni e 364 mila euro del Pon (programma operativo nazionale) sicurezza bloccato per un' ipoteca da 10 mila euro. A Villaricca, un appartamento confiscato tre anni fa e destinato a una casa accoglienza per disabili, anche questa finanziata con il Pon sicurezza, è stata stoppata da due azioni di pignoramento, una da 41 mila euro e l' altra da appena 1360 euro perché l' Enel intende riscuotere 20 anni di bollette non pagate. In Campania una recente ricerca del Consorzio Sole conferma: non più del 20 per cento dei beni acquisiti dallo Stato riescono ad essere rigenerati con finalità sociali. E quella dei gravami finanziari, ha spiegato Lucia Rea, responsabile del Consorzio, sembra essere una verae propria strategia: i camorristi che sanno di essere sotto inchiesta accendono mutui sui loro beni a rischio sequestro, incassano soldi liquidi più facili da riciclare e rendono molto difficile la loro assegnazione definitiva. 

CASE OCCUPATE E CASE INESISTENTI Ci sono poi le decine di immobili già assegnati ai Comuni ma che restano occupati dai familiari dei boss che nessuno si azzarda a sfrattare. A Castellammare di Stabia, resta tranquillamente a casa sua la moglie del capo della cosca D' Alessandro perché l' appartamento è confiscato solo per metà e peraltro è abusivo. In Calabria è stata persino aperta un' inchiesta con oltre 350 indagati per far luce sulle centinaia di immobili, alcuni confiscati da più di 15 anni, che continuavano a rimanere nelle mani dei familiari dei boss, come un intero palazzo sottratto a Reggio Calabria nel ' 97 a Pasquale Condello ma nel quale risiedevano tutti i suoi parenti. Se non possono fare altro, poi, i Casalesi passano ai danneggiamenti di quelli che un tempo erano i bunker dotati di ogni comfort che ospitavano le latitanze dorate dei loro capi: così la villa di Walter Schiavone a Casal di Principe o i terreni di Lubrano a Pignataro Maggiore vandalizzati dagli stessi uomini del clan per renderli inutilizzabili, addirittura con la compiacenza del sindaco, il pidiellino Giorgio Magliocca, avvocato, arrestato a marzo dell' anno scorso proprio con l' accusa di aver consentito al clan Lubrano di continuare ad utilizzare beni confiscati assegnati in gestione al Comune. A Bologna Villa "la Celestina", tre piani in una zona di prestigio, sta ormai cadendo a pezzi, la via in cui sorge, ora via Boccaccio, ha cambiato nome ma la cosa non è mai stata comunicata al catasto. A rendere impossibile l' utilizzazione di un bene c' è una miriade di piccole quanto insormontabili difficoltà tecniche o burocratiche. Basta spulciare l' elenco dei beni assegnati al Comune di Palermo: un palazzo confiscato all' ex sindaco Vito Cancimino per metà occupato da inquilini e per l' altra metà da ristrutturare, un terreno da 1700 metri quadri a Ciaculli, il regno dei Greco, dove continuano a pascolare le pecore perché "senza confini", un altro confiscato ad uno dei killer di via d' Amelio, Gaetano Scotto, ufficialmente "inaccessibile". 

LE AZIENDE DECOTTE C' è poi un immenso patrimonio capace di dare occupazione a migliaia di persone che si perde giorno dopo giorno. È l' economia sommersa delle aziende delle mafie che, sequestrate, confiscate e affidate ad amministratori giudiziari non reggono l' impatto con il mercatoe si avvianoa un mesto fallimento. L' ultimo caso è quello del gruppo catanese Riela trasporti. Quella che tredici anni fa era la quattordicesima azienda più ricca della Sicilia, 30 milioni di fatturato, 250 dipendenti, ha avviato le procedure di liquidazione «perché non riesce a stare sul mercato», si legge nella determinazione adottata dall' Agenzia per i beni confiscati. I titolari ai quali era stata sottratta hanno fondato un nuovo consorzio che ha tolto i clienti alla Riela riuscendo persino a diventare il suo principale creditore per sei milioni di euro. D' altra parte l' azienda in amministrazione giudiziaria, rispettando tutti i parametri di legalità, era costretta a praticare prezzi superiori fino al 30 per cento rispetto ai concorrenti. E la Calcestruzzi Ericina, fiorentissima azienda che, finoa quando apparteneva al boss trapanese Vincenzo Virga, operava quasi in regime di monopolio, appena passata in amministrazione giudiziaria, ha visto prosciugarsi le commessee persino parte del personale ha "preferito" rimanere fuori. Alla fine, prossima al fallimento, ha rialzato la testa grazie alla caparbietà di un gruppo di lavoratori riunitisi in cooperativa che, con il sostegno di Libera di Don Ciotti e delle istituzioni locali, è riuscito a mantenerla in vita. A Palermo l' avviatissimo Hotel San Paolo Palace, già dei Graviano, registra perdite su perdite. Ci sono poi decine di casi in cui le attività sono ingestibili perché il provvedimento della magistratura riguarda il patrimonio societario ma non le azioni. Accade così che in provincia di Novara il servizio di ristorazione del castello di Miasino, sottratto al boss camorrista Galasso, sia ancora in mano alla moglie. Ma perché un' azienda florida quando è nelle mani della mafia poi fallisce quando viene confiscata e passa allo Stato? Spiega il prefetto Caruso: «Già in fase di sequestro le banche revocano i fidi, i clienti ritirano le commesse e la regolare fatturazione porta ad un inevitabile innalzamento dei costi di gestione. In più molti amministratori giudiziari sono incompetenti. Come faccio a mettere a reddito aziende così?». E proprio dal primo congresso nazionale degli amministratori giudiziari arriva la conferma: su dieci aziende confiscate alla criminalità, nove muoiono. «Si tratta di aziende che fino a quel momento si sono mosse fuori dai confini della legalità - spiega il presidente Domenico Posca - e risulta quasi impossibile mantenerle sul mercato con l' inevitabile aumento del conto economico al quale si aggiunge quasi sempre un irrigidimento delle banche e dei fornitori. La scommessa dello Stato deve essere quella di salvare centinaia di posti di lavoro, know how e validi impianti produttivi. È assolutamente necessario intervenire favorendo il mantenimento delle linee di credito e prevedendo un regime fiscale e previdenziale agevolato». 

VENDERE I BENI INUTILIZZABILI Ecco perché anche il prefetto Caruso invoca la possibilità di vendere i beni confiscati anche ai privati. «Ovviamente con tutte le garanzie del caso sull' acquirente. Il nostro sistema è così avanzato che, anche se qualcosa dovesse sfuggire, saremmo in grado di riconfiscarli. D' altra parte ditemi cosa dovrei fare di particelle di terreno indivisibilio di due stanze divise fra cinque eredio di edifici con un' errata indicazione di dati catastali?». Al Parlamento, Caruso chiede benzina per far girare una macchina da Formula 1. «La sfida immensa - dice - è quella di mettere in grado l' Agenzia di lavorare bene. Ma come si fa a gestire beni che raggiungono il valore di una finanziaria con un organico carente e inadeguato?». Trenta persone in tutto per la sede principale di Reggio Calabria (che Caruso chiede di cambiare per le difficoltà di collegamento) e gli uffici di Roma, Palermo, Milano e quelle di prossima apertura di Napoli e Bari. Un budget da4 milioni di euro che comporterà un taglio persino alle retribuzioni del personale che, accettando di lavorare all' Agenzia, guadagna meno rispetto ai colleghi delle amministrazioni di appartenenza. E ora, con l' entrata in vigore dei regolamenti attuativi, un ulteriore aggravio di lavoro. Perché all' Agenzia toccherà fare da supporto alla magistratura anche nella fase di sequestro e non solo più della confisca. «L' unica strada - è la proposta di Caruso - è trasformare l' Agenzia in un ente pubblico economico».
FRANCESCO VIVIANO, ALESSANDRA ZINITI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/03/23/ipoteche-debiti-abusi-il-pasticcio-dei-beni.html
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:45
Mafia, il tesoretto dimenticato dei beni confiscati: 30 miliardi a prendere polvere? 

di Claudio Forleo

Soldi


"Togliere i piccioli alla mafia". Oggi sembra una banalità, ma quando Pio La Torre spiegò questo concetto, oltre trent'anni fa, non venne capito. Bisogna attendere il 1996 per l'approvazione di una legge che consenta l'utilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi, rendendo pienamente operativa la Rognoni-La Torre del 1982.
Oggi abbiamo più di un problema sul fronte del reimpiego di quei beni. Non ultimo le norme vigenti negli altri paesi. Le mafie sono ormai da anni un fenomeno mondiale, con ramificazioni in tutti i Continenti (la 'ndrangheta, per esempio). Senza una legislazione condivisa sul tema delle confische dei capitali mafiosi, almeno a livello europeo (una direttiva, annunciata nella primavera del 2012, sta compiendo il suo lento iter), diventa più difficile andare a intaccare i tesori dei boss.
A quanto ammontano questi 'piccioli'? Stime ufficiali non ne esistono. Si è arrivati a ipotizzare la cifra di una pesante manovra finanziaria (30 miliardi) ma come vedremo, indipendentemente da numeri che al momento, causa disorganizzazione, è impossibile fornire con certezza, la quantità di beni confiscati è tale da lasciare immaginare di essere seduti su un tesoretto.
Ascoltiamo quasi giornalmente la notizia di arresti, a cui seguono i sequestri di beni immobili, mobili (denaro, assegni, titoli, crediti personali, auto, natanti, etc.) o aziendali (società utilizzate anche per il riciclaggio e il reimpiego dei capitali illeciti). Dal sequestro  (temporaneo) alla confisca (definitiva espropriazione del bene) passa del tempo, ma i problemi non sono finiti una volta che lo Stato è entrato in possesso dei beni mafiosi, tutt'altro.
Nel corso degli anni la normativa è stata modificata: nel 2010 è stata istituita l'Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati, ma si è proceduto senza la dovuta programmazione. Tra proposte borderline (vendere i beni  immobili confiscati, con il rischio che possano tornare nella disponibilità delle organizzazioni criminali, tramite prestanome) e le solite chiacchiere al vento, ci troviamo ad affrontare ritardi nella destinazione e nel riutilizzo del bene confiscato. Quest'ultimo prevede l'assegnazione del bene ad un ente terzo, che può essere sia un ente pubblico o un'organizzazione a scopo sociale.
Una problematica evidenziata anche da Libera, nelle parole del coordinatore dell'associazione in Sicilia, Umberto Di Maggio. "A quasi 18 anni dalla 109/96 urge un aggiornamento alla normativa esistente che consenta di superare i ritardi, le problematicità di gestione e che consenta un pieno ed effettivo riutilizzo di quest'immenso patrimonio che resta spesso, per difficoltà di vario genere, inutilizzato e dunque sprecato".
A gennaio 2013 l'Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati contava 11238 immobili, 4mila dei quali risultano 'in gestione', vale a dire non ancora assegnati, a cui si aggiungono altri 907 "immobili destinati ma non consegnati": quasi un immobile su due.  Peggio va sul fronte aziende, quelle 'in gestione' all'Agenzia risultano essere il 70% del totale: 1200 su 1700
Anche i tempi di assegnazione sono lunghi. Nel 2009 per quasi il 40% del totale bisognava aspettare dai 2 ai 5 anni. Dai 5 ai 10 per un immobile su tre. Un misero 3% veniva assegnato entro un anno. Perché questo tempo infinito? Varie le cause: oltre al passaggio da sequestro a confisca definitiva, bisogna valutare se l'immobile intestato alla persona X possa essere esigibile come credito da una persona Y. A volte il bene può essere oggetto di altri procedimenti giudiziari. Una volta che l'immobile entra in possesso dell'Agenzia dei Beni confiscati, vanno affrontati i problemi dell'Agenzia stessa: mancanza di personale, scarsità di budget. C'è infine la questione dei beni inagibili e del loro recupero, che comporta ulteriori costi e allungamento dei tempi.
"Sugli immobili in gestione (3.995) 2.819 sono gravati da una o più criticità - spiega l'Agenzia nella Relazione 2012 - Le criticità numericamente più significative sono: Presenza di ipoteche (1.666) ,Beni aziendali (1.428), Procedure giudiziarie in corso (420)".
Di questi 3995 immobili in gestione 1258 (il 34%) risulta 'occupato'.
Ieri Giuseppe Caruso, direttore dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati, è stato ascoltato in audizione dalla Commissione Parlamentare Antimafia. Nei giorni precedenti erano uscite una serie di dichiarazioni sulla stampa in cui il prefetto non è andato per il sottile: "I beni confiscati dovrebbero essere riutilizzati a fini sociali ed essere restituiti alla collettività e invece, in troppi casi, e per troppi anni, sono stati considerati 'beni privati' da alcuni amministratori giudiziari che li hanno considerati come fortune sulle quali garantirsi un vitalizio". Poco dopo in Commissione, secondo quanto riporta l'Ansa, Caruso ha ribadito: "Abbiamo rilevato che la maggior parte degli amministratori giudiziari nel centro sud hanno incarichi nei cda delle aziende".
Ma lo stesso direttore dell'ANBC è finito nel mirino per una decisione sull'amministrazione dei beni del costruttore Pietro Lo Sicco, condannato con sentenza definitiva nel 2008, difeso in passato dallo studio legale Schifani-Pinelli, dove Schifani è l'ex seconda carica dello Stato, oggi presidente del Nuovo Centro Destra di Alfano. La liquidazione dei beni del Lo Sicco era stata affidata all'avvocato Mario Bellavista, che in passato fu proprio il difensore del costruttore. Caruso ha giustificato la scelta con la spiegazione che Bellavista "ha difeso Lo Sicco in passato, ma non per un reato di mafia. Dopo la nomina lo ha fatto rilevare e ha dato le dimissioni, e benché non ci sia incompatibilità, per motivi di opportunità abbiamo accettato".  Possibili 'conflitti' anche per la nomina di un altro amministratore, Andrea Gemma, indicato come socio nello studio della moglie del ministro dell'Interno Angelino Alfano. A Caruso questo passaggio "non risulta"
Al termine dell'audizione il presidente della Commissione Rosy Bindi ha dichiarato che "quel che emerge è che l'Agenzia per i beni confiscati alla mafia dovrà subire interventi. Sul Fug(Fondo Unitario per la Giustizia, gestito da Equitalia, in cui secondo Caruso giacciono inutilizzati "un miliardo di euro in contanti ed un altro miliardo in titoli ed assicurazioni" frutto di sequestri e confische, ndr) - sentiremo il ministero dell'Economia su questo punto e valuteremo le proposte, una delle quali è la trasformazione in un fondo di rotazione a disposizione dei beni confiscati. Vogliamo capire se non sia eccessivo il denaro tenuto in riserva, posto che una parte giustamente non può essere utilizzato fino alla confisca definitiva. Quanto al miliardo in titoli, per quelli sequestrati è previsto che le azioni possano essere convertiti in titoli di Stato a rendimento costante, perché il patrimonio non si eroda".


ASSESSORE AMBIENTE SICILIA LO BELLO E DR CAPILLI COAUTORE PIANO IN AUDIZIONE ALLA COMMISSIONE AMBIENTE ARS DEL 26 09 2013 DICHIARANO: IL PIANO ARIA SICILIA E' COPIATO

Al nostro Blog è pervenuta una email con allegato    la registrazione audio  della  audizione  della Commissione Ambiente della Regione Sicilia  tenutasi il  26 settembre 2013, con la richiesta di pubblicazione 












AUDIZIONE ASSESSORE LO BELLO DR CAPILLI COMM AMBIENTE SICILIA











AUDIZIONE ASSESSORE LO BELLO DR CAPILLI COMM AMBIENTE SICILIA





Audizione sulle problematiche inerenti il passaggio a livello di via Paestum e ilsistema ferroviario presso il  comune  di Ragusa.

Commissione QUARTA - Ambiente e Territorio 26 settembre 2013
   La seduta inizia alle ore 11.00.




Il PRESIDENTE dichiara aperta la seduta e riferisce che sul tema relativo al piano regionale di risanamento della qualità dell’aria sono state intraprese numerose attività e auspica che si raggiungano dei risultati, vista la presenza dell’Assessore per il territorio e per l’ambiente.




L’onorevole CIRONE ricorda gli atti ispettivi che ha presentato e la risoluzione approvata in Commissione. Dichiara che si tratta di un tema molto delicato che coinvolge interessi sensibili, quale la salute.


Rammenta dell’incontro che la Commissione ha tenuto presso il comune di Melilli e la grave situazione che interessa
la popolazione della provincia di Siracusa, che attendono risposte concrete e risolutive avverso i fattori inquinanti causati dall’industrializzazione.



L’onorevole SORBELLO, in relazione alla zona di Siracusa, considera prioritari due obiettivi: da una parte la necessità
della rivisitazione dell’autorizzazione integrata ambientale e dall’altra la opportunità di programmare una nuova collocazione delle centraline, in grado di monitorare costantemente gli agenti inquinanti.



Nonostante consideri apprezzabile l’attività svolta da parte della Provincia di Siracusa e dall’ARPA, allo stato attuale, un’area di 10 chilometri è interessata da emissioni di sostanze altamente pericolose provenienti dalle industrie
che sono ivi insediate.



Il dott. LICATA di BAUCINA, dirigente generale ARPA Sicilia, rinvia alle dichiarazione già espresse nella seduta n. 56 dell’11 luglio scorso circa il piano regionale di risanamento della qualità dell’aria, ricordando che l’ARPA ha stipulato con l’assessorato del territorio un protocollo per fornire i dati utili per l’adeguamento del piano al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155. Sulla problematica riguardante la zona di Siracusa comunica che ha trasmesso al Ministero dell’ambiente una nota con la quale viene chiesta una rivisitazione dell’AIA nella zona de qua.
Tuttavia, non essendo organo competente ad inoltrare tale istanza è stata trasmessa all’assessorato del territorio affinchè provvedano.



Il sig. GENCHI, CGIL, osserva che sei anni fa Legambiente denunciava che il piano regionale sulla qualità dell’aria era il prodotto di un copiato dal piano della Regione Veneto. Nonostante una particolare attenzione mediatica, non è susseguito alcun intervento. Infatti, il piano contiene dei riferimenti che non risultano compatibili con il territorio siciliano,anzi, vi sono rinvii a territori pianeggianti e percorsi che appartengono alla realtà veneta. E sebbene sia stata chiesta più volte la revoca del piano, ancora oggi sul sito dell’assessorato del territorio si trova pubblicato il suddetto piano con delle lievi modifiche. Sulle
aree ad elevato rischio ambientale, come Siracusa, erano state stanziate ingenti somme per il risanamento dell’aria, di cui non si è visto alcun beneficio. Stigmatizza, inoltre, i contenuti della recente AIA sul petrolchimico di Siracusa, che opera dei rinvii in un’ottica di prospettive future.



La sig.ra LO BELLO, Assessore regionale per il territorio e l’ambiente, esprime compiacimento per le iniziative intraprese sull’argomento in merito al quale ha dato risposta alle interrogazioni presentate.


Ammette che il piano in questione è stato frutto di una riproduzione di un piano di altre regioni, ma assicura che i dati ivi contenuti sono della Regione siciliana. E su tali dati si è provveduto a dare attuazione mediante l’adozione di decreti assessoriali.
Sostiene che il ritiro del piano comporterebbe una lacuna e che, pertanto, sarebbe più opportuno procedere ad un aggiornamento dello stesso. Informa che ha avviato dei tavoli su tale tema, affinchè la Regione si adegui alle direttive del decreto legislativo n. 155 del 2010. Assicura che un’attenzione particolare è dedicata all’aria di Siracusa. A tal proposito informa di un prossimo incontro presso il Ministero dell’ambiente sulla rivisitazione dell’AIA di cui ha parlato il dott. LICATA di BAUCINA e sulla rete di monitoraggio dati che deve essere attivata nella Regione. Deposita una relazione redatta dai propri uffici
sull’argomento datata il 22 marzo scorso.
L’onorevole SORBELLO chiede che prima di procedere alla rivisitazione dell’AIA vengano coinvolti gli enti locali della zona interessata.


Il dott. CAPILLI (uno dei redattori del Piano n.d.a.), dirigente dell’Assessorato delterritorio e dell’ambiente, riconosce che il piano sia stato copiato da altre regioni, ma è operativo da sei anni ed ha prodotto anche effetti, contenuti in alcuni decreti assessoriali.


Il sig. CIAMPOLILLO, Comitato Cittadino Isola Pulita,rappresenta che il piano attualmente ancora vigente non contiene alcun riferimento alle zone interessate da cementifici. Chiede come l’Italcementi presso Isola delle Femmine abbia
ottenuto l’AIA se tali zone non risultano presenti nel piano.



Il PRESIDENTE chiede chiarimenti in merito al rilascio dell’AIA al citato cementificio, senza il presupposto, ovvero la previsione all’interno del piano regionale


Il dott. CAPILLI riconosce che il piano non contiene alcunché sui cementifici, si limita a prevedere l’inventario regionale delle emissioni.


La dott.ssa NICOTRA, esperta in materia ambientale, elenca una serie di sostanze inquinanti che risultano presenti in tutta la zona di Siracusa. Riferisce che le sostanze rilevate sono
altamente pericolose per la salute umana e il decreto legislativo n. 155 non le elenca tutte. Pertanto, propone che la Regione si faccia carico di aggiungere all’elenco nazionale tali sostanze mediante un atto proprio. Tra queste ricorda le emissioni di PM10 provenienti dalle torce del petrolchimico che sono continuamente accese e le emissioni provenienti dai camini. Dichiara, inoltre, che nella zona sono presenti inceneritori i cui
controlli sono deferiti alle stesse società titolari dell’impianto. Ritiene che i controlli debbano essere compiuti da un
organo esterno, quale potrebbe essere l’ARPA.



Il PRESIDENTE condivide la proposta di adottare un atto regionale, trattandosi di materia che operando in via restrittiva nel rispetto dell’ambiente e della salute rientra tra le competenze regionali.


L’onorevole CIRONE ritiene che la soluzione sia da individuare nell’adozione di un decreto assessoriale riferisce
di un lavoro di monitoraggio di sostanze non soggette a controllo da parte della prefettura.



Il sig. GENCHI rappresenta le anomalie delle torce che sono sempre accese, sostenendo che servono non come segnale di mal funzionamento, bensì per bruciare alcune sostanze. Avverte sulla necessità di intervenire a disciplinare le bolle di raffineria, su cui riferisce di avere redatto nel 2006, quando prestava servizio presso l’assessorato del territorio, una relazione che contiene proposte normative sulla materia.


Il sig. LA ROSA, CGIL, suggerisce all’Assessore di avviare una consultazione con i rappresentanti di tutte le categorie prima di redigere un nuovo piano sulla qualità dell’aria. E aggiunge che tale piano deve essere coordinato con gli altri piani
regionali, quale ad esempio quello dell’energia.



Il Prof. LOMBARDO, Università di Palermo, contesta le modalità di redazione del piano, non essendo sufficiente inserire dei dati di una regione in un contesto di un’altra regione.


Il PRESIDENTE condivide il suggerimento di creare una rete di coordinamento tra tutti i piani regionali.


L’Assessore LO BELLO chiarisce che gli effetti citati che il piano ha finora prodotto sono effetti relativi all’organizzazione amministrativa. Ritiene meritorio il contributo che la Commissione sta offrendo con la seduta odierna. Si impegna ad organizzare un incontro con le parti presenti successivo al confronto con gli organi ministeriali.


Il sig. CIAMPOLILLO ribadisce l’opportunità di revocare il piano attualmente pubblicato sul sito dell’assessorato.

Il PRESIDENTE dichiara concluso il primo punto all'ordine del giorno e passa al secondo punto.



Sig.ra LO BELLO Maria, assessore regionale per il territorio e l'ambiente
Dott. BARTOLOTTA Antonino, assessore regionale per le infrastrutture e la
mobilità
Dott. GULLO Gaetano, dirigente generale dipartimento regionale ambiente
Dott. ARNONE Giovanni, dirigente generale dipartimento regionale
infrastrutture, mobilità e trasporti
Dott. LICATA di BAUCINA Francesco, dirigente generale ARPA Sicilia
Dott. PICCITTO Federico, sindaco del comune di Ragusa
Ing. CUCINOTTA Andrea, direttore generale responsabile per la Sicilia di RFI
Prof. LOMBARDO Alberto, Università di Palermo
Dott. FONTANA Domenico, Legambiente Sicilia
Sig. LA ROSA Alfio, CGIL
Sig. GENCHI Gioacchino, CGIL
Sig. JANNI Leandro, Italia Nostra
Sig. PALMIERI Angelo, WWF
Prof. SOLARINO Luigi, Decontaminazione Sicilia
Sig. CASELLA Mario, Decontaminazione Sicilia
Sig.a BIANCO Asessandra, AugustAmbiente
Sig. CIAMPOLILLO Giuseppe, Comitato Cittadino Isola Pulita
Sig. GURRIERI Giuseppe, CUB trasporti provinciale
Sig. RAGUSA Salvatore, CUB trasporti provinciale
Sig. PATRIARCA Andrea, comitato pendolari e per il rilancio della ferrovia
Sig. COSTA Giuseppe, comitato pendolari e per il rilancio della ferrovia
Sig. FIRRINCIELI Sergio, comitato NO MURO





  



Ambiente, verso un nuovo piano della qualità dell’aria
settembre 27, 2013 • 1 Comments


PALERMO – Il governo regionale sta lavorando ad un nuovo Piano regionale di risanamento della qualità dell’aria. Lo ha detto ieri, 26 settembre, in Commissione all’Ars, l’assessore al ramo che ha anche accolto la richiesta di associazioni e della di “rendere più cogenti” i controlli sull’inquinamento dell’aria in Sicilia.




«Lo faremo attraverso un testo di legge anzi, se possibile, con decreto assessoriale», ha detto Lo Bello.
Al centro delle preoccupazioni della Commissione, Cgil e associazioni ambientaliste, situazioni come quella dell’area industriale di Siracusa con 10 km di impianti industriali e alcuni inquinanti che, dice Trizzino “non sono neppure contemplati nei decreti legislativi nazionali che regolano la materia. E’ per questo che abbiamo chiesto un intervento legislativo aggiuntivo che migliori e perfezioni la lotta all’inquinamento dell’aria sull’isola”. Sotto i riflettori anche l’operato dell’Arpa.


«Ci sono situazioni paradossali– dice il presidente della Commissione, – A Gela, ad esempio, dove sono presenti 48 camini industriali, per i controlli c’è un solo tecnico dell’Agenzia».


Un capitolo spinoso, quello dell’inquinamento dell’aria in Sicilia.


Non solo per lo scandalo del Piano regionale di risanamento finito nel mirino anche della Procura perché si scoprì – era il 2007, l’assessore era allora Rosanna Inerlandi e il dirigente responsabile, Salvatore Anzà –che il piano era un “copia incolla” di quello del Veneto, ma perché dopo il Piano di risanamento e soprattutto con norme più stringenti rispetto alle emissioni inquinanti, molte aziende potrebbero essere chiamate a un adeguamento degli impianti.


Ma quali sono i tempi del nuovo Piano regionale?


«Lo Bello – dice Trizzino –ha riferito alla Commissione che la programmazione generale è già all’esame del Ministero. E che, una volta avuto l’ok da Roma, il governo riunirà il Tavolo tecnico per stilare il Piano definitivo”.


Di fatto dal 2007 ad oggi, da quando cioé Legambiente svelò in una conferenza stampa che il Piano della Regione siciliana altro non era che la fotocopia di quello della Regione Veneto (risalente al 2000 e, bocciato dalla Commissione Europea), l’isola è rimasta senza un vero strumento di programmazione e pianificazione per il risanamento dell’aria. Per questo, lo scorso aprile i deputati del M5S avevano presentato all’Ars una interpellanza al presidente della Regione, Rosario Crocetta.


E il Gup di Palermo rinviato a giudizio, ad aprile, i presidenti Cuffaro e Lombardo insieme ai rispettivi assessori all’Ambiente. A scandalizzare l’opinione pubblica del Piano fotocopia fu il fatto che tra le parti copiate ce n’erano alcune ch generavano, come si legge nell’interpellanza dei Cinque Stelle “inedite comunanze climatiche tra il Veneto e la Sicilia: tipo il sistema aerologico padano della Regione Sicilia o la limitazione dell’utilizzo del riscaldamento domestico a causa della rigidità del clima».
http://www.ilmattinodisicilia.it/ambiente-verso-nuovo-piano-della-qualita-dellaria/#sthash.bAme1uee.dpuf


IN SICILIA DAL 9 AGOSTO DELL’ANNO 2007 NON SI RESPIRA LA STESSA ARIA


Il “rigido clima della Sicilia” ci ha reso più Europei,
Oltre al Bacino aerologico Padano” in Sicilia abbiamo le “piste ciclabili lungo l’argine dei fiumi e dei canali” presenti nei centri storici dei comuni siciliani


Dal 9 AGOSTO 2007 sembra che in Sicilia sia mutato anche l'assetto autonomistico, dato che anche il Parlamento, l’Assemblea Regionale, è diventato un normale Consiglio regionale, come quello del Veneto”


Sono tornate le comunità montane, l'intero territorio è diventato pianeggiante sono nati il Sistema Ferroviario Metropolitano regionale (SFMR), il Comitato di indirizzo e Sorveglianza (CIS), i Tavoli Tecnici Zonali (TTZ), il bollettino dei Centri Operativi Provinciali (COP), ma, di contro, non c'è traccia dei 3 poli petrolchimici, delle centrali termoelettriche, dei cementifici e della distilleria più grande d'Europa; la Gazzetta Ufficiale Siciliana si chiama GUN e non GURS e tra i progetti previsti ne figura uno persino della Regione Lombardia approvato con Decreto della Giunta lombarda e corredato da varie Delibere della medesima Giunta; talune Direttive comunitarie e normative nazionali sono citate in via di emanazione o vigenti, nonostante siano intervenuti l'emanazione, il recepimento e in qualche caso l'abrogazione.


Per ogni eventuale dubbio esplicativo o interpretativo, a pag 26, cap 1,§ 1.6, sub § 1.6.1., era indicato il link http://servizi regionali.org/prtra/files/33/prtra/PRTRA-04.htm, salvo scoprire che non si era indirizzati ad un documento siciliano, ma direttamente al cap 4 del Piano della Regione Veneto.

Risultato:un pot-pourri di dati siciliani e soluzioni venete.




INDIVIDUATE LE FONTI DA CUI SONO STATE LETTERALMENTE
TRATTE PAGINE INTERE DEL “Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell’aria ambiente” approvato con D.A. 176 9.08.2007



Complessivamente il “Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell’aria ambiente” approvato con D.A. 176 9.08.2007:


Le 241 pagine risultano tratte dalle 323 pagine, o da porzioni di esse, tratte da 27 FONTI presenti anche in rete (N.B.: alcuni siti originari hanno subito cambiamenti negli anni, ma le pagine oggetto della copiatura sono state salvate)


Il “Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell’aria ambiente” è stato COPIATO da:
  • COPIATE dal “Piano Regionale di tutela e risanamento dell’atmosfera”
    D.G.R. 902 del 4 Aprile 2003 D.G.R. 57 11 Novembre 2004 pagine n 131
  • COPIATE dal "Piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera" DGR 902 del 4 aprile 2003 D.G.R. 57 11 Novembre 2004 pagine n 131
  • COPIATE da Programma Pluriennale regionale attuativo
    regolamento CEE 2080 biennio 98/99 pagine n 6
  • COPIATE da Il Turismo in Sicilia pagine n 1
  • COPIATE da Relazione Stato dell’Ambiente Agenda 21 Comune
    Palermo pagine 7
  • COPIATE da Annuario ARPA 2005 pagine n 18
  • COPIATE da Annuario ARPA 2004 pagine n 49
  • COPIATE da Provincia Torino Ambiente Inquinamento Biossido di Azoto Zolfo pagine n 3
  • COPIATE da Annuario ARPA 2006 pagine n 18
  • COPIATE da AMIA Palermo realzione 1997 1998 pagine n 4
  • COPIATE da AMIA PA III Relazione pagine n 7
  • COPIATE da Carta Climatica e Atlante Climatologico della
    Sicilia pagine n 15
  • COPIATE da Università Ferrara Tesi di Laurea
    “L’Ambiente Naturale”
    pagine n 1
  • COPIATE da Enea 1999 pagine n 4
  • COPIATE da I Processi di desertificazione pagine n 1
  • COPIATE da Istituto Veneto Tesi di Laurea pagine n 2
  • COPIATE da Piano Provinciale Tutela Qualità aria Prov Autonoma
    Trento pagine n 1
  • COPIATE da AMIA V Relazione pagine n 9
  • COPIATE da APAT Biomonitoraggio 2005 pagine n 2
  • COPIATE da Linee Guida Comprensorio del Mela pagine n 3
  • COPIATE da ARPA Laboratorio Mobile Milazzo pagine n 15
  • COPIATE da AMIA 3-4-5- Relazione pagine n 1
  • COPIATE da D.M. 261/02
    Normativa pagine n 4
  • COPIATE da Genchi Cammarata pagine n 11
  • COPIATE da Piano Direttore Assessorato Turismo Trasporti Sicilia pagine n 3
A cura del Comitato Cittadino Isola Pulita Isola delle Femmine





http://tutelaariaregionesicilia.blogspot.it/




PIANO REGIONE SICILIA DI COORDINAMENTO PER LA TUTELA DELLA QUALITA’ DELL’ARIA AMBIENTE ADOTTATO CON D.A. N 176/GAB DEL 9 AGOSTO 2007


Il Piano oltre a rappresentare un collage di capitoli, paragrafi ….. integralmente trascritti da pubblicazioni di altri Enti ed Amministrazioni, riproduce delle “inverosimili” SIMILITUDINI SOMIGLIANZE COPIATURE REFUSI ERRORI …….con l’omologo piano:


IL “PIANO DELLA REGIONE VENETO PER LA TUTELA E IL RISANAMENTO DELL’ARIA” (delibera 452 15 febbraio 2000) ADOTTATO CON DELIBERAZIONE N 57 DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO L’11.11.2004 che nell’APRILE 2006 LA COMMISSIONE AUROPEA BOCCIA


La distribuzione delle pagine del Piano Aria Regione Sicilia Copiato con il
relativo numero di pagine oltre al Piano Veneto dalle oltre 20 fonti da cui si è “ricopiato”



Capitolo 1:
11 pagine del Piano Aria Sicilia Copiate dal Piano Veneto 16 Pagine. Pagine interamente copiate dal Piano Veneto in N° 16 (riportate nel fascicolo da pagina 8 a pagina 16 e da pag 22 a pagina 28) Pagine INTERE del Piano Sicilia interamente copiate oltre che dal Piano Veneto dalle oltre 20 fonti in N° 8


Capitolo 2:
34 pagine del Piano Aria Sicilia Copiate dal Piano Veneto Pagine interamente copiate dal Piano Veneto in N° 15 (riportate nel fascicolo pagine 5-6-8-10-16-17-18-21-43-53 e da pag 55 a pagina 59) Pagine INTERE del Piano Sicilia interamente copiate oltre che dal Piano Veneto dalle oltre 20 fonti in N° 19


Capitolo 3:
30 pagine del Piano Aria Sicilia Copiate dal Piano Veneto Pagine interamente copiate dal Piano Veneto in N° 10 (riportate nel fascicolo pagine 4-6-9-12-38 e da pag 46 a pag 9 e pag 56) Pagine INTERE del Piano Sicilia interamente copiate oltre che dal Piano Veneto dalle oltre 20 fonti in N° 19


Capitolo 4-5-6-7-8-9-10-bibliografia glossario:
36 pagine del Piano Aria Sicilia Copiate dal Piano Veneto Pagine interamente copiate dal Piano Veneto in N° 27 (riportate nel fascicolo da pag 24 a pag 36 da pag 40 a pag 43 pagine 46 e 47- pagine 51-56-57-58 e da pagina 63 a pagina 66) Pagine INTERE del Piano Sicilia interamente copiate
oltre che dal Piano Veneto dalle oltre 20 fonti in N° 24



RIEPILOGO DEL NUMERO DI PAGINE COPIATE:


131 paginedel Piano Aria Veneto
ricopiate nel Piano Aria Regione Sicilia composto di 241 pagine Pagine intere copiate dal Piano Veneto in N° 68 Pagine INTERE del Piano Sicilia interamente
copiate
oltre che dal Piano Veneto dalle oltre 20 fonti in N° 70





COMMISSIONE AMBIENTE REGIONE SICILIA AUDIZIONE PER RIMOZIONE DAL SITO











COMMISSIONE AMBIENTE REGIONE SICILIA AUDIZIONE PER RIMOZIONE DAL SITO


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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:43
IL 2 GENNAIO SCORSO IN VIALE DEI SARACENI A ISOLA DELLE FEMMINE LO PASSAGGIO DEL CORALLO   HOTEL HOUSE DI LO SICCO PIETRO


Il Comune di Isola delle Femmine ha preso possesso, stamani, di una villa confiscata alla mafia. Si tratta di una struttura su due elevazioni, con tre camere da letto, due bagni, due cucine, di cui una in muratura nell’area esterna, e vari spazi coperti a veranda, che insiste sul lungomare dei Saraceni. L’immobile è stato sottratto all’imprenditore palermitano Pietro Lo Sicco, considerato boss di Cosa Nostra, dalle quote societarie della Jlenia costruzioni. Lo stesso, per anni, è stato custode dell’edificio dopo l’avvenuto sequestro, fino allo scorso mese di agosto, periodo in cui è arrivata la confisca definitiva. L’amministrazione comunale guidata dal sindaco Stefano Bologna, questa mattina, assieme ad altre autorità civili e militari, ha effettuato un sopralluogo per verificare lo stato della villa che gli è stata assegnata dall’agenzia nazionale dei beni confiscati. In linea di massima, la costruzione è in buono di stato, anche se, parzialmente svuotata. Inoltre, alcuni suppellettili ed arredi in muratura sono stati trovati danneggiati. Non vi sono ancora le idee chiare per l’utilizzo e la destinazione del bene su cui la Giunta Bologna intende lavorare immediatamente 


Ipoteche, debiti e abusi il pasticcio dei beni mafiosi 'Confiscati ma inutilizzabili'



PER apportare a quel latifondo una serie di migliorie, il Banco di Sicilia aveva concesso al "Papa" un mutuo di un miliardo e mezzo di lire senza battere ciglio. Erano altri tempi e le banche, specialmente in Sicilia, non andavano tanto per il sottile con i mafiosi soprattutto se, come Michele Greco, frequentavano i salotti bene e conoscevano le persone giuste. Quel miliardo e mezzo, tramutatosi in una pesantissima ipoteca, per 25 anni è stata "l' arma" con la quale, nonostante la confisca, Cosa nostra è riuscita ad impedire allo Stato di riprendersi e far fruttare un pezzo del suo patrimonio. Solo ora, grazie alle insistenti pressioni del prefetto Giuseppe Caruso che ha quasi obbligato Unicredit a rinunciare a buona parte del suo credito e a rateizzare il resto, nei 150 ettari del feudo di Verbumcaudo, sulle colline delle Madonie, vero e proprio emblema della forza economica della mafia siciliana, è già partita la semina del grano e sta per essere realizzato un impianto di produzione prima di olivi e poi di vini e sorgerà la prima Banca vitivinicola siciliana. Purtroppo una goccia nel tempestoso mare del riutilizzo dei beni mafiosi, la trincea più avanzata della lotta alla criminalità organizzata dal sud al nord del paese, che rischia di essere travolta dall' inarrestabile onda d' urto dei gravami finanziari sui beni confiscati. 

UN PATRIMONIO CONTESO DALLE BANCHE È un tesoro da 20 miliardi di euro quello che è stato sottratto alle mafie: aziende, società, edifici, case, magazzini, terreni, auto di lusso, barche, che il lavoro incessante di anni di magistrati e forze dell' ordine è riuscito a portare via dai bilanci di Cosa nostra, camorra, ' ndrangheta. Il ministro della giustizia Paola Severino, alla commissione antimafia, ha dato una valutazione positiva dell' attività di contrasto fin qui svolta parlando di oltre il 50 per cento dei beni confiscati come già destinati ma il prefetto Giuseppe Caruso, da nove mesi direttore dell' Agenzia nazionale per i beni confiscati al quale è affidata la gestione di questo patrimonio, lotta contro un nemico a cui adesso ha dato un nome: le banche. Come è possibile, si è chiesto, che quasi l' 80 per cento di questi beni è sostanzialmente ingestibile, al 65 per cento per i gravami ipotecari avanzati da decine di istituti di credito? «Ho già firmato oltre 200 istanze all' Avvocatura dello Stato per chiedere direttamente l' accertamento della buona o mala fede di chi ha concesso crediti ai mafiosi. È davvero impressionante constatare quante banche hanno erogato soldi senza verificare chi fosse il destinatario di questo fido». Oggi il rischio concreto è di mancare clamorosamente un obiettivo decisivo nel contrasto alla criminalità organizzata, la reimmissione in un circuito economico virtuoso dei soldi sporchi. Un bel problema considerato che adesso, a differenza di quando la competenza era del Demanio, l' Agenzia può destinare solo beni totalmente privi di criticità. Il che equivale a dire che un patrimonio da almeno 10-12 miliardi è totalmente a perdere. Un allarme rilanciato anche dal presidente di Libera, don Luigi Ciotti che con il circuito dei beni confiscati ha avviato un meccanismo virtuoso che produce e dà lavoro a centinaia di giovani. «Le banche dicono ai Comuni di pagargli l' ipoteca che il mafioso o il prestanome hanno fatto, ma le associazioni antimafia interessate al bene per un uso sociale non hanno i soldi per pagare un' ipoteca e le banche, salvo rare eccezioni, rivendicano il denaro. Questo è un nodo politico che va sciolto». 

LA STRATEGIA DEI BOSS Sicilia, Campania, Puglia e Calabria detengono il primato dei beni sottratti alle cosche, ma purtroppo anchei casi più eclatanti dimostrano come troppo spesso le confische siano delle occasioni sprecate. L' ultimo in ordine di tempo è quello del Parco dei Templari e della ex masseria di Altamura, in provincia di Bari, un meraviglioso parco da 66 mila metri quadrati con fabbricati per 8.500 metri quadri, valore stimato 16 milioni di euro, confiscato nel 2007 e gestito fino ad ora in una sorta di partnership pubblico-privato tra l' Agenzia nazionale e lo chef Gianfranco Vissani che aveva accettato la scommessa di rilanciare la struttura con 36 dipendenti. Alta cucina per banchetti e ricevimenti aveva anche assicurato un certo introito ma un buco finanziario da 600 mila euro ha indotto l' Agenzia a fare un passo indietro e a chiedere alla Regione Puglia di intervenire. Ma chi dovrebbe accollarsi l' onere di gestione di un bene così indebitato con le banche? A Pomigliano d' Arco, la Masseria Castello, 8.000 metri di terreno e lo scheletro di un edificio, sequestrato al clan Foria, è in totale stato di abbandono. Confiscato a giugno del 2000 e assegnato al Comune, vede il progetto di realizzazione di un centro giovanile già finanziato con 3 milioni e 364 mila euro del Pon (programma operativo nazionale) sicurezza bloccato per un' ipoteca da 10 mila euro. A Villaricca, un appartamento confiscato tre anni fa e destinato a una casa accoglienza per disabili, anche questa finanziata con il Pon sicurezza, è stata stoppata da due azioni di pignoramento, una da 41 mila euro e l' altra da appena 1360 euro perché l' Enel intende riscuotere 20 anni di bollette non pagate. In Campania una recente ricerca del Consorzio Sole conferma: non più del 20 per cento dei beni acquisiti dallo Stato riescono ad essere rigenerati con finalità sociali. E quella dei gravami finanziari, ha spiegato Lucia Rea, responsabile del Consorzio, sembra essere una verae propria strategia: i camorristi che sanno di essere sotto inchiesta accendono mutui sui loro beni a rischio sequestro, incassano soldi liquidi più facili da riciclare e rendono molto difficile la loro assegnazione definitiva. 

CASE OCCUPATE E CASE INESISTENTI Ci sono poi le decine di immobili già assegnati ai Comuni ma che restano occupati dai familiari dei boss che nessuno si azzarda a sfrattare. A Castellammare di Stabia, resta tranquillamente a casa sua la moglie del capo della cosca D' Alessandro perché l' appartamento è confiscato solo per metà e peraltro è abusivo. In Calabria è stata persino aperta un' inchiesta con oltre 350 indagati per far luce sulle centinaia di immobili, alcuni confiscati da più di 15 anni, che continuavano a rimanere nelle mani dei familiari dei boss, come un intero palazzo sottratto a Reggio Calabria nel ' 97 a Pasquale Condello ma nel quale risiedevano tutti i suoi parenti. Se non possono fare altro, poi, i Casalesi passano ai danneggiamenti di quelli che un tempo erano i bunker dotati di ogni comfort che ospitavano le latitanze dorate dei loro capi: così la villa di Walter Schiavone a Casal di Principe o i terreni di Lubrano a Pignataro Maggiore vandalizzati dagli stessi uomini del clan per renderli inutilizzabili, addirittura con la compiacenza del sindaco, il pidiellino Giorgio Magliocca, avvocato, arrestato a marzo dell' anno scorso proprio con l' accusa di aver consentito al clan Lubrano di continuare ad utilizzare beni confiscati assegnati in gestione al Comune. A Bologna Villa "la Celestina", tre piani in una zona di prestigio, sta ormai cadendo a pezzi, la via in cui sorge, ora via Boccaccio, ha cambiato nome ma la cosa non è mai stata comunicata al catasto. A rendere impossibile l' utilizzazione di un bene c' è una miriade di piccole quanto insormontabili difficoltà tecniche o burocratiche. Basta spulciare l' elenco dei beni assegnati al Comune di Palermo: un palazzo confiscato all' ex sindaco Vito Cancimino per metà occupato da inquilini e per l' altra metà da ristrutturare, un terreno da 1700 metri quadri a Ciaculli, il regno dei Greco, dove continuano a pascolare le pecore perché "senza confini", un altro confiscato ad uno dei killer di via d' Amelio, Gaetano Scotto, ufficialmente "inaccessibile". 

LE AZIENDE DECOTTE C' è poi un immenso patrimonio capace di dare occupazione a migliaia di persone che si perde giorno dopo giorno. È l' economia sommersa delle aziende delle mafie che, sequestrate, confiscate e affidate ad amministratori giudiziari non reggono l' impatto con il mercatoe si avvianoa un mesto fallimento. L' ultimo caso è quello del gruppo catanese Riela trasporti. Quella che tredici anni fa era la quattordicesima azienda più ricca della Sicilia, 30 milioni di fatturato, 250 dipendenti, ha avviato le procedure di liquidazione «perché non riesce a stare sul mercato», si legge nella determinazione adottata dall' Agenzia per i beni confiscati. I titolari ai quali era stata sottratta hanno fondato un nuovo consorzio che ha tolto i clienti alla Riela riuscendo persino a diventare il suo principale creditore per sei milioni di euro. D' altra parte l' azienda in amministrazione giudiziaria, rispettando tutti i parametri di legalità, era costretta a praticare prezzi superiori fino al 30 per cento rispetto ai concorrenti. E la Calcestruzzi Ericina, fiorentissima azienda che, finoa quando apparteneva al boss trapanese Vincenzo Virga, operava quasi in regime di monopolio, appena passata in amministrazione giudiziaria, ha visto prosciugarsi le commessee persino parte del personale ha "preferito" rimanere fuori. Alla fine, prossima al fallimento, ha rialzato la testa grazie alla caparbietà di un gruppo di lavoratori riunitisi in cooperativa che, con il sostegno di Libera di Don Ciotti e delle istituzioni locali, è riuscito a mantenerla in vita. A Palermo l' avviatissimo Hotel San Paolo Palace, già dei Graviano, registra perdite su perdite. Ci sono poi decine di casi in cui le attività sono ingestibili perché il provvedimento della magistratura riguarda il patrimonio societario ma non le azioni. Accade così che in provincia di Novara il servizio di ristorazione del castello di Miasino, sottratto al boss camorrista Galasso, sia ancora in mano alla moglie. Ma perché un' azienda florida quando è nelle mani della mafia poi fallisce quando viene confiscata e passa allo Stato? Spiega il prefetto Caruso: «Già in fase di sequestro le banche revocano i fidi, i clienti ritirano le commesse e la regolare fatturazione porta ad un inevitabile innalzamento dei costi di gestione. In più molti amministratori giudiziari sono incompetenti. Come faccio a mettere a reddito aziende così?». E proprio dal primo congresso nazionale degli amministratori giudiziari arriva la conferma: su dieci aziende confiscate alla criminalità, nove muoiono. «Si tratta di aziende che fino a quel momento si sono mosse fuori dai confini della legalità - spiega il presidente Domenico Posca - e risulta quasi impossibile mantenerle sul mercato con l' inevitabile aumento del conto economico al quale si aggiunge quasi sempre un irrigidimento delle banche e dei fornitori. La scommessa dello Stato deve essere quella di salvare centinaia di posti di lavoro, know how e validi impianti produttivi. È assolutamente necessario intervenire favorendo il mantenimento delle linee di credito e prevedendo un regime fiscale e previdenziale agevolato». 

VENDERE I BENI INUTILIZZABILI Ecco perché anche il prefetto Caruso invoca la possibilità di vendere i beni confiscati anche ai privati. «Ovviamente con tutte le garanzie del caso sull' acquirente. Il nostro sistema è così avanzato che, anche se qualcosa dovesse sfuggire, saremmo in grado di riconfiscarli. D' altra parte ditemi cosa dovrei fare di particelle di terreno indivisibilio di due stanze divise fra cinque eredio di edifici con un' errata indicazione di dati catastali?». Al Parlamento, Caruso chiede benzina per far girare una macchina da Formula 1. «La sfida immensa - dice - è quella di mettere in grado l' Agenzia di lavorare bene. Ma come si fa a gestire beni che raggiungono il valore di una finanziaria con un organico carente e inadeguato?». Trenta persone in tutto per la sede principale di Reggio Calabria (che Caruso chiede di cambiare per le difficoltà di collegamento) e gli uffici di Roma, Palermo, Milano e quelle di prossima apertura di Napoli e Bari. Un budget da4 milioni di euro che comporterà un taglio persino alle retribuzioni del personale che, accettando di lavorare all' Agenzia, guadagna meno rispetto ai colleghi delle amministrazioni di appartenenza. E ora, con l' entrata in vigore dei regolamenti attuativi, un ulteriore aggravio di lavoro. Perché all' Agenzia toccherà fare da supporto alla magistratura anche nella fase di sequestro e non solo più della confisca. «L' unica strada - è la proposta di Caruso - è trasformare l' Agenzia in un ente pubblico economico».
FRANCESCO VIVIANO, ALESSANDRA ZINITI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/03/23/ipoteche-debiti-abusi-il-pasticcio-dei-beni.html




Ipoteche, debiti e abusi il pasticcio dei beni mafiosi 'Confiscati ma inutilizzabili'





PER apportare a quel latifondo una serie di migliorie, il Banco di Sicilia aveva concesso al "Papa" un mutuo di un miliardo e mezzo di lire senza battere ciglio. Erano altri tempi e le banche, specialmente in Sicilia, non andavano tanto per il sottile con i mafiosi soprattutto se, come Michele Greco, frequentavano i salotti bene e conoscevano le persone giuste. Quel miliardo e mezzo, tramutatosi in una pesantissima ipoteca, per 25 anni è stata "l' arma" con la quale, nonostante la confisca, Cosa nostra è riuscita ad impedire allo Stato di riprendersi e far fruttare un pezzo del suo patrimonio. Solo ora, grazie alle insistenti pressioni del prefetto Giuseppe Caruso che ha quasi obbligato Unicredit a rinunciare a buona parte del suo credito e a rateizzare il resto, nei 150 ettari del feudo di Verbumcaudo, sulle colline delle Madonie, vero e proprio emblema della forza economica della mafia siciliana, è già partita la semina del grano e sta per essere realizzato un impianto di produzione prima di olivi e poi di vini e sorgerà la prima Banca vitivinicola siciliana. Purtroppo una goccia nel tempestoso mare del riutilizzo dei beni mafiosi, la trincea più avanzata della lotta alla criminalità organizzata dal sud al nord del paese, che rischia di essere travolta dall' inarrestabile onda d' urto dei gravami finanziari sui beni confiscati. 

UN PATRIMONIO CONTESO DALLE BANCHE È un tesoro da 20 miliardi di euro quello che è stato sottratto alle mafie: aziende, società, edifici, case, magazzini, terreni, auto di lusso, barche, che il lavoro incessante di anni di magistrati e forze dell' ordine è riuscito a portare via dai bilanci di Cosa nostra, camorra, ' ndrangheta. Il ministro della giustizia Paola Severino, alla commissione antimafia, ha dato una valutazione positiva dell' attività di contrasto fin qui svolta parlando di oltre il 50 per cento dei beni confiscati come già destinati ma il prefetto Giuseppe Caruso, da nove mesi direttore dell' Agenzia nazionale per i beni confiscati al quale è affidata la gestione di questo patrimonio, lotta contro un nemico a cui adesso ha dato un nome: le banche. Come è possibile, si è chiesto, che quasi l' 80 per cento di questi beni è sostanzialmente ingestibile, al 65 per cento per i gravami ipotecari avanzati da decine di istituti di credito? «Ho già firmato oltre 200 istanze all' Avvocatura dello Stato per chiedere direttamente l' accertamento della buona o mala fede di chi ha concesso crediti ai mafiosi. È davvero impressionante constatare quante banche hanno erogato soldi senza verificare chi fosse il destinatario di questo fido». Oggi il rischio concreto è di mancare clamorosamente un obiettivo decisivo nel contrasto alla criminalità organizzata, la reimmissione in un circuito economico virtuoso dei soldi sporchi. Un bel problema considerato che adesso, a differenza di quando la competenza era del Demanio, l' Agenzia può destinare solo beni totalmente privi di criticità. Il che equivale a dire che un patrimonio da almeno 10-12 miliardi è totalmente a perdere. Un allarme rilanciato anche dal presidente di Libera, don Luigi Ciotti che con il circuito dei beni confiscati ha avviato un meccanismo virtuoso che produce e dà lavoro a centinaia di giovani. «Le banche dicono ai Comuni di pagargli l' ipoteca che il mafioso o il prestanome hanno fatto, ma le associazioni antimafia interessate al bene per un uso sociale non hanno i soldi per pagare un' ipoteca e le banche, salvo rare eccezioni, rivendicano il denaro. Questo è un nodo politico che va sciolto». 


LA STRATEGIA DEI BOSS Sicilia, Campania, Puglia e Calabria detengono il primato dei beni sottratti alle cosche, ma purtroppo anchei casi più eclatanti dimostrano come troppo spesso le confische siano delle occasioni sprecate. L' ultimo in ordine di tempo è quello del Parco dei Templari e della ex masseria di Altamura, in provincia di Bari, un meraviglioso parco da 66 mila metri quadrati con fabbricati per 8.500 metri quadri, valore stimato 16 milioni di euro, confiscato nel 2007 e gestito fino ad ora in una sorta di partnership pubblico-privato tra l' Agenzia nazionale e lo chef Gianfranco Vissani che aveva accettato la scommessa di rilanciare la struttura con 36 dipendenti. Alta cucina per banchetti e ricevimenti aveva anche assicurato un certo introito ma un buco finanziario da 600 mila euro ha indotto l' Agenzia a fare un passo indietro e a chiedere alla Regione Puglia di intervenire. Ma chi dovrebbe accollarsi l' onere di gestione di un bene così indebitato con le banche? A Pomigliano d' Arco, la Masseria Castello, 8.000 metri di terreno e lo scheletro di un edificio, sequestrato al clan Foria, è in totale stato di abbandono. Confiscato a giugno del 2000 e assegnato al Comune, vede il progetto di realizzazione di un centro giovanile già finanziato con 3 milioni e 364 mila euro del Pon (programma operativo nazionale) sicurezza bloccato per un' ipoteca da 10 mila euro. A Villaricca, un appartamento confiscato tre anni fa e destinato a una casa accoglienza per disabili, anche questa finanziata con il Pon sicurezza, è stata stoppata da due azioni di pignoramento, una da 41 mila euro e l' altra da appena 1360 euro perché l' Enel intende riscuotere 20 anni di bollette non pagate. In Campania una recente ricerca del Consorzio Sole conferma: non più del 20 per cento dei beni acquisiti dallo Stato riescono ad essere rigenerati con finalità sociali. E quella dei gravami finanziari, ha spiegato Lucia Rea, responsabile del Consorzio, sembra essere una verae propria strategia: i camorristi che sanno di essere sotto inchiesta accendono mutui sui loro beni a rischio sequestro, incassano soldi liquidi più facili da riciclare e rendono molto difficile la loro assegnazione definitiva. 


CASE OCCUPATE E CASE INESISTENTI Ci sono poi le decine di immobili già assegnati ai Comuni ma che restano occupati dai familiari dei boss che nessuno si azzarda a sfrattare. A Castellammare di Stabia, resta tranquillamente a casa sua la moglie del capo della cosca D' Alessandro perché l' appartamento è confiscato solo per metà e peraltro è abusivo. In Calabria è stata persino aperta un' inchiesta con oltre 350 indagati per far luce sulle centinaia di immobili, alcuni confiscati da più di 15 anni, che continuavano a rimanere nelle mani dei familiari dei boss, come un intero palazzo sottratto a Reggio Calabria nel ' 97 a Pasquale Condello ma nel quale risiedevano tutti i suoi parenti. Se non possono fare altro, poi, i Casalesi passano ai danneggiamenti di quelli che un tempo erano i bunker dotati di ogni comfort che ospitavano le latitanze dorate dei loro capi: così la villa di Walter Schiavone a Casal di Principe o i terreni di Lubrano a Pignataro Maggiore vandalizzati dagli stessi uomini del clan per renderli inutilizzabili, addirittura con la compiacenza del sindaco, il pidiellino Giorgio Magliocca, avvocato, arrestato a marzo dell' anno scorso proprio con l' accusa di aver consentito al clan Lubrano di continuare ad utilizzare beni confiscati assegnati in gestione al Comune. A Bologna Villa "la Celestina", tre piani in una zona di prestigio, sta ormai cadendo a pezzi, la via in cui sorge, ora via Boccaccio, ha cambiato nome ma la cosa non è mai stata comunicata al catasto. A rendere impossibile l' utilizzazione di un bene c' è una miriade di piccole quanto insormontabili difficoltà tecniche o burocratiche. Basta spulciare l' elenco dei beni assegnati al Comune di Palermo: un palazzo confiscato all' ex sindaco Vito Cancimino per metà occupato da inquilini e per l' altra metà da ristrutturare, un terreno da 1700 metri quadri a Ciaculli, il regno dei Greco, dove continuano a pascolare le pecore perché "senza confini", un altro confiscato ad uno dei killer di via d' Amelio, Gaetano Scotto, ufficialmente "inaccessibile". 


LE AZIENDE DECOTTE C' è poi un immenso patrimonio capace di dare occupazione a migliaia di persone che si perde giorno dopo giorno. È l' economia sommersa delle aziende delle mafie che, sequestrate, confiscate e affidate ad amministratori giudiziari non reggono l' impatto con il mercatoe si avvianoa un mesto fallimento. L' ultimo caso è quello del gruppo catanese Riela trasporti. Quella che tredici anni fa era la quattordicesima azienda più ricca della Sicilia, 30 milioni di fatturato, 250 dipendenti, ha avviato le procedure di liquidazione «perché non riesce a stare sul mercato», si legge nella determinazione adottata dall' Agenzia per i beni confiscati. I titolari ai quali era stata sottratta hanno fondato un nuovo consorzio che ha tolto i clienti alla Riela riuscendo persino a diventare il suo principale creditore per sei milioni di euro. D' altra parte l' azienda in amministrazione giudiziaria, rispettando tutti i parametri di legalità, era costretta a praticare prezzi superiori fino al 30 per cento rispetto ai concorrenti. E la Calcestruzzi Ericina, fiorentissima azienda che, finoa quando apparteneva al boss trapanese Vincenzo Virga, operava quasi in regime di monopolio, appena passata in amministrazione giudiziaria, ha visto prosciugarsi le commessee persino parte del personale ha "preferito" rimanere fuori. Alla fine, prossima al fallimento, ha rialzato la testa grazie alla caparbietà di un gruppo di lavoratori riunitisi in cooperativa che, con il sostegno di Libera di Don Ciotti e delle istituzioni locali, è riuscito a mantenerla in vita. A Palermo l' avviatissimo Hotel San Paolo Palace, già dei Graviano, registra perdite su perdite. Ci sono poi decine di casi in cui le attività sono ingestibili perché il provvedimento della magistratura riguarda il patrimonio societario ma non le azioni. Accade così che in provincia di Novara il servizio di ristorazione del castello di Miasino, sottratto al boss camorrista Galasso, sia ancora in mano alla moglie. Ma perché un' azienda florida quando è nelle mani della mafia poi fallisce quando viene confiscata e passa allo Stato? Spiega il prefetto Caruso: «Già in fase di sequestro le banche revocano i fidi, i clienti ritirano le commesse e la regolare fatturazione porta ad un inevitabile innalzamento dei costi di gestione. In più molti amministratori giudiziari sono incompetenti. Come faccio a mettere a reddito aziende così?». E proprio dal primo congresso nazionale degli amministratori giudiziari arriva la conferma: su dieci aziende confiscate alla criminalità, nove muoiono. «Si tratta di aziende che fino a quel momento si sono mosse fuori dai confini della legalità - spiega il presidente Domenico Posca - e risulta quasi impossibile mantenerle sul mercato con l' inevitabile aumento del conto economico al quale si aggiunge quasi sempre un irrigidimento delle banche e dei fornitori. La scommessa dello Stato deve essere quella di salvare centinaia di posti di lavoro, know how e validi impianti produttivi. È assolutamente necessario intervenire favorendo il mantenimento delle linee di credito e prevedendo un regime fiscale e previdenziale agevolato». 


VENDERE I BENI INUTILIZZABILI Ecco perché anche il prefetto Caruso invoca la possibilità di vendere i beni confiscati anche ai privati. «Ovviamente con tutte le garanzie del caso sull' acquirente. Il nostro sistema è così avanzato che, anche se qualcosa dovesse sfuggire, saremmo in grado di riconfiscarli. D' altra parte ditemi cosa dovrei fare di particelle di terreno indivisibilio di due stanze divise fra cinque eredio di edifici con un' errata indicazione di dati catastali?». Al Parlamento, Caruso chiede benzina per far girare una macchina da Formula 1. «La sfida immensa - dice - è quella di mettere in grado l' Agenzia di lavorare bene. Ma come si fa a gestire beni che raggiungono il valore di una finanziaria con un organico carente e inadeguato?». Trenta persone in tutto per la sede principale di Reggio Calabria (che Caruso chiede di cambiare per le difficoltà di collegamento) e gli uffici di Roma, Palermo, Milano e quelle di prossima apertura di Napoli e Bari. Un budget da4 milioni di euro che comporterà un taglio persino alle retribuzioni del personale che, accettando di lavorare all' Agenzia, guadagna meno rispetto ai colleghi delle amministrazioni di appartenenza. E ora, con l' entrata in vigore dei regolamenti attuativi, un ulteriore aggravio di lavoro. Perché all' Agenzia toccherà fare da supporto alla magistratura anche nella fase di sequestro e non solo più della confisca. «L' unica strada - è la proposta di Caruso - è trasformare l' Agenzia in un ente pubblico economico».
FRANCESCO VIVIANO, ALESSANDRA ZINITI
 
8 GIUGNO ORE 10 Isola delle Femmine commemora Vincenzo Enea, l’imprenditore isolano ucciso dalla mafia






8 GIUGNO 1982 FOTO DI MARIA LETIZIA BATTAGLIA 
L’umiliazione e l’onta dello scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose è ancora vivo ad Isola delle Femmine ma c’è chi ha ancora voglia di affrontare le ombre del passato e di ricordare tragici eventi che la coscienza collettiva aveva rimosso. A 33 anni di distanza, l’8 giugno ad Isola delle Femmine si ricorderà Vincenzo Enea, l’imprenditore edile ucciso dalla mafia nel lontano 1982, a soli 47 anni. Il comitato civico “Isola pulita” da tempo preme sull'amministrazione comunale perché venga intitolata una piazza alla vittima di mafia Vincenzo Enea e ha deciso di chiamare la cittadinanza a raccolta, lunedì 8 maggio, intorno alle 10, nel luogo dove avvenne l’omicidio, in via Palermo, vicino la Biblioteca comunale.
Alle 8 di quel lontano 8 giugno 1982 alla stazione dei carabinieri arrivò la notizia dell’uccisione del proprietario del lido “Village Bungalow”, Vincenzo Enea. Immediatamente il maresciallo Vincenzo Lo Bono accorse sul luogo, trovando la Renault di Enea e il suo cadavere, crivellato di colpi e in una pozza di sangue. Come riporta la sentenza di condanna del suo omicida, “Enea Vincenzo veniva descritto dai più come uomo mite e remissivo, sempre pronto ad aiutare chi si trovasse in difficoltà”, ma i carabinieri si scontrarono contro “il muro di omertà delle persone sentite”. Le indagini non portarono a nulla e, dopo una serie di archiviazioni e riaperture del caso, solo nel 2010, a seguito delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Gaspare Mutolo, Francesco Onorato e Rosario Naimo, il sostituto procuratore Del Bene ha deciso di riaprire il caso, riuscendo a far condannare per l’omicidio il killer Francesco Bruno.  
 All’epoca dei fatti il territorio di Isola delle Femmine faceva parte del mandamento del boss mafioso Rosario Riccobono (poi ucciso dalla fazione corleonese di Riina) e fu proprio nella sua villetta a Mondello che venne preparato l’omicidio. Secondo le dichiarazioni del pentito Onorato “Enea disturbava affari legati alle attività nel settore dell’edilizia”, affari a cui erano interessati anche il boss Riccobono, Salvatore Lo Picolo e Francesco Bruno. Pare che Totò Riina fu molto contrariato dell’uccisione dell’imprenditore isolano, perché Riccobono, Lo Piccolo e Bruno avevano agito senza avvertire il vertice di Cosa Nostra, violando le regole dell’ordinamento mafioso.
Nel 2000 anche il figlio di Vincenzo Enea, Pietro, decise di rendere alla Questura di Palermo un’ampia testimonianza sull’omicidio, spiegando di essere stato reticente fino a quel momento temendo ritorsioni nei confronti della sua famiglia. Questa è la storia che emerge dalle sue dichiarazioni e che leggiamo nella sentenza:
…quel mattino, di buon’ora, Pietro era andato a pesca con gli amici e, tornando a casa, notò nei pressi del “Villaggio bungalow” una Fiat 124 bianca con, a bordo, quattro uomini, fra i quali Francesco Bruno, che lo salutò. La cosa lo colpì molto perché sapeva che l’uomo era da tempo latitante. Direttosi poi ai bungalows, trovò il cadavere del padre riverso per terra. Il movente dell’omicidio, secondo la testimonianza di Pietro, è legato all’attività imprenditoriale del padre, il quale era stato avvicinato da Francesco Bruno per proporgli di diventare socio occulto della sua impresa edile, in quanto aveva soldi da investire, ma Vincenzo Enea si era rifiutato. Un’altra ragione di attrito fra i due era dovuta alla lite per il frazionamento di un terreno con la società BBP (dei Bruno e del loro socio Pomiero), proprietaria della “Costa Corsara”, terreno limitrofo alle palazzine costruite dalla ditta di Enea. A causa di questa lite Vincenzo Enea subì l’incendio di un bungalow, il pestaggio del cane da guardia, il danneggiamento del materiale edile e l’incendio di un magazzino. Benedetto D’Agostino, legato a Vincenzo, tentò una mediazione fra i litiganti, andando così incontro alla morte. Dopo pochi giorni la stessa sorte toccò anche a Vincenzo. Pietro raccontò anche delle intimidazioni che ricevette perché rimanesse in silenzio e le telefonate minatorie alla madre (“…ci dica a suo figlio Pietro che la finisca di scavare altrimenti gli facciamo fare la stessa fine di suo padre…”), che lo indussero ad allontanarsi da Isola delle Femmine e a trasferirsi negli Stati Uniti.
Il 22 maggio 2013 Francesco Bruno è stato condannato dal Tribunale di Palermo per l’omicidio di Vincenzo Enea a 30 anni di reclusione, sentenza passata in giudicato lo scorso febbraio. Adesso che verità è stata fatta e Vincenzo Enea è stato riconosciuto vittima di mafia, “Isola Pulita” ricorderà l’omicidio nel luogo in cui avvenne l’assassinio e poi si recherà in Municipio per la firma degli atti deliberativi da parte della giunta, per l’intitolazione di Piano Ponente. Piano Levante, invece, verrà dedicato al vicebrigadiere in congedo Nicolò Piombino, anch’egli ucciso dalla mafia, il 26 gennaio 1982, per la sua collaborazione alla ricostruzione dell’uccisione di Giacomo Impastato, avvenuto nella zona. Forse questo riscatterà, seppur in minima parte, il paese di Isola delle Femmine, dalla macchia lasciata dalle infiltrazioni mafiose.
Eliseo Davì

ENEA VINCENZO PROGETTO VARIANTE INTERNA DI UN FABBRICATO COMPRESO TRA VIALE ITALIA MARINO COSTA CORSARA FIRME CONSIGLIO IMPASTATO PARTICELLE 35b 36b 79b 84 FOGLIO 1

ENEA VINCENZO ESAMINA IL PROGETTO DI CUI SOPRA  UFFICIO VIA DEI PINI ISOLA DELLE FEMMINE
DISCORDANZE DI DATE:  LA FIRMA IN CALCE AL CONTRATTO RISULTAVA ESSERE DELLA MAMMA DI CATALDO RICCOBONO LUCIDO. IL CONTRATTO RISULTA ESSERE FIRMATO DOPO LA MORTE DELLA FIRMATARIA  




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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:42
Inchiesta sui beni confiscati alla mafia: tremano i ‘Palazzi’ del potere di Palermo 

La VOCE Sicilia NY

L’inchiesta, condotta dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, avrebbe subìto un’accelerazione perché Report - la nota trasmissione televisiva d’inchiesta di Milena Gabanelli - starebbe realizzando una puntata su tale argomento. Con testimonianze e interviste ‘pesanti’. Sotto inchiesta Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara
Una bufera starebbe per abbattersi sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. E al centro di questa vicenda ci sarebbe Palermo, da sempre ‘Capitale mondiale di Cosa nostra’, dove si concentrerebbe oltre il 40 per cento dei beni confiscati agli uomini dell’Onorata società. A tremare sarebbero i protagonisti dei ‘Palazzi’ del potere. Ma questa volta ad essere coinvolti non sono i 'Palazzi' della politica siciliana, ma qualche alto rappresentante della Giustizia. Insomma, magistrati che indagano su altri magistrati. Nello specifico, la Procura della Repubblica di Caltanissetta che indaga sulla gestione di un segmento della Giustizia che opera presso il Tribunale di Palermo.  
Insomma, com’era prevedibile, la gestione dei beni confiscati alla mafia è diventato un caso giudiziario. Con il coinvolgimento del presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, il giudice Silvana Saguto, finita sotto inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio. Indagati anche l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, titolare di uno studio, con sede a Palermo, che da anni gestisce tante aziende confiscate ai mafiosi. Sotto inchiesta pure l'ingegnere Lorenzo Caramma, che in passato avrebbe avuto rapporti di consulenza con l’avvocato Seminara, quando la moglie non era ancora presidente della sezione del Tribunale che decreta le confische.
L'inchiesta viene fuori da alcune da denunce pubbliche. In particolare, c’è una denuncia di Massimo Ciancimino, che risale a cinque anni fa. E c’è una battaglia condotta con coraggio e determinazione dal direttore di TeleJato, Pino Maniaci. Sullo sfondo, beni confiscati che sarebbero stati assegnati quasi sempre a una ristretta cerchia di professionisti, che ne avrebbero ricavato parcelle molto ricche. L’inchiesta ruota sui beni immobili e beni aziendali confiscati in Sicilia.
Stando a indiscrezioni, l’inchiesta di Caltanissetta avrebbe subìto un’accelerazione perché su questa storia
mafia
avrebbero lavorato, e molto, i giornalisti di Report, la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli, giornalista di altri tempi abituata a non guardare in faccia nessuno. A quanto pare, sull’argomento potrebbero tornare anche Le Iene, altra trasmissione televisiva che si è ampiamente occupata di questa storia.
I finanzieri della  Polizia tributaria di Palermo avrebbero già fatto visita nello studio dell’avvocato Cappellano Seminara e nell’ufficio del giudice Saguto. Mentre i giornalisti di Report - stando sempre a quanto si sussurra - sarebbero riusciti a raccoglie testimonianze importanti, da parte di personaggi direttamente coinvolti in questa storia.
Le cronache registrano anche una dichiarazione ufficiale della Procura di Caltanissetta: “Questi atti istruttori sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla presidente della sezione Misure di Prevenzione del tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”.
Nel 2014 è stato il Prefetto Giuseppe Caruso, poco prima di lasciare la direzione dell'Agenzia per la gestione dei beni confiscati alla mafia, a denunciare la “gestione ad uso privato” dei beni confiscati. Il riferimento è ad alcuni amministratori giudiziari scelti dai Tribunali, con in testa il già citato avvocato Cappellano Seminara.
Le cronache di quei giorni roventi registrano una visita della Commissione nazionale Antimafia presieduta
nello musumeci
Nello Musumeci
da Rosi Bindi, piombata in Sicilia per difendere, forse in modo un po’ troppo ‘oleografico’, la magistratura. Della serie, non delegittimate il “sistema”, cioè la Giustizia. Un po’ più centrato, nel febbraio di quest’anno, l’intervento della Commissione Antimafia regionale, presieduta da Nello Musumeci, che, differenza delle ‘oleografie’ romane, ha toccato un punto nevralgico: “In alcuni casi - ha affermato Musumeci - abbiamo ricevuto denunce di incompatibilità, eccessiva concentrazione di incarichi, in altri tentativi di favorire società o studi professionali vicini all’amministratore”.
Poi è stata la volta del presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, nominato dal governo all'Agenzia nazionale oggi guidata dal Prefetto Umberto Postiglione. L’azione di Montante è durata poco, perché a suo carico è stata data notizia di un’indagine che lo vedrebbe coinvolto per fatti di mafia.
Sul sito Zone d’ombra tv si leggono alcune notizie che fanno chiarezza su un argomento complesso (che potete leggere qui). Si ricorda la raccolta di firme lanciate dall’associazione Libera per introdurre il riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati. E l’approvazione, da parte del Parlamento nazionale, della legge n. 109 del 1996. Legge che distingue tre categorie di beni confiscati alla mafia. Vediamoli.  
a) I beni mobili, ovvero denaro contante e assegni, liquidità e titoli, crediti personali (cambiali, libretti al portatore, altre obbligazioni), oppure autoveicoli, natanti e beni mobili che non fanno parte di patrimoni aziendali. Di norma, le somme di denaro confiscate o quelle ricavate dalla vendita di altri beni mobili sono finalizzate alla gestione attiva di altri beni confiscati. Anche se su questo non sono mancati i dubbi e le polemiche. Tant’è vero che, tra Montecitorio e Palazzo Madama, alcuni parlamentari meridionali hanno provato, senza successo, a far riportare i beni mobili confiscati nella disponibilità delle aree del Paese dove avvengono le confische. Battaglia parlamentare perduta, perché questi soldi rimangono a Roma.   


b) I beni immobili, ovvero appartamenti, ville, terreni edificabili o agricoli. Hanno un grande valore simbolico, perché rappresentano in modo concreto il potere che il boss può esercitare sul territorio che lo circonda. Possono essere utilizzati per “finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile”, come prevede la legge, o possono essere trasferiti al Comune di appartenenza. I Comuni, a propria volta, possono amministrarli direttamente o assegnarli, a titolo gratuito, ad associazioni, comunità e organizzazioni di volontariato. 

c) I beni aziendali: si tratta, in questo caso, di aziende frutto di riciclaggio di denaro ‘sporco’. In questa categoria ritroviamo aziende di vario tipo: agroalimentari (per esempio, supermercati), aziende che operano nell’edilizia, ristoranti, pizzerie e via continuando.
pino maniaci
Pino Maniaci
Nel sito si leggono alcune dichiarazioni di Pino Maniaci: "Insieme ad altri tre, quattro giudici - dice il direttore di TeleJato - la Saguto gestisce il 43 per cento dell'intero patrimonio sequestrato ai mafiosi in tutta Italia”, che ammonterebbe a circa 50 miliardi di Euro. Beni, aggiunge Maniaci, che sarebbero gestiti sempre le stesse persone, cioè dagli stessi amministratori giudiziari. 
I professionisti in grado di ricoprire il ruolo di amministratore giudiziario sono circa 4mila, tutti inseriti in un albo di amministratori competenti, che è stato costituito, per legge, nel gennaio 2014. “Alla lista - leggiamo sempre nell'articolo pubblicato dal sito - bisognerebbe attingere per la scelta delle professionalità in base a competenze e capacità. La scelta, a quanto pare, è arbitraria, effettuata dai giudici della sezione delle misure di prevenzione in cui si ritrovano molto i soliti trenta nomi.  Tra i preferiti dai giudici spicca il nome di Gaetano Cappellano Seminara, soprannominato il 'Re'. Il 90% delle aziende sequestrata e lui affidate, gran parte nel settore edilizio e immobiliare, sono state chiuse per fallimento”. Qui si tocca un tema caldo: la mancanza di cultura imprenditoriale da parte dei soggetti chiamati a gestire queste aziende, che spesso vanno in malora.
“Seminara - leggiamo sempre nell'articolo - oggi è uno degli avvocati più riccchi d'Italia. Un uomo che si occupa di beni sequestrati e confiscati, con 54 incarichi in varie aziende e amministratore di 250 aziende con un onorario che si aggirerebbe intorno ai 7 milioni di euro l'anno”. 
Nel sito di parla anche del conflitto di interessi dell’avvocato Seminara. “La Legalgest Srl è proprietaria di un hotel di cui Seminara avrebbe il 95% delle quote mentre il restante 5% apparterrebbe alla figlia. La curiosità è che l'amministratore della società è la nonna 82enne dell'avvocato. Nel 2011 la stessa Legalgest cede la gestione dei servizi alberghieri alla Tourism project Srl di cui è proprietaria, al 100% delle quote, la stessa Legalgest Srl”. Insomma, un gioco di scatole cinesi.  
“Appare strano - leggiamo sempre nell’articolo - che nessuno si sia accorto di un evidente conflitto d'interesse quando Seminara si è occupato, come amministratore giudiziario, di un altro gruppo alberghiero: la Ghs Hotels F. Ponte Spa”. 
"Esiste una sorta di cupola degli amministratori giudiziari che agiscono in perfetto accordo con il Tribunale di Palermo, in particolare al responsabile della sezione misure patrimoniali" chiarisce Salvo Vitale di Radio Aut e collaboratore di TeleJato. Nell’articolo si racconta anche del ruolo dell’avvocato Seminara nella discarica di Bucarest, ritenuta la più grande d’Europa. "Quando uno dei proprietari si ritirò e bisognava rinnovare il Consiglio di amministrazione – si legge sempre nel sito che cita un articolo de I Siciliani -  Cappellano pagò un lavavetri per acquistare, come prestanome, una quota importante ed entrare nel consiglio di amministrazione, per poi diventarne presidente, giochetto che gli è riuscito numerose volte. Questa volta il gioco è stato smascherato”.
Il caso è stato smascherato, manco a dirlo, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, già magistrato inquirente di punta al Tribunale di Palermo.  
“A non essere rispettata è la Legislazione Antimafia - Vittime della mafia e relativo Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. I beni confiscati sono circa 12.000 in Italia - si legge sempre nell’articolo -. La fase del sequestro, secondo la legge, non deve superare i 6 mesi, rinnovabile al massimo di altri 6, periodo in cui vengono svolte le dovute indagini e si decide il destino del bene stesso: se dichiarato legato ad attività mafiose esso viene confiscato e destinato al riutilizzo sociale; se il bene è pulito viene restituito al precedente proprietario. Nella pratica il bene non viene mantenuto nello stato in cui viene consegnato alle autorità, né vengono rispettate le tempistiche. In media, il bene resta sotto sequestro per 5-6 anni, ma ci sono casi in cui il tempo si prolunga fino ad arrivare a 16 anni”. 
“Una legge limitata - se legge ancora nell’articolo - da aggiornare, che non permette gli adeguati controlli e conduce troppo spesso al fallimento dei beni per le - forse volute - incapacità del sistema”.
Su Live Sicilia leggiamo la replica di qualche tempo fa dell'avvocato Cappellano Seminare: “Ho presentato una parcella lorda di 7 milioni di euro per 15 anni di lavoro durante il quale ho amministrato, insieme ad un team di 30 collaboratori, 32 società e ho accresciuto il valore commerciale degli asset a me conferiti a 1,5 miliardi di euro. Nel periodo di gestione giudiziaria i soli beni aziendali giunti a confisca hanno prodotto ricavi per oltre 280 milioni di euro, attestando così il costo della gestione giudiziaria a circa il 2,50% dei ricavi. Giova inoltre ricordare che dalla liquidazione disposta dal Tribunale, interamente corrisposta con fondi del patrimonio confiscato, ne è derivata a mio carico, in favore dell'Erario una imposizione fiscale di complessivi euro 4.248.281 pari al 60% del lordo percepito”. 
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:41
Appalti in Sicilia: il governo nazionale vuole tutelare gli ‘amici degli amici’? 

Riccardo Gueci* 9 Sep 2015

Il Parlamento siciliano, in materia di appalti pubblici, ha approvato una legge innovativa che blocca sul nascere i ‘cartelli’ di solito espressione dei grandi gruppi. Di fatto, è una legge che difende gli interessi delle imprese siciliane contro i mafiosi che, dagli anni della Cassa per il Mezzogiorno, operano all’ombra dei grandi gruppi nazionali. Antimafia vera che, però, non piace al governo Renzi… 
L'Autonomia speciale della Regione siciliana, appannaggio della borghesia mafiosa, è ridotta proprio male. Specialmente nelle materie che contrastano con gli interessi dei lavoratori siciliani e delle piccole imprese che, in Sicilia, si 'arrabbattano' per sopravvivere.
L'ultima in ordine di tempo è la legge sugli appalti di lavori pubblici, che in Sicilia è un problema di non poco conto, considerato l'uso che le grandi imprese fanno dei ribassi per aggiudicarsi i lavori, tranne poi a rientrare nei costi o utilizzando cemento impoverito, o più spesso attraverso marchingegni , come le riserve o le perizie di variante in corso d'opera.
Questi accorgimenti sono comunemente adottati dalle imprese, anche da quelle che si cimentano nelle costruzioni non tanto perché quello è il loro mestiere, ma per avviare attività di copertura di riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, specialmente di origine mafiosa. Magari dal traffico di droga da reinvestire in attività lecite. In questi casi la convenienza economica dell'appalto non è l'obiettivo principale dell'impresa mafiosa, ma un semplice diversivo teso a giustificare gli enormi guadagni che la mafia ottiene dai suoi traffici. Va da sé che i titolari delle imprese sono sempre persone con le “carte a posto”, irreprensibili e apparentemente dediti al loro lavoro.
In questa confusione di ruoli e di interessi chi ne soffre le conseguenze sono le imprese pulite, che fanno le proprie offerte sulla base di analisi costi-benefici ai quali aggiungono una quota di rischio d'impresa. Queste imprese, in genere, restano senza lavoro e per sopravvivere vivacchiano con piccoli lavoretti di manutenzione del patrimonio immobiliare esistente. Va precisato che i nuovi criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici siciliani valgono, oltre che per le opere pubbliche, anche per le forniture ed i servizi. In pratica, a nostro sommesso parere, la legge varata dal Parlamento siciliano è stata studiata sia per evitare l'aggiudicazione a massimo ribasso, sia per impedire manovre strategiche alle cordate combinate dei concorrenti.
Questa normativa approvata dal Parlamento siciliano è sicuramente innovativa e non è un caso che, oltre ad impedire gli appetiti delle imprese mafiose, rappresenta anche un modello anti corruzione contro gli affarismi poco trasparenti. Forse sarà per queste caratteristiche che la legge regionale 10 luglio 2015, n.14, è entrata nell'orbita censoria del governo nazionale di Matteo Renzi.
Ricordiamo che, nel Sud d’Italia, già ai tempi della cassa per il Mezzogiorno - cioè negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 del secolo passato - i grandi gruppi nazionali trovavano accordi con le mafie locali, penalizzando le imprese del Meridione non legate ad interessi mafiosi. Con questa nuova legge, di fatto, si impediscono giochi e giochetti che finiscono con il favorire gli interessi mafiosi.  
Vediamoli da vicino, le “Modifiche all'articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2011, n.12 introdotte con la nuova legge regionale. Si tratta di alcuni emendamenti che introducono criteri diversi si assegnazione delle gare d'appalto. Il primo così recita: “Per gli appalti di lavori, servizi e che non abbiano carattere transfrontaliero, nel caso in cui il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando che si applichi il criterio dell'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia prevista nel successivo comma”.
Il secondo comma dà la definizione di soglia di anomalia: “La soglia di anomalia è individuata dalla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del 10 per cento arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e quella di minor ribasso, incrementata o decrementata percentualmente di un valore pari alla prima cifra, dopo la virgola, della somma dei ribassi offerti dai concorrenti. Nel caso in cui il valore così determinato risulti inferiore all'offerta di minor ribasso ammessa, la gara è aggiudicata a quest'ultima”. Questo passaggio ai più sembrerà astruso. Semplificando, diciamo che individua ed esclude le offerte truffaldine.
Queste le parti essenziali delle modifiche apportate ai criteri di aggiudicazione, che sembrano essere state studiate per affidare le sorti delle gare d'appalto alla più ampia casualità. La qualcosa non è di scarsa rilevanza. Ma sono proprio questi accorgimenti che hanno fatto saltare sulla sedia il ministro delle Infrastrutture, Graziano Del Rio, che, di sicuro, avrà urlato: ma come si permettono questi siciliani di non consentire la ‘corretta gestione’ degli appalti! Ma siamo proprio impazziti?”. Insomma, i politici che ci stiamo a fare se non possono nemmeno ‘gestire’ gli appalti e favorire gli amici e gli amici degli amici? E la Sicilia, terra di mafia, fa uno sgambetto del genere alla mafia?
Così è iniziato il procedimento di contestazione della nuova legge siciliana con l'invio di una nota che mette in discussione, non solo il contenuto della legge, ma anche il significato stesso dell'Autonomia regionale siciliana, la quale in materia di legislazione in materia di appalti ha competenza primaria. Il testo della nota ministeriale, sulla questione, è assolutamente esplicito ed è proprio la casualità, cioè l'elemento innovativo centrale della legge regionale, l'oggetto della contestazione ministeriale del 25 agosto di quest'anno. In essa si osserva in primo luogo la difformità con i “criteri di valore economico indicati nell'articolo 86 del codice dei contratti pubblici” attraverso un meccanismo che, in sostanza, ne determina in modo casuale le variazioni in aumento o in diminuzione”. Ma l'aspetto più rilevante, e più grave, riguarda il richiamo al Codice degli appalti, il cui articolo 5 “dispone che le Regioni a Statuto speciale che adeguano la loro legislazione ai loro Statuti non possono prevedere una disciplina diversa dal Codice” per rispettare “le competenze esclusive dello Stato”. A sostegno delle sue tesi il ministero richiama due pronunciamenti della Corte Costituzionale, n.401 del 23 novembre 2007 e la n.431 del 14 dicembre 2007, nelle quali la Consulta riconosce “l’inderogabilità sia delle disposizioni che regolano l'evidenza pubblica, sia quelle concernenti il rapporto contrattuale”.
Queste osservazioni ci inducono - noi che non siamo grandi dirigenti amministrativi dello Stato e tanto meno costituzionalisti - a un’ovvia constatazione: che cosa c'entra l'evidenza pubblica o il rapporto contrattuale con i criteri di assegnazione degli appalti? La prima interviene in fase di pubblicazione del bando di gara, con le relative norme che la regolano; la seconda interviene successivamente all'aggiudicazione ed alla fase di rispetto reciproco delle condizioni contrattuali dell'appalto. Pertanto i riferimenti alle sentenze della Corte Costituzionale ci sembrano fuori luogo e comunque non sono minimamente violate dalla legge regionale in discussione.
I rilievi ministeriali si concludono con un’osservazione che è veramente un capolavoro di parole in libertà: “Alla luce dei consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, pertanto, le disposizioni della legge regionale in commento, oggetto dei rilievi illustrati, risultano adottate in violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera e) a tutela della concorrenza”. Qui la risposta è veramente semplice: le norme regionali sull'aggiudicazione degli appalti quali impedimenti oppongono alla libera partecipazione di centinaia o di migliaia di imprese? Quali sono i limiti che essa pone alla partecipazione in concorrenza?
Prima di passare alle controdeduzioni approntate dall'assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo, vogliamo consentirci una divagazione, rispetto alla quale avremmo sicuramente apprezzato un intervento critico del ministro Delrio. Essa riguarda due fatti che sono avvenuti in Italia in tempi relativamente recenti, ma che stanno lì a testimoniare la fallibilità delle legislazioni nazionali sugli appalti. Una riguarda le “ecoballe” nell'entroterra Napoletano e l'altra l'affidamento dei lavori di costruzione della tratta ferroviaria di congiungimento veloce Torino-Lione. Avremmo apprezzato che il ministro Delrio bloccasse i lavori della Torino-Lione, con l'annesso traforo plurichilometrico delle Alpi in Val di Susa, per conoscere a quale gara d'appalto transfrontaliera abbiano partecipato le imprese che stanno eseguendo i lavori. Questo sarebbe stato di sicuro un intervento a tutela della concorrenza. Che ne dice, Ministro Delrio?
In quanto alle ecoballe, se l'incarico di smaltimento dei rifiuti di Napoli fosse stato affidato ad una ventina di piccole imprese, certamente le ecoballe non esisterebbero. Si è scelto di affidarne l'incarico ad una grande impresa nazionale e le ecoballe sono ancora lì a far bella mostra di sé.
Passiamo ora alle controdeduzione dell'assessore regionale alle Infrastrutture, Pizzo. L'assessore Pizzo, in via preliminare, ricorda al Ministro Delrio che i riferimenti giurisprudenziali richiamati nella nota dei rilievi, cioè i riferimenti all'articolo 4 , commi 2 e 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 - il cosiddetto Codice degli appalti - oggetto dei pronunciamenti della Corte Costituzionale, “esplicano il loro contenuto normativo nei confronti delle sole Regioni ordinarie” Fa presente, tuttavia, che la legislazione regionale, anche a Statuto speciale, stabilisce che la potestà legislativa esclusivo/primaria deve essere esercitata “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato”. Questa sottolineatura è una raffinatezza. Come dire: caro Ministro, come dobbiamo legiferare in Sicilia lo sappiamo assai bene e non ci serve alcun insegnamento ministeriale. La perorazione dell'assessore regionale è assai circostanziata e puntuale che non possiamo, per ragioni di spazio, commentare integralmente. Ma un altro aspetto merita di essere riportato e riguarda il riparto delle competenze legislative in materia di appalti pubblici. A tal proposito essa fa riferimento al citato articolo 4 del citato decreto legislativo 163/2006 e ne richiama l'articolo 5, che ovviamente il ministro non aveva letto perché si era fermato agli articoli 2 e 3. L'articolo 5, appunto, stabilisce che “le Regioni a Statuto Speciale adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli Statuti e nelle relative norme di attuazione”.
E' nostro dovere segnalare positivamente l'impegno che in questa battaglia hanno messo gli imprenditori del settore a sostegno della decisione autonoma del Legislatore regionale. Dopo il movimento dei Forconi è la prima volta che una categoria si schiera in difesa dell'Autonomia siciliana.
Nota a margine. Non ne comprendiamo le ragioni strategiche, ma un dato è certo: la Regione siciliana e la sua Autonomia speciale da oltre vent'anni sono sottoposte ad un attacco sistematico ed al controllo delle sue risorse finanziarie. Una delle prime operazioni di controllo dall'interno del governo regionale avvenne con il governo di Salvatore Cuffaro, quando a dirigere l'Ufficio della Programmazione economica, cioè quello che aveva il compito di programmare la spesa dei Fondi strutturali europei, fu affidato ad una funzionaria ministeriale, la dottoressa Gabriella Palocci. Quello fu un periodo assolutamente nero per l'economia siciliana e fu anche il periodo nel quale vennero costituite ben 34 società in house, cioè società che dovevano fare i lavori di competenza degli assessorati. In pratica, fu una duplicazione della spesa corrente regionale con la “facciata” di spese d'investimento perché i fondi europei vennero assegnati in parte alle 34 società per azioni. Società che non operavano nel mercato, ma avevano l'esclusiva della committenza pubblica regionale. Un capolavoro di spreco, inefficienza e clientelismo a mani basse.
Poi fu la volta del governo di Raffaele Lombardo, l'autonomista - quello che prendeva a martellate le targhe delle vie intestate a Giuseppe Garibaldi - il quale accettò la condizione posta dal governo centrale di affidare la gestione delle ingenti somme destinate alla Formazione professionale ad un funzionario ministeriale, il quale ne fece di cotte e di crude, compresa quella di trasferire gran parte del Fondo sociale europeo dalla Sicilia ai ministeri romani.
Quindi è stata la volta del governo di Rosario Crocetta, al quale sono stati imposti prima Luca Bianchi e successivamente Alessandro Baccei quali assessori al Bilancio ed all'Economia. Risultato di queste gestioni finanziarie della Regione siciliana: l'economia dell'Isola cresce la metà di quella greca, la disoccupazione è dilagante e la povertà crescente.
Preferiamo fermarci qua e di non infierire, ma qualcosa sull'Autonomia siciliana ci ripromettiamo di dirla in seguito, anche se già in qualche occasione abbiamo avuto modo di accennare al nostro convincimento.

* Riccardo Gueci è un funzionario pubblico in pensione che, per noi, di solito, illustra e comenta i fatti di politica nazionale e internazionale. Cresciuto nel vecchio Pci, Gueci è rimasto legato all'iea della politica di Enrico Berlinguer. La politica, insomma, vista nella sua accezione nobile. Oggi si ricorda di esere stato un funzionario pubblico e commenta per noi una vicenda in verità molto strana: con il governo nazionale di matteo renzi che contesta una legge, approvata dal Parlamento siciliano, che punta a contrastare in modo serio gli interessi dei mafiosi e dei grandi gruppi nazionali che, dagli anni '50 del secolo passato, fanno affari con le mafie del Sud Italia. Cose strane, insomma...    
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