Overblog
Edit post Segui questo blog Administration + Create my blog
25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:29
Il cancro d'Italia che la sta uccidendo: le collusioni tra mafia, politica e imprenditoria 

Vincenzo Musacchio *

Le nuove mafie non usano più metodi violenti ma si servono della corruzione per snaturare l'economia e la finanza, sottraendo ingenti risorse destinate al bene comune. Si deve subito impedire ai politici e ai burocrati di turno - attraverso una legislazione stringente e una rete di controlli effettiva ed efficace - di dare ai clan mafiosi la possibilità di gestire appalti e lavoro. L'attuale legislazione è insufficiente, serve una nuova rivoluzione culturale
In Italia solo nel 2014 sono scattate indagini di natura penale e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici in quasi tutte le regioni. Sono stati sciolti oltre duecentocinquanta consigli comunali per presunte infiltrazioni mafiose e più di ottanta parlamentari dell’attuale legislatura sono indagati, imputati e condannati per reati di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e per altri reati contro la pubblica amministrazione. Le collusioni tra politica, criminalità organizzata e imprenditoria sono attualmente gli aspetti più preoccupanti per il nostro Paese poiché mettono a rischio la stabilità delle istituzioni democratiche. 
Le nuove mafie, oggi, non usano più metodi violenti ma si servono della corruzione per alterare i normali processi della politica, minare la credibilità delle istituzioni, inquinare gravemente l'ambiente e snaturare l'economia e la finanza, sottraendo ingenti risorse destinate al bene comune, sgretolando il senso civico e la cultura solidaristica del nostro Paese. La simbiosi tra mafie, politica ed economia attualmente è presente in molti settori produttivi nazionali con grande prevalenza nel settore degli appalti pubblici e delle pubbliche sovvenzioni statali ed europee. I predetti legami servono alle mafie soprattutto per condizionare le scelte degli amministratori che sovrintendono le procedure pubbliche, instaurando in tal modo un circuito per lo scambio di favori illeciti. La politica, da un lato, garantisce affari e profitti alla criminalità organizzata, dall’altro, quest’ultima assicura la disponibilità di voti necessari per essere eletti ai politici collusi. Mafia e politica, sotto questo profilo, si sostengono e si garantiscono a vicenda. Il terreno d’incontro è la corruzione e il profitto economico. Per i mafiosi, le enormi quantità di denaro a disposizione costituiscono anche il mezzo per accedere nella cabina di regia degli enti dello Stato sia a livello centrale che periferico allo scopo di eliminare la possibile concorrenza alle loro imprese e agire in regime di monopolio. 
In questo contesto, molto preoccupante, occorre domandarsi cosa si può fare per arginare queste situazioni criminose? Una delle azioni da concretizzare, senza tentennamenti, è senza dubbio quella di impedire ai politici e ai burocrati di turno - attraverso una legislazione stringente e una rete di controlli effettiva ed efficace - di dare ai clan mafiosi la possibilità di gestire assunzioni, appalti e altri vantaggi che consentono loro di offrire ai cittadini possibilità di lavoro. E’ indispensabile fare in modo che per ottenere i propri diritti non si debba più ricorrere al mafioso, al politico o imprenditore colluso. Bisogna assolutamente sradicare la convinzione che la mafia garantisca lavoro. Una cosa difficile da realizzare, soprattutto nel Sud d’Italia, dove lo Stato latita da molto tempo. Dalla rottura dei legami mafie-politica-imprenditoria, a mio avviso, comincerà il vero cambiamento, ma, ciò è possibile solo a condizione che nel nostro Paese si comincino a lottare concretamente la criminalità organizzata, la corruzione, l’evasione fiscale e la mala politica. 
Da esperto della materia posso affermare che l’attuale legislazione è assolutamente insufficiente. La dimostrazione della nostra tesi, ad esempio, risiede nel fatto che l’Italia sia la Nazione più corrotta d’Europa e al tempo stesso quella in cui vi sono meno condanne per corruzione, concussione e abuso d’ufficio. Di certo il virus che sta uccidendo lentamente il nostro Stato in buona parte risiede nell’indebolimento delle norme di controllo, nel depotenziamento del sistema giudiziario e in una burocrazia ferma al secolo scorso priva di trasparenza e di economicità. E’ il mix tra corruzione politica, criminalità organizzata ed economia adulterata il vero cancro della nostra società e non si può continuare a parlare di onestà, di trasparenza e di efficienza in uno Stato che, di fatto, non vuole lottare questi fenomeni così aberranti. 
Il cittadino dovrebbe comprendere che mafiosi, politici e imprenditori perseguono il profitto fine a se stesso servendosi soprattutto di  denaro pubblico, di cui non si riesce nemmeno a tracciare il percorso perché le norme sul riciclaggio sono inefficaci e quelle sull’autoriciclaggio inesistenti. Le confische patrimoniali, molto temute dai mafiosi, languono e anche questo è un aspetto a dir poco allarmante. In questo scenario catastrofico occorrerebbe una rivoluzione culturale che parta dai giovani sulla scorta di quanto accaduto in passato per combattere la mafia - penso alla “Primavera di Palermo” negli anni novanta - quando una moltitudine di cittadini ebbe il coraggio di scendere in piazza dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio per dire no alla mafia. Ecco occorre una nuova “Primavera di Palermo” ma questa volta senza i tanti morti ed estesa a tutta la Nazione per dire no alle mafie e alla corruzione. L’Italia si gioca una partita importantissima: o affronta i veri problemi che la attanagliano, e che ho descritto in precedenza, o sarà destinata al collasso totale. 
Musacchio
 *Vincenzo Musacchio -  Giurista, docente di diritto penale  e direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise





Appalti in Sicilia: il governo nazionale vuole tutelare gli ‘amici degli amici’? 

Riccardo Gueci* 9 Sep 2015

Il Parlamento siciliano, in materia di appalti pubblici, ha approvato una legge innovativa che blocca sul nascere i ‘cartelli’ di solito espressione dei grandi gruppi. Di fatto, è una legge che difende gli interessi delle imprese siciliane contro i mafiosi che, dagli anni della Cassa per il Mezzogiorno, operano all’ombra dei grandi gruppi nazionali. Antimafia vera che, però, non piace al governo Renzi… 
L'Autonomia speciale della Regione siciliana, appannaggio della borghesia mafiosa, è ridotta proprio male. Specialmente nelle materie che contrastano con gli interessi dei lavoratori siciliani e delle piccole imprese che, in Sicilia, si 'arrabbattano' per sopravvivere.
L'ultima in ordine di tempo è la legge sugli appalti di lavori pubblici, che in Sicilia è un problema di non poco conto, considerato l'uso che le grandi imprese fanno dei ribassi per aggiudicarsi i lavori, tranne poi a rientrare nei costi o utilizzando cemento impoverito, o più spesso attraverso marchingegni , come le riserve o le perizie di variante in corso d'opera.
Questi accorgimenti sono comunemente adottati dalle imprese, anche da quelle che si cimentano nelle costruzioni non tanto perché quello è il loro mestiere, ma per avviare attività di copertura di riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, specialmente di origine mafiosa. Magari dal traffico di droga da reinvestire in attività lecite. In questi casi la convenienza economica dell'appalto non è l'obiettivo principale dell'impresa mafiosa, ma un semplice diversivo teso a giustificare gli enormi guadagni che la mafia ottiene dai suoi traffici. Va da sé che i titolari delle imprese sono sempre persone con le “carte a posto”, irreprensibili e apparentemente dediti al loro lavoro.
In questa confusione di ruoli e di interessi chi ne soffre le conseguenze sono le imprese pulite, che fanno le proprie offerte sulla base di analisi costi-benefici ai quali aggiungono una quota di rischio d'impresa. Queste imprese, in genere, restano senza lavoro e per sopravvivere vivacchiano con piccoli lavoretti di manutenzione del patrimonio immobiliare esistente. Va precisato che i nuovi criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici siciliani valgono, oltre che per le opere pubbliche, anche per le forniture ed i servizi. In pratica, a nostro sommesso parere, la legge varata dal Parlamento siciliano è stata studiata sia per evitare l'aggiudicazione a massimo ribasso, sia per impedire manovre strategiche alle cordate combinate dei concorrenti.
Questa normativa approvata dal Parlamento siciliano è sicuramente innovativa e non è un caso che, oltre ad impedire gli appetiti delle imprese mafiose, rappresenta anche un modello anti corruzione contro gli affarismi poco trasparenti. Forse sarà per queste caratteristiche che la legge regionale 10 luglio 2015, n.14, è entrata nell'orbita censoria del governo nazionale di Matteo Renzi.
Ricordiamo che, nel Sud d’Italia, già ai tempi della cassa per il Mezzogiorno - cioè negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 del secolo passato - i grandi gruppi nazionali trovavano accordi con le mafie locali, penalizzando le imprese del Meridione non legate ad interessi mafiosi. Con questa nuova legge, di fatto, si impediscono giochi e giochetti che finiscono con il favorire gli interessi mafiosi.  
Vediamoli da vicino, le “Modifiche all'articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2011, n.12 introdotte con la nuova legge regionale. Si tratta di alcuni emendamenti che introducono criteri diversi si assegnazione delle gare d'appalto. Il primo così recita: “Per gli appalti di lavori, servizi e che non abbiano carattere transfrontaliero, nel caso in cui il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando che si applichi il criterio dell'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia prevista nel successivo comma”.
Il secondo comma dà la definizione di soglia di anomalia: “La soglia di anomalia è individuata dalla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del 10 per cento arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e quella di minor ribasso, incrementata o decrementata percentualmente di un valore pari alla prima cifra, dopo la virgola, della somma dei ribassi offerti dai concorrenti. Nel caso in cui il valore così determinato risulti inferiore all'offerta di minor ribasso ammessa, la gara è aggiudicata a quest'ultima”. Questo passaggio ai più sembrerà astruso. Semplificando, diciamo che individua ed esclude le offerte truffaldine.
Queste le parti essenziali delle modifiche apportate ai criteri di aggiudicazione, che sembrano essere state studiate per affidare le sorti delle gare d'appalto alla più ampia casualità. La qualcosa non è di scarsa rilevanza. Ma sono proprio questi accorgimenti che hanno fatto saltare sulla sedia il ministro delle Infrastrutture, Graziano Del Rio, che, di sicuro, avrà urlato: ma come si permettono questi siciliani di non consentire la ‘corretta gestione’ degli appalti! Ma siamo proprio impazziti?”. Insomma, i politici che ci stiamo a fare se non possono nemmeno ‘gestire’ gli appalti e favorire gli amici e gli amici degli amici? E la Sicilia, terra di mafia, fa uno sgambetto del genere alla mafia?
Così è iniziato il procedimento di contestazione della nuova legge siciliana con l'invio di una nota che mette in discussione, non solo il contenuto della legge, ma anche il significato stesso dell'Autonomia regionale siciliana, la quale in materia di legislazione in materia di appalti ha competenza primaria. Il testo della nota ministeriale, sulla questione, è assolutamente esplicito ed è proprio la casualità, cioè l'elemento innovativo centrale della legge regionale, l'oggetto della contestazione ministeriale del 25 agosto di quest'anno. In essa si osserva in primo luogo la difformità con i “criteri di valore economico indicati nell'articolo 86 del codice dei contratti pubblici” attraverso un meccanismo che, in sostanza, ne determina in modo casuale le variazioni in aumento o in diminuzione”. Ma l'aspetto più rilevante, e più grave, riguarda il richiamo al Codice degli appalti, il cui articolo 5 “dispone che le Regioni a Statuto speciale che adeguano la loro legislazione ai loro Statuti non possono prevedere una disciplina diversa dal Codice” per rispettare “le competenze esclusive dello Stato”. A sostegno delle sue tesi il ministero richiama due pronunciamenti della Corte Costituzionale, n.401 del 23 novembre 2007 e la n.431 del 14 dicembre 2007, nelle quali la Consulta riconosce “l’inderogabilità sia delle disposizioni che regolano l'evidenza pubblica, sia quelle concernenti il rapporto contrattuale”.
Queste osservazioni ci inducono - noi che non siamo grandi dirigenti amministrativi dello Stato e tanto meno costituzionalisti - a un’ovvia constatazione: che cosa c'entra l'evidenza pubblica o il rapporto contrattuale con i criteri di assegnazione degli appalti? La prima interviene in fase di pubblicazione del bando di gara, con le relative norme che la regolano; la seconda interviene successivamente all'aggiudicazione ed alla fase di rispetto reciproco delle condizioni contrattuali dell'appalto. Pertanto i riferimenti alle sentenze della Corte Costituzionale ci sembrano fuori luogo e comunque non sono minimamente violate dalla legge regionale in discussione.
I rilievi ministeriali si concludono con un’osservazione che è veramente un capolavoro di parole in libertà: “Alla luce dei consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, pertanto, le disposizioni della legge regionale in commento, oggetto dei rilievi illustrati, risultano adottate in violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera e) a tutela della concorrenza”. Qui la risposta è veramente semplice: le norme regionali sull'aggiudicazione degli appalti quali impedimenti oppongono alla libera partecipazione di centinaia o di migliaia di imprese? Quali sono i limiti che essa pone alla partecipazione in concorrenza?
Prima di passare alle controdeduzioni approntate dall'assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo, vogliamo consentirci una divagazione, rispetto alla quale avremmo sicuramente apprezzato un intervento critico del ministro Delrio. Essa riguarda due fatti che sono avvenuti in Italia in tempi relativamente recenti, ma che stanno lì a testimoniare la fallibilità delle legislazioni nazionali sugli appalti. Una riguarda le “ecoballe” nell'entroterra Napoletano e l'altra l'affidamento dei lavori di costruzione della tratta ferroviaria di congiungimento veloce Torino-Lione. Avremmo apprezzato che il ministro Delrio bloccasse i lavori della Torino-Lione, con l'annesso traforo plurichilometrico delle Alpi in Val di Susa, per conoscere a quale gara d'appalto transfrontaliera abbiano partecipato le imprese che stanno eseguendo i lavori. Questo sarebbe stato di sicuro un intervento a tutela della concorrenza. Che ne dice, Ministro Delrio?
In quanto alle ecoballe, se l'incarico di smaltimento dei rifiuti di Napoli fosse stato affidato ad una ventina di piccole imprese, certamente le ecoballe non esisterebbero. Si è scelto di affidarne l'incarico ad una grande impresa nazionale e le ecoballe sono ancora lì a far bella mostra di sé.
Passiamo ora alle controdeduzione dell'assessore regionale alle Infrastrutture, Pizzo. L'assessore Pizzo, in via preliminare, ricorda al Ministro Delrio che i riferimenti giurisprudenziali richiamati nella nota dei rilievi, cioè i riferimenti all'articolo 4 , commi 2 e 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 - il cosiddetto Codice degli appalti - oggetto dei pronunciamenti della Corte Costituzionale, “esplicano il loro contenuto normativo nei confronti delle sole Regioni ordinarie” Fa presente, tuttavia, che la legislazione regionale, anche a Statuto speciale, stabilisce che la potestà legislativa esclusivo/primaria deve essere esercitata “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato”. Questa sottolineatura è una raffinatezza. Come dire: caro Ministro, come dobbiamo legiferare in Sicilia lo sappiamo assai bene e non ci serve alcun insegnamento ministeriale. La perorazione dell'assessore regionale è assai circostanziata e puntuale che non possiamo, per ragioni di spazio, commentare integralmente. Ma un altro aspetto merita di essere riportato e riguarda il riparto delle competenze legislative in materia di appalti pubblici. A tal proposito essa fa riferimento al citato articolo 4 del citato decreto legislativo 163/2006 e ne richiama l'articolo 5, che ovviamente il ministro non aveva letto perché si era fermato agli articoli 2 e 3. L'articolo 5, appunto, stabilisce che “le Regioni a Statuto Speciale adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli Statuti e nelle relative norme di attuazione”.
E' nostro dovere segnalare positivamente l'impegno che in questa battaglia hanno messo gli imprenditori del settore a sostegno della decisione autonoma del Legislatore regionale. Dopo il movimento dei Forconi è la prima volta che una categoria si schiera in difesa dell'Autonomia siciliana.
Nota a margine. Non ne comprendiamo le ragioni strategiche, ma un dato è certo: la Regione siciliana e la sua Autonomia speciale da oltre vent'anni sono sottoposte ad un attacco sistematico ed al controllo delle sue risorse finanziarie. Una delle prime operazioni di controllo dall'interno del governo regionale avvenne con il governo di Salvatore Cuffaro, quando a dirigere l'Ufficio della Programmazione economica, cioè quello che aveva il compito di programmare la spesa dei Fondi strutturali europei, fu affidato ad una funzionaria ministeriale, la dottoressa Gabriella Palocci. Quello fu un periodo assolutamente nero per l'economia siciliana e fu anche il periodo nel quale vennero costituite ben 34 società in house, cioè società che dovevano fare i lavori di competenza degli assessorati. In pratica, fu una duplicazione della spesa corrente regionale con la “facciata” di spese d'investimento perché i fondi europei vennero assegnati in parte alle 34 società per azioni. Società che non operavano nel mercato, ma avevano l'esclusiva della committenza pubblica regionale. Un capolavoro di spreco, inefficienza e clientelismo a mani basse.
Poi fu la volta del governo di Raffaele Lombardo, l'autonomista - quello che prendeva a martellate le targhe delle vie intestate a Giuseppe Garibaldi - il quale accettò la condizione posta dal governo centrale di affidare la gestione delle ingenti somme destinate alla Formazione professionale ad un funzionario ministeriale, il quale ne fece di cotte e di crude, compresa quella di trasferire gran parte del Fondo sociale europeo dalla Sicilia ai ministeri romani.
Quindi è stata la volta del governo di Rosario Crocetta, al quale sono stati imposti prima Luca Bianchi e successivamente Alessandro Baccei quali assessori al Bilancio ed all'Economia. Risultato di queste gestioni finanziarie della Regione siciliana: l'economia dell'Isola cresce la metà di quella greca, la disoccupazione è dilagante e la povertà crescente.
Preferiamo fermarci qua e di non infierire, ma qualcosa sull'Autonomia siciliana ci ripromettiamo di dirla in seguito, anche se già in qualche occasione abbiamo avuto modo di accennare al nostro convincimento.

* Riccardo Gueci è un funzionario pubblico in pensione che, per noi, di solito, illustra e comenta i fatti di politica nazionale e internazionale. Cresciuto nel vecchio Pci, Gueci è rimasto legato all'iea della politica di Enrico Berlinguer. La politica, insomma, vista nella sua accezione nobile. Oggi si ricorda di esere stato un funzionario pubblico e commenta per noi una vicenda in verità molto strana: con il governo nazionale di matteo renzi che contesta una legge, approvata dal Parlamento siciliano, che punta a contrastare in modo serio gli interessi dei mafiosi e dei grandi gruppi nazionali che, dagli anni '50 del secolo passato, fanno affari con le mafie del Sud Italia. Cose strane, insomma...    
Crocetta e Baccei: scippare ai siciliani un miliardo e 750 milioni di Euro. A rischio occupazione e ambiente 


Giulio Ambrosetti


Poche ore dopo la bomba d’acqua che ha allagato (e distrutto) mezza Sicilia, Crocetta e Baccei sono già ‘impegnati’ a scippare soldi alle famiglie e alle imprese siciliane che resistono nonostante la Regione. A rischio, però, non è solo l’economia, ma la vita degli stessi cittadini dell’Isola, se è vero che Comuni (senza soldi) e strutture regionali hanno abbandonato i corsi d’acqua che attraversano città e campagne. Di conseguenza, le eventuali bombe d'acqua potrebbero distruggere i centri abitati e le coltivazioni
Semplicemente incredibile: nel giro di poche ore, il presidente della Regione, Rosario Crocetta, e l’assessore all’Economia, Alessandro Baccei, hanno archiviato l’alluvione che ha funestato mezza Sicilia. Città e paesi - Catania e Giardini Naxos in testa, ma l’elenco è lungo - allagati, con le automobili sommerse dall’acqua, strade trasformate in fiumi in piena, corsi d’acqua fino a qualche settimana fa ridotti a rigagnoli dall’arsura estiva che si trasformano, in poche ore, in torrenti impetuosi che distruggono tutto quello che incontrano: strade, abitazioni, caseggiati rurali, coltivazioni. Nella parte orientale della nostra Isola il primo nubifragio di una stagione invernale che si approssima e che si annuncia piena di incognite ha già distrutto importanti segmenti dell’agricoltura. Danni per decine e decine di milioni di Euro. Agricoltori in ginocchio, disperazione. E cosa fanno Crocetta e Baccei davanti a questo inferno che potrebbe riproporsi non tra vent’anni, ma tra qualche settimana? Annunciano tagli a un Bilancio regionale già disastrato per un miliardo e 750 milioni di Euro!
Lo Stato, nell’ultimo anno e mezzo, ha scippato alla Regione siciliana circa 10 miliardi di Euro. Centinaia di
alluvione a giardini
Alluvione a Giardini Naxos: foto di meteoweb
Comuni siciliani sono al dissesto finanziario non dichiarato. La riforma delle Province, con le tre città metropolitane di Palermo, Catania e Messina e i fantomatici Consorzi di Comuni rischia di fallire ancor prima di essere applicata. Interi settori dell’amministrazione pubblica isolana sono senza risorse finanziarie. La spesa sociale è stata praticamente azzerata, se è vero che non ci sono soldi per gli anziani, per l’infanzia e per i portatori di handicap. E si annunciano ‘risparmi’ anche sulla pelle degli studenti.
Di fatto, oggi, in Sicilia, esiste e resiste solo l’economia che non ha nulla a che spartire con la Regione siciliana. E in parte è proprio a questi soggetti - cioè agli imprenditori siciliani che vivono del proprio lavoro - che il governo Crocetta vorrebbe adesso scippare le risorse finanziarie. Nella testa di Baccei spunta il recupero dell’evasione fiscale: ovvero la ‘caccia’ a chi non ha pagato il bollo di circolazione delle automobili (dimenticando che in Sicilia, per la diffusa povertà, un numero impressionante di automobilisti non paga più l’assicurazione delle auto: altro che bollo di circolazione!); la ‘caccia’ agli evasori delle accise sull’energia; l’aumento dei canoni di concessione e, in generale, l’aumento delle imposte locali. E, ciliegina sulla torta, il licenziamento di migliaia di operai della Forestale e il non pagamento delle retribuzioni a migliaia di precari della Regione, dei Comuni e delle ex Province.
Di fatto, davanti a un governo nazionale che deruba le finanze regionali, il toscano Baccei non trova di meglio che tornare a ‘spremere’ i siciliani, colpendo gli imprenditori dell’Isola che hanno la sola ‘colpa’ di essere rimasti in Sicilia a fare impresa, a prescindere da una Regione che ormai è solo un peso per la Sicilia e per i siciliani. Attenzione: noi non stiamo mettendo in discussione le istituzioni autonomistiche della nostra Regione: mettiamo in discussione un governo regionale di ‘ascari’ e venduti a Roma che sta utilizzando le nostre istituzioni per derubare quelle poche risorse finanziarie che le famiglie e le imprese siciliane ancora in piedi riescono a mantenere.
corruzione
Di questi ‘ascari’ che stanno massacrando la Sicilia vi diciamo i nomi e i cognomi politici. In testa c’è il PD siciliano, partito che oggi rappresenta la vera e propria cancrena della nostra Regione. A questo partito si aggiungono l’UDC, Forza Italia, Nuovo Centrodestra, Sicilia Democratica e, in generale, tutti i deputati del Parlamento siciliano che in questi tre anni sono passati con Crocetta (a quanto pare, in cambio di benefici e prebende, come ha denunciato un deputato, Pippo Sorbello: questione ripresa dai grillini: vicenda che, a nostro avviso, dovrebbe essere oggetto di un’inchiesta da parte della magistratura penale, perché parliamo di corruzione di deputati).
Questo governo, questi partiti e questi deputati adesso vogliono ‘saccheggiare’ le famiglie siciliane, perché Baccei - che, ricordiamolo è stato imposto dal governo Renzi - le vuole colpire con un aumento delle tasse locali e con il recupero dell’evasione fiscale. Governo, partiti di governo e deputati regionali vogliono penalizzare anche le imprese che ancora non hanno avuto il ‘piacere’ di conoscere la Regione, aumentando tasse e imposte.
Di fatto, Baccei sta proponendo una manovra economica e finanziaria che trasformerà la recessione che oggi travaglia la Sicilia in vera propria depressione economica. Se, sotto il profilo morale, recuperare l’evasione fiscale è corretto (anche se in questo caso non si tratta di grandi evasori e di grandi cifre, ma di tantissimi evasori per piccole cifre - come il bollo delle automobili - evasori che, spesso, non riescono a mettere d’accordo il pranzo con la cena), sotto il profilo economico, soprattutto se accompagnata da un aumento di imposte e tasse locali, quest’ennesima stretta su famiglie e imprese proposta dall’accoppiata Crocetta-Baccei provocherà un’ulteriore riduzione della domanda al consumo e, di conseguenza, un aumento della disoccupazione. In una parola, Crocetta, Baccei, i partiti che appoggiano il governo e i deputati che sono passati con la maggioranza in cambio di ‘qualcosa’ (che alti valori morali, no? e meno male che era solo Berlusconi il grande corruttore che, nel 2006, ‘acquistava’ parlamentari), in queste ore, stanno lavorando per rendere sempre più povera la Sicilia. E per parare il culo al governo Renzi che vuole continuare a derubare la nostra Regione.
In queste ore - tanto per citare un esempio - i deputati ‘ascari’ di una maggioranza ‘ascara’ stanno
forestali siciliani
chiedendo la convocazione la commissione Bilancio e Finanze del Parlamento siciliano per approvare un disegno di legge sugli operai della Forestale che ancora non c’è! Invitiamo gli operai della Forestale a non cadere in questo tranello e a scegliere altre vie per reclamare il rispetto dei loro diritti. Detto in soldoni: vi stanno prendendo per il culo.
Lo stesso discorso vale per i precari dei Comuni, per i dipendenti e per i precari delle ex Province e per i circa 60 mila precari sparsi tra gli uffici e gli enti della Regione. Egregi signori, svegliatevi, datevi un mossa, perché questo governo vi sta prendendo per il culo.  
Che fare davanti a un prospettiva simile? Qui in gioco non c’è soltanto il futuro economico della Sicilia e la retribuzione di migliaia e migliaia di siciliani, ma la stessa vita dei cittadini siciliani. Il discorso ritorna all’ambiente, alle alluvioni degli ultimi giorni. E’ bene che i cittadini siciliani sappiamo che i Comuni non hanno i soldi per rendere le strade e i corsi d’acqua sicuri. I corsi d’acqua esondano - com’è successo a Giardini Naxos - perché i tecnici dei Comuni non intervengono per liberare l’alveo dalla presenza di rami secchi e spesso di rifiuti che ostacolano lo stesso corso d’acqua. Idem per i tanti punti intasati che possono ostacolare un piccolo torrente che attraversa un centro abitato: un corso d’acqua intasato che, con una bomba d’acqua, si può trasformare, nel giro di qualche ora, in uno strumento di morte.  
Le città si allagano non soltanto perché esondano i corsi d’acqua, ma perché le caditoie e, in generale, i punti drenanti risultano intasati da residui vegetali e da rifiuti (che, ricordiamolo, ormai da qualche anno, in molte città della Sicilia, rimangono ammassati nelle via cittadine andando ad intasare le caditorie: fenomeno che a Palermo è diffusissimo). Vorremmo ricordare che, qualche giorno fa, Palermo e altre città siciliane non si sono allagate non perché è stata fatta correttamente la manutenzione (che non è stata fatta!), ma perché non sono arrivate le bombe d’acqua.
Lo stesso discorso riguarda le campagne della Sicilia. Un tempo del controllo dei fiumi e dei corsi d’acqua si occupava l’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana. In alcuni casi, come nel Messinese, le sistemazioni sono state peraltro sbagliate, con la ‘cementificazione’ del letto delle fiumare. Ma in molti altri casi, con le sistemazioni ‘naturali’, i tecnici dell’Azienda Foreste hanno svolto opera meritoria. Oggi tale Azienda è stata smembrata e snaturata, prima dal governo di Raffaele Lombardo e, adesso, dal governo Crocetta. Fiumi e corsi d’acqua sono abbandonati. Questo spiega gli incredibili danni che in queste ore si contano nelle campagne della Sicilia orientale.
Cosa vogliamo dire con queste sottolineature? Che ormai Il governo Crocetta-Baccei non è soltanto un problema enorme per la poca economia siciliana che ancora resiste. Ormai l’azione malsana e ‘ascara’ di questo governo rischia di provocare danni ingenti all’ambiente e anche alle persone. Non dimentichiamo o morti registrati qualche anno fa nel Messinese (per i quali nessuno ha pagato). Basta andare sulla rete e fare una breve ricerca per capire che il clima sta cambiando. Ormai le precipitazioni tumultuose - le cosiddette bombe d’acqua - stanno diventando la norma. Per proteggere le vite umane, oltre che l’agricoltura e le abitazioni, servono le manutenzioni. Ma quest’esigenza ineludibile si scontra con un governo regionale e con una maggioranza politica che lo sostiene impegnati, di fatto, a scippare soldi alle famiglie e alle imprese siciliane per portarli a Roma. 
http://www.lavocedinewyork.com/Crocetta-e-Baccei-scippare-ai-siciliani-un-miliardo-e-750-milioni-di-Euro-A-rischio-occupazione-e-ambiente/d/14327/


Fedelissimi di Crocetta piazzati ovunque  Il dorato mondo del sottogoverno 

Domenica 06 Settembre 2015 - 06:00 di Accursio Sabella

Dalle società partecipate agli enti regionali, dalle Province agli assessorati, sono decine gli incarichi dati a uomini e donne vicini al presidente. In qualche caso buoni per qualsiasi ruolo, purché ben retribuito.





PALERMO - Doveva essere tagliata, ridotta, cancellata, abbattuta dalla rivoluzione. E invece, la foresta del sottogoverno è tutta lì. Con le sue società partecipate mangiasoldi, con i suoi carrozzoni regionali, con i suoi enti da commissariare. La selva dei “sottoposti” è tutta lì. L'era Crocetta si è limitata a sradicare qualche albero e a piantarne di nuovi. In qualche caso, invece, ha tenuto salda la vegetazione che c'era. In qualche altro caso, invece, ha “testato” il fedelissimo in vista di un eventuale trasferimento nel giardino della giunta.

Così, scopri che oltre al ristretto “cerchio magico” del governatore ne esiste uno appena un po' più largo. Che non si limita a cingere le poltrone più vicine a quelle del presidente, ma comprende anche quell'universo lì, quei satelliti di potere che ruotano attorno al pianeta Crocetta.

Gli uomini (e le donne) buoni per ogni incarico

Per il governatore, ad esempio, esistono uomini che, per le loro capacità, tornano buoni per ricoprire qualsiasi incarico. Anche i più differenti. È il caso, ad esempio, dell'attuale capo di gabinetto di Crocetta, cioè Giulio Guagliano. Già collaboratore dell'ex assessore all'Economia Luca Bianchi, in questi anni Guagliano è stato nominato (probabilmente dimenticheremo qualcosa) anche amministratore della società Resais, componente di uno degli organismi che gestiscono la società Seus-118, commisssario della provincia di Caltanissetta, componente del collegio sindacale dell'Irfis, componente del collegio dei revisori della Camera di commercio di Caltanissetta e di quello del consorzio universitario di Palermo. Incarichi che hanno fruttato oltre 100 mila euro in un anno. Somma che si aggiunge agli altri 100 mila guadagnati in qualità di dirigente regionale. Uomini dalle competenze così ampie, insomma, da poter coprire senza difficoltà ruoli assai diversi. È il caso, ovviamente, di Antonio Ingroia. Prima, per Crocetta, l'ex pm era “perfetto” per il ruolo di presidente della società Riscossione Sicilia. Ma il Csm in quel caso alzò paletta rossa. Poco male. Ingroia era comunque perfetto per guidare una società che si occupa di tutt'altro, come Sicilia e-Servizi. Già che c'era, Crocetta lo ha anche nominato commissario della Provincia di Trapani. Prima di farsi “bacchettare”, stavolta, dal garante anticorruzione. E dire che lo aveva mandato lì per contribuire alle ricerche su Matteo Messina Denaro...

La “cifra” legalitaria è rinvenibile un po' anche nelle storie degli altri fedelissimi del sottogoverno. È il caso ad esempio di Antonio Fiumefreddo. Prima Crocetta lo scelse come assessore ai Beni culturali, attirandosi le ire e il “veto” del Pd. Poi gli propose un incarico di vertice alla Società patrimonio immobiliare, quindi la guida di Riscossione Sicilia. Adesso, per Crocetta, Fiumefreddo, che in passato fu Soprintendente del Teatro Bellini, nominato da Raffaele Lombardo, è persino “l'uomo-chiave” per il rilancio delle imprese siciliane anche per la sua costante “lotta al malaffare”. E per questo il governatore spinge per averlo in giunta, alle Attività produttive. Nonostante il gravoso ruolo di Segretario generale, invece, Patrizia Monterosso è stata anche nominata nel cda di Irfis (vicepresidente) e in quello dela “Kore” di Enna. Superdirigenti, in grado di fare tante cose contemporaneamente. Come Anna Rosa Corsello, che fino a un anno fa ricopriva insieme il ruolo di dirigente generale alla Formazione, dirigente generale al Lavoro e commissario liquidatore sia della società Biosphera sia della Multiservizi. E con il commissariamento infinito delle Province, ecco i doppi incarichi per altri direttori come Dario Cartabellotta, Ignazio Tozzo, Luciana Giammanco e Rosa Barresi, prima del suo approdo in giunta.

Dalla giunta alla sottogiunta

E del resto, il tragitto che lega il governo ai posti di sottogoverno è sempre molto trafficato. È il caso ad esempio di Mariella Lo Bello e Nelli Scilabra, che hanno condiviso – fino a un certo punto – il destino che li ha portati dai posti all'interno dell'esecutivo a quelli degli uffici di gabinetto, col ruolo di segretarie particolari del governatore. Ma anche altri ex assessori sono stati in qualche modo ripescati dalle reti degli incarichi. Quelli di consulenza, in particolare, come nel caso dell'ex assessore all'Ambiente Salvatore Calleri (lo stesso che chiese: “Giuseppe Alessi, chi è costui?”), adesso consulente personale del governatore in carica, o come nel caso dell'ex responsabile in giunta dell'Economia, Roberto Agnello, chiamato come consulente da Lucia Borsellino e confermato da Baldo Gucciardi. E tra i consulenti, ecco spiccare i fedelissimi del presidente. Stefano Polizzotto, a dire il vero, con Crocetta sembra aver “rotto” da un po': ex capo dela segreteria tecnica, per un periodo fu consulente del presidente che adesso si avvale, tra gli altri, di altri due uomini di fiducia. Antonello Pezzini sta ancora lavorando a quel Patto dei sindaci che avrebbe dovuto portare in Sicilia circa 5 miliardi di finanziamenti dall'Europa. Inutile dire che stiamo ancora aspettando. Per Sami Ben Abdelaali un incarico finalizzato ai rapporti con i paesi del mediterraneo e un ruolo centrale anche nella gestione dell'Expo. Poche settimane fa fece discutere l'assunzione del consulente nella società di Tomaso Dragotto, l'imprenditore scelto da Crocetta per far parte del cda di Gesap, l'azienda che gestisce l'aeroporto di Palermo. Un'assunzione sullla quale in tanti hanno sollevato qualche “dubbio”. Si sarebbe trattato di uno dei primi casi di incarico di “sotto-sotto governo”.

C'è poi anche la possibilità di usare il “sottogoverno” per altri incarichi dello stesso tipo. Detto del capo di gabinetto di Crocetta, Giulio Guagliano (che è pur sempre un dirigente della Regione), ecco un altro storico componente degli uffici di gabinetto del presidente, Gaetano Moltalbano, piazzato alla guida della Seus o l'ex capo di gabinetto del governatore, Gianni Silvia, tornato buono anche per la guida della Fondazione orchestra sinfonica siciliana.

Gli straordinari commissari

Francesco Calanna, invece, ha anche militato nel Megafono. Un passato che evidentemente ne fa un uomo di fiducia del presidente. Una fiducia, del resto, manifestata con i “numeri”. Nominato commissario straordinario dell'Ente sviluppo agricolo (il commissario straordinario dovrebbe occuparsi di fatti circoscritti, anche nel tempo), il dirigente si è visto rinnovare il contratto la bellezza di otto volte in due anni. Una scelta in controtendenza, visto che altrove i cambi e i turn over sono stati frenetici. Alla Crias, ad esempio, in pochi mesi si sono alternati Maria Amoroso, Filippo Nasca e, ultimo in ordine di tempo, Claudio Basso. All'ombra dei templi di Agrigento, Gaetano Pennino ha lasciato – una volta nominato dirigente generale – la guida del parco archeologico ad Alberto Pulizzi. All'Istituto regionale del Vino e dell'Olio, Crocetta ha chiamato dapprima come commissario un volto più o meno noto della tv, come il nutrizionista Giorgio Calabrese, per poi sostituirlo con Antonino Di Giacomo Pepe. E ancora, ecco commissari disseminati ovunque, nel corso di questi anni. È il caso di Dario Lo Bosco, già presidente di Ast (sì, proprio l'azienda di trasporto pubblico che Crocetta avrebbe voluto trasformare in una compagnia aerea) nominato anche commissario della Camera di commercio di Catania. Alfonso Cicero, invece, fu per mesi commissario straordinario dell'Irsap prima della nomina a presidente, tra furenti polemiche all'Ars. Ci fermiamo qui. Solo per non annoiare. Ovviamente, questi incarichi sono tutti ben retribuiti, e vengono tranquillamente cumulati tra loro, nei casi dei fortunati fedelissimi "multiruolo". Ma il sottogoverno è si distende ben oltre questi racconti. Persino in una realtà virtuale. Quella che ha visto – con tanto di comunicato stampa del presidente della Regione – Tano Grasso, simbolo della lotta al racket, sedersi sulla poltrona di “superdirigente” agli appalti. Sono passati quasi due anni. Tano Grasso non si è mai insediato.


Inchiesta sui beni confiscati alla mafia: tremano i ‘Palazzi’ del potere di Palermo 

La VOCE Sicilia NY



L’inchiesta, condotta dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, avrebbe subìto un’accelerazione perché Report - la nota trasmissione televisiva d’inchiesta di Milena Gabanelli - starebbe realizzando una puntata su tale argomento. Con testimonianze e interviste ‘pesanti’. Sotto inchiesta Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara


Una bufera starebbe per abbattersi sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. E al centro di questa vicenda ci sarebbe Palermo, da sempre ‘Capitale mondiale di Cosa nostra’, dove si concentrerebbe oltre il 40 per cento dei beni confiscati agli uomini dell’Onorata società. A tremare sarebbero i protagonisti dei ‘Palazzi’ del potere. Ma questa volta ad essere coinvolti non sono i 'Palazzi' della politica siciliana, ma qualche alto rappresentante della Giustizia. Insomma, magistrati che indagano su altri magistrati. Nello specifico, la Procura della Repubblica di Caltanissetta che indaga sulla gestione di un segmento della Giustizia che opera presso il Tribunale di Palermo.  
Insomma, com’era prevedibile, la gestione dei beni confiscati alla mafia è diventato un caso giudiziario. Con il coinvolgimento del presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, il giudice Silvana Saguto, finita sotto inchiesta per corruzione, induzione e abuso d'ufficio. Indagati anche l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, titolare di uno studio, con sede a Palermo, che da anni gestisce tante aziende confiscate ai mafiosi. Sotto inchiesta pure l'ingegnere Lorenzo Caramma, che in passato avrebbe avuto rapporti di consulenza con l’avvocato Seminara, quando la moglie non era ancora presidente della sezione del Tribunale che decreta le confische.
L'inchiesta viene fuori da alcune da denunce pubbliche. In particolare, c’è una denuncia di Massimo Ciancimino, che risale a cinque anni fa. E c’è una battaglia condotta con coraggio e determinazione dal direttore di TeleJato, Pino Maniaci. Sullo sfondo, beni confiscati che sarebbero stati assegnati quasi sempre a una ristretta cerchia di professionisti, che ne avrebbero ricavato parcelle molto ricche. L’inchiesta ruota sui beni immobili e beni aziendali confiscati in Sicilia.
Stando a indiscrezioni, l’inchiesta di Caltanissetta avrebbe subìto un’accelerazione perché su questa storia
mafia
avrebbero lavorato, e molto, i giornalisti di Report, la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli, giornalista di altri tempi abituata a non guardare in faccia nessuno. A quanto pare, sull’argomento potrebbero tornare anche Le Iene, altra trasmissione televisiva che si è ampiamente occupata di questa storia.
I finanzieri della  Polizia tributaria di Palermo avrebbero già fatto visita nello studio dell’avvocato Cappellano Seminara e nell’ufficio del giudice Saguto. Mentre i giornalisti di Report - stando sempre a quanto si sussurra - sarebbero riusciti a raccoglie testimonianze importanti, da parte di personaggi direttamente coinvolti in questa storia.
Le cronache registrano anche una dichiarazione ufficiale della Procura di Caltanissetta: “Questi atti istruttori sono stati compiuti per acquisire elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d'ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla presidente della sezione Misure di Prevenzione del tribunale di Palermo nell'applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”.
Nel 2014 è stato il Prefetto Giuseppe Caruso, poco prima di lasciare la direzione dell'Agenzia per la gestione dei beni confiscati alla mafia, a denunciare la “gestione ad uso privato” dei beni confiscati. Il riferimento è ad alcuni amministratori giudiziari scelti dai Tribunali, con in testa il già citato avvocato Cappellano Seminara.
Le cronache di quei giorni roventi registrano una visita della Commissione nazionale Antimafia presieduta
nello musumeci
Nello Musumeci
da Rosi Bindi, piombata in Sicilia per difendere, forse in modo un po’ troppo ‘oleografico’, la magistratura. Della serie, non delegittimate il “sistema”, cioè la Giustizia. Un po’ più centrato, nel febbraio di quest’anno, l’intervento della Commissione Antimafia regionale, presieduta da Nello Musumeci, che, differenza delle ‘oleografie’ romane, ha toccato un punto nevralgico: “In alcuni casi - ha affermato Musumeci - abbiamo ricevuto denunce di incompatibilità, eccessiva concentrazione di incarichi, in altri tentativi di favorire società o studi professionali vicini all’amministratore”.
Poi è stata la volta del presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, nominato dal governo all'Agenzia nazionale oggi guidata dal Prefetto Umberto Postiglione. L’azione di Montante è durata poco, perché a suo carico è stata data notizia di un’indagine che lo vedrebbe coinvolto per fatti di mafia.
Sul sito Zone d’ombra tv si leggono alcune notizie che fanno chiarezza su un argomento complesso (che potete leggere qui). Si ricorda la raccolta di firme lanciate dall’associazione Libera per introdurre il riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati. E l’approvazione, da parte del Parlamento nazionale, della legge n. 109 del 1996. Legge che distingue tre categorie di beni confiscati alla mafia. Vediamoli.  
a) I beni mobili, ovvero denaro contante e assegni, liquidità e titoli, crediti personali (cambiali, libretti al portatore, altre obbligazioni), oppure autoveicoli, natanti e beni mobili che non fanno parte di patrimoni aziendali. Di norma, le somme di denaro confiscate o quelle ricavate dalla vendita di altri beni mobili sono finalizzate alla gestione attiva di altri beni confiscati. Anche se su questo non sono mancati i dubbi e le polemiche. Tant’è vero che, tra Montecitorio e Palazzo Madama, alcuni parlamentari meridionali hanno provato, senza successo, a far riportare i beni mobili confiscati nella disponibilità delle aree del Paese dove avvengono le confische. Battaglia parlamentare perduta, perché questi soldi rimangono a Roma.   


b) I beni immobili, ovvero appartamenti, ville, terreni edificabili o agricoli. Hanno un grande valore simbolico, perché rappresentano in modo concreto il potere che il boss può esercitare sul territorio che lo circonda. Possono essere utilizzati per “finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile”, come prevede la legge, o possono essere trasferiti al Comune di appartenenza. I Comuni, a propria volta, possono amministrarli direttamente o assegnarli, a titolo gratuito, ad associazioni, comunità e organizzazioni di volontariato. 
c) I beni aziendali: si tratta, in questo caso, di aziende frutto di riciclaggio di denaro ‘sporco’. In questa categoria ritroviamo aziende di vario tipo: agroalimentari (per esempio, supermercati), aziende che operano nell’edilizia, ristoranti, pizzerie e via continuando.
pino maniaci
Pino Maniaci
Nel sito si leggono alcune dichiarazioni di Pino Maniaci: "Insieme ad altri tre, quattro giudici - dice il direttore di TeleJato - la Saguto gestisce il 43 per cento dell'intero patrimonio sequestrato ai mafiosi in tutta Italia”, che ammonterebbe a circa 50 miliardi di Euro. Beni, aggiunge Maniaci, che sarebbero gestiti sempre le stesse persone, cioè dagli stessi amministratori giudiziari. 
I professionisti in grado di ricoprire il ruolo di amministratore giudiziario sono circa 4mila, tutti inseriti in un albo di amministratori competenti, che è stato costituito, per legge, nel gennaio 2014. “Alla lista - leggiamo sempre nell'articolo pubblicato dal sito - bisognerebbe attingere per la scelta delle professionalità in base a competenze e capacità. La scelta, a quanto pare, è arbitraria, effettuata dai giudici della sezione delle misure di prevenzione in cui si ritrovano molto i soliti trenta nomi.  Tra i preferiti dai giudici spicca il nome di Gaetano Cappellano Seminara, soprannominato il 'Re'. Il 90% delle aziende sequestrata e lui affidate, gran parte nel settore edilizio e immobiliare, sono state chiuse per fallimento”. Qui si tocca un tema caldo: la mancanza di cultura imprenditoriale da parte dei soggetti chiamati a gestire queste aziende, che spesso vanno in malora.
“Seminara - leggiamo sempre nell'articolo - oggi è uno degli avvocati più riccchi d'Italia. Un uomo che si occupa di beni sequestrati e confiscati, con 54 incarichi in varie aziende e amministratore di 250 aziende con un onorario che si aggirerebbe intorno ai 7 milioni di euro l'anno”. 
Nel sito di parla anche del conflitto di interessi dell’avvocato Seminara. “La Legalgest Srl è proprietaria di un hotel di cui Seminara avrebbe il 95% delle quote mentre il restante 5% apparterrebbe alla figlia. La curiosità è che l'amministratore della società è la nonna 82enne dell'avvocato. Nel 2011 la stessa Legalgest cede la gestione dei servizi alberghieri alla Tourism project Srl di cui è proprietaria, al 100% delle quote, la stessa Legalgest Srl”. Insomma, un gioco di scatole cinesi.  
“Appare strano - leggiamo sempre nell’articolo - che nessuno si sia accorto di un evidente conflitto d'interesse quando Seminara si è occupato, come amministratore giudiziario, di un altro gruppo alberghiero: la Ghs Hotels F. Ponte Spa”. 
"Esiste una sorta di cupola degli amministratori giudiziari che agiscono in perfetto accordo con il Tribunale di Palermo, in particolare al responsabile della sezione misure patrimoniali" chiarisce Salvo Vitale di Radio Aut e collaboratore di TeleJato. Nell’articolo si racconta anche del ruolo dell’avvocato Seminara nella discarica di Bucarest, ritenuta la più grande d’Europa. "Quando uno dei proprietari si ritirò e bisognava rinnovare il Consiglio di amministrazione – si legge sempre nel sito che cita un articolo de I Siciliani -  Cappellano pagò un lavavetri per acquistare, come prestanome, una quota importante ed entrare nel consiglio di amministrazione, per poi diventarne presidente, giochetto che gli è riuscito numerose volte. Questa volta il gioco è stato smascherato”.
Il caso è stato smascherato, manco a dirlo, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, già magistrato inquirente di punta al Tribunale di Palermo.  
“A non essere rispettata è la Legislazione Antimafia - Vittime della mafia e relativo Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. I beni confiscati sono circa 12.000 in Italia - si legge sempre nell’articolo -. La fase del sequestro, secondo la legge, non deve superare i 6 mesi, rinnovabile al massimo di altri 6, periodo in cui vengono svolte le dovute indagini e si decide il destino del bene stesso: se dichiarato legato ad attività mafiose esso viene confiscato e destinato al riutilizzo sociale; se il bene è pulito viene restituito al precedente proprietario. Nella pratica il bene non viene mantenuto nello stato in cui viene consegnato alle autorità, né vengono rispettate le tempistiche. In media, il bene resta sotto sequestro per 5-6 anni, ma ci sono casi in cui il tempo si prolunga fino ad arrivare a 16 anni”. 
“Una legge limitata - se legge ancora nell’articolo - da aggiornare, che non permette gli adeguati controlli e conduce troppo spesso al fallimento dei beni per le - forse volute - incapacità del sistema”.
Su Live Sicilia leggiamo la replica di qualche tempo fa dell'avvocato Cappellano Seminare: “Ho presentato una parcella lorda di 7 milioni di euro per 15 anni di lavoro durante il quale ho amministrato, insieme ad un team di 30 collaboratori, 32 società e ho accresciuto il valore commerciale degli asset a me conferiti a 1,5 miliardi di euro. Nel periodo di gestione giudiziaria i soli beni aziendali giunti a confisca hanno prodotto ricavi per oltre 280 milioni di euro, attestando così il costo della gestione giudiziaria a circa il 2,50% dei ricavi. Giova inoltre ricordare che dalla liquidazione disposta dal Tribunale, interamente corrisposta con fondi del patrimonio confiscato, ne è derivata a mio carico, in favore dell'Erario una imposizione fiscale di complessivi euro 4.248.281 pari al 60% del lordo percepito”. 
BARRESI, BIANCHI, CALLERI, CARTABELLOTTA, LO CICERO, CORSELLO, CUFFARO, FIUMEFREDDO, IRSAP,GIAMMANCO, GUAGLIANO, INGROIA, IRFIS, LO BELLO, LOMBARDO, LUMIA, MARINO, MONTANTE, RESAIS, SCILABRA, TOZZO, IRSAP,VENTURI
Condividi post
Repost0

commenti

Presentazione

Link