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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:16
Il mangia mangia dei beni sequestrati alla mafia tra arresti mancati, trasferimenti e silenzi 



Giulio Ambrosetti [2 Oct 2015 |


Incontro alla festa dell’Unità di Palermo. Tema: i beni sequestrati alla mafia. Protagonisti: il Ministro della Difesa Andrea Orlando e la presidente dell’Antimafia, Rosy Bindi. Serata poco ‘frizzante’, di circostanza. In perfetto accordo con la ‘normalizzazione’ in corso nel capoluogo dell’Isola tra trasferimenti d’ufficio e silenzi. E la ‘sabbia’ va… 
Mentre dentro Confindustria Sicilia è in corso una sorta di ‘regolamento’ dei conti tra i protagonisti di una stagione antimafia dalle tante ombre e dalle pochissime luci, arrivano a Palermo, alla festa dell’Unità, il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e la presidente della commissione Antimafia del Parlamento nazionale, Rosy Bindi. I temi da affrontare non mancano, dalle ‘faide’ interne all'associazione degli industriali siciliani alla gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, dopo lo scandalo - perché di uno scandalo si tratta - legato all'utilizzazione, non esattamente ‘trasparente’, della Sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Palermo.
Rosy Bindi, ieri sera, non sembrava in difficoltà. In effetti, come ha ricordato al nostro giornale il direttore di TeleJato, Pino Maniaci, la presidente della commissione Antimafia nazionale, nel passato non lontano, non ha fatto una bella figura a proposito della gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia. Mettiamola così: diciamo che non ha intuito quello che stava succedendo. Quando ancora gli ‘altarini’, in questo settore della Giustizia gestito all’insegna degli affari, non erano stati scoperchiati, la presidente Bindi si è esibita in una difesa appassionata di Silvana Saguto, l’ex presidente della Sezione per le misure di prevenzione oggi dirottata in altri settori. E oggi che dice Rosy Bindi? “La commissione Antimafia deve recitare il mea culpa? Non credo - ha detto la Bindi . Abbiamo preso le parole di Caruso molto sul serio. Non a caso abbiamo presentato il disegno di legge che andrà in aula già a novembre, intervenendo anche su alcuni aspetti che lo stesso Caruso aveva denunciato. E anche vero che le cose dette dall'ex prefetto riguardavano un sistema, e non singole persone”.
Il Caruso citato da Rosy Bondi è Pietro Caruso, il prefetto che, in anticipo sugli eventi, ha denunciato storture nella gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia. Quando Caruso e il direttore di TeleJato, Pino Maniaci, denunciavano la pessima gestione di questo delicato settore della vita pubblica - questo va detto per onestà di cronaca - né il governo nazionale, né la commissione Antimafia hanno fatto qualcosa. Anzi, nel caso della presidente Bindi, come già ricordato, c’è stata una difesa dei vertici della Sezione per le misure di prevenzione poi finiti nell’occhio del ciclone.
Di fatto, il Ministro Orlando e la presidente Bindi, ieri, alla festa dell’Unità, a Palermo, hanno riservato allo scandalo della gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia solo parole di circostanza. Il Ministro ha parlato degli ispettori ministeriali che indagano. Abbiamo appreso, addirittura, che su questo tema il governo nazionale avrebbe anticipato la magistratura. Ci sarebbe un decreto che interviene sui compensi degli amministratori giudiziari, che è pronto dallo scorso Luglio. E’ già in vigore? Non l’abbiamo capito. Per il resto, gli ispettori ministeriali lavorano, fianco a fianco, con i magistrati della Procura della Repubblica di Caltanissetta, titolari dell’inchiesta sulla Sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e bla bla bla.
Quanto alla faida interna a Confindustria Sicilia, altre parole di circostanza: discutete, ma senza scannarvi. Salvaguardando il ‘pupo’, ovvero i feticci dell’antimafia delle celebrazioni. Anche se la Bindi, a un certo punto, in un ‘conato’ di coraggio, ha affermato: “È giunto il momento di fugare ogni dubbio e chiarire se in qualche caso l'antimafia non è stata usata solo per combattere la mafia, ma per creare carriere e conquistare posti di potere”. Incredibile: non ce n’eravamo accorti…
E oltre l’oleografia mafia-antimafia? Ci saremmo aspettati un dibattito sui guasti prodotti sull’economia di Palermo e provincia e, in generale, sull’economia siciliana dalla gestione dei beni mafiosi, soprattutto di quelli sequestrati. Non è detto, infatti, che tutti i sequestri si concludano con le confische, cioè con il passaggio delle aziende e dei beni immobili allo Stato. Chi risulta innocente dovrebbe tornare a fare il mestiere di imprenditore con le proprie aziende e i propri beni. Ma in tantissimi casi non è così, perché gli amministratori giudiziari restituiscono ai legittimi proprietari aziende ‘ripulite’. Sono fatti denunciati con forza da Pino Maniaci che non trovano ascolto nel mondo politico, sia con riferimento al centrosinistra, sia con riferimento al centrodestra. La dimostrazione che in questo settore il  mangia-mangia è ecumenico.
Ascoltando il dibattito alla festa dell’Unità e, soprattutto, osservando i ‘minimi’ movimenti in corso nel Palazzo di Giustizia di Palermo, si ha la sensazione netta, precisa, che questa storia possa finire come la “Santabarbara mai esplosa” della prima commissione nazionale Antimafia tra gli anni ’60 e gli anni ’70 del secolo scorso. Anche allora, tra strage di Ciaculli, guerre di mafia, mancati arresti di boss mafiosi e delitti ‘eccellenti’, si pensava ad esiti clamorosi. Invece non successe nulla (a parte, ovviamente, gli uomini dello Stato che sarebbero stati ammazzati, uno dietro l’altro, negli anni successivi).
La stessa atmosfera si respira oggi a Palermo. ‘Normalizzazione’ a tutti i livelli. Dibattiti al ‘cloroformio’ orchestrati da un partito - il PD - che sembra aver preso il posto della vecchia Dc. E passi felpati dalle parti del Palazzo di Giustizia. Niente arresti, si apprende: solo trasferimenti di cinque magistrati. E la revoca di tutti gli incarichi agli amministratori giudiziari legati alla lunga stagione della dottoressa Silvana Saguto? Aspettiamo Godot? Sabbia, sabbia, sabbia...
Quindi i silenzi. In questi casi molto più significativi e indicativi di qualunque parola. E in questo ‘concerto’ del silenzio spicca l’ordine dei Commercialisti di, ‘fucina’ di tanti amministratori giudiziari…     
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:15



Che affarone quel sequestro scrive Rosy Bindi

In merito all’articolo di  Gianfrancesco Turano 

“Che affarone quel sequestro” (“l'Espresso” n. 40), vorrei precisare che la Commissione parlamentare Antimafia ha svolto un'inchiesta molto approfondita sulla gestione dei beni confiscati e non sono rimasti inascoltati gli allarmi sul cattivo funzionamento del sistema. È stato il primo tema di cui ci siamo occupati, con un lavoro a tappeto, numerose audizioni, missioni e sopralluoghi in tutt’Italia.
Oltre un anno fa abbiamo presentato una Relazione, approvata dal Parlamento, che indicava le tante criticità del sistema. E nel settembre 2014 abbiamo depositato un progetto di riforma organica, ora all’esame della Commissione giustizia di Montecitorio.
Il prefetto Caruso era stato chiamato a rendere conto dello stallo in cui versava l’Agenzia nazionale che assegnava i beni in ritardo, con il contagocce e non aveva ancora realizzato un data base informatico, nonostante i 7 milioni di euro assegnati. Nella sua audizione Caruso, che non ha fornito chiarimenti esaurienti sulla sua gestione, al contrario di quanto sostiene Turano non ha mai denunciato irregolarità precise o ipotesi di reato a carico di singoli amministratori giudiziari o magistrati. Ha solo lamentato i tanti incarichi assegnati all’avvocato Cappellano Seminara e i compensi troppo alti. Su questi rilievi abbiamo sollecitato il governo ad approvare il tariffario e nel nostro Ddl abbiamo previsto regole stringenti per evitare il cumulo degli incarichi.
La Commissione d’inchiesta per legge non può ricorrere a strumenti d’indagine incisivi come le intercettazioni, utilizzate dalla Procura di Caltanissetta. La Commissione Antimafia non è un Tribunale ma svolge una funzione politica e legislativa, ed è proprio quello che abbiamo fatto e continueremo a fare, augurandoci che anche gli altri facciano il proprio dovere.

Rosy Bindi

Presidente Commissione parlamentare Antimafia
L'on. Bindi stessa scrive che il prefetto Caruso aveva segnalato irregolarità precise e ben identificate. La funzione politica e legislativa dell'Antimafia è chiara. Nel caso in questione non sembra essere stata così efficace. (G. Tur.)
Che affarone quel sequestro scrive il giudice Licata
A proposito dell’articolo "Che affarone quel sequestrio” di Gianfrancesco Turano (“l'Espresso” n. 40), sono tenuto a fare alcune precisazioni, essendo direttamente chiamato in causa in relazione al mio ruolo di giudice delegato delle procedure di amministrazione giudiziaria a carico di “Italgas S.p.A.” e “Gas Natural S.p.A.”.


A. Non è esatto che, quale giudice delegato alla procedura di amministrazione giudiziaria nei confronti di Italgas S.p.A., avrei nominato l’avv. Andrea Aiello quale componente del collegio di amministratori giudiziari.
Infatti, secondo quanto previsto dalla legge, la nomina degli amministratori giudiziari è di esclusiva competenza del tribunale in composizione collegiale e viene deliberata contestualmente all’adozione della misura di prevenzione patrimoniale, insieme alla designazione del giudice delegato.
Inoltre, dovendo applicare la particolare misura dell'amministrazione giudiziaria prevista dall'art. 34 cod. antimafia a una società di grande rilevanza come Italgas S.p.A, il tribunale ha affidato l’ufficio di amministratore non al solo avv. Aiello, ma a un collegio di ben quattro qualificati esperti, tra cui anche il prof. Marco Frey, direttore dell'Istituto di Management della Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant'Anna di Pisa, l'ing. Sergio Caramazza, tecnico di elevata professionalità e con uno specifico curriculum, il dr. Luigi Saporito, esperto commercialista ed amministratore milanese.


B. Non è vero che l'avv. Aiello, al momento della sua nomina quale componente del predetto collegio, potesse essere considerato in conflitto d'interessi con l’azienda da amministrare.
Infatti, l'avv. Aiello, nell'avere riferito al PM circostanze utilizzate dalla Procura della Repubblica di Palermo nel contesto della richiesta di applicazione del provvedimento di amministrazione giudiziaria, si è limitato ad assolvere al suo dovere di cittadino e di pubblico ufficiale. E l'aver maturato, nella precedente qualità di amministratore giudiziario nella procedura Cavallotti, conoscenze su vicende relative a Italgas, lungi dal renderlo potatore di interessi privati, lo rendeva anzi ancora più competente a svolgere il successivo ruolo di componente del collegio di amministrazione giudiziaria della medesima società, posto che l'unico interesse di cui è portatore un amministratore giudiziario è quello pubblico, connesso alle finalità del suo ufficio.


C. L’articolo ha poi riportato in maniera fuorviante i dati relativi ai costi dell’amministrazione giudiziaria.
Infatti, la cifra di circa sei milioni di euro è servita a coprire i costi necessari al funzionamento di uno staff di 43 collaboratori, assolutamente indispensabile agli amministratori giudiziari per gestire, controllare e risanare, nel corso di quasi un anno, l'attività di un'azienda di proporzioni straordinarie come Italgas: 1,3 miliardi di euro di fatturato annuo, oltre 3.300 dipendenti, una struttura operativa presente su tutto il territorio nazionale e distribuita tra la sede legale di Torino e sette distretti territoriali, tra cui il distretto di Roma che è il centro di distribuzione gas più vasto d’Europa (1,8 milioni di utenze), 58.000 km di reti di distribuzione del gas e 6 milioni di utenze da gestire.
Inoltre, anche in questo caso, la misura dell’amministrazione giudiziaria aveva una duplice finalità: garantire la continuità e la produttività dell’attività economica in sequestro e verificare in maniera indipendente la persistenza dei pericoli d’infiltrazione.
È da precisare, altresì, che i compensi dei predetti collaboratori sono stati determinati dal collegio degli amministratori, riducendo notevolmente la retribuzione già prevista per le corrispondenti figure professionali della struttura Italgas.
I compensi del collegio degli amministratori, invece, sono stati sino ad ora liquidati soltanto per il primo semestre di attività, con decreto motivato del tribunale fondato sul rigoroso rispetto dei parametri indicati dalla legge e, comunque, con criteri tali da pervenire a cifre di gran lunga inferiori a quelle previste dal D.M. n. 140/12 per la liquidazione compensi dei professionisti da parte di organi giurisdizionali, e nemmeno lontanamente paragonabili a quelle teoricamente previste dalle tabelle dei rispettivi ordini professionali.


D. L’articolo offre una ricostruzione dell’andamento del procedimento di prevenzione fondata su circostanze oggettivamente non vere.
Anzitutto non è esatto che non siano emerse nel corso del procedimento conferme dei pericoli d’infiltrazione criminale.
Il tribunale, infatti, nel suo provvedimento finale, tenuto conto dei risultati delle indagini del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, della consulenza tecnica disposta dal P.M., nonché delle circostanze segnalate dagli amministratori giudiziari in una serie di ponderose relazioni, ha ritenuto non ancora cessato l’oggettivo pericolo d’infiltrazione mafiosa di Italgas; tanto è vero che, per tali ragioni, con il provvedimento di revoca della misura dell’amministrazione giudiziaria, è stata applicata la misura del controllo giudiziario, pure prevista dall’art. 34 d. lgs. n. 159/11, che impone all’azienda di comunicare ad alcune autorità inquirenti i dati relativi a determinate attività contrattuali e gestionali per un periodo di tre anni.


E. È oggettivamente falso che il P.M. abbia chiesto il dissequestro dell’azienda nel mese di maggio del 2014 e che il tribunale abbia revocato il provvedimento nel mese di luglio del 2015, a oltre un anno di distanza da tale presunta richiesta.
Nel maggio 2014, infatti, il P.M. non avrebbe potuto chiedere la revoca di un provvedimento ancora inesistente, posto che l’amministrazione giudiziaria di Italgas è stata disposta nel luglio 2014.
È vero invece che il P.M., a seguito dell’adozione del predetto provvedimento, ha svolto una complessa attività di verifica investigativa e, nel maggio del 2015, ha chiesto al tribunale di poter proseguire ulteriormente la trattazione del procedimento in camera di consiglio, al fine di poter svolgere altri accertamenti.
Il tribunale ha rigettato tale richiesta e, il 21 maggio del 2015, ha invitato le parti a concludere. In tale sede, il P.M. ha chiesto l’applicazione della misura del controllo giudiziario, mentre il tribunale ha depositato il proprio decreto finale, munito di una lunga e complessa motivazione, poco più di un mese dopo.


Precisati i fatti, vanno forniti alcuni fondamentali chiarimenti.
L'amministrazione giudiziaria ha messo a fuoco un complessivo scenario aziendale caratterizzato da un insieme di criticità a vari livelli, che vanno dal persistente rischio d'infiltrazione criminale, alla mancata osservanza di discipline tecniche e giuridiche relative alla sicurezza e alla correttezza e trasparenza dei processi di gestione di appalti e contratti.
Per affrontare tale variegato quadro di criticità, gli amministratori hanno elaborato un ampio piano d'intervento risanatore, sostanzialmente condiviso da Italgas S.p.A. e Snam S.p.A., tanto che i dirigenti di tali società hanno direttamente e attivamente partecipato ai tavoli tecnici istituiti per individuare le misure da intraprendere.
Tenuto conto della complessità e della non breve durata di tale piano di risanamento, è emersa l'esigenza di costituire un nuovo Organismo di Vigilanza ex D.lgs. 231/01, dotato di effettivi requisiti di professionalità e indipendenza, e incaricato anche di monitorare l'attuazione del piano di bonifica in questione.
Sono stati gli stessi difensori di Snam e Italgas a proporre formalmente la costituzione di tale particolare Organismo di Vigilanza, i cui componenti sono stati individuati con provvedimento del giudice delegato, tenuto conto anche delle specifiche indicazioni e del gradimento espresso dai legali delle due società.
Tale organismo, composto dai proff. Giovanni Fiandaca, Andrea Perini e Gianluca Varraso, mai destinatari di incarichi da parte del Tribunale di Palermo, è stato ritenuto “molto qualificato” anche dallo stesso autore dell’articolo ed ha iniziato a operare in completa autonomia e indipendenza rispetto all’autorità giudiziaria, all’amministrazione giudiziaria (ormai esauritasi) e ai vertici di Snam e Italgas. E ciò, anche nella scelta dei collaboratori.
In conclusione, va detto che l’amministrazione giudiziaria ha pienamente centrato i propri obiettivi istituzionali: l’operatività gestionale di Italgas è stata totalmente garantita; è stato assicurato il pieno rispetto degli obblighi previsti dalla partecipazione al gruppo Snam; è stata svolta un’adeguata attività di monitoraggio dell’organizzazione aziendale, della gestione delle gare di appalto e dell’amministrazione delle attività operative; è stato messo a punto e avviato un importante piano di bonifica ispirato a obiettivi di legalità, trasparenza e ottimale funzionamento aziendale.


Infine, risulta superficiale anche la, sia pur sintetica, trattazione della parallela vicenda giudiziaria che ha riguardato le tre società del gruppo Gas Natural operanti in Italia.
Anche in tal caso l'articolo fornisce il dato del costo delle attività dell’amministrazione giudiziaria, senza tuttavia indicare alcun elemento idoneo a valutare la congruità di tale costo rispetto alle reali dimensioni dell’azienda, agli obiettivi istituzionali dell’amministrazione giudiziaria e alle attività effettivamente svolte, così ingenerando nel lettore la sensazione che si tratti di spese ingiustificate. Un’appropriata valutazione di tali dati rivelerebbe, invece, che le risorse impiegate e i costi sostenuti erano necessari al perseguimento delle finalità proprie del procedimento di amministrazione giudiziaria, riguardante un gruppo societario di grande rilievo nazionale.

Dr. Fabio Licata

Giudice del Tribunale di Palermo
È chiaro che se si misurano gli emolumenti di amministratori e coadiutori in proporzione ai ricavi dell'azienda ne vengono fuori cifre enormi, come correttamente indicato dall'articolo. Ma il tribunale di Palermo non ha controllato 58 mila km di rete e 6 milioni di utenze.

Segnaliamo che Raffaele Cantone, presidente dell'Anac, ha commissariato Maltauro per Expo 2015 solo limitatamente al distretto dove si ipotizzavano condotte irregolari (Milano) mentre Italgas è stata commissariata in toto.

Il controllo giudiziario consiste nel semplice obbligo dell'azienda di comunicare in questura le operazioni per importi superiori a 150 mila euro, senza nemmeno fornire la documentazione.
Quanto al resto, nessuno mette in dubbio la collegialità delle decisioni del tribunale e l'indicazione del maggio 2014, anziché maggio 2015, è un semplice errore materiale. (G. Tur.)

Che affarone quel sequestro scrive l'avv. Cappellano Seminara
Scrivo per esprimere sconcerto in merito all'articolo "Che affarone quel sequestrio” di Gianfrancesco Turano (“l'Espresso” n. 40). Sottolineando che il giornalista non mi ha mai contattato per verificare la veridicità delle informazioni in suo possesso, scrivo per rettificare le notizie false e sommarie riportate nell'articolo.
Per quanto riguarda il mio impegno in Calcestruzzi s.p.a., è bene ricordare che il Provvedimento di Sequestro Preventivo è stato emesso dal Tribunale di Caltanissetta - ufficio del GIP e non come erroneamente riportato nell'articolo dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo che quindi non aveva, e non ha, alcuna competenza sulle autorizzazioni alla liquidazione degli onorari nella misura in argomento.
Per circa 3 anni di attività in qualità di Amministratore Giudiziario e circa 1 anno di attività di Organismo Esterno di Vigilanza, Controllo e/o Garanzia di Calcestruzzi s.p.a. - società che all'epoca contava oltre 1.000 dipendenti, 15 direzioni di zona, 250 impianti di produzione del calcestruzzo sparsi su tutto il territorio nazionale da Courmayeur a Gela, 60 cave e fatturava oltre 600 milioni di euro all'anno e che durante il periodo dell'Amministrazione Giudiziaria ha dovuto confrontarsi con la spaventosa crisi del settore edile - ho personalmente ricevuto compensi per complessivi euro 1.906.250,01. Tale ammontare è stato pre concordato con il Tribunale di Caltanissetta, Ufficio del Gip, con il vaglio positivo della Procura della Repubblica di Caltanissetta, in quanto in linea con il solo costo aziendale complessivo - all'epoca euro 604.000/anno, incluse indennità e contributi - precedentemente sostenuto da Calcestruzzi s.p.a. per l'Amministratore Delegato, Mario Colombini, in carica prima dell'ordinanza di sequestro preventivo da parte del Tribunale di Caltanissetta. Nei quattro anni di mia gestione sottolineo essere stato l'unico rappresentante legale di Calcestruzzi s.p.a. e delle 5 società controllate dalla stessa, non potendomi avvalere di una governance collegiale.
L'istanza di liquidazione da me presentata al Giudice del Tribunale di Caltanissetta in data 23 giugno 2011, in assenza di un tariffario riferito specificamente alle Amministrazioni Giudiziarie, è stata calcolata in una media ponderata tra le tariffe adottate dal Tribunale di Napoli del 1993, le tariffe dei Curatori Fallimentari e quelle dell'Ordine degli Avvocati, e, quindi, non su base discrezionale come si vorrebbe, invece, far intendere.
Tale quantificazione, peraltro, solo proposta e portata al vaglio del Tribunale di Caltanissetta, computata al netto di quanto già percepito e inclusiva del lavoro svolto nei quasi 4 anni - e non 200 giorni come asserito nell'articolo - dal team dell'Amministrazione Giudiziaria, impegnato in azienda e composto da 18 professionisti, è stata di euro 10.245.819,49 e non di 18 milioni come riportato.
Peraltro, di tale team facevano parte undici professionisti dell'area tecnica fra ingegneri, geologi e un informatico, che costituivano il team business control, specificamente previsto dal modello Organizzazione, Gestione e Controllo ex D.Lgs. 231/01, adottato dal Consiglio di Amministrazione “indipendente” della società Calcestruzzi s.p.a., nominato dalla Italcementi s.p.a., in costanza di Amministrazione Giudiziaria. Pertanto il loro costo è da considerarsi costo diretto aziendale e non costituisce compenso dell'Amministrazione Giudiziaria.
A fronte del diniego del Presidente del Tribunale di autorizzare tale liquidazione, così riducendone l'importo, ho proposto impugnazione, come era mio diritto, avverso il provvedimento del Tribunale di Caltanissetta e la causa ha già superato due gradi di giudizio ed è ora in attesa di quello della Cassazione. E' quindi nuovamente falso affermare, come si è fatto nell'articolo, che il ricorso in Cassazione è stato proposto dal Gruppo Italcementi.
Altrettanto falso è asserire, come ha fatto il giornalista, che la liquidazione della seconda fase della procedura non sarebbe “passata al vaglio del Giudice”. Questa invece è parimenti come la prima (fase) passata al vaglio positivo sia del Tribunale di Caltanissetta - Ufficio del GIP, sia della Procura di Caltanissetta.
E d'altronde, tenuto conto che la seconda fase era costituita dall'assunzione da parte dello scrivente della veste di Organo Esterno di Vigilanza Controllo e Garanzia, in relazione all'esatto adempimento delle prescrizioni imposte dall'Autorità Giudiziaria alla Calcestruzzi s.p.a., siccome da quest'ultima, unitamente alla Italcementi s.p.a., espressamente voluto dalle stesse nell'ambito della relativa proposta di dissequestro con prescrizione a firma dei rispettivi legali rappresentanti, con atto depositato in Tribunale, non poteva essere diversamente avendone con il riferito atto assunto espressamente il relativo onere. Ed anzi con l'istanza in argomento le due società si erano obbligate a sostenere l'onere dell'intera procedura sino al rilascio dell'assurance e tali oneri non solo erano stati pre concordati con il Tribunale di Caltanissetta e con il visto della Procura, ma erano addirittura riportati nell'ambito del provvedimento medesimo.
Nel pieno rispetto del diritto all'informazione, la delicatezza e la complessità della materia imporrebbe un controllo e un'analisi scrupolosa delle informazioni. Siamo invece in presenza di un articolo “di inchiesta” superficiale che non contribuisce ad un approfondimento delle conoscenze ma soltanto ad alimentare un pericoloso clima nei confronti miei e dei miei familiari.

Avv. Gaetano Cappellano Seminara

La cifra indicata (18 milioni di euro) risulta dalla semplice addizione approssimata per eccesso fra i 10,2 milioni richiesti e i 7,6 milioni di euro già versati da Italcementi (17,8 milioni di euro complessivi).

Appare fuorviante, come nel caso di Italgas, ricavare questa cifra dall'intero giro d'affari di Italcementi tanto che le sentenze del tribunale acquisite finora hanno di molto ridotto la somma richiesta da Cappellano Seminara. Ed è anche fuorviante paragonare la richiesta di Cappellano Seminara allo stipendio dell'amministratore delegato di Italcementi. Colombini non lavorava per una media di 1,7 giorni alla settimana e non aveva un centinaio di altri incarichi svolti contemporaneamente. (G. Tur.)

In difesa della presunzione di innocenza
Ho letto con molta attenzione l'articolo di Gianfrancesco Turano “Che affarone quel sequestro” (“l'Espresso” n. 40).
La vicenda Italgas è stata oggetto della lettera che ebbi ad inviare in Commissione Nazionale Antimafia e con la quale chiarivo i rapporti di natura assolutamente lecita intercorsi tra la Italgas e la Euro Impianti plus, amministrata dai miei cugini e dai miei fratelli. Smentivo altresì, producendo un ampio compendio documentale, le affermazioni fatte dai pubblici ministeri Scaletta, De Lucia e Petralia nel corso della loro audizione in Commissione.
Se solo si ponesse attenzione ai fatti che ho elencato in quella lettera si potrebbe ben comprendere come l'amministrazione giudiziaria di Italgas sia stata preparata ad arte - mi verrebbe da dire "a tavolino"! - per arrivare - questo era lo scopo ultimo - alla Snam attraverso una serie incredibile di sequestri a cascata che ha travolto la mia famiglia. Lo schema è sempre lo stesso: l'amministratore giudiziario segnala l'esistenza di una azienda che ha l'unica colpa (questo è l'indizio che giustifica il sequestro!) di fare "concorrenza" all'azienda da lui amministrata; questa azienda viene pertanto sequestrata e affidata allo stesso amministrazione giudiziario e così via.
Peraltro, l'ingiustizia di una legge fatta male e applicata ancor peggio (mettendo in ginocchio l'economia sana di una intera Regione) ha spinto me ed altre vittime di (da tempo) sistematici "errori" giudiziari ad unirci in una associazione senza scopo di lucro con l'obiettivo - lo dico in maniera molto sintetica - di difendere la presunzione di innocenza, i diritti del proposto nel processo di prevenzione, il diritto alla difesa innanzi ad un giudice terzo ed imparziale. Tale associazione ha il fine ultimo di proporre alcune modifiche del Codice Antimafia che rendano il sistema della prevenzione antimafia compatibile rispetto ai principi della Costituzione. Siamo convinti che non si possa ventilare lo spettro della mafia per espropriare (senza condanna!) Interi patrimoni, rovinare vite e violare diritti costituzionalmente garantiti.
Pietro Cavallotti

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria. Affidate a professionisti con parcelle milionarie. Un sistema di favoritismi, nepotismi e conflitti d’interessi ora sotto inchiesta. Che coinvolge anche diversi magistrati

DI GIANFRANCESCO TURANO

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Quando parlava di professionisti dell’antimafia, Leonardo Sciascia non sapeva fino a che punto avesse ragione. Il passo dai professionisti agli affaristi è cosa fatta.


Così, il manager più pagato d’Europa non è Martin Winterkorn, ex amministratore delegato della Volkswagen in carica dal 2007, allontanato dopo lo scandalo delle emissioni con 60 milioni di euro di buonuscita. È Gaetano Cappellano Seminara, 57 anni, re incontrastato degli amministratori giudiziari, pupillo delle sezioni di misure di prevenzione dei tribunali. Per 200 giorni di lavoro l’avvocato palermitano ha chiesto 18 milioni di euro a Italcementi, pari a 90 mila euro per ognuna delle giornate trascorse nella sede della società bergamasca.



Italcementi, che aveva subito un sequestro preventivo nel 2008, aveva già versato 7,6 milioni di euro al professionista, tutti autorizzati dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il grosso della richiesta aggiuntiva, che non è passata dal vaglio del giudice, doveva fra l’altro compensare il rilascio di un’ “assurance”. È una sorta di certificato per garantire la guarigione di Italcementi da comportamenti passibili di censura giudiziaria, anche se non connessi al crimine organizzato. È l’equivalente in versione moderna delle indulgenze mercanteggiate dal clero nel cristianesimo preluterano.



È giusto aggiungere che la cifra è riferita all’insieme del team formato da Cappellano Seminara e dai suoi coadiutori, sei impiegati in pianta stabile più altri avventizi.



Ma è altrettanto corretto sottolineare che Italcementi è soltanto uno degli oltre cento incarichi ottenuti dal professionista siciliano, che è anche imprenditore in proprio con la Legal Gest consulting e con Tourism Project (hotel Brunaccini di Palermo).



La parcella da 18 milioni ha guastato i rapporti fra Cappellano Seminara e il colosso del calcestruzzo, da poco passato in mano ai tedeschi.



Italcementi si è rivolta alla giustizia. La causa ha superato due gradi di giudizio ed è al vaglio della Cassazione, che non ha ancora fissato la data dell’udienza. Ma finora i verdetti indicano che l’amministratore ha incassato più del dovuto e dovrebbe restituire una quota degli onorari di circa 2 milioni di euro.



Nel frattempo il bubbone è esploso. A Palermo è venuto alla luce un sistema opaco di favoritismi, nepotismi e incarichi in conflitto di interessi che potrebbe non essere limitato al capoluogo siciliano, dove si gestiscono quasi metà dei beni sequestrati in tutta Italia, secondo valutazioni del presidente delle misure di prevenzione Silvana Saguto.



Oltre a Cappellano Seminara, la procura di Caltanissetta indaga sulla stessa Saguto, assegnata ad altro incarico, su suo maritoLorenzo Caramma, consulente di Cappellano, sul suo collega di sezione Lorenzo Chiaramonte, sul sostituto procuratore Dario Scaletta e sull’ex componente togato del Csm Tommaso Virga.



In attesa che si sviluppi il lavoro del pubblico ministero nisseno Cristina Lucchini e del colonnello Francesco Mazzotta della Guardia di finanza, proprio il Csm ha finalmente deciso di affrontare la questione del cumulo degli incarichi nell’amministrazione giudiziaria, diventata ormai un affare da decine di milioni di euro all’anno, soprattutto nelle regioni più colpite dal crimine organizzato.



Anche la politica è dovuta tornare sull’argomento. L’ultima sistemazione datata 2011 si è rivelata disastrosa perché lascia una totale discrezionalità ai singoli tribunali sia nelle nomine sia nella definizione del tariffario che in parte è a carico delle aziende e in parte è a carico della pubblica amministrazione, quindi del contribuente.



In cambio del potere incondizionato che si è dato ai giudici delle misure di prevenzione non c’è stata garanzia di trasparenza né di rotazione negli incarichi. L’allarme lanciato dall’ex direttore dell’agenzia nazionale dei beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso è rimasto inascoltato e la commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi ha preferito impegnarsi in lunghe audizioni di quegli stessi amministratori giudiziari che hanno trasformato la lotta alla mafia in un business altamente lucrativo.



ITALGAS

Nel festival del conflitto di interessi spicca la vicenda Italgas. L’azienda torinese, controllata dalla Snam, finisce sotto sequestro in modo rocambolesco.



L’avvocato Andrea Aiello, 44 anni, amministratore giudiziario della Euro Impianti Plus dei fratelli Cavallotti, sequestrata nel 2012 e in liquidazione a giugno del 2015, riferisce al pm Scaletta di alcune anomalie riguardanti i rapporti fra Euro Impianti e Italgas. In sostanza, Italgas avrebbe firmato un contratto di fornitura con Euro Impianti pur sapendo che i Cavallotti erano soggetti a rischio.



In effetti, gli imprenditori di Belmonte Mezzagno sono stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ma restano “socialmente pericolosi” e la testimonianza di Aiello fa scattare il sequestro di Italgas il 9 luglio 2014.



Il giudice delegato Fabio Licata, che opera insieme ai colleghi Saguto e Chiaramonte ma non risulta indagato, nomina amministratore giudiziario proprio il teste dell’accusa Aiello. Da amministratore di Euro Impianti Plus, Aiello ha chiesto a Italgas un risarcimento di 20 milioni di euro per il contratto di fornitura non rispettato.



Insieme all’avvocato palermitano, sono nominati amministratori anche l’ingegnere Sergio Caramazza, il docente Marco Frey e il commercialista Luigi Saporito. I quattro vengono retribuiti dal tribunale e la cifra non è pubblica. Ma c’è una quota consistente versata dall’azienda sotto sequestro. Italgas ha pagato per un anno di sequestro 6 milioni di euro a 43 coadiutori ingaggiati dagli amministratori, per una media di 140 mila euro a testa.



Fra le criticità suggerite dagli amministratori giudiziari alla Deloitte, ingaggiata come consulente da Italgas, figura ogni genere di problema, inclusa la corretta profondità nell’interramento dei tubi, ma non profili collegati alla criminalità organizzata. La richiesta di dissequestro viene accolta a maggio del 2014 dal pm Dario Scaletta, poi indagato perché avrebbe informato Saguto dell’inchiesta che la riguardava. Nonostante questo, l’azienda viene riconsegnata il 9 luglio 2015, oltren un anno dopo il provvedimento. Ma nemmeno allora i professionisti delle misure di prevenzione si fanno da parte e riaffiorano nelle lunghe trattative per nominare il nuovo organo di vigilanza (Odv), incaricato fra l’altro dell’applicazione dei protocolli antimafia. La terna finale è guidata dal giurista di area Pd Giovanni Fiandaca insieme a Andrea Perini dell’università di Torino e a Gianluca Varraso, direttore con Fiandaca del corso di alta formazione per amministratori giudiziari della Cattolica di Milano, dove ha insegnato lo stesso Aiello.



Seppure molto qualificato, l’Odv viene integrato da tre consulenti: Carlo Amenta, Gianfranco Messina e Cristina Giuffrida, dello studio Aiello. Tutti e tre figurano fra i coadiutori dello stesso Aiello durante il sequestro di Italgas.



NATURAL GAS E GRUPPO MOLLICA

L’inchiesta che ha condotto al sequestro di Italgas, cioè la caccia al tesoro dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ha portato al sequestro di altre tre aziende italiane controllate dal colosso energetico spagnolo Gas Natural Fenosa. Anche in questo caso, la molla è stata la fornitura da parte dei fratelli Cavallotti.



Il giudice Saguto e i suoi colleghi hanno incaricato Cappellano Seminara che, insieme ai colleghi Enzo Bivona e Donato Pezzuto, è stato amministratore giudiziario delle società dal 19 maggio 2014 fino al luglio scorso.



Anche in questa vicenda c’è stato ricorso a decine di coadiutori che sono costati nell’ordine di 1 milione di euro: una bella somma considerando le dimensioni molto più ridotte delle aziende in termini di ricavi e dipendenti.

Le traversie giudiziarie dei fratelli Cavallotti hanno un parallelo nella storia del gruppo Mollica.



Le società dei costruttori di Gioiosa Marea (Messina), guidate dai fratelli Pietro, Domenico e Antonio, sono finite nel mirino come parte integrante di Cosa Nostra, secondo le dichiarazioni di Angelo “Bronson” Siino, il ministro dei lavori pubblici della mafia.



Nel 2011, i fratelli Mollica sono stati assolti da questa accusa tanto che le loro imprese, raccolte nel consorzio Aedars, hanno ottenuto la certificazione per partecipare al rifacimento della Scuola della Misericordia a Venezia, in società con la Umana di Luigi Brugnaro.



Nel giugno di quest’anno, con i lavori della Misericordia compiuti e Brugnaro diventato sindaco della Serenissima, le aziende dei Mollica sono state sequestrate in base a una sentenza del tribunale di Roma che ha bloccato beni per 135 milioni di euro. Niente mafia, stavolta. Tre mesi prima, a marzo del 2015, Pietro Mollica era stato arrestato con l’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Aedars e delle società consorziate, riconducibili ai Mollica. I giudici romani hanno affidato il gruppo a Cappellano Seminara.



L’avvocato palermitano adesso è a un bivio. Sembra che il presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, gradirebbe un passo indietro del superamministratore. Si attendono i passi avanti dei politici.



Aggiornamento dell'8 ottobre 2015
Precisazioni a "Che affarone quel sequestro": le lettere di Rosy Bindi, Fabio Licata, Gaetano Cappellano Seminara e Pietro Cavallotti. 




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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:10
Cappellano si lamenta, la Saguto è in depressione, il sistema scricchiola…



Cappellano si lamenta, la Saguto è in depressione, il sistema scricchiola…



IN UN SERVIZIO SULL’ESPRESSO ALCUNE DELLE PARCELLE D’ORO DEL RE DEGLI AMMINISTRATORI GIUDIZIARI.
Cappellano sta male. Non ha detto se gli fa più male la cappella o…: ha dichiarato che non si sente tranquillo, che si trova nell’occhio del mirino, perseguitato, non dai mafiosi, ma da giornalisti curiosi che vogliono danneggiarne l’immagine e rovinare la sua “azienda”, cioè il suo ufficio legale. Questi cattivi soggetti, così facendo lo mettono in pericolo eaizzano contro di lui le vittime del suo operato, spingendole addirittura all’omicidio, come recentemente successo nel caso  della cava Giardinello di Trabia, dove un operaio licenziato ha ucciso i due responsabili della cava, da lui nominati. C’è addirittura chi, come Pino Maniaci, lo perseguita, ce l’ha con tutta la sua famiglia e giornalmente esercita su di lui lo “stalking” (caccia, inseguimento furtivo, appostamento, atteggiamento persecutorio ecc.). Non più di un anno fa la signora Saguto, alla Commissione Antimafia venuta ad ascoltarla, denunciava incazzata: “Stiamo assistendo ad un attacco al sistema. Non può essere un caso che in un momento in cui l’attività è particolarmente incisiva viene sferrato un attacco diffondendo dati falsi sugli amministratori che si arricchiscono e sui giudici indicati come conniventi”.
 Come nella strategia di alcuni giudici e politici, chi osa mettere in discussione l’operato dei magistrati è un mafioso o un estremista. Così chi osava denunciare finiva con l’essere sospettato o indiziato di fare il gioco della mafia. Era evidente che si trattava di un’infame provocazione. Tuttavia la Saguto in una cosa aveva ed ha ragione: è un attacco, quello condotto  dai suoi colleghi di Caltanissetta, ma principalmente da Telejato, poi ripreso da altre testate,contro il sistema di potere da lei stessa creato e che ben poco ha a che fare con l’amministrazione corretta della giustizia.
E’ chiaro che, dopo che il complesso sistema  di controllo dell’apparato dei beni confiscati alla mafia, e, sarebbe oggi bene aggiungere, alla presunta mafia, sta cominciando a venir fuori, a Cappellano forse comincia a bruciare qualche parte del corpo. Diciamo forse, perché il tipo, con l’arroganza che lo contraddice, continua a dichiarare di essere in una botte di ferro, dinon avere nulla da rimproverarsi, di volere restare al suo posto, anche per garantire tutti coloro che sono sotto la sua ala protettiva.  Non staremo a individuare i suoi possibili reati: è compito dei magistrati. Alcune cose le abbiamo denunciate, altre vengono fuori a poco a poco. Come quelle che ha scritto l’Espresso, nel numero di questa settimana. Il prestigioso giornale si è accorto del problema con molto ritardo e dedica al  super-avvocato e alla sua compagna di merenda, la signora Saguto,  quattro pagine. In particolare sono denunciati  due fatti:
La Italcementi, una delle più grandi aziende italiane di calcestruzzo, adesso acquistata dai tedeschi, nel  2008 finisce sotto sequestro.  Cappellano, nominato amministratore giudiziario  vi lavora per sette mesi e poi spara la sua parcella, 18 milioni di euro, “pari, scrive l’Espresso,  a 90 mila euro per ognuna delle giornate trascorse nella sede della società bergamasca.”  La Italcementi  con il permesso, e quindi con l’avallo della firma del giudice delle misure di prevenzione ha già pagato 7,6 milioni, ma Cappellano pretende un “fuori-busta”, cioè una sua personale parcella, non certificata dal giudice, chiamiamola un  “bonus”, per rilasciare una sorta di attestato di garanzia, in termini tecnici “un’”assurance” per attestare che l’industria è pulita o è stata ripulita da qualsiasi infiltrazione mafiosa e che è in regola con tutte le norme di legge, quindi non è passibile di procedimenti giudiziari di qualsiasi tipo: discorso chiaro: dammi altri 12 milioni e ti garantisco che nessuno verrà più a romperti le scatole. La Italcementi non ci sta, si rivolge al giudice che, tra un rinvio e un altro deve ancora decidere in Cassazione: i due verdetti precedenti indicano che il nostro grande esperto dovrebbe restituire almeno 2 milioni di quello che ha già incassato. La fame di denaro  del gruppo d’affari legato a Cappellano si può anche rilevare dal milione di euro  spillato alla Gas Natural Fenosa, un’azienda spagnola che si è trovata a gestire affari dai quali si risaliva a Vito Ciancimino, cosa che ci porta poi dritti dritti alla discarica di Glina in Romania, sulla quale Cappellano è indagato. Ma sarebbe troppo lungo elencare fatti e malefatte di questo signore.  Citiamo solo una lettera pervenuta a Telejato, che ci parla di due imprenditori  catanesi, Antonio e Luigi Padovani, ai quali nel 2011 la procura di Caltanissetta sequestra tutti i beni (immobili, noleggio macchinette da gioco, intrattenimento,  sale scommesse telematiche), affidandone l’amministrazione giudiziaria a Cappellano Seminara, che chiama come collaboratore il marito della Saguto, l’ing, Caramma e, dopo una serie di spese pazze e ingiustificate, mette in vendita, anzi in svendita, nel giro di pochi mesi, tutti i beni dell’azienda, e ne incassa il ricavato, a pagamento delle sue parcelle. C’è da chiedersi come mai dalla procura di  Caltanissetta, dove l’incarico dei beni sequestrati è affidato al giudice Tona,  si nomina un palermitano, legato, come si sa, al gruppo di giudici palermitani che fa capo alla Saguto, per controllare aziende di Catania, con costose trasferte, e come mai non sia stato preso alcun provvedimento  malgrado le segnalazioni dei legali dei due imprenditori, ormai rovinati. Ma c’è anche da notare che, proprio dalla Procura di Caltanissetta, i cui magistrati provengono in gran parte dalla Procura di Palermo, dal pm Cristiana Lucchini, è partita l’indagine nei confronti della Saguto e dei suoi collaboratori. L’auspicio è che non si chiuda tutto con un abbraccio tra amici e colleghi.

A proposito della Saguto, dopo la mazzata che le è caduta sul capo, sta male anche lei: appena guarita dalla frattura, con ingessatura, del braccio  è entrata in depressione ed è attualmente in congedo. Un augurio di presta guarigione, anche perché in tribunale, dove l’hanno spostata, c’è un bel po’ di lavoro che l’aspetta.

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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:08



Che affarone quel sequestro scrive Rosy Bindi

In merito all’articolo di  Gianfrancesco Turano 

“Che affarone quel sequestro” (“l'Espresso” n. 40), vorrei precisare che la Commissione parlamentare Antimafia ha svolto un'inchiesta molto approfondita sulla gestione dei beni confiscati e non sono rimasti inascoltati gli allarmi sul cattivo funzionamento del sistema. È stato il primo tema di cui ci siamo occupati, con un lavoro a tappeto, numerose audizioni, missioni e sopralluoghi in tutt’Italia.
Oltre un anno fa abbiamo presentato una Relazione, approvata dal Parlamento, che indicava le tante criticità del sistema. E nel settembre 2014 abbiamo depositato un progetto di riforma organica, ora all’esame della Commissione giustizia di Montecitorio.
Il prefetto Caruso era stato chiamato a rendere conto dello stallo in cui versava l’Agenzia nazionale che assegnava i beni in ritardo, con il contagocce e non aveva ancora realizzato un data base informatico, nonostante i 7 milioni di euro assegnati. Nella sua audizione Caruso, che non ha fornito chiarimenti esaurienti sulla sua gestione, al contrario di quanto sostiene Turano non ha mai denunciato irregolarità precise o ipotesi di reato a carico di singoli amministratori giudiziari o magistrati. Ha solo lamentato i tanti incarichi assegnati all’avvocato Cappellano Seminara e i compensi troppo alti. Su questi rilievi abbiamo sollecitato il governo ad approvare il tariffario e nel nostro Ddl abbiamo previsto regole stringenti per evitare il cumulo degli incarichi.
La Commissione d’inchiesta per legge non può ricorrere a strumenti d’indagine incisivi come le intercettazioni, utilizzate dalla Procura di Caltanissetta. La Commissione Antimafia non è un Tribunale ma svolge una funzione politica e legislativa, ed è proprio quello che abbiamo fatto e continueremo a fare, augurandoci che anche gli altri facciano il proprio dovere.

Rosy Bindi

Presidente Commissione parlamentare Antimafia
L'on. Bindi stessa scrive che il prefetto Caruso aveva segnalato irregolarità precise e ben identificate. La funzione politica e legislativa dell'Antimafia è chiara. Nel caso in questione non sembra essere stata così efficace. (G. Tur.)
Che affarone quel sequestro scrive il giudice Licata
A proposito dell’articolo "Che affarone quel sequestrio” di Gianfrancesco Turano (“l'Espresso” n. 40), sono tenuto a fare alcune precisazioni, essendo direttamente chiamato in causa in relazione al mio ruolo di giudice delegato delle procedure di amministrazione giudiziaria a carico di “Italgas S.p.A.” e “Gas Natural S.p.A.”.


A. Non è esatto che, quale giudice delegato alla procedura di amministrazione giudiziaria nei confronti di Italgas S.p.A., avrei nominato l’avv. Andrea Aiello quale componente del collegio di amministratori giudiziari.
Infatti, secondo quanto previsto dalla legge, la nomina degli amministratori giudiziari è di esclusiva competenza del tribunale in composizione collegiale e viene deliberata contestualmente all’adozione della misura di prevenzione patrimoniale, insieme alla designazione del giudice delegato.
Inoltre, dovendo applicare la particolare misura dell'amministrazione giudiziaria prevista dall'art. 34 cod. antimafia a una società di grande rilevanza come Italgas S.p.A, il tribunale ha affidato l’ufficio di amministratore non al solo avv. Aiello, ma a un collegio di ben quattro qualificati esperti, tra cui anche il prof. Marco Frey, direttore dell'Istituto di Management della Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant'Anna di Pisa, l'ing. Sergio Caramazza, tecnico di elevata professionalità e con uno specifico curriculum, il dr. Luigi Saporito, esperto commercialista ed amministratore milanese.


B. Non è vero che l'avv. Aiello, al momento della sua nomina quale componente del predetto collegio, potesse essere considerato in conflitto d'interessi con l’azienda da amministrare.
Infatti, l'avv. Aiello, nell'avere riferito al PM circostanze utilizzate dalla Procura della Repubblica di Palermo nel contesto della richiesta di applicazione del provvedimento di amministrazione giudiziaria, si è limitato ad assolvere al suo dovere di cittadino e di pubblico ufficiale. E l'aver maturato, nella precedente qualità di amministratore giudiziario nella procedura Cavallotti, conoscenze su vicende relative a Italgas, lungi dal renderlo potatore di interessi privati, lo rendeva anzi ancora più competente a svolgere il successivo ruolo di componente del collegio di amministrazione giudiziaria della medesima società, posto che l'unico interesse di cui è portatore un amministratore giudiziario è quello pubblico, connesso alle finalità del suo ufficio.


C. L’articolo ha poi riportato in maniera fuorviante i dati relativi ai costi dell’amministrazione giudiziaria.
Infatti, la cifra di circa sei milioni di euro è servita a coprire i costi necessari al funzionamento di uno staff di 43 collaboratori, assolutamente indispensabile agli amministratori giudiziari per gestire, controllare e risanare, nel corso di quasi un anno, l'attività di un'azienda di proporzioni straordinarie come Italgas: 1,3 miliardi di euro di fatturato annuo, oltre 3.300 dipendenti, una struttura operativa presente su tutto il territorio nazionale e distribuita tra la sede legale di Torino e sette distretti territoriali, tra cui il distretto di Roma che è il centro di distribuzione gas più vasto d’Europa (1,8 milioni di utenze), 58.000 km di reti di distribuzione del gas e 6 milioni di utenze da gestire.
Inoltre, anche in questo caso, la misura dell’amministrazione giudiziaria aveva una duplice finalità: garantire la continuità e la produttività dell’attività economica in sequestro e verificare in maniera indipendente la persistenza dei pericoli d’infiltrazione.
È da precisare, altresì, che i compensi dei predetti collaboratori sono stati determinati dal collegio degli amministratori, riducendo notevolmente la retribuzione già prevista per le corrispondenti figure professionali della struttura Italgas.
I compensi del collegio degli amministratori, invece, sono stati sino ad ora liquidati soltanto per il primo semestre di attività, con decreto motivato del tribunale fondato sul rigoroso rispetto dei parametri indicati dalla legge e, comunque, con criteri tali da pervenire a cifre di gran lunga inferiori a quelle previste dal D.M. n. 140/12 per la liquidazione compensi dei professionisti da parte di organi giurisdizionali, e nemmeno lontanamente paragonabili a quelle teoricamente previste dalle tabelle dei rispettivi ordini professionali.


D. L’articolo offre una ricostruzione dell’andamento del procedimento di prevenzione fondata su circostanze oggettivamente non vere.
Anzitutto non è esatto che non siano emerse nel corso del procedimento conferme dei pericoli d’infiltrazione criminale.
Il tribunale, infatti, nel suo provvedimento finale, tenuto conto dei risultati delle indagini del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, della consulenza tecnica disposta dal P.M., nonché delle circostanze segnalate dagli amministratori giudiziari in una serie di ponderose relazioni, ha ritenuto non ancora cessato l’oggettivo pericolo d’infiltrazione mafiosa di Italgas; tanto è vero che, per tali ragioni, con il provvedimento di revoca della misura dell’amministrazione giudiziaria, è stata applicata la misura del controllo giudiziario, pure prevista dall’art. 34 d. lgs. n. 159/11, che impone all’azienda di comunicare ad alcune autorità inquirenti i dati relativi a determinate attività contrattuali e gestionali per un periodo di tre anni.


E. È oggettivamente falso che il P.M. abbia chiesto il dissequestro dell’azienda nel mese di maggio del 2014 e che il tribunale abbia revocato il provvedimento nel mese di luglio del 2015, a oltre un anno di distanza da tale presunta richiesta.
Nel maggio 2014, infatti, il P.M. non avrebbe potuto chiedere la revoca di un provvedimento ancora inesistente, posto che l’amministrazione giudiziaria di Italgas è stata disposta nel luglio 2014.
È vero invece che il P.M., a seguito dell’adozione del predetto provvedimento, ha svolto una complessa attività di verifica investigativa e, nel maggio del 2015, ha chiesto al tribunale di poter proseguire ulteriormente la trattazione del procedimento in camera di consiglio, al fine di poter svolgere altri accertamenti.
Il tribunale ha rigettato tale richiesta e, il 21 maggio del 2015, ha invitato le parti a concludere. In tale sede, il P.M. ha chiesto l’applicazione della misura del controllo giudiziario, mentre il tribunale ha depositato il proprio decreto finale, munito di una lunga e complessa motivazione, poco più di un mese dopo.


Precisati i fatti, vanno forniti alcuni fondamentali chiarimenti.
L'amministrazione giudiziaria ha messo a fuoco un complessivo scenario aziendale caratterizzato da un insieme di criticità a vari livelli, che vanno dal persistente rischio d'infiltrazione criminale, alla mancata osservanza di discipline tecniche e giuridiche relative alla sicurezza e alla correttezza e trasparenza dei processi di gestione di appalti e contratti.
Per affrontare tale variegato quadro di criticità, gli amministratori hanno elaborato un ampio piano d'intervento risanatore, sostanzialmente condiviso da Italgas S.p.A. e Snam S.p.A., tanto che i dirigenti di tali società hanno direttamente e attivamente partecipato ai tavoli tecnici istituiti per individuare le misure da intraprendere.
Tenuto conto della complessità e della non breve durata di tale piano di risanamento, è emersa l'esigenza di costituire un nuovo Organismo di Vigilanza ex D.lgs. 231/01, dotato di effettivi requisiti di professionalità e indipendenza, e incaricato anche di monitorare l'attuazione del piano di bonifica in questione.
Sono stati gli stessi difensori di Snam e Italgas a proporre formalmente la costituzione di tale particolare Organismo di Vigilanza, i cui componenti sono stati individuati con provvedimento del giudice delegato, tenuto conto anche delle specifiche indicazioni e del gradimento espresso dai legali delle due società.
Tale organismo, composto dai proff. Giovanni Fiandaca, Andrea Perini e Gianluca Varraso, mai destinatari di incarichi da parte del Tribunale di Palermo, è stato ritenuto “molto qualificato” anche dallo stesso autore dell’articolo ed ha iniziato a operare in completa autonomia e indipendenza rispetto all’autorità giudiziaria, all’amministrazione giudiziaria (ormai esauritasi) e ai vertici di Snam e Italgas. E ciò, anche nella scelta dei collaboratori.
In conclusione, va detto che l’amministrazione giudiziaria ha pienamente centrato i propri obiettivi istituzionali: l’operatività gestionale di Italgas è stata totalmente garantita; è stato assicurato il pieno rispetto degli obblighi previsti dalla partecipazione al gruppo Snam; è stata svolta un’adeguata attività di monitoraggio dell’organizzazione aziendale, della gestione delle gare di appalto e dell’amministrazione delle attività operative; è stato messo a punto e avviato un importante piano di bonifica ispirato a obiettivi di legalità, trasparenza e ottimale funzionamento aziendale.


Infine, risulta superficiale anche la, sia pur sintetica, trattazione della parallela vicenda giudiziaria che ha riguardato le tre società del gruppo Gas Natural operanti in Italia.
Anche in tal caso l'articolo fornisce il dato del costo delle attività dell’amministrazione giudiziaria, senza tuttavia indicare alcun elemento idoneo a valutare la congruità di tale costo rispetto alle reali dimensioni dell’azienda, agli obiettivi istituzionali dell’amministrazione giudiziaria e alle attività effettivamente svolte, così ingenerando nel lettore la sensazione che si tratti di spese ingiustificate. Un’appropriata valutazione di tali dati rivelerebbe, invece, che le risorse impiegate e i costi sostenuti erano necessari al perseguimento delle finalità proprie del procedimento di amministrazione giudiziaria, riguardante un gruppo societario di grande rilievo nazionale.

Dr. Fabio Licata

Giudice del Tribunale di Palermo
È chiaro che se si misurano gli emolumenti di amministratori e coadiutori in proporzione ai ricavi dell'azienda ne vengono fuori cifre enormi, come correttamente indicato dall'articolo. Ma il tribunale di Palermo non ha controllato 58 mila km di rete e 6 milioni di utenze.

Segnaliamo che Raffaele Cantone, presidente dell'Anac, ha commissariato Maltauro per Expo 2015 solo limitatamente al distretto dove si ipotizzavano condotte irregolari (Milano) mentre Italgas è stata commissariata in toto.

Il controllo giudiziario consiste nel semplice obbligo dell'azienda di comunicare in questura le operazioni per importi superiori a 150 mila euro, senza nemmeno fornire la documentazione.
Quanto al resto, nessuno mette in dubbio la collegialità delle decisioni del tribunale e l'indicazione del maggio 2014, anziché maggio 2015, è un semplice errore materiale. (G. Tur.)

Che affarone quel sequestro scrive l'avv. Cappellano Seminara
Scrivo per esprimere sconcerto in merito all'articolo "Che affarone quel sequestrio” di Gianfrancesco Turano (“l'Espresso” n. 40). Sottolineando che il giornalista non mi ha mai contattato per verificare la veridicità delle informazioni in suo possesso, scrivo per rettificare le notizie false e sommarie riportate nell'articolo.
Per quanto riguarda il mio impegno in Calcestruzzi s.p.a., è bene ricordare che il Provvedimento di Sequestro Preventivo è stato emesso dal Tribunale di Caltanissetta - ufficio del GIP e non come erroneamente riportato nell'articolo dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo che quindi non aveva, e non ha, alcuna competenza sulle autorizzazioni alla liquidazione degli onorari nella misura in argomento.
Per circa 3 anni di attività in qualità di Amministratore Giudiziario e circa 1 anno di attività di Organismo Esterno di Vigilanza, Controllo e/o Garanzia di Calcestruzzi s.p.a. - società che all'epoca contava oltre 1.000 dipendenti, 15 direzioni di zona, 250 impianti di produzione del calcestruzzo sparsi su tutto il territorio nazionale da Courmayeur a Gela, 60 cave e fatturava oltre 600 milioni di euro all'anno e che durante il periodo dell'Amministrazione Giudiziaria ha dovuto confrontarsi con la spaventosa crisi del settore edile - ho personalmente ricevuto compensi per complessivi euro 1.906.250,01. Tale ammontare è stato pre concordato con il Tribunale di Caltanissetta, Ufficio del Gip, con il vaglio positivo della Procura della Repubblica di Caltanissetta, in quanto in linea con il solo costo aziendale complessivo - all'epoca euro 604.000/anno, incluse indennità e contributi - precedentemente sostenuto da Calcestruzzi s.p.a. per l'Amministratore Delegato, Mario Colombini, in carica prima dell'ordinanza di sequestro preventivo da parte del Tribunale di Caltanissetta. Nei quattro anni di mia gestione sottolineo essere stato l'unico rappresentante legale di Calcestruzzi s.p.a. e delle 5 società controllate dalla stessa, non potendomi avvalere di una governance collegiale.
L'istanza di liquidazione da me presentata al Giudice del Tribunale di Caltanissetta in data 23 giugno 2011, in assenza di un tariffario riferito specificamente alle Amministrazioni Giudiziarie, è stata calcolata in una media ponderata tra le tariffe adottate dal Tribunale di Napoli del 1993, le tariffe dei Curatori Fallimentari e quelle dell'Ordine degli Avvocati, e, quindi, non su base discrezionale come si vorrebbe, invece, far intendere.
Tale quantificazione, peraltro, solo proposta e portata al vaglio del Tribunale di Caltanissetta, computata al netto di quanto già percepito e inclusiva del lavoro svolto nei quasi 4 anni - e non 200 giorni come asserito nell'articolo - dal team dell'Amministrazione Giudiziaria, impegnato in azienda e composto da 18 professionisti, è stata di euro 10.245.819,49 e non di 18 milioni come riportato.
Peraltro, di tale team facevano parte undici professionisti dell'area tecnica fra ingegneri, geologi e un informatico, che costituivano il team business control, specificamente previsto dal modello Organizzazione, Gestione e Controllo ex D.Lgs. 231/01, adottato dal Consiglio di Amministrazione “indipendente” della società Calcestruzzi s.p.a., nominato dalla Italcementi s.p.a., in costanza di Amministrazione Giudiziaria. Pertanto il loro costo è da considerarsi costo diretto aziendale e non costituisce compenso dell'Amministrazione Giudiziaria.
A fronte del diniego del Presidente del Tribunale di autorizzare tale liquidazione, così riducendone l'importo, ho proposto impugnazione, come era mio diritto, avverso il provvedimento del Tribunale di Caltanissetta e la causa ha già superato due gradi di giudizio ed è ora in attesa di quello della Cassazione. E' quindi nuovamente falso affermare, come si è fatto nell'articolo, che il ricorso in Cassazione è stato proposto dal Gruppo Italcementi.
Altrettanto falso è asserire, come ha fatto il giornalista, che la liquidazione della seconda fase della procedura non sarebbe “passata al vaglio del Giudice”. Questa invece è parimenti come la prima (fase) passata al vaglio positivo sia del Tribunale di Caltanissetta - Ufficio del GIP, sia della Procura di Caltanissetta.
E d'altronde, tenuto conto che la seconda fase era costituita dall'assunzione da parte dello scrivente della veste di Organo Esterno di Vigilanza Controllo e Garanzia, in relazione all'esatto adempimento delle prescrizioni imposte dall'Autorità Giudiziaria alla Calcestruzzi s.p.a., siccome da quest'ultima, unitamente alla Italcementi s.p.a., espressamente voluto dalle stesse nell'ambito della relativa proposta di dissequestro con prescrizione a firma dei rispettivi legali rappresentanti, con atto depositato in Tribunale, non poteva essere diversamente avendone con il riferito atto assunto espressamente il relativo onere. Ed anzi con l'istanza in argomento le due società si erano obbligate a sostenere l'onere dell'intera procedura sino al rilascio dell'assurance e tali oneri non solo erano stati pre concordati con il Tribunale di Caltanissetta e con il visto della Procura, ma erano addirittura riportati nell'ambito del provvedimento medesimo.
Nel pieno rispetto del diritto all'informazione, la delicatezza e la complessità della materia imporrebbe un controllo e un'analisi scrupolosa delle informazioni. Siamo invece in presenza di un articolo “di inchiesta” superficiale che non contribuisce ad un approfondimento delle conoscenze ma soltanto ad alimentare un pericoloso clima nei confronti miei e dei miei familiari.

Avv. Gaetano Cappellano Seminara

La cifra indicata (18 milioni di euro) risulta dalla semplice addizione approssimata per eccesso fra i 10,2 milioni richiesti e i 7,6 milioni di euro già versati da Italcementi (17,8 milioni di euro complessivi).

Appare fuorviante, come nel caso di Italgas, ricavare questa cifra dall'intero giro d'affari di Italcementi tanto che le sentenze del tribunale acquisite finora hanno di molto ridotto la somma richiesta da Cappellano Seminara. Ed è anche fuorviante paragonare la richiesta di Cappellano Seminara allo stipendio dell'amministratore delegato di Italcementi. Colombini non lavorava per una media di 1,7 giorni alla settimana e non aveva un centinaio di altri incarichi svolti contemporaneamente. (G. Tur.)

In difesa della presunzione di innocenza
Ho letto con molta attenzione l'articolo di Gianfrancesco Turano “Che affarone quel sequestro” (“l'Espresso” n. 40).
La vicenda Italgas è stata oggetto della lettera che ebbi ad inviare in Commissione Nazionale Antimafia e con la quale chiarivo i rapporti di natura assolutamente lecita intercorsi tra la Italgas e la Euro Impianti plus, amministrata dai miei cugini e dai miei fratelli. Smentivo altresì, producendo un ampio compendio documentale, le affermazioni fatte dai pubblici ministeri Scaletta, De Lucia e Petralia nel corso della loro audizione in Commissione.
Se solo si ponesse attenzione ai fatti che ho elencato in quella lettera si potrebbe ben comprendere come l'amministrazione giudiziaria di Italgas sia stata preparata ad arte - mi verrebbe da dire "a tavolino"! - per arrivare - questo era lo scopo ultimo - alla Snam attraverso una serie incredibile di sequestri a cascata che ha travolto la mia famiglia. Lo schema è sempre lo stesso: l'amministratore giudiziario segnala l'esistenza di una azienda che ha l'unica colpa (questo è l'indizio che giustifica il sequestro!) di fare "concorrenza" all'azienda da lui amministrata; questa azienda viene pertanto sequestrata e affidata allo stesso amministrazione giudiziario e così via.
Peraltro, l'ingiustizia di una legge fatta male e applicata ancor peggio (mettendo in ginocchio l'economia sana di una intera Regione) ha spinto me ed altre vittime di (da tempo) sistematici "errori" giudiziari ad unirci in una associazione senza scopo di lucro con l'obiettivo - lo dico in maniera molto sintetica - di difendere la presunzione di innocenza, i diritti del proposto nel processo di prevenzione, il diritto alla difesa innanzi ad un giudice terzo ed imparziale. Tale associazione ha il fine ultimo di proporre alcune modifiche del Codice Antimafia che rendano il sistema della prevenzione antimafia compatibile rispetto ai principi della Costituzione. Siamo convinti che non si possa ventilare lo spettro della mafia per espropriare (senza condanna!) Interi patrimoni, rovinare vite e violare diritti costituzionalmente garantiti.
Pietro Cavallotti

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria. Affidate a professionisti con parcelle milionarie. Un sistema di favoritismi, nepotismi e conflitti d’interessi ora sotto inchiesta. Che coinvolge anche diversi magistrati

DI GIANFRANCESCO TURANO

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Quando parlava di professionisti dell’antimafia, Leonardo Sciascia non sapeva fino a che punto avesse ragione. Il passo dai professionisti agli affaristi è cosa fatta.


Così, il manager più pagato d’Europa non è Martin Winterkorn, ex amministratore delegato della Volkswagen in carica dal 2007, allontanato dopo lo scandalo delle emissioni con 60 milioni di euro di buonuscita. È Gaetano Cappellano Seminara, 57 anni, re incontrastato degli amministratori giudiziari, pupillo delle sezioni di misure di prevenzione dei tribunali. Per 200 giorni di lavoro l’avvocato palermitano ha chiesto 18 milioni di euro a Italcementi, pari a 90 mila euro per ognuna delle giornate trascorse nella sede della società bergamasca.



Italcementi, che aveva subito un sequestro preventivo nel 2008, aveva già versato 7,6 milioni di euro al professionista, tutti autorizzati dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il grosso della richiesta aggiuntiva, che non è passata dal vaglio del giudice, doveva fra l’altro compensare il rilascio di un’ “assurance”. È una sorta di certificato per garantire la guarigione di Italcementi da comportamenti passibili di censura giudiziaria, anche se non connessi al crimine organizzato. È l’equivalente in versione moderna delle indulgenze mercanteggiate dal clero nel cristianesimo preluterano.



È giusto aggiungere che la cifra è riferita all’insieme del team formato da Cappellano Seminara e dai suoi coadiutori, sei impiegati in pianta stabile più altri avventizi.



Ma è altrettanto corretto sottolineare che Italcementi è soltanto uno degli oltre cento incarichi ottenuti dal professionista siciliano, che è anche imprenditore in proprio con la Legal Gest consulting e con Tourism Project (hotel Brunaccini di Palermo).



La parcella da 18 milioni ha guastato i rapporti fra Cappellano Seminara e il colosso del calcestruzzo, da poco passato in mano ai tedeschi.



Italcementi si è rivolta alla giustizia. La causa ha superato due gradi di giudizio ed è al vaglio della Cassazione, che non ha ancora fissato la data dell’udienza. Ma finora i verdetti indicano che l’amministratore ha incassato più del dovuto e dovrebbe restituire una quota degli onorari di circa 2 milioni di euro.



Nel frattempo il bubbone è esploso. A Palermo è venuto alla luce un sistema opaco di favoritismi, nepotismi e incarichi in conflitto di interessi che potrebbe non essere limitato al capoluogo siciliano, dove si gestiscono quasi metà dei beni sequestrati in tutta Italia, secondo valutazioni del presidente delle misure di prevenzione Silvana Saguto.



Oltre a Cappellano Seminara, la procura di Caltanissetta indaga sulla stessa Saguto, assegnata ad altro incarico, su suo maritoLorenzo Caramma, consulente di Cappellano, sul suo collega di sezione Lorenzo Chiaramonte, sul sostituto procuratore Dario Scaletta e sull’ex componente togato del Csm Tommaso Virga.



In attesa che si sviluppi il lavoro del pubblico ministero nisseno Cristina Lucchini e del colonnello Francesco Mazzotta della Guardia di finanza, proprio il Csm ha finalmente deciso di affrontare la questione del cumulo degli incarichi nell’amministrazione giudiziaria, diventata ormai un affare da decine di milioni di euro all’anno, soprattutto nelle regioni più colpite dal crimine organizzato.



Anche la politica è dovuta tornare sull’argomento. L’ultima sistemazione datata 2011 si è rivelata disastrosa perché lascia una totale discrezionalità ai singoli tribunali sia nelle nomine sia nella definizione del tariffario che in parte è a carico delle aziende e in parte è a carico della pubblica amministrazione, quindi del contribuente.



In cambio del potere incondizionato che si è dato ai giudici delle misure di prevenzione non c’è stata garanzia di trasparenza né di rotazione negli incarichi. L’allarme lanciato dall’ex direttore dell’agenzia nazionale dei beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso è rimasto inascoltato e la commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi ha preferito impegnarsi in lunghe audizioni di quegli stessi amministratori giudiziari che hanno trasformato la lotta alla mafia in un business altamente lucrativo.



ITALGAS

Nel festival del conflitto di interessi spicca la vicenda Italgas. L’azienda torinese, controllata dalla Snam, finisce sotto sequestro in modo rocambolesco.



L’avvocato Andrea Aiello, 44 anni, amministratore giudiziario della Euro Impianti Plus dei fratelli Cavallotti, sequestrata nel 2012 e in liquidazione a giugno del 2015, riferisce al pm Scaletta di alcune anomalie riguardanti i rapporti fra Euro Impianti e Italgas. In sostanza, Italgas avrebbe firmato un contratto di fornitura con Euro Impianti pur sapendo che i Cavallotti erano soggetti a rischio.



In effetti, gli imprenditori di Belmonte Mezzagno sono stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ma restano “socialmente pericolosi” e la testimonianza di Aiello fa scattare il sequestro di Italgas il 9 luglio 2014.



Il giudice delegato Fabio Licata, che opera insieme ai colleghi Saguto e Chiaramonte ma non risulta indagato, nomina amministratore giudiziario proprio il teste dell’accusa Aiello. Da amministratore di Euro Impianti Plus, Aiello ha chiesto a Italgas un risarcimento di 20 milioni di euro per il contratto di fornitura non rispettato.



Insieme all’avvocato palermitano, sono nominati amministratori anche l’ingegnere Sergio Caramazza, il docente Marco Frey e il commercialista Luigi Saporito. I quattro vengono retribuiti dal tribunale e la cifra non è pubblica. Ma c’è una quota consistente versata dall’azienda sotto sequestro. Italgas ha pagato per un anno di sequestro 6 milioni di euro a 43 coadiutori ingaggiati dagli amministratori, per una media di 140 mila euro a testa.



Fra le criticità suggerite dagli amministratori giudiziari alla Deloitte, ingaggiata come consulente da Italgas, figura ogni genere di problema, inclusa la corretta profondità nell’interramento dei tubi, ma non profili collegati alla criminalità organizzata. La richiesta di dissequestro viene accolta a maggio del 2014 dal pm Dario Scaletta, poi indagato perché avrebbe informato Saguto dell’inchiesta che la riguardava. Nonostante questo, l’azienda viene riconsegnata il 9 luglio 2015, oltren un anno dopo il provvedimento. Ma nemmeno allora i professionisti delle misure di prevenzione si fanno da parte e riaffiorano nelle lunghe trattative per nominare il nuovo organo di vigilanza (Odv), incaricato fra l’altro dell’applicazione dei protocolli antimafia. La terna finale è guidata dal giurista di area Pd Giovanni Fiandaca insieme a Andrea Perini dell’università di Torino e a Gianluca Varraso, direttore con Fiandaca del corso di alta formazione per amministratori giudiziari della Cattolica di Milano, dove ha insegnato lo stesso Aiello.



Seppure molto qualificato, l’Odv viene integrato da tre consulenti: Carlo Amenta, Gianfranco Messina e Cristina Giuffrida, dello studio Aiello. Tutti e tre figurano fra i coadiutori dello stesso Aiello durante il sequestro di Italgas.



NATURAL GAS E GRUPPO MOLLICA

L’inchiesta che ha condotto al sequestro di Italgas, cioè la caccia al tesoro dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ha portato al sequestro di altre tre aziende italiane controllate dal colosso energetico spagnolo Gas Natural Fenosa. Anche in questo caso, la molla è stata la fornitura da parte dei fratelli Cavallotti.



Il giudice Saguto e i suoi colleghi hanno incaricato Cappellano Seminara che, insieme ai colleghi Enzo Bivona e Donato Pezzuto, è stato amministratore giudiziario delle società dal 19 maggio 2014 fino al luglio scorso.



Anche in questa vicenda c’è stato ricorso a decine di coadiutori che sono costati nell’ordine di 1 milione di euro: una bella somma considerando le dimensioni molto più ridotte delle aziende in termini di ricavi e dipendenti.

Le traversie giudiziarie dei fratelli Cavallotti hanno un parallelo nella storia del gruppo Mollica.



Le società dei costruttori di Gioiosa Marea (Messina), guidate dai fratelli Pietro, Domenico e Antonio, sono finite nel mirino come parte integrante di Cosa Nostra, secondo le dichiarazioni di Angelo “Bronson” Siino, il ministro dei lavori pubblici della mafia.



Nel 2011, i fratelli Mollica sono stati assolti da questa accusa tanto che le loro imprese, raccolte nel consorzio Aedars, hanno ottenuto la certificazione per partecipare al rifacimento della Scuola della Misericordia a Venezia, in società con la Umana di Luigi Brugnaro.



Nel giugno di quest’anno, con i lavori della Misericordia compiuti e Brugnaro diventato sindaco della Serenissima, le aziende dei Mollica sono state sequestrate in base a una sentenza del tribunale di Roma che ha bloccato beni per 135 milioni di euro. Niente mafia, stavolta. Tre mesi prima, a marzo del 2015, Pietro Mollica era stato arrestato con l’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Aedars e delle società consorziate, riconducibili ai Mollica. I giudici romani hanno affidato il gruppo a Cappellano Seminara.



L’avvocato palermitano adesso è a un bivio. Sembra che il presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, gradirebbe un passo indietro del superamministratore. Si attendono i passi avanti dei politici.



Aggiornamento dell'8 ottobre 2015
Precisazioni a "Che affarone quel sequestro": le lettere di Rosy Bindi, Fabio Licata, Gaetano Cappellano Seminara e Pietro Cavallotti. 




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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:06
FRASCHILLA 2015 Palazzi alberghi e negozi alla moda nell'ultimo anno e mezzo sottratto ai boss un tesoro da 4 miliardi.
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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:04
"Tale e quale show" alla Regione  Era Crocetta, ora è Lombardo 

Lunedì 19 Ottobre 2015 - 14:05 di Accursio Sabella

Prima ha preso gli uomini, poi i metodi, infine l'alibi. Spuntata la retorica dell'antimafia e quella della rivoluzione, il governatore abbraccia il sicilianismo. E adesso è davvero identico al suo predecessore.




PALERMO - Prima ha preso i suoi voti in campagna elettorale. Poi i suoi uomini, lungo il cammino di questa legislatura, scandito dagli inciampi. Quindi le pratiche politiche, i suoi vizi amministrativi. Infine, ha "rubato" anche l'alibi, il pretesto, sul quale ha spalmato una patina di ideologia da hard discount. Adesso, è davvero difficile scorgere una differenza tra Rosario Crocetta e chi l'ha preceduto. Quel Raffaele Lombardo rispetto al quale il governatore gelese avrebbe segnato un solco. Un fossato apparentemente invalicabile. Sul quale, invece, il presidente della Regione ha fatto calare l'ultimo ponte levatoio: una specie di sicilianismo spicciolo, buono per sostenere la "guerra" con le truppe romane guidata da Faraone.

E adesso trovare una differenza è davvero difficile. Un esito, a dire il vero, in qualche modo prevedibile. Già durante la campagna elettorale che ha portato alla vittoria di Rosario Crocetta erano tante e diffuse le voci di un sostegno più o meno "occulto" di politici vicini, fino al giorno prima, a Raffaele Lombardo. Una illazione che ha trovato presto molte conferme a Sala d'Ercole, dove squadre di lombardiani della prima, primissima e ultima ora non hanno esitato a passare dalla parte del nuovo governatore.

Nella maggioranza di Crocetta, infatti, un passato nell'Mpa possono vantarlo Nicola D'Agostino, che del movimento autonomista fu capogruppo all'Ars, Totò Lentini, Giovanni Lo Sciuto (oggi nell'Ncd alleato col governo), Pippo Nicotra, Giuseppe Picciolo, Paolo Ruggirello. Mentre alleati con Lombardo, senza entrare nel suo partito, sono stati anche Pippo Currenti, Edy Tamajo e Michele Cimino. Quest'ultimo, a dire il vero, fu anche assessore nella giunta del governatore di Grammichele. Dove sedeva anche Titti Bufardeci, che Crocetta ha indicato come membro del Cga. Ex assessori di Lombardo. Nei mesi in cui, a guidare l'Mpa dal punto di vista politico-organizzativo era Giovanni Pistorio, attuale assessore di Crocetta, alla Funzione pubblica. Mesi in cui il partito autonomista era spinto dai consensi di Lino Leanza, scomparso improvvisamente quest'anno, dopo aver fondato Articolo 4 prima e Sicilia democratica poi, soggetti politici a sostegno di Crocetta.

A guardar bene anche le giunte del presidente, ecco altri ponti col lombardismo. La figlia dell'assessore all'Agricoltura Rosaria Barresi fu candidata con l'Mpa alle amministrative di Palermo. La stessa Lucia Borsellino ha ricevuto una spinta alla propria carriera all'interno dell'assessorato di Piazza Ziino, proprio in era Lombardo, all'ombra di Massimo Russo. Mentre l'altra intoccabile (fino alle dimissioni, anche nel suo caso) "donna del presidente", cioè Linda Vancheri, in quei mesi era uno dei più stabili consulenti di Marco Venturi, assessore alle Attività produttive che poi ruppe, sul finire, con Lombardo, così come ha fatto adesso con Crocetta. Con denunce molto gravi, confermate anche da Alfonso Cicero, un fedelissimo di Crocetta fino all'altroieri. E anche lui assolutamente in auge in epoca lombardiana, quando fu scelto come commissario di più Asi, quindi come guida dell'Irsap, appena nato. Non solo. Cicero fu addirittura il candidato sindaco dell'Mpa a Caltanissetta. Altro che rottura, altro che solco. Perché nel sottogoverno (con legittime aspirazioni di ingresso in giunta, auspicato dallo stesso Crocetta) trovi anche Antonio Fiumefreddo, oggi al vertice di Riscossione Sicilia, e in passato (prima anche lui di "litigare" con Lombardo) destinatario di prestigiosi incarichi come quello di Soprintendente del Teatro Bellini di Catania.

Ma il capitolo dei burocrati va raccontato dall'apice in giù. In alto, infatti, c'è Patrizia Monterosso, Segretario generale di Palazzo d'Orleans esattamente come ai tempi di Lombardo, del quale fu anche capo di gabinetto. Stesso ruolo ricoperto da Gianni Silvia, sia col governatore di Grammichele che con quello gelese. Senza contare i vari Dario Cartabellotta (guidò l'Istituto Vite e vino), Luciana Giammanco (al vertice dell'Irsap) e i tanti direttori generali che ieri come oggi sono rimasti a guidare i più importanti dipartimenti della Regione.

Ma al di là dei voti e dei nomi, come detto, Crocetta ha assunto le "pratiche" politiche di Lombardo. A cominciare dai continui ed estenuanti rimpasti. Quello annunciato in queste ore dal presidente rischia di far toccare quota "cinquanta" al numero di avvicendamenti in giunta. Nemmeno il suo predecessore, che in questo fu un recordman, era giunto a tanto. E ovviamente i rimpasti e i ritocchi si traducono anche nell'altra pratica tutta lombardiana, calata nell'era della "rivoluzione", di "spaccare i partiti", di dividere per continuare a restare a galla. Se Lombardo operò un vero e proprio ribaltone, Crocetta ha preferito una pratica più morbida, quella del trasformismo diluito, ma che ha comunque portato nella sua maggioranza venti deputati (uno più, uno meno) eletti con l'opposizione.

Ma non solo. L'altro ponte che unisce Crocetta e Lombardo è quello composto dalla lunghissima fila di commissari che hanno finito per guidare, a volte per anni, enti di grande importanza rispondendo solo al governatore al quale erano (e sono) legati da un rapporto fiduciario. Lombardo fu un re dei commissariamenti selvaggi, ma Crocetta non è da meno: dalle 17 aziende della Sanità, passando per le nove province, e attraverso società partecipate, enti regionali di vario tipo, il governatore ha preferito piazzare fedelissimi ovunque. In qualche caso a costo di rinnovare il loro incarico più volte.

Ma la sovrapposizione totale, al netto delle vicende giudiziarie, si compirà in questi giorni. E i primi segni sono già emersi nella retorica del presidente e di chi improvvisamente, dopo mesi di attacchi fortissimi, si è scoperto in sintonia con Crocetta. Naufragata clamorosamente, tra veleni e contraddizioni, l'ideologia dell'antimafia dei pennacchi, finita tra gli spot e gli annunci a vuoto quella della lotta alla manciugghia e alla casta, esauritasi la retorica della rivoluzione che si è tramutata presto in restaurazione, ecco fare capolino il nuovo alibi per restare a galla. Da giorni, infatti, il problema è diventata la Capitale, quel governo nazionale che avrebbe, nei confronti dell'Isola, un atteggiamento spietato. Il nuovo sicilianismo da supermercato è già stato tirato fuori anche nella dialettica feroce con pezzi del Pd che si rivedono nell'area renziana e in particolare in Davide Faraone. La Sicilia contro Roma. Quelli che difendono i siciliani e quelli che stanno con lo "straniero". Ecco il nuovo pretesto. Benedetto già dall'asse ricostituito che porta i volti di Antonello Cracolici e Beppe Lumia. Già, proprio gli stessi che hanno portato il Pd alla corte di Raffaele Lombardo, il governatore autonomista. Gli stessi che hanno litigato col Pd romano, pur di difendere la scelta di formare un governo politico col presidente già indagato per mafia. Gli stessi che oggi dicono, in coro con Crocetta: "Tra la Sicilia e Roma, scelgo la Sicilia". Come faceva Lombardo.

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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:03

Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino

Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino


Saguto: "Mie parole estrapolate dal contesto". Manfredi: "Parole catalogate alla voce cattiveria", nessuno commento dal ministro Orlando. Il giudice Muntoni si giustifica: "L'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario

"Leggo sui giornali brandelli di intercettazioni che riguarderebbero giudizi da me espressi. Si tratta di parti di conversazioni estrapolate da contesti più ampi, che singolarmente lette possono avere significati fuorvianti". Lo dice, in una nota, l'ex presidente della sezione misure di prevenzione Silvana Saguto in merito alla conversazione intercettata in cui il magistrato esprime pesanti giudizi sui figli del giudice Paolo Borsellino. Saguto è indagata per corruzione nell'ambito dell'inchiesta su illeciti nelle assegnazioni degli incarichi agli amministratori giudiziari dei beni sotto sequestro. "Aggiungo che probabilmente - spiega - saranno sfuggite al giornalista (l'intercettazione è stata pubblicata da Repubblica ndr) le frasi con cui esprimevo la stima incondizionata e l'affetto che ho sempre nutrito nei confronti di Paolo Borsellino, mio carissimo amico personale, collega anche di corrente ed ineguagliabile maestro". "Mi riservo di chiarire al momento opportuno, - conclude - ed in accordo con i miei legali, tutti gli aspetti giuridicamente rilevanti, relativi alla vicenda processuale".


"Io e mia sorella Lucia siamo senza parole", dice Manfredi Borsellino, dirigente del commissariato di polizia di Cefalù sul contenuto delle intercettazioni che riportano le frasi del giudice Silvana Saguto sui figli di Paolo Borsellino. "Non vogliamo commentare - aggiunge Manfredi - espressioni che andrebbero catalogate alla voce cattiveria. Solo parlandone, rischiamo perciò di attribuire importanza a chi quelle parole ha proferito".



No comment anche dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando: "Non voglio dire niente perché sono oggetto di un'attività di indagine e sono frutto di intercettazioni telefoniche. "Credo - ha aggiunto - che siano valutazioni che deve poter apprezzare il magistrato nell'ambito delle proprie facoltà con le quali conduce oggi le indagini e domani si formerà il giudizio".



Si difende il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma, Guglielmo Muntoni, intercettato mentre rassicurava la collega Saguto - che glielo aveva raccomandato - su un prossimo incarico per il marito, l'ingegnere Lorenzo Caramma: "Ho scritto alla prima Commissione del Csm e al presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano - racconta all'Ansa - segnalando che ritengo il mio comportamento del tutto corretto".  Sull'articolo pubblicato oggi da Republica aggiunge: "L'articolo non dice che l'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario; questo non lo scrive mai nessuno. Preferisco non aggiungere altro, mi sembra tutto un gioco al massacro".



"E' una pagina triste - commenta Rosi Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia - mi auguro - ha detto a margine di un impegno a Quindici - che la giustizia faccia presto il suo corso".



Michele Pagliaro, segretario generale della Cgil Sicilia commenta: "Le indagini che coinvolgono il giudice Silvana Saguto e altri soggetti delineano un quadro inquietante di interessi e scambi attorno alla gestione dei beni sequestrati, sul quale la Cgil già nel 2013 aveva lanciato, unica e inascoltata voce, l'allarme. Istituzioni importanti rischiano il discredito, per questo ritengo che sia urgente l'intervento non solo dell'organo di autogoverno della magistratura ma di tutte le altre Istituzioni preposte e del Presidente della Repubblica nella qualità di Presidente del Csm, per ridare credibilità a queste stesse istituzioni.  Giudichiamo intollerabile la situazione che sta emergendo e che getta nello sconforto noi e tutti coloro che nella società civile sono impegnati costantemente contro la mafia, molti dei quali hanno pagato con la loro vita".



"Insultare la memoria del giudice Paolo Borsellino e i figli nel giorno della commemorazione, il 19 luglio, è l'emblema della turpitudine etica e morale. Tutto ciò lascia sinceramente sbigottiti - dice il coordinatore di Fratelli d'Italia per la Sicilia orientale Sandro Pappalardo - Fratelli d'Italia esprime solidarietà e vicinanza alla famiglia Borsellino, simbolo vero e concreto della lotta alla mafia. Raccomandazioni, favoritismi e insulti ai simboli della Sicilia onesta: il sistema Saguto non deve fare perdere però ai siciliani la fiducia negli uomini delle istituzioni che ogni giorno, seguendo l'esempio di Borsellino e Falcone, combattono indefessamente la criminalità. Occorrono però punizioni esemplari per chi tradisce lo Stato e quindi i cittadini".




"Posti di lavoro nei beni sequestrati"  Le intercettazioni del caso Saguto 

Martedì 20 Ottobre 2015 - 06:00 di Riccardo Lo Verso

Secondo i finanzieri, l'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo avrebbe segnalato amici e conoscenti per farli lavorare nelle aziende sequestrate alla mafia. "Io ti devo chiedere il favore per il prefetto".

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PALERMO - Ultimo giorno dello scorso mese di agosto. Poco dopo la undici e trenta Silvana Saguto contatta al telefono una dipendente che al Palazzo di Giustizia di Palermo fa il funzionario giudiziario. "... era per vedere cose nuove... volevo parlarti un minuto... - dice il magistrato - intanto cominciamo con tuo figlio sicuramente". L'ufficio dell'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale è imbottito di microspie. Le hanno piazzate gli investigatori della Polizia tributaria su delega della Procura di Caltanissetta.

I finanzieri scrivono nelle informative: "Gli approfondimenti investigativi hanno fatto emergere che Silvana Saguto segnala persone da contrattualizzare (amici, conoscenti, personali o di suoi familiari) ad alcuni amministratori giudiziari". Insomma, saremmo di fronte ad una sorta di ufficio di collocamento con i nominativi delle persone da assumere suggeriti dal magistrato a capo, fino ad un mese e mezzo fa, del collegio che sequestra i beni alla mafia e nomina gli amministratori giudiziari. Suggerimenti che non sappiamo se abbiano fatto in tempo ad accogliere, visto che le conversazioni sono state intercettate in prossimità delle perquisizioni e dei sequestri che hanno fatto esplodere lo scandalo. Il lavoro degli investigatori, però, guarda indietro nel tempo per scovare assunzioni sospette avvenute in precedenza.

L'ufficio del magistrato era tappa obbligata per gli amministratori giudiziari, le cui voci sono rimaste impresse nei nastri magnetici che raccontano il "pressing" del magistrato. Quarantasette minuti dopo le undici dello stesso giorno di fine agosto nella stanza dell'allora presidente entra l'avvocato Aulo Gigante. La richiesta della Saguto è diretta e svelerebbe un intreccio di posizioni di lavoro: “... senti qua per Vincenzo avremmo trovato probabilmente un posto adesso, nell'amministrazione Virga dove lui può essere preso intero, però c'è una persona che io voglio presa in cambio... il figlio di... la conosci... il cancelliere... questo ha esperienza... ha fatto fallimenti”.

Ecco la richiesta di piazzare il figlio del funzionario giudiziario. Gigante prende tempo: "... il problema è che siamo in grosse difficoltà... mi devi dare tempo sino a dicembre, a dicembre io so se siamo vivi o morti”. Saguto: "... ma temporaneo non lo potresti prendere?... se io non trovo di meglio subito lo prendiamo temporaneo al posto di Vincenzo appena Vincenzo lo mettiamo... incomprensibile... è bravo, ha fatto fallimenti come curatore". Gigante torna a parlare delle sorti della catena di negozi di abbigliamento, tirando in ballo i vecchi proprietari alla cui gestione, almeno così sembrerebbe dalle sue parole, farebbe risalire lo stato di crisi aziendale: "... ci salviamo riducendo i costi, malgrado Massimo Niceta... vabbè comunque organizziamoci... lo facciamo".

Il 2 settembre successivo la Saguto contatta la funzionaria giudiziaria: "... dovremmo fare con tuo figlio, lo mettiamo da Niceta... in un posto che si libera... contabilità... quello che la faceva era un ragazzo che conoscevo pure io che non è diplomato ragioniere, quindi deve essere una contabilità all'ingrosso, diciamo... se dovesse andare male Niceta, proviamo altri posti... per tuo fratello ho parlato con Provenzano, il professore... ". Tre giorni prima, il 28 agosto 2015, la Saguto chiede ad un altro amministratore, Alessandro Scimeca: "… allora io ti devo chiedere il favore per il prefetto... quello là (incomprensibile) assumere, devi trovare...". "Silvana è improponibile... - Scimeca prova a resistere alle richieste - io faccio tutto quello che vuoi... ma come ti aiuto?... io al prefetto l'aiuto pure, ma non con quella mansione, ma non con quella qualifica". Saguto: "Io posso vedere anche in altri posti ma lui cosa sa fare, niente". 

Nella stessa giornata la cimici captano la conversazione fra la Saguto e il titolare di un noto ristorante-sala ricevimenti in provincia di Palermo dove andrà a lavorare il figlio del magistrato, Elio, di professione chef. Quest'ultimo, a giudicare dalle parole della madre, non è rimasto molto contento della proposta economica. L'imprenditore tranquillizza la madre: "Credo che si può superare tutto". All'indomani le cose si mettono a posto: "Sono contentissima io ed è contentissimo pure Elio". "Hanno trovato l'intesa completa", dice l'imprenditore.

Ed è sempre il futuro di un altro figlio, Emanuele, che sta a cuore al magistrato. Al padre Vittorio dice "che per ora è tranquillo, dal primo ottobre il professore (Carmelo Provenzano, ndr) dice che qualche cosa gliela troverà da fare... intanto vuole fare sto concorso per commissario... poi vuole fare un corso in criminologia... io intanto lo scrivo per l'abilitazione di avvocato". Provenzano, docente universitario ad Enna, secondo l'ipotesi della Procura di Caltanissetta, sarebbe stato inserito dalla Saguto fra gli amministratori giudiziari in cambio dell'aiuto al figlio, sia negli studi che nel mondo del lavoro.



Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"

Le parole di Walter Virga, amministratore giudiziario del patrimonio Rappa, e quelle della ex presidente della sezione Misure di prevenzione: così funzionava il "sistema Saguto"
Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"



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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:02

Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino

Caso Saguto, polemiche dopo le intercettazioni sui figli di Borsellino


Saguto: "Mie parole estrapolate dal contesto". Manfredi: "Parole catalogate alla voce cattiveria", nessuno commento dal ministro Orlando. Il giudice Muntoni si giustifica: "L'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario

"Leggo sui giornali brandelli di intercettazioni che riguarderebbero giudizi da me espressi. Si tratta di parti di conversazioni estrapolate da contesti più ampi, che singolarmente lette possono avere significati fuorvianti". Lo dice, in una nota, l'ex presidente della sezione misure di prevenzione Silvana Saguto in merito alla conversazione intercettata in cui il magistrato esprime pesanti giudizi sui figli del giudice Paolo Borsellino. Saguto è indagata per corruzione nell'ambito dell'inchiesta su illeciti nelle assegnazioni degli incarichi agli amministratori giudiziari dei beni sotto sequestro. "Aggiungo che probabilmente - spiega - saranno sfuggite al giornalista (l'intercettazione è stata pubblicata da Repubblica ndr) le frasi con cui esprimevo la stima incondizionata e l'affetto che ho sempre nutrito nei confronti di Paolo Borsellino, mio carissimo amico personale, collega anche di corrente ed ineguagliabile maestro". "Mi riservo di chiarire al momento opportuno, - conclude - ed in accordo con i miei legali, tutti gli aspetti giuridicamente rilevanti, relativi alla vicenda processuale".


"Io e mia sorella Lucia siamo senza parole", dice Manfredi Borsellino, dirigente del commissariato di polizia di Cefalù sul contenuto delle intercettazioni che riportano le frasi del giudice Silvana Saguto sui figli di Paolo Borsellino. "Non vogliamo commentare - aggiunge Manfredi - espressioni che andrebbero catalogate alla voce cattiveria. Solo parlandone, rischiamo perciò di attribuire importanza a chi quelle parole ha proferito".



No comment anche dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando: "Non voglio dire niente perché sono oggetto di un'attività di indagine e sono frutto di intercettazioni telefoniche. "Credo - ha aggiunto - che siano valutazioni che deve poter apprezzare il magistrato nell'ambito delle proprie facoltà con le quali conduce oggi le indagini e domani si formerà il giudizio".



Si difende il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma, Guglielmo Muntoni, intercettato mentre rassicurava la collega Saguto - che glielo aveva raccomandato - su un prossimo incarico per il marito, l'ingegnere Lorenzo Caramma: "Ho scritto alla prima Commissione del Csm e al presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano - racconta all'Ansa - segnalando che ritengo il mio comportamento del tutto corretto".  Sull'articolo pubblicato oggi da Republica aggiunge: "L'articolo non dice che l'ingegner Caramma ha un curriculum straordinario; questo non lo scrive mai nessuno. Preferisco non aggiungere altro, mi sembra tutto un gioco al massacro".



"E' una pagina triste - commenta Rosi Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia - mi auguro - ha detto a margine di un impegno a Quindici - che la giustizia faccia presto il suo corso".



Michele Pagliaro, segretario generale della Cgil Sicilia commenta: "Le indagini che coinvolgono il giudice Silvana Saguto e altri soggetti delineano un quadro inquietante di interessi e scambi attorno alla gestione dei beni sequestrati, sul quale la Cgil già nel 2013 aveva lanciato, unica e inascoltata voce, l'allarme. Istituzioni importanti rischiano il discredito, per questo ritengo che sia urgente l'intervento non solo dell'organo di autogoverno della magistratura ma di tutte le altre Istituzioni preposte e del Presidente della Repubblica nella qualità di Presidente del Csm, per ridare credibilità a queste stesse istituzioni.  Giudichiamo intollerabile la situazione che sta emergendo e che getta nello sconforto noi e tutti coloro che nella società civile sono impegnati costantemente contro la mafia, molti dei quali hanno pagato con la loro vita".



"Insultare la memoria del giudice Paolo Borsellino e i figli nel giorno della commemorazione, il 19 luglio, è l'emblema della turpitudine etica e morale. Tutto ciò lascia sinceramente sbigottiti - dice il coordinatore di Fratelli d'Italia per la Sicilia orientale Sandro Pappalardo - Fratelli d'Italia esprime solidarietà e vicinanza alla famiglia Borsellino, simbolo vero e concreto della lotta alla mafia. Raccomandazioni, favoritismi e insulti ai simboli della Sicilia onesta: il sistema Saguto non deve fare perdere però ai siciliani la fiducia negli uomini delle istituzioni che ogni giorno, seguendo l'esempio di Borsellino e Falcone, combattono indefessamente la criminalità. Occorrono però punizioni esemplari per chi tradisce lo Stato e quindi i cittadini".




"Posti di lavoro nei beni sequestrati"  Le intercettazioni del caso Saguto 

Martedì 20 Ottobre 2015 - 06:00 di Riccardo Lo Verso

Secondo i finanzieri, l'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo avrebbe segnalato amici e conoscenti per farli lavorare nelle aziende sequestrate alla mafia. "Io ti devo chiedere il favore per il prefetto".

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PALERMO - Ultimo giorno dello scorso mese di agosto. Poco dopo la undici e trenta Silvana Saguto contatta al telefono una dipendente che al Palazzo di Giustizia di Palermo fa il funzionario giudiziario. "... era per vedere cose nuove... volevo parlarti un minuto... - dice il magistrato - intanto cominciamo con tuo figlio sicuramente". L'ufficio dell'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale è imbottito di microspie. Le hanno piazzate gli investigatori della Polizia tributaria su delega della Procura di Caltanissetta.

I finanzieri scrivono nelle informative: "Gli approfondimenti investigativi hanno fatto emergere che Silvana Saguto segnala persone da contrattualizzare (amici, conoscenti, personali o di suoi familiari) ad alcuni amministratori giudiziari". Insomma, saremmo di fronte ad una sorta di ufficio di collocamento con i nominativi delle persone da assumere suggeriti dal magistrato a capo, fino ad un mese e mezzo fa, del collegio che sequestra i beni alla mafia e nomina gli amministratori giudiziari. Suggerimenti che non sappiamo se abbiano fatto in tempo ad accogliere, visto che le conversazioni sono state intercettate in prossimità delle perquisizioni e dei sequestri che hanno fatto esplodere lo scandalo. Il lavoro degli investigatori, però, guarda indietro nel tempo per scovare assunzioni sospette avvenute in precedenza.

L'ufficio del magistrato era tappa obbligata per gli amministratori giudiziari, le cui voci sono rimaste impresse nei nastri magnetici che raccontano il "pressing" del magistrato. Quarantasette minuti dopo le undici dello stesso giorno di fine agosto nella stanza dell'allora presidente entra l'avvocato Aulo Gigante. La richiesta della Saguto è diretta e svelerebbe un intreccio di posizioni di lavoro: “... senti qua per Vincenzo avremmo trovato probabilmente un posto adesso, nell'amministrazione Virga dove lui può essere preso intero, però c'è una persona che io voglio presa in cambio... il figlio di... la conosci... il cancelliere... questo ha esperienza... ha fatto fallimenti”.

Ecco la richiesta di piazzare il figlio del funzionario giudiziario. Gigante prende tempo: "... il problema è che siamo in grosse difficoltà... mi devi dare tempo sino a dicembre, a dicembre io so se siamo vivi o morti”. Saguto: "... ma temporaneo non lo potresti prendere?... se io non trovo di meglio subito lo prendiamo temporaneo al posto di Vincenzo appena Vincenzo lo mettiamo... incomprensibile... è bravo, ha fatto fallimenti come curatore". Gigante torna a parlare delle sorti della catena di negozi di abbigliamento, tirando in ballo i vecchi proprietari alla cui gestione, almeno così sembrerebbe dalle sue parole, farebbe risalire lo stato di crisi aziendale: "... ci salviamo riducendo i costi, malgrado Massimo Niceta... vabbè comunque organizziamoci... lo facciamo".

Il 2 settembre successivo la Saguto contatta la funzionaria giudiziaria: "... dovremmo fare con tuo figlio, lo mettiamo da Niceta... in un posto che si libera... contabilità... quello che la faceva era un ragazzo che conoscevo pure io che non è diplomato ragioniere, quindi deve essere una contabilità all'ingrosso, diciamo... se dovesse andare male Niceta, proviamo altri posti... per tuo fratello ho parlato con Provenzano, il professore... ". Tre giorni prima, il 28 agosto 2015, la Saguto chiede ad un altro amministratore, Alessandro Scimeca: "… allora io ti devo chiedere il favore per il prefetto... quello là (incomprensibile) assumere, devi trovare...". "Silvana è improponibile... - Scimeca prova a resistere alle richieste - io faccio tutto quello che vuoi... ma come ti aiuto?... io al prefetto l'aiuto pure, ma non con quella mansione, ma non con quella qualifica". Saguto: "Io posso vedere anche in altri posti ma lui cosa sa fare, niente". 

Nella stessa giornata la cimici captano la conversazione fra la Saguto e il titolare di un noto ristorante-sala ricevimenti in provincia di Palermo dove andrà a lavorare il figlio del magistrato, Elio, di professione chef. Quest'ultimo, a giudicare dalle parole della madre, non è rimasto molto contento della proposta economica. L'imprenditore tranquillizza la madre: "Credo che si può superare tutto". All'indomani le cose si mettono a posto: "Sono contentissima io ed è contentissimo pure Elio". "Hanno trovato l'intesa completa", dice l'imprenditore.

Ed è sempre il futuro di un altro figlio, Emanuele, che sta a cuore al magistrato. Al padre Vittorio dice "che per ora è tranquillo, dal primo ottobre il professore (Carmelo Provenzano, ndr) dice che qualche cosa gliela troverà da fare... intanto vuole fare sto concorso per commissario... poi vuole fare un corso in criminologia... io intanto lo scrivo per l'abilitazione di avvocato". Provenzano, docente universitario ad Enna, secondo l'ipotesi della Procura di Caltanissetta, sarebbe stato inserito dalla Saguto fra gli amministratori giudiziari in cambio dell'aiuto al figlio, sia negli studi che nel mondo del lavoro.



Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"

Le parole di Walter Virga, amministratore giudiziario del patrimonio Rappa, e quelle della ex presidente della sezione Misure di prevenzione: così funzionava il "sistema Saguto"
Beni confiscati, le intercettazioni: "Il nostro pizzo? Il lavoro per la nuora della Saguto"



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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:01

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria. Affidate a professionisti con parcelle milionarie. Un sistema di favoritismi, nepotismi e conflitti d’interessi ora sotto inchiesta. Che coinvolge anche diversi magistrati

DI GIANFRANCESCO TURANO

Che affarone i sequestri e le amministrazioni giudiziarie

Quando parlava di professionisti dell’antimafia, Leonardo Sciascia non sapeva fino a che punto avesse ragione. Il passo dai professionisti agli affaristi è cosa fatta.


Così, il manager più pagato d’Europa non è Martin Winterkorn, ex amministratore delegato della Volkswagen in carica dal 2007, allontanato dopo lo scandalo delle emissioni con 60 milioni di euro di buonuscita. È Gaetano Cappellano Seminara, 57 anni, re incontrastato degli amministratori giudiziari, pupillo delle sezioni di misure di prevenzione dei tribunali. Per 200 giorni di lavoro l’avvocato palermitano ha chiesto 18 milioni di euro a Italcementi, pari a 90 mila euro per ognuna delle giornate trascorse nella sede della società bergamasca.



Italcementi, che aveva subito un sequestro preventivo nel 2008, aveva già versato 7,6 milioni di euro al professionista, tutti autorizzati dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il grosso della richiesta aggiuntiva, che non è passata dal vaglio del giudice, doveva fra l’altro compensare il rilascio di un’ “assurance”. È una sorta di certificato per garantire la guarigione di Italcementi da comportamenti passibili di censura giudiziaria, anche se non connessi al crimine organizzato. È l’equivalente in versione moderna delle indulgenze mercanteggiate dal clero nel cristianesimo preluterano.



È giusto aggiungere che la cifra è riferita all’insieme del team formato da Cappellano Seminara e dai suoi coadiutori, sei impiegati in pianta stabile più altri avventizi.



Ma è altrettanto corretto sottolineare che Italcementi è soltanto uno degli oltre cento incarichi ottenuti dal professionista siciliano, che è anche imprenditore in proprio con la Legal Gest consulting e con Tourism Project (hotel Brunaccini di Palermo).



La parcella da 18 milioni ha guastato i rapporti fra Cappellano Seminara e il colosso del calcestruzzo, da poco passato in mano ai tedeschi.



Italcementi si è rivolta alla giustizia. La causa ha superato due gradi di giudizio ed è al vaglio della Cassazione, che non ha ancora fissato la data dell’udienza. Ma finora i verdetti indicano che l’amministratore ha incassato più del dovuto e dovrebbe restituire una quota degli onorari di circa 2 milioni di euro.



Nel frattempo il bubbone è esploso. A Palermo è venuto alla luce un sistema opaco di favoritismi, nepotismi e incarichi in conflitto di interessi che potrebbe non essere limitato al capoluogo siciliano, dove si gestiscono quasi metà dei beni sequestrati in tutta Italia, secondo valutazioni del presidente delle misure di prevenzione Silvana Saguto.



Oltre a Cappellano Seminara, la procura di Caltanissetta indaga sulla stessa Saguto, assegnata ad altro incarico, su suo maritoLorenzo Caramma, consulente di Cappellano, sul suo collega di sezione Lorenzo Chiaramonte, sul sostituto procuratore Dario Scaletta e sull’ex componente togato del Csm Tommaso Virga.



In attesa che si sviluppi il lavoro del pubblico ministero nisseno Cristina Lucchini e del colonnello Francesco Mazzotta della Guardia di finanza, proprio il Csm ha finalmente deciso di affrontare la questione del cumulo degli incarichi nell’amministrazione giudiziaria, diventata ormai un affare da decine di milioni di euro all’anno, soprattutto nelle regioni più colpite dal crimine organizzato.



Anche la politica è dovuta tornare sull’argomento. L’ultima sistemazione datata 2011 si è rivelata disastrosa perché lascia una totale discrezionalità ai singoli tribunali sia nelle nomine sia nella definizione del tariffario che in parte è a carico delle aziende e in parte è a carico della pubblica amministrazione, quindi del contribuente.



In cambio del potere incondizionato che si è dato ai giudici delle misure di prevenzione non c’è stata garanzia di trasparenza né di rotazione negli incarichi. L’allarme lanciato dall’ex direttore dell’agenzia nazionale dei beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso è rimasto inascoltato e la commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi ha preferito impegnarsi in lunghe audizioni di quegli stessi amministratori giudiziari che hanno trasformato la lotta alla mafia in un business altamente lucrativo.



ITALGAS

Nel festival del conflitto di interessi spicca la vicenda Italgas. L’azienda torinese, controllata dalla Snam, finisce sotto sequestro in modo rocambolesco.



L’avvocato Andrea Aiello, 44 anni, amministratore giudiziario della Euro Impianti Plus dei fratelli Cavallotti, sequestrata nel 2012 e in liquidazione a giugno del 2015, riferisce al pm Scaletta di alcune anomalie riguardanti i rapporti fra Euro Impianti e Italgas. In sostanza, Italgas avrebbe firmato un contratto di fornitura con Euro Impianti pur sapendo che i Cavallotti erano soggetti a rischio.



In effetti, gli imprenditori di Belmonte Mezzagno sono stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ma restano “socialmente pericolosi” e la testimonianza di Aiello fa scattare il sequestro di Italgas il 9 luglio 2014.



Il giudice delegato Fabio Licata, che opera insieme ai colleghi Saguto e Chiaramonte ma non risulta indagato, nomina amministratore giudiziario proprio il teste dell’accusa Aiello. Da amministratore di Euro Impianti Plus, Aiello ha chiesto a Italgas un risarcimento di 20 milioni di euro per il contratto di fornitura non rispettato.



Insieme all’avvocato palermitano, sono nominati amministratori anche l’ingegnere Sergio Caramazza, il docente Marco Frey e il commercialista Luigi Saporito. I quattro vengono retribuiti dal tribunale e la cifra non è pubblica. Ma c’è una quota consistente versata dall’azienda sotto sequestro. Italgas ha pagato per un anno di sequestro 6 milioni di euro a 43 coadiutori ingaggiati dagli amministratori, per una media di 140 mila euro a testa.



Fra le criticità suggerite dagli amministratori giudiziari alla Deloitte, ingaggiata come consulente da Italgas, figura ogni genere di problema, inclusa la corretta profondità nell’interramento dei tubi, ma non profili collegati alla criminalità organizzata. La richiesta di dissequestro viene accolta a maggio del 2014 dal pm Dario Scaletta, poi indagato perché avrebbe informato Saguto dell’inchiesta che la riguardava. Nonostante questo, l’azienda viene riconsegnata il 9 luglio 2015, oltren un anno dopo il provvedimento. Ma nemmeno allora i professionisti delle misure di prevenzione si fanno da parte e riaffiorano nelle lunghe trattative per nominare il nuovo organo di vigilanza (Odv), incaricato fra l’altro dell’applicazione dei protocolli antimafia. La terna finale è guidata dal giurista di area Pd Giovanni Fiandaca insieme a Andrea Perini dell’università di Torino e a Gianluca Varraso, direttore con Fiandaca del corso di alta formazione per amministratori giudiziari della Cattolica di Milano, dove ha insegnato lo stesso Aiello.



Seppure molto qualificato, l’Odv viene integrato da tre consulenti: Carlo Amenta, Gianfranco Messina e Cristina Giuffrida, dello studio Aiello. Tutti e tre figurano fra i coadiutori dello stesso Aiello durante il sequestro di Italgas.



NATURAL GAS E GRUPPO MOLLICA

L’inchiesta che ha condotto al sequestro di Italgas, cioè la caccia al tesoro dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ha portato al sequestro di altre tre aziende italiane controllate dal colosso energetico spagnolo Gas Natural Fenosa. Anche in questo caso, la molla è stata la fornitura da parte dei fratelli Cavallotti.



Il giudice Saguto e i suoi colleghi hanno incaricato Cappellano Seminara che, insieme ai colleghi Enzo Bivona e Donato Pezzuto, è stato amministratore giudiziario delle società dal 19 maggio 2014 fino al luglio scorso.



Anche in questa vicenda c’è stato ricorso a decine di coadiutori che sono costati nell’ordine di 1 milione di euro: una bella somma considerando le dimensioni molto più ridotte delle aziende in termini di ricavi e dipendenti.

Le traversie giudiziarie dei fratelli Cavallotti hanno un parallelo nella storia del gruppo Mollica.



Le società dei costruttori di Gioiosa Marea (Messina), guidate dai fratelli Pietro, Domenico e Antonio, sono finite nel mirino come parte integrante di Cosa Nostra, secondo le dichiarazioni di Angelo “Bronson” Siino, il ministro dei lavori pubblici della mafia.



Nel 2011, i fratelli Mollica sono stati assolti da questa accusa tanto che le loro imprese, raccolte nel consorzio Aedars, hanno ottenuto la certificazione per partecipare al rifacimento della Scuola della Misericordia a Venezia, in società con la Umana di Luigi Brugnaro.



Nel giugno di quest’anno, con i lavori della Misericordia compiuti e Brugnaro diventato sindaco della Serenissima, le aziende dei Mollica sono state sequestrate in base a una sentenza del tribunale di Roma che ha bloccato beni per 135 milioni di euro. Niente mafia, stavolta. Tre mesi prima, a marzo del 2015, Pietro Mollica era stato arrestato con l’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Aedars e delle società consorziate, riconducibili ai Mollica. I giudici romani hanno affidato il gruppo a Cappellano Seminara.



L’avvocato palermitano adesso è a un bivio. Sembra che il presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, gradirebbe un passo indietro del superamministratore. Si attendono i passi avanti dei politici.



Aggiornamento dell'8 ottobre 2015
Precisazioni a "Che affarone quel sequestro": le lettere di Rosy Bindi, Fabio Licata, Gaetano Cappellano Seminara e Pietro Cavallotti. 




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25 ottobre 2015 7 25 /10 /ottobre /2015 17:00
Beni confiscati, i pm accendono i riflettori sul denaro contante a casa della Saguto 

di Riccardo Arena


Nelle intercettazioni il giudice e il padre parlano di «mazzettine» coi soldi. Lei dice che servivano perché le carte di credito non sempre sono accettate

inchiesta beni sequestrati, Gioacchino Natoli, Silvana Saguto, Palermo, Mafia e Mafie



PALERMO. «Tu hai preso i soldi dalla borsa?», chiede Vittorio Saguto alla figlia Silvana, che, il 20 agosto, risponde: «Io ho preso solo quando c'erano i pezzi da cento, solamente, i pezzi da cento li ho presi, non so quanti erano però precisamente, quindi una parte l'ho levata». E il padre, che inizialmente non trova il denaro, ricorda che c'erano «due, tre mazzettine di quelle». Mezz'ora dopo i due si risentono: «Tutto a posto - dice l'uomo -. Allora, quando vieni qua? Ci sono tre... roselline».

Il denaro contante
Circolava, e non poco, in casa dell'ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, oggi indagata a Caltanissetta con le ipotesi di corruzione, concussione per induzione, abuso d'ufficio. Lei, la Saguto, sostiene che era un'esigenza legata al fatto che le carte di credito - la sua, un'American Express in particolare - non sempre sono accettate e per le spese correnti era costretta a prelevare.
Ma chi indaga ci crede poco e guarda anche ai passaggi delle conversazioni intercettate in cui il giudice denuncia notevoli difficoltà economiche. Cosa che imprime un'accelerazione all'indagine sui presunti scambi di favori con gli amministratori giudiziari, con nomine di comodo per il marito del giudice, l'ingegner Lorenzo Caramma, pure indagato. E poi il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza cerca riscontri che sostengano la tesi dei versamenti di contanti a Vittorio Pietro Saguto, che avrebbe ricevuto il denaro per la figlia. L'anziano padre del magistrato è indagato pure lui, per autoriciclaggio.

La nomina sfumata
Nel contesto generale si inseriscono le trattative per la nomina di Lorenzo Caramma anche come coadiutore nella gestione del Cara di Mineo, dopo il sequestro della società che lo gestiva, deciso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma, presieduta da Guglielmo Muntoni, amico della Saguto. Davide Franco, uno degli amministratori, aveva chiamato più volte l'ingegnere. Il 4 settembre era praticamente fatta. Ma l'8 sono scattate le perquisizioni disposte dai pm nisseni.
Parcelle da un milione a testa
È comunque Gaetano Cappellano Seminara, l'amministratore giudiziario al centro di polemiche da almeno due anni e mezzo, il protagonista di alcuni passaggi: «Ma su Palermo - chiede al presidente - misure? Perché considera che noi, lasciata Gas Natural, questa di qua ci impegna molto poco, questa di Roma». Saguto: «Ora vediamo, per ora non abbiamo niente, nemmeno una carta, non c'è più niente per me».
In un altro colloquio, intercettato sempre nell'ufficio del giudice, Cappellano dice: «Abbiamo presentato a Fabio Licata (altro magistrato sotto inchiesta, ndr) la liquidazione di Gas Natural. Eh, in buona sostanza, alla fine, abbiamo chiesto un milione di euro l'uno, complessivamente... io ho chiesto a parte il rimborso forfettario, perché sono l'unico avvocato fra i tre amministratori... sono 700 milioni di euro di volume d'affari». Ieri il presidente della Corte d'appello, Gioacchino Natoli, e il pg Roberto Scarpinato sono stati sentiti dalla prima commissione del Csm, alla quale hanno chiesto di intervenire subito.

«Morirò, ma morirò ricco»
Un altro capitolo riguarda i rapporti, che dalle intercettazioni appaiono altamente conflittuali, con Walter Virga, figlio di Tommaso, giudice ed ex componente del Csm. Secondo i pm nisseni, il giovane avvocato avrebbe ottenuto due misure per «ringraziare» il padre di aver fermato iniziative ed esposti disciplinari contro la Saguto. Tesi anche questa respinta dai diretti interessati.
Le misure Bagagli e Rappa rendono bene: ci sono gli attacchi mediatici, «però domani facciamo i bonifici. Io morirò, ma morirò ricco», dice Virga jr, forse con ironia, alla moglie, Giuliana Pipi, con lui nei cda delle aziende.

La nuora allontanata
Ma il discorso è più ampio e riguarda la Saguto imprenditrice, che dà lavoro. A persone conosciute e di fiducia, spiega lei, perché il settore dei beni sequestrati alla mafia presuppone la massima fiducia. E però il 7 giugno Walter Virga si sfoga con il suo coadiutore Alessio Cordova, dopo avere allontanato dal proprio studio Mariangela Pantò, fidanzata di Francesco Caramma e dunque futura nuora della presidente: la questione è sfociata in una lite con la Saguto. «Fosse successo a me - dice Virga - mi sarebbe dispiaciuto, ma me la sarei presa con mia suocera, perché io avrei detto, guarda, se tu, diciamo, non cercavi di infilare tutta la famiglia, tutti gli amici dei tuoi figli in tutte cose, non finivi su tutti i giornali, sputtanata in tutto il mondo». Parlando con Tommaso Virga, il figlio Walter si lamenta del modo in cui la Saguto ha affrontato la questione: «Lei avrebbe detto che il problema non si pone, perché Mariangela paga un affitto... ma non è vero». E il giudice, che appare molto in ansia: «No, no, si chiude, Walter... si chiude, si chiude...».
La rabbia del presidente
L'amarezza di Virga è condivisa da Cordova: «Io in generale, almeno dal mio punto di vista... non avremo mai più nessun incarico chiaramente dalle misure di prevenzione». E in effetti la Saguto è arrabbiatissima: «Mi dà fastidio perché è stata fatta in questa maniera e lui pagherà le conseguenze di questa decisione... Lui (Virga jr, ndr) lo devo rivedere io e appena lo rivedo, vedrai cosa non succede. La piena la stiamo reggendo tutti, lui non la vuole reggere. E non la regga, ci penso io».
Il figlio del cancelliere
La Saguto il 31 agosto chiama un cancelliere del tribunale: «Intanto cominciamo con tuo figlio, sicuramente». Poco dopo riceve un collaboratore di Cappellano Seminara, Aulo Gigante: «Senti qua, per Vincenzo (non identificato, ndr) avremmo trovato probabilmente un posto, adesso, nell'amministrazione Virga. Però c'è una persona che voglio presa in cambio, che è il figlio di un cancelliere». Qualche giorno dopo il giudice precisa alla diretta interessata: «Tuo figlio lo mettiamo da Niceta, come ragioniere... Poi man mano, per tuo fratello ho parlato con Carmelo Provenzano, il professore». E l'altra: «Mio fratello per ora se l'è preso Carlo». Il 28 agosto un amministratore, Alessandro Scimeca, cerca di evitare un'assunzione con una qualifica «improponibile» per un esecutivo, chiesta da un alto esponente istituzionale: «Da fratello a sorella te lo dico, faccio tutto quello che vuoi ma non ci facciamo sparare».



I fucili e il doposole
Vittorio Saguto e il nipote Emanuele Caramma amano andare a caccia e si devono prendere munizioni e fucili e portarli a Piana degli Albanesi. È «Elio» Caramma, figlio della Saguto, ad insistere molto: «Io ci posso provare - gli spiega la madre - ma commetto un reato, porto e detenzione abusiva di materiale esplodente». E infine la scorta: la Saguto il 28 agosto fa prendere agli agenti un doposole, poi fa accompagnare la Pantò in spiaggia, infine chiede «i dischetti levatrucco, quelli grandi». Il caposcorta le risponde che ci sono quelli piccoli. «No, non li voglio».

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